Il TAR Milano richiama l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale il contributo di costruzione è strettamente correlato all'attività di trasformazione del territorio e, conseguentemente, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare; da ciò l’ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione; il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge, poi, non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.

Ciò posto, il TAR Milano aggiunge che:
  • deve pure tenersi presente che, se ciò vale, in linea di principio, nelle ipotesi di rilascio di un ordinario permesso di costruire, tuttavia la situazione dei rapporti di diritto-obbligo gravanti tra le parti può atteggiarsi diversamente quando il titolo edilizio sia chiesto e ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in una convenzione urbanistica;
  • laddove i rapporti tra il privato e l’Amministrazione siano regolati da un’apposita convenzione, occorre verificare quale sia stato l’effettivo intento delle parti in ordine alla corresponsione del contributo di costruzione;
  • nel caso in cui le modalità di assolvimento dell’obbligazione del privato siano direttamente funzionalizzate all’attuazione delle trasformazioni oggetto della convenzione (come nelle ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri dovuti, o di opere che il privato accetti di realizzare in aggiunta agli oneri dovuti, o ancora laddove la convenzione disciplini le opere da realizzarsi da parte dell’Amministrazione, prevedendo tuttavia l’accollo del relativo onere economico, con varie modalità, a carico del privato) le obbligazioni attinenti al contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione; in questo caso, la mancata esecuzione degli interventi privati non farà venir meno la causa giustificativa delle obbligazioni attinenti alla realizzazione di opere pubbliche, essendo queste obbligazioni stabilite in funzione dell’attuazione del piano, e non del singolo e specifico intervento edificatorio assentito con il titolo edilizio;
  • al contrario, laddove la convenzione si limiti a disciplinare le modalità di corresponsione del contributo di costruzione, senza far emergere la specifica correlazione delle prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente al contributo rimane correlata soltanto al carico urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra richiamati; in questo caso occorre applicare gli ordinari principi e, quindi, affermare la ripetibilità delle eventuali quote di contributo commisurate (esclusivamente) alle parti di intervento non effettivamente realizzate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 718 del 13 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In una precedente decisione, il TAR Milano, dopo aver ricordato che il contributo non è dovuto in caso di rinuncia o, comunque, di mancato utilizzo del permesso di costruire, con conseguente obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., di restituire le somme eventualmente incamerate a tale titolo, aveva aggiunto che questo principio può essere applicato anche in presenza di una stipulazione di una convenzione urbanistica, stante, nel caso in esame: a) l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista dalla convenzione; b) l’impossibilità per il soggetto attuatore, a seguito dell’intervenuta scadenza dei termini previsti dalla convenzione stessa, di realizzare le opere private di suo interesse; secondo il TAR, la convenzione urbanistica non costituisce autonoma fonte dell’obbligo di versamento del contributo di costruzione, trovando quest’ultimo la propria fonte direttamente nella legge, la quale lo pone in stretta correlazione all’attività di trasformazione del territorio in assenza della quale esso non è comunque dovuto; la convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per quanto concerne il quantum ed il quomodo; sicché una volta escluso che la trasformazione del territorio possa attuarsi, il pagamento del contributo di costruzione diviene privo di causa, quantunque esso sia previsto e disciplinato da una convenzione urbanistica.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 596 del 28 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano dichiara inammissibile la memoria depositata nel termine stabilito, ai sensi dell’articolo 73, comma 1, c.p.a., per la presentazione delle repliche, che non controbatte specificamente alle produzioni effettuate dalla parte ricorrente in vista dell’udienza, ma costituisce l’atto processuale mediante il quale l’Amministrazione resistente articola per la prima volta le proprie difese, prendendo posizione su quanto dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio, atteso che esorbita palesemente dai limiti di contenuto assegnati dalla legge alle repliche; queste ultime devono essere riferite ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza; si tratta, quindi, di scritti difensivi che – per ragioni di pienezza del diritto alla difesa e, in particolare, di garanzia della parità delle armi tra le parti – non hanno contenuto libero, ma possono soltanto controbattere alle produzioni avversarie (salva la possibilità per il Collegio di accordare la presentazione tardiva di memorie e documenti, pur sempre nel rispetto del contraddittorio, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile, ai sensi dell’articolo 54, comma 1, c.p.a.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 718 del 13 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


A seguito dell’incontro formativo del 23 marzo 2018, tenutosi a Varese, dal titolo: “Modalità di attuazione degli interventi di trasformazione previsti dallo strumento urbanistico: interventi edificatori privati e connesse opere di urbanizzazione. Procedure e profili di tutela”, pubblichiamo le slide utilizzate dal prof. avv. Emanuele Boscolo e dall’avv. Maria Cristina Colombo durante tale incontro.


Il TAR Milano preso atto che il ricorso, seppure firmato digitalmente e munito dell’attestazione di conformità all’originale in possesso dell’interessato, giusta art. 136, commi 2 bis e 2 ter, c.p.a., non risulta essere stato depositato in uno dei prescritti formati di cui al combinato disposto degli artt. 11 del D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 e art. 12 delle specifiche tecniche allegate allo stesso regolamento, ritiene che tale irregolarità (dovendosi escludere la nullità, in difetto di espressa comminatoria, ex art. 156, comma 1, c.p.c., e avendo l’atto comunque raggiunto il suo scopo tipico, ex art. 156, terzo comma, c.p.c.) può essere sanata, ex art. 44, secondo comma, c.p.a., mediante rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo al domicilio digitale eletto dell’Amministrazione resistente, e successivo deposito, ex art. 45 c.p.a., del ricorso, con le prove della notifica, in formato PDF - PDF/A ottenuto da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti.

L’ordinanza collegiale del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 842 del 22 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo; l’ordinanza si segnala anche perché indica nell’epigrafe come domicilio della parte il solo domicilio digitale.


Il Consiglio di Stato afferma che l’omessa pronuncia in ordine alla domanda risarcitoria impone, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., la regressione della causa al giudice di primo grado, il quale deve provvedere a pronunciare in diversa composizione ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 1535 del 12 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE nell’esaminare la domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione, da un lato, dell’articolo 11 della direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati e, dall’altro, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, ha così statuito:
«1) L’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, deve essere interpretato nel senso che il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi si applica a un giudizio dinanzi a un giudice di uno Stato membro, come quello di cui al procedimento principale, nell’ambito del quale viene determinato se un ricorso possa essere autorizzato durante un procedimento di autorizzazione di un progetto, e ciò a maggior ragione quando detto Stato membro non abbia stabilito in quale fase possa essere presentato ricorso.
2) Quando un ricorrente deduce sia motivi vertenti sulla violazione delle norme relative alla partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale sia motivi vertenti sulla violazione di altre norme, il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92 si applica alle sole spese inerenti alla parte del ricorso che si fonda sulla violazione delle norme relative alla partecipazione del pubblico.
3) L’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, deve essere interpretato nel senso che, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori rientranti nel diritto ambientale dell’Unione, il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi si applica alla parte di un ricorso che non sia coperta dal medesimo requisito, quale risulta, conformemente alla direttiva 2011/92, dalla risposta fornita al punto 2 del presente dispositivo, nei limiti in cui il ricorrente tenti con il suddetto ricorso di far rispettare il diritto ambientale nazionale. Tali disposizioni non sono dotate di effetto diretto, ma spetta al giudice nazionale interpretare il diritto processuale interno nella maniera più conforme possibile alle stesse.
4) Uno Stato membro non può derogare al requisito in base al quale determinati procedimenti non devono essere eccessivamente onerosi, previsto dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale e dall’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92, quando un ricorso è ritenuto temerario o vessatorio, o in assenza di un nesso tra l’asserita violazione del diritto ambientale nazionale e un danno all’ambiente».

La sentenza della Prima Sezione del 15 marzo 2018 (causa C-470/16) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la possibilità di risarcire il danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo presuppone anzitutto che un ritardo sia riscontrabile, ossia richiede che il termine per la conclusione del procedimento sia decorso interamente, senza che l’Amministrazione abbia adottato alcuna determinazione espressa o tacita; nessun ritardo è perciò configurabile allorché il silenzio dell’Amministrazione abbia – in virtù di una previsione legislativa – il valore di un provvedimento, positivo o negativo, ossia in tutti i casi di c.d. silenzio significativo; in queste ipotesi, infatti, il decorso del tempo non lascia permanere una situazione di silenzio-inadempimento della stessa Amministrazione, ma comporta la formazione di una determinazione conclusiva del procedimento avviato ed è, perciò, esclusa in radice la risarcibilità del danno da ritardo, ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Aggiunge il TAR Milano che la situazione ora descritta è riscontrabile nel caso di richiesta di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001; il suddetto procedimento rientra proprio tra quelli caratterizzati dalla tipizzazione legislativa dell’eventuale silenzio sull’istanza, atteso che il comma 3 dell’articolo 36 stabilisce che sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata; la previsione normativa determina, pertanto, la formazione legale e automatica di un provvedimento di diniego una volta decorso il termine stabilito.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 680 del 9 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano aderisce all'orientamento giurisprudenziale in base al quale nelle gare pubbliche il livello di approfondimento richiesto alla stazione appaltante in sede di valutazione della non anomalia dell'offerta, rispetto alle singole voci di costo presentate, varia in funzione delle caratteristiche dell'offerta e della plausibilità delle giustificazioni già rese rispetto alle singole voci, venendo in considerazione un giudizio discrezionale, in ordine alla complessiva affidabilità dell'offerta, su cui il giudice effettua un sindacato ab estrinseco; il giudizio che conclude il sub procedimento di verifica delle offerte anomale (di per sé insindacabile, salva l'ipotesi in cui le valutazioni a esso sottese non risultino abnormi o manifestamente illogiche o affette da errori di fatto) ha, infatti, natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme e, conseguentemente, la relativa motivazione deve essere rigorosa in caso di esito negativo; al contrario, la positiva valutazione di congruità della presunta offerta anomala è sufficientemente espressa anche con eventuale motivazione per relationem alle giustificazioni rese dall'impresa offerente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 727 del 13 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che la chiusura di vani aperti, che determina l'ampliamento della superficie abitabile e un nuovo locale autonomamente utilizzabile, non può essere ascritto né alla categoria della manutenzione straordinaria, né a quella della ristrutturazione, essendo invece qualificabile come intervento di trasformazione urbanistica da ricondursi alla categoria della nuova costruzione, per la realizzazione del quale dev'essere quindi necessariamente ottenuto un titolo edilizio; non è, poi, decisivo il fatto che le nuove strutture non sono realizzate in muratura, ma in materiale facilmente amovibile e smontabile, atteso che per stabilire se il nuovo manufatto abbia il carattere della stabilità piuttosto che quello della amovibilità occorre aver riguardo non già alla tipologia dei materiali utilizzati, ma alla funzione che al manufatto stesso viene conferita dall’utilizzatore; in sostanza, si deve escludere il carattere amovibile qualora le nuove opere siano destinate a soddisfare esigenze non temporanee (nella fattispecie si trattava della realizzazione di una modifica della copertura del fabbricato, con realizzazione di una articolata struttura di metallo posta a sostegno di una tenda retrattile, e dell’installazione di pannelli perimetrali di chiusura posti sui lati della struttura; per il TAR Milano tali opere hanno determinato una completa trasformazione del bene, il quale si caratterizzava prima per essere una spazio semi aperto, seppur coperto da tenda, avente la funzione di andito carraio/pedonale non destinato alla permanenza di persone, e si caratterizza ora invece per essere uno spazio chiuso idoneo alla permanenza di persone, che determina un ampliamento del locale utilizzato dal ricorrente per l’esercizio della propria attività commerciale).


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 683 del 9 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, dal nuovo quadro normativo delineato dal d.lgs. n. 50 del 2016, emergono valide ragioni a favore di una più rigorosa applicazione del principio della immutabilità soggettiva dei raggruppamenti temporanei rispetto alle aperture manifestatesi nel vigore dell’art. 51 del d.lgs. n. 163 del 2006, avendo il legislatore optato per la piena tutela del principio della “par condicio” nel corso della gara, principio che potrebbe essere vulnerato qualora ad un componente di un R.T.I. fosse consentito di sostituire altri a sé, eludendo i controlli all’uopo prescritti; le eccezioni sono, dunque, ammissibili soltanto in quanto riguardino motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e trovino giustificazione nell'interesse della stazione appaltante alla continuazione della stessa; al di fuori delle ipotesi normativamente previste non può che riprendere vigore il divieto, volto a presidiare anche la complessiva serietà delle imprese che partecipano alla gara, onde garantire la migliore affidabilità del futuro contraente dell’amministrazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 663 del 9 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.