Il TAR Brescia con riferimento a una procedura di evidenza pubblica per l’attivazione di un partenariato con enti del Terzo Settore e alle modalità di esame delle offerte osserva:
<<12.1. Premesso che la procedura di gara qui in esame si è svolta in modalità cartacea e non telematica, va osservato che in relazione a tale modalità di svolgimento della procedura di gara trovano applicazione i principi affermati da ormai consolidata giurisprudenza, a far data dalla nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 31 del 31 luglio 2012, secondo cui "I principi di pubblicità e trasparenza che governano la disciplina comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici comportano che, qualora all'aggiudicazione debba procedersi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica dei documenti in esse contenuti vadano effettuate in seduta pubblica”; in senso analogo, tra le tante, T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 20/01/2020, n. 713; Consiglio di Stato, sez. III, 24/09/2018, n. 5495; T.A.R. Genova, sez. II, 21/03/2018, n. 235; T.A.R. Brescia, sez. II, 12/03/2014, n. 241; T.A.R. Brescia, sez. II, 19/06/2012, n. 1078).
12.2. In sintonia con i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria, la giurisprudenza successiva ha avuto modo di affermare, anche di recente, che “devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica; pertanto, è illegittima l'apertura in segreto di plichi, con la conseguenza che il mancato rispetto di detto principio di pubblicità delle sedute della commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato, senza che rilevi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti” (T.A.R. Pescara, sez. I, 25/06/2019, n. 173; in senso analogo, T.A.R. Lazio-Roma, sez. II, 23/02/2018, n. 2108).>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1380 del 27 dicembre 2022.


Il TAR Milano osserva:
<<A questo proposito, va innanzitutto rilevato che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale il Collegio non ha motivo per discostarsi, le norme invocate dal ricorrente, che come noto hanno introdotto nel nostro ordinamento l’obbligo di assicurare la partecipazione al procedimento amministrativo da parte dei soggetti interessati, vanno interpretate applicando il principio di strumentalità delle forme, con la conseguenza che il mancato rispetto delle formalità procedimentali ivi previste non costituisce causa di illegittimità del provvedimento finale qualora lo scopo che le norme stesse intendono perseguire sia stato comunque nel concreto raggiunto. In applicazione di questo principio, si deve escludere la portata invalidante dell’omesso avviso di avvio del procedimento quando l’amministrato abbia avuto non solo piena contezza dell’azione amministrativa incisiva del suo interesse, ma anche la concreta possibilità di partecipare al procedimento e di far valere in quella sede le sue ragioni (cfr. fra le tante Consiglio di Stato Sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 342).
La giurisprudenza ha altresì chiarito che l’obbligo dell’Amministrazione di dare riscontro alle osservazioni procedimentali non va inteso quale obbligo di confutazione puntuale di tutti i singoli rilievi sollevati dall’interessato, essendo sufficiente, affinché la garanzia partecipativa possa dirsi rispettata, che nella motivazione dell’atto si dimostri di aver tenuto in considerazione tali rilievi e si esponga sinteticamente il ragionamento complessivo che ne ha permesso il superamento (cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 6173; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 7 marzo 2022, n. 183; T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 4 gennaio 2022, n. 10).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2755 del 14 dicembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituiscono nuova costruzione gli interventi di trasformazione urbanistica comportanti la realizzazione di depositi di merci o di materiali e implicanti la trasformazione permanente del suolo inedificato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 753; Consiglio di Stato, sez. VI, 17 marzo 2022, n. 1957). Anche la giurisprudenza penale, distinguendo tra interventi finalizzati ad attività agricole, interventi finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli che incidono sul tessuto urbanistico del territorio ed interventi prodromici alla realizzazione di un immobile, richiede, per le ultime due tipologie, la necessaria acquisizione di un permesso di costruire (cfr., Corte di Cassazione, sezione III penale, 12 gennaio 2017, n. 1308 e giurisprudenza ivi richiamata; Corte di Cassazione, sez. III penale, 10 marzo 2022 , n. 12936; Corte di Cassazione, sez. III penale, 23 febbraio 2021, n. 12121). Ne consegue che lo sbancamento e il livellamento del terreno, pur non comportando un'edificazione in senso stretto, determinano una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio, stante la destinazione agricola dell’area, sicché doveva essere acquisito il permesso di costruire.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2775 del 19 dicembre 2022.


Il TAR Milano richiama e fa propria la giurisprudenza secondo la quale l'azione di accertamento, nel giudizio amministrativo, è esperibile “ove necessaria a colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate […] per garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo; […] la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando un provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente” (Cons. St., Ad. Plen., n. 15 del 2011). In altre parole, la domanda di mero accertamento è proponibile solo laddove le azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela e dunque a protezione di un interesse giuridicamente rilevante di chi agisce in giudizio diverso da quello consistente nell'eliminazione degli effetti del provvedimento, occorrendo altrimenti esperire l'azione di annullamento nel rispetto del termine decadenziale (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 16 marzo 2021, n. 750; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 5 febbraio 2021, n 355; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 7 ottobre 2020, n. 688; T.A.R. Liguria, Sez. II, 10 giugno 2020, n. 361).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2783 del 19 dicembre 2022.


Il TAR Brescia osserva che:
<<2. Al riguardo va rammentato che, secondo consolidati principi giurisprudenziali, “il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata su presunzioni, della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; infatti, il sistema di tutela degli interessi pretensivi consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l'interesse pretensivo, incapace di trovare realizzazione con l'atto, in congiunzione con l'interesse pubblico, assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l'interessato sia suscettibile di appagare un bene della vita” (Consiglio di Stato, sez. V, 27/12/2013, n. 6260).
Se non nella prova certa della spettanza del bene della vita, il risarcimento dell’interesse pretensivo è subordinato quanto meno alla prova del possesso di una chance di conseguirlo, intesa, peraltro, non come “semplice possibilità di conseguire il risultato sperato”, ma come “sussistenza di una rilevante probabilità del risultato utile, che sia stata vanificata dall'agire illegittimo dell'amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 23/09/2019, n. 6319).
E’ stato affermato, al riguardo, che “la risarcibilità della "chance" di aggiudicazione è ammissibile solo allorché il danno sia collegato alla dimostrazione di una seria probabilità di conseguire il vantaggio sperato, dovendosi, per converso, escludere la risarcibilità allorché la "chance" di ottenere l'utilità perduta resti nel novero della mera possibilità (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 15 n. 3147); pertanto, “per ottenere il risarcimento del danno anche per perdita di una “chance” è, comunque, necessario che il danneggiato dimostri, seppur presuntivamente ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto e provi, conseguentemente, la sussistenza, in concreto, dei presupposti e delle condizioni del raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve configurarsi come conseguenza immediata e diretta” (Consiglio di Stato, sez. V, 11/04/2022, n. 2709 ); ciò, peraltro, deve essere necessariamente esaminato alla luce della peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu , requisito indispensabile per la configurabilità di una chance risarcibile, va verificata alla stregua della consistenza dei poteri attribuiti dall'ordinamento alla Pubblica amministrazione e “tenendo conto della fase della procedura in cui è stato adottato l'atto illegittimo e di come si sarebbe evoluta nel proseguo” (Consiglio di Stato, sez. V, 27/03/2013, n. 1772).>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1314 del 14 dicembre 2022.


Il Tar Milano, a fronte di una clausola convenzionale stipulatala da un soggetto aggregatore che esclude la revisione dei prezzi contrattuali osserva che la clausola convenzione, nella parte in cui esclude ogni revisione del corrispettivo, è nullo per contrarietà alla disciplina di legge imperativa (art. 106 comma 1 lettera a) del codice dei contratti pubblici) che fa salvi, per i contratti stipulati dai soggetti aggregatori (quale è Aria Spa) l’applicazione dell’art. 1 comma 511 della legge n. 208/2015.
Tale ultima norma ammette una revisione del corrispettivo qualora si sia verificata una variazione del valore dei beni, che abbia cagionato una variazione del prezzo non inferiore al dieci per cento e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale, come accertato dall’autorità indipendente preposta alla regolazione dello specifico settore oggetto del contratto oppure, in mancanza, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). Il citato comma 511 prevede quindi un particolare procedimento di revisione, che impone l’intervento di una autorità indipendente o dell’Agcm, anche per l’accertamento dell’aumento dei prezzi dei beni superiori alla soglia del 10%.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2808 del 21 dicembre 2022.


Con la sentenza n. 251 del 2022, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23, che, in assenza di un piano paesaggistico elaborato congiuntamente dallo Stato e dalla Regione, consentiva l’ampliamento della superficie dei fabbricati da destinare ad attività agrituristica.
Secondo la Corte, il rischio di pregiudicare scelte di tutela del paesaggio che devono essere necessariamente condivise comporta la violazione della competenza statale stabilita art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Corte Costituzionale n. 251 del 19 dicembre 2022.


Il TAR Milano ricorda come la giurisprudenza sia consolidata nel riconoscere alle obbligazioni assunte in una convenzione urbanistica la natura di obbligazioni propter rem (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 13 novembre 2020, n. 7024; 9 novembre 2020, n. 6894; II, 23 settembre 2019, n. 6282; IV, 14 maggio 2019, n. 3127; 9 gennaio 2019, n. 199) e precisa:
<<Difatti, «in ordine alla questione principale dell’individuazione dei soggetti obbligati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione previste da una convenzione di lottizzazione, [si è osservato] che:
a) al fine di individuare quali sono i legittimati passivi in caso di inadempimento è necessario, in via preliminare, definire la natura giuridica delle obbligazioni derivanti dalla convenzione stipulata con l’ente locale;
b) al riguardo, le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di garantire che all’edificazione del territorio corrisponda non solo l’approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il suo equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell’insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall’autorità preposta alla gestione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2009, n. 6947);
c) è in quest’ottica che devono essere letti ed interpretati gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche e, per tale motivo, la Corte di cassazione ha sempre affermato che l’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è di natura propter rem (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10947; nonché Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382);
d) la natura reale dell’obbligazione comporta dunque che all’adempimento della stessa saranno tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l’edificazione ed i loro aventi causa (cfr. Cass. civ., 15 maggio 2007, n. 11196; Cass. civ., Sez. II, 27 agosto 2002, n. 12571);
e) in senso conforme è la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’assunzione, all’atto della stipulazione di una convenzione di lottizzazione, dell’impegno - per sé, per i propri eredi e per gli altri aventi causa - di realizzare una serie di opere di urbanizzazione del territorio e di costituire su una parte di quelle aree una servitù di uso pubblico, dà luogo ad una obbligazione propter rem, che grava quindi sia sul proprietario del terreno che abbia stipulato la convenzione di lottizzazione, sia su coloro che abbiano richiesto il rilascio della concessione edilizia nell’ambito della lottizzazione, sia infine sui successivi proprietari della medesima res (T.a.r. Trento, sez. I, 6 novembre 2014, n. 394; in senso conforme, T.a.r. Campania, Napoli , sez. II, 9 gennaio 2017, n. 187; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 16 aprile 2014, n. 2170; T.a.r. Lombardia, Brescia, 1 giugno 2007, n. 467; T.a.r. Sicilia, Catania, sez. I, 29 ottobre 2004, n. 3011), per cui l’avente causa del lottizzante assume tutti gli oneri a carico di quest’ultimo in sede di convenzione di lottizzazione, compresi quelli di urbanizzazione ancora dovuti (T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 12 settembre 2013, n. 747), risultando inopponibile all’Amministrazione qualsiasi previsione contrattuale dal contenuto opposto e qualsiasi vicenda di natura civilistica riguardanti i beni in questione;
f) invero, il meccanismo dell’ambulatorietà passiva dell’obbligazione, proprio della natura propter rem, non trasforma ex se gli aventi causa dei lottizzanti in “parti” a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell’esecuzione degli impegni presi (T.a.r., Brescia, sez. I, 23 giugno 2017, n. 843)» (Consiglio di Stato, IV, 9 gennaio 2019, n. 199; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2021, n. 1056).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2735 del 12 dicembre 2022.


Il TAR Brescia precisa che le azioni di accertamento atipiche, in difetto di una previsione normativa, non sono soggette a termini decadenziali. Ma tale regola vale solo se tali azioni sono effettivamente dirette a perseguire un interesse di autentico accertamento di un fatto controverso, mentre quando esse siano sorrette da un interesse consistente nell’eliminazione degli effetti di provvedimenti amministrativi autoritativi, allora sarà necessario esperire l'azione di annullamento nei termini decadenziali di impugnazione, restando preclusa la proposizione dell’azione di accertamento che costituirebbe un’elusione del termine decadenziale (ormai scaduto) d’impugnazione di provvedimenti autoritativi (cfr.: TAR Veneto, sez. III, 1.4.2021, n. 426; TAR Toscana, sez. III, 8.5.2015, n. 760; TAR Lombardia Milano, sez. II, 5.2.2021, n. 355).
E infatti l’art. 34, comma 2, del C.p.a. stabilisce che "il giudice non può conoscere della illegittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento”.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1335 del 16 dicembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, nei procedimenti amministrativi, anche di carattere valutativo, un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce, quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza. Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto, con la conseguenza che, in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor esso deve ritenersi ordinatorio, e il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto ma una semplice irregolarità non viziante (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, 22-01-2020, n. 537; TAR Piemonte, Torino, II, 24-03-2022, n. 269).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2747 del 13 dicembre 2022.



Il TAR Milano rigetta la tesi di parte ricorrente secondo la quale sarebbe ammissibile la “Scia in sanatoria” sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<Ciò per la considerazione che il nostro ordinamento non ammette, a regime, una sanatoria diversa da quella contemplata dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, che prevede anzitutto che la richiesta di permesso sia specificamente indirizzata alla sanatoria di opere già eseguite e che, dal punto di vista procedimentale, pone la regola secondo cui la richiesta in sanatoria si intende rifiutata se il Comune non provvede espressamente entro 60 giorni.
Il ricorrente, nella ricostruzione proposta, pretende invece di aver sanato delle opere abusive per il tramite di una Scia (quella del 2020), senza che la stessa soddisfacesse i requisiti di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 – che devono intendersi come tassativi poiché la sanatoria è istituto di carattere eccezionale – e, anzi, ricollegando al silenzio un significato, positivo, opposto rispetto a quello, invece di diniego, che la norma riconnette in caso di presentazione di richiesta di sanatoria (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126).
In altre parole, il ricorrente non può derogare all’eccezionale regime previsto dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 per l’accertamento di conformità di opere abusive per il sol fatto di scegliere un regime – quello della Scia – non deputato a ciò. Diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione – assolutamente estranea al sistema – che sussista per il privato la facoltà di introdurre inammissibilmente una forma atipica di sanatoria (che si realizza appunto per silenzio assenso) e a fronte della quale l’amministrazione non avrebbe nemmeno il potere di provvedere, espressamente o per silenzio, secondo l’unica regola stabilita dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ma per la quale essa dovrebbe invece attivare i poteri inibitori dettati dall’art. 19 l. n. 241/1990 per il regime autorizzatorio di un altro tipo di opere.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2744 del 13 dicembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che, per costante giurisprudenza, "dopo l'intervento dell'Adunanza Plenaria n. 27/2014, non può dubitarsi che negli appalti di servizi e forniture non vige ex lege il principio di necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza, essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis della gara", sicché rientra nella discrezionalità della stazione appaltante stabilire le quote che devono essere possedute dalle imprese partecipanti ai raggruppamenti (Consiglio di Stato, Sezione V, n. 1101/2020, n. 8249/2019 e Sezione III, n. 4025/2019, n. 3331/2019 e n. 4336/2017).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2715 del 9 dicembre 2022.


Secondo il TAR Brescia, il Provvedimento Unico Ambientale (PUA) ha la finalità di riunire, in un unico atto, il provvedimento di VIA e ogni altra autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta o atto di assenso in materia ambientale richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione e l’esercizio di un progetto e quindi è riduttivo sostenere che il PUA sia un mero “contenitore” dei provvedimenti delle amministrazioni coinvolte anziché un provvedimento autonomo che sintetizza, e assorbe, le loro manifestazioni di volontà.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1284 del 7 dicembre 2022.


Il TAR Milano, in adesione a un consolidato orientamento giurisprudenziale, anche della Sezione, osserva che al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”; essi, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 902; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 25 marzo 2019, n. 646; id., 2 ottobre 2020, n. 1767).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2650 del 29 novembre 2022.



Il TAR Brescia esamina una istanza di ricusazione dell’intero collegio che aveva pronunciato sentenza non definitiva dichiarando inammissibile un ricorso nella parte concernente una domanda sul silenzio e disponendo la conversione del rito quanto alle altre domande e osserva:
<<Premesso che:
- con ricorso rubricato al n. r.g. 722/2020 la sig.ra -OMISSIS- ha chiesto l’annullamento del silenzio formatosi sull’atto di significazione datato -OMISSIS- e notificato al Comune di -OMISSIS- e ad ATS Brescia in data -OMISSIS-, avente ad oggetto la revoca delle ordinanze contingibili e urgenti del -OMISSIS-, recanti il divieto di utilizzo a scopo potabile dell’acqua emunta dal pozzo presente nelle pertinenze dell’azienda agricola -OMISSIS-, sita in -OMISSIS- – -OMISSIS-, nonché la richiesta di approntamento della fornitura di acqua potabile mediante allaccio al pubblico acquedotto e/o sistemi di approvvigionamento alternativi;
- con lo stesso mezzo di gravame l’interessata instava per la declaratoria di nullità delle note in data -OMISSIS- e -OMISSIS- del Commissario Prefettizio del Comune di -OMISSIS-, della nota del -OMISSIS-, a firma del Responsabile Servizi al Territorio del Comune di -OMISSIS- e chiedeva la condanna del Comune di -OMISSIS- e di ATS Brescia ad adottare i provvedimenti di competenza, con la nomina, in caso di inottemperanza, di un commissario ad acta che provveda in luogo degli stessi;
- infine veniva domandata la condanna del Comune e dell’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Brescia al risarcimento dei danni, nonché al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato ritardo di cui all’art. 2-bis, comma 1-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241;
considerato che:
- con sentenza non definitiva n. -OMISSIS- 2021 la 1^ Sezione di questo T.A.R. dichiarava inammissibile il ricorso nella parte concernente la domanda sul silenzio e disponeva la conversione del rito quanto alle altre domande;
- con istanza depositata il 7 ottobre 2022 la ricorrente, ex art. 18 c.p.a., propone la ricusazione dell’intero Collegio che ha pronunciato la prefata sentenza allegando a sostegno il dettato dell’art. 51, 1° co., n. 4, c.p.c. ovvero l’obbligo del giudice di astenersi “se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico”;
- nel caso di specie la ricorrente, con la propria istanza di ricusazione, assume che con la declaratoria di inammissibilità dell’azione avverso il silenzio contestualmente alla conversione del rito per le altre domande, il Collegio avrebbe “ipotecato la prosecuzione del giudizio, anticipandone l’esito: o il rigetto delle domande medesime o, addirittura, la loro inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse, così determinando addirittura, per il prosieguo, l’obbligo di astensione per i giudici che hanno pronunciato la sentenza non definitiva, ai sensi degli artt. 17 C.P.A. e 51, n. 4, C.P.C.”;
rilevato che:
- affinché possa configurarsi il venir meno dell'imparzialità del giudice, attraverso una sua manifestazione di "una precognizione negativa nei confronti del ricorrente", come sostenuto dal ricorrente, "occorre individuare un effetto condizionante della decisione da lui assunta in precedenza, capace di distorcere ovvero di influenzare il giudizio successivo" (Cassazione penale, sez. III, 21.5.2021, n. 32630);
- nella fattispecie, tuttavia, non sono ravvisabili i presupposti normativi di cui all'art. 51, n. 1 c.p.c., non avendo i magistrati ricusati conosciuto della vicenda in esame in altro grado del giudizio;
- invero, le ipotesi di ricusazione del giudice, in quanto espressione di situazioni eccezionali, sono assolutamente tassative e non consentono alcun ampliamento mediante interpretazione;
- la conversione del rito, decisione peraltro vincolata dalla natura delle domande proposte dalla stessa ricorrente, non costituisce un’articolazione per gradi dello stesso procedimento, ma solo la fisiologica prosecuzione dello stesso giudizio, tant’è che ciò non determina neppure il mutamento del numero di registro generale del fascicolo;
- del resto, in più occasioni, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che nelle ipotesi di “giudizio bifasico” quale ad esempio l’opposizione ai sensi dell'art. 1, comma 51 della L. 28 giugno 2012 n. 92, la nuova fase del processo si pone in rapporto di prosecuzione, nel medesimo grado di giudizio della res controversa (Corte Cost., 13/05/2015, n.78);
- alle stesse conclusioni si è pervenuti in tema di giudizio per revocazione davanti alla Corte dei conti non ritenendo sussistente l’obbligo di astensione obbligatoria (e quindi i presupposti per la ricusazione) in capo al giudice che faccia parte del collegio giudicante in revocatoria, il quale abbia anche fatto parte del collegio che ha emesso la sentenza impugnata per revocazione (Corte Conti, sez. reg. giurisd. Sicilia, 25/03/2014, n. 28);
- nel processo amministrativo si è ritenuto che, ai sensi degli artt. 106 e 107 c.p.a., i magistrati, ai quali si deve la paternità dell'impugnata revocanda sentenza, sono legittimati a far parte del collegio investito della cognizione del relativo ricorso per revocazione atteso che il dovere di astensione, previsto dall'art. 51 n. 4, c.p.c., sussiste solo quando nel medesimo ricorso sia lamentato il dolo del giudice o quando il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa (Cons. Stato Ad. plen., 24/01/2014, n. 4);
- anche per quanto attiene alla partecipazione dello stesso giudice alla fase cautelare del giudizio e di seguito alla fase di merito, data la diversità dei caratteri della cognizione, non sussiste alcuna incompatibilità nella partecipazione dello stesso giudice alla pronuncia in sede cautelare e alla pronuncia in sede di merito (o (Cons. Stato, Ad. pl., 25 marzo 2009, n. 2, T.A.R. Liguria, sez. I, 18/07/2017, n. 616; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, ord. 11 aprile 2017, n. 2010);
ritenuto che:
- le argomentazioni sopra rassegnate trovano più forte conferma dalla circostanza che l'autonoma fase processuale, culminata nella sentenza non definitiva n. -OMISSIS- 2021, pur essendo ovviamente connessi i presupposti di fatto della vicenda, non ha implicato la cognizione e la risoluzione delle identiche questioni;
- pertanto l’istanza di ricusazione deve essere respinta, nulla disponendo in ordine alle le spese relative all'esame della domanda di ricusazione in assenza dello svolgimento di attività difensive delle controparti;>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1239 del 5 dicembre 2022.


Il TAR Brescia osserva:
<<21. La norma di riferimento è l’art. 167 comma 4-a del Dlgs. 42/2004, in base al quale la compatibilità paesistica non può essere riconosciuta per le opere abusive che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi. Nel contesto della sanatoria paesistica il concetto di volume utile equivale a volume paesisticamente incompatibile. L’incompatibilità viene misurata in relazione al bene giuridico tutelato, che consiste negli aspetti del paesaggio ritenuti di particolare pregio.
22. Tutto questo differenzia la valutazione paesistica dalla valutazione urbanistica, perché sposta l’attenzione sull’impatto paesistico della costruzione. Ai fini della sanatoria paesistica, dunque, non sono rilevanti i nuovi volumi che risultino invisibili o non distintamente percepibili sullo sfondo tutelato, anche qualora rappresentino volumi a tutti gli effetti secondo la disciplina urbanistica. Per il principio di proporzionalità, la sanzione ripristinatoria che presidia il vincolo paesistico non può imporre ai privati un sacrificio inutile, in quanto non necessario per reintegrare il paesaggio descritto nel decreto di vincolo.
23. Più precisamente, le edificazioni inidonee a interferire con il paesaggio, come quelle interrate, o come quelle seminterrate non percepibili in uno sguardo d’insieme, rimangono assoggettate all’autorizzazione paesistica, essendo comunque necessaria una valutazione da parte dell’autorità competente, ma, ove realizzate abusivamente, non possono essere escluse dalla sanatoria per il solo fatto di costituire volumi o superfici urbanisticamente rilevanti. Una volta accertata la compatibilità paesistica, la sanatoria è quindi ammissibile, previo versamento della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 167 comma 5 del Dlgs. 42/2004.
24. Nel caso in esame, la sanatoria paesistica è comunque possibile in quanto si tratta di abusi molto risalenti, grazie all’applicazione del regime più favorevole in vigore prima delle modifiche introdotte dall'art. 27 comma 1 del Dlgs. 157/2006. La disciplina della sanatoria rimane infatti ancorata al momento storico della realizzazione delle opere abusive, che in base al rapporto di violazione edilizia si possono far risalire al periodo 1999-2000. Fino al 2006 le due opzioni disponibili (rimessione in pristino e regolarizzazione con pagamento della sanzione pecuniaria) si collocavano su un piano di parità, essendo rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione.
25. L’ancoraggio alla disciplina anteriore discende dalla considerazione che le norme sulla sanabilità degli abusi paesistici hanno natura sostanziale, in quanto attengono al patrimonio giuridico incorporato nel fondo al momento della trasformazione non assentita. Per il principio di certezza del diritto, devono quindi rimanere applicabili anche nel successivo e più severo regime sanzionatorio (v. TAR Brescia Sez. II 8 luglio 2013 n. 650).
26. Al medesimo risultato si perviene confrontando il divieto di autorizzazione paesistica postuma introdotto dal Dlgs. 157/2006 con gli Engel criteria, come suggerito dalla citata nota ministeriale del 16 dicembre 2015. Il suddetto divieto espande l’utilizzo della rimessione in pristino, che diventa lo strumento repressivo di applicazione generale, ponendo così il problema della sua assimilazione a una sanzione penale. La natura sostanzialmente penale della rimessione in pristino non è evidentemente desumibile dal primo degli Engel criteria (qualificazione formale della fattispecie), ma può emergere dal secondo (natura del bene giuridico offeso) e dal terzo (grado di severità della sanzione). La realizzazione di opere senza autorizzazione paesistica integra infatti lo specifico reato di cui all’art. 181 del Dlgs. 42/2004, per il quale è previsto (v. comma 2) che assieme alla condanna sia ordinata anche la rimessione in pristino. All’identità del bene giuridico (tutela effettiva del vincolo paesistico), accoppiata all’identità delle conseguenze (demolizione dell’abuso), deve dunque corrispondere il caposaldo penale dell’irretroattività della norma più afflittiva.
27. La disciplina transitoria contenuta nell’art. 182 comma 3-bis del Dlgs. 42/2004 riguarda le domande di sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 e non ancora definite. Non vi è quindi alcun conflitto con quanto sopra esposto circa il collegamento tra la data dell’abuso e la disciplina in vigore in quel momento. In realtà, la norma transitoria si rivolge alle autorità competenti a valutare le domande di sanatoria già presentate, introducendo un impulso d’ufficio, ma non fissa preclusioni per i proprietari che maturino successivamente l’interesse a sanare opere oggetto di contestazione>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1220 del 2 dicembre 2022.


Il TAR Milano respinge la tesi patrocinata dalla difesa delle parti ricorrenti secondo la quale il contributo di costruzione da prendere a riferimento per i permessi di costruire in sanatoria – e successivamente da raddoppiare – è quello la cui determinazione, nel silenzio della normativa di settore, si ottiene applicando tutti i benefici e le esenzioni che verrebbero tenuti in considerazione nel caso di rilascio di un permesso di costruire ordinario e non in sanatoria.
Secondo il TAR:
<<Tale prospettazione non appare condivisibile, atteso che il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico – quale diretta applicazione del fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10 aprile 2020) – e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 7 novembre 2017, n. 5133). Difatti, «il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 3 novembre 2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio» (Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2017, n. 2567).
La giurisprudenza ha affermato che, «attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore» (T.A.R. Veneto, II, 26 novembre 2019, n. 1281; T.A.R. Marche, I, 30 dicembre 2017, n. 954).
Ciò risponde pienamente al principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale «nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», cui consegue una rigidità delle previsioni legislative assolutamente non derogabile in sede interpretativa (sull’applicabilità del principio alla materia del contributo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, IV, 23 dicembre 2019, n. 8703; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 maggio 2020, n. 828).
Quindi, in ragione delle suesposte coordinate ermeneutiche non possono individuarsi esenzioni in ordine al pagamento del contributo di costruzione diverse da quelle espressamente previste dalla legge, come pure non possono prevedersi riduzioni del suo importo non chiaramente individuate dal legislatore.
2.2. Inoltre, lo stesso art. 36, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, prevede che “in caso di gratuità a norma di legge, [il contributo è individuato] in misura pari a quella prevista dall’articolo 16”, con ciò volendo significare che la base di riferimento per il calcolo della sanzione deve essere quella del contributo ordinario e nella misura integrale indicata dalla legge, ossia dal richiamato art. 16 del medesimo Decreto, mentre non possono essere considerate le esenzioni o riduzioni previste dal successivo art. 17 (tra le quali rientra anche la riduzione per l’efficientamento energetico: cfr. comma 4-bis), non oggetto di esplicito richiamo nel citato art. 36.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2644 del 28 novembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo non fa sorgere automaticamente il diritto al risarcimento del danno, se il richiedente non prova la “spettanza” del c.d. bene della vita, vale a dire dell’utilità finale cui lo stesso aspira.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 418 novembre 2022.