Il TAR Milano precisa che l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'opera abusiva e dell'area di sedime, nonché di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, si verifica automaticamente, una volta decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni; tuttavia, per stabilire l'area ulteriore da acquisire, rispetto a quella di sedime, è necessario provvedere alla sua individuazione e soprattutto si deve motivare in maniera rigorosa l'entità della superficie, entro il limite di legge, che l'amministrazione ritiene necessario apprendere avuto riguardo ad esclusive finalità urbanistico-edilizie (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 13 ottobre 2020, n. 1889; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 28 agosto 2017, n. 4124).
Difatti, per costante giurisprudenza, l'individuazione dell'ulteriore area va motivata, volta per volta, con l'esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, proprio perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l'ulteriore area acquisibile, indicando un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso; viene, dunque, delineato un procedimento di determinazione della c.d. pertinenza urbanistica da condurre di volta in volta sulla base di criteri di individuazione che tengano conto di quanto previsto dalle vigenti disposizioni urbanistiche per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (Consiglio di Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3097; VI, 5 aprile 2013, n. 1881; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 3 maggio 2018, n. 1198).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 91 del 17 gennaio 2022.
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Il TAR Milano precisa che la circostanza che il provvedimento di approvazione della realizzazione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti determini automaticamente una variazione allo strumento urbanistico comunale non può certo significare che tale variante abbia carattere definitivo e non sia piuttosto da considerare operante sino alla cessazione degli effetti dell’autorizzazione cui è collegata. Sul punto la normativa – sia quella vigente ratione temporis (art. 27, comma 5, del D. Lgs. n. 22 del 1997) che quella attuale (art. 208, comma 6, del D. Lgs. n. 152 del 2006) – non prende specifica posizione, limitandosi a stabilire che l’approvazione del progetto di un impianto di trattamento dei rifiuti costituisce variante allo strumento urbanistico comunale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Tuttavia si rinvengono nel sistema una serie di indici che inducono a qualificare come temporanea e provvisoria la variazione dello strumento urbanistico, ancorandone la durata a quella del presupposto provvedimento autorizzatorio, alla cui scadenza deve ritenersi automaticamente ripristinata la previgente destinazione urbanistica dell’area con tutte le connesse conseguenze.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 155 del 24 gennaio 2022.
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Il TAR Milano, esaminando un ricorso contro i provvedimenti con i quali il Comune resistente decreta la contrarietà al Regolamento edilizio comunale della recinzione eseguita dal ricorrente ordinandone la rimozione, ritiene infondata l’eccezione di tardività dell’impugnazione nella parte relativa al Regolamento edilizio comunale.
Osserva al riguardo:
<<8.2.1. L’eccezione è infondata non tenendo conto del nesso di connessione tra il Regolamento comunale e l’atto applicativo emesso nella vicenda all’attenzione del Collegio.
8.2.2. In termini generali, si osserva come, secondo un’autorevole dottrina, i nessi tra provvedimenti si distinguano in rapporti di presupposizione, regolazione e connessione procedimentale.
8.2.3. La prima di tali ipotesi si registra nei casi in cui più provvedimenti, da un lato, congiuntamente siano preordinati alla realizzazione di un unico rapporto amministrativo, (riguardano, cioè, un unico bene della vita), e, dall'altro lato, avendo autonoma efficacia, siano immediatamente lesivi e, di conseguenza siano impugnabili ex se. Sotto l'aspetto strutturale, gli atti sono in una relazione di successione giuridica e cronologica, o di necessario concatenamento; il provvedimento presupposto non soltanto precede e prepara quello presupponente, ma ne è il sostegno esclusivo. Gli effetti del provvedimento pregiudiziale sono i fatti costitutivi del secondo, o meglio del relativo potere; sussiste, quindi, una consequenzialità necessaria tra i due provvedimenti, tale che l'esistenza e la validità di quello presupposto sono condizioni indispensabili affinché l'altro possa legittimamente esistere e possa produrre la propria efficacia giuridica.
8.2.4. Diversa è l’ipotesi della c.d. regolazione, fenomeno ravvisabile nell’ipotesi in cui siano impugnati un atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente normativo, in quanto avente contenuto generale ed astratto, e un successivo atto amministrativo di applicazione della regola generale. Si tratta di una relazione tra atti in cui il nesso di condizionalità non assume quei caratteri stringenti, di rigida implicazione effettuale, riscontrata nella precedente ipotesi.
8.2.5. Ancora differente è il nesso di tipo procedimentale che ricorre specialmente tra atti di uno stesso procedimento, per lo più complesso, sebbene essa sia riscontrabile anche tra provvedimenti autonomi e non emanati specificatamente in funzione di altri provvedimenti. In sostanza, in tale ipotesi si registra la sussistenza di un nesso di pregiudizialità e, come per la connessione regolamentare e diversamente da ciò che si verifica per la connessione per presupposizione, l'atto pregiudiziale non è immediatamente lesivo, perciò non è direttamente impugnabile ex se, e l'interesse ad impugnare sorge soltanto in occasione dell'emanazione del successivo provvedimento; tuttavia, in tal caso, la deduzione di una illegittimità dell’atto presupposto impone la contestuale impugnazione del primo, che non può costituire oggetto di mera cognizione incidentale e, se ritenuto invalido, di disapplicazione.
8.2.6. Nel caso di specie, va considerato come:
i) il regolamento edilizio ha natura di regolamento indipendente (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.7.2017, n. 2958);
ii) il contenuto di tale regolamento è disciplinato dalla previsione di cui all’art. 4 del t.u.e. che, al comma 1, dispone: “il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell’articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”;
iii) in ordine alla natura giuridica di tale atto, la giurisprudenza amministrativa, sin da tempo risalente (Consiglio di Stato, sez. IV, 17.12.2003, n. 8280), è concorde nell’affermare che il regolamento edilizio, esprimendo l’autonomia normativa riconosciuta ai comuni dall’ordinamento, ha natura giuridica di fonte normativa secondaria, come tale subordinata al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. V, 10.7.1981, n. 363) e risulta applicabile ex officio dal giudice in base al principio “iura novit curia”;
iv) da qui l’orientamento ammissivo della disapplicazione (o meglio non applicazione, non potendosi ravvisare in senso proprio un vizio di legittimità dell’atto), dei regolamenti, anche non impugnati, in contrasto con norme di rango diverso, nel rispetto del principio gerarchico e di successione delle norme nel tempo (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. V, 20.5.2003, n. 2750; Id., Sez. V, 10.1.2003, n. 35; Id., Sez. IV, 19.9.1995, n. 1332) e dovendosi, di conseguenza, affermare la non necessità di autonoma impugnazione del regolamento comunale edilizio contrastante “in parte qua” con la norma legislativa primaria.
8.2.7. Chiarita la natura giuridica dei regolamenti edilizi comunali risulta evidente la sussistenza di un nesso di regolazione che comporta la non immediata lesività dell’atto pregiudiziale che, come tale, non è direttamente impugnabile ex se ma solo in occasione dell’emanazione del successivo provvedimento. Con l’ulteriore conseguenza che l’impugnazione (ove ritenuta necessaria in considerazione della natura e della portata del vizio dedotto) risulta tempestiva se è rispettato il termine decadenziale valevole per l’atto applicativo.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 170 del 26 gennaio 2022.
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Il TAR Milano precisa che, secondo il tenore letterale dell’articolo 95 del d.lgs. n. 50 del 2016 e l’interpretazione dello stesso fornita dalla prevalente giurisprudenza, è consentito l’utilizzo dei criteri valutativi di tipo on/off, ossia di quei criteri che, escludendo la graduazione del punteggio tra un minimo e un massimo, attribuiscono un punteggio fisso e automatico ad aspetti qualitativi ritenuti di particolare importanza, la cui assenza giustifica pertanto l’attribuzione di un punteggio pari a zero (Consiglio di Stato, V, 15 febbraio 2021, n. 1313); la previsione di criteri quantitativo-tabellari di tipo on/off non è dunque di per sé stessa illegittima ma può diventarla ove l’utilizzo massivo degli stessi sia idoneo a neutralizzare gli aspetti qualitativi dell’offerta e a dirottare la valutazione esclusivamente sugli aspetti quantitativi, sostanzialmente dissimulando l’utilizzo del criterio del prezzo più basso.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 150 del 24 gennaio 2022.
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Il TAR Milano osserva che normalmente la notificazione mediante posta elettronica certificata si perfeziona, anche per il destinatario, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella sua casella di posta elettronica, determinandosi da tale momento una presunzione di conoscenza dell'atto analoga a quella prevista, per le dichiarazioni negoziali, dall'art. 1335 cod. civ. Spetta infatti al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto tempestivamente il mittente incolpevole delle eventuali difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione o di presa visione degli allegati trasmessi via PEC, legate all'utilizzo dello strumento telematico, onde fornirgli la possibilità di rimediare all'inconveniente; sicché all'inerzia consegue appunto il perfezionamento della notifica (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 21 febbraio 2020, n. 4624; id., 21 agosto 2019, n. 21560; id. sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25819).
Ciò premesso, il TAR precisa che la stessa ricorrente non nega di aver ricevuto l’atto di cui si discute nella casella di posta elettronica, ma rileva di non aver potuto prendere tempestiva visione del suddetto atto in quanto contenuto in un allegato non leggibile.
Rileva però il Collegio che tale circostanza è del tutto ininfluente posto che l’interessata, per le ragioni sopra illustrate, avrebbe dovuto sin da subito far presente alla Amministrazione procedente di aver ricevuto una PEC con allegato illeggibile, onde permettere a quest’ultima di rimediare all’inconveniente. La ricorrente è rimasta invece del tutto inerte, provvedendo addirittura, come essa stessa riferisce, a spostare il messaggio nel cestino del p.c.
Per il TAR deve pertanto ritenersi, in tale quadro, che la comunicazione si sia perfezionata nel giorno di consegna del messaggio PEC nella casella di posta elettronica della ricorrente e tale data costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione dell'atto contenuto nell'allegato alla p.e.c.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 136 del 24 gennaio 2022.
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Il TAR Brescia osserva che la legittimazione a impugnare atti amministrativi riconosciuta in capo alle associazioni ambientaliste di livello nazionale, derivante dal combinato disposto degli artt. 18, comma 5 e 13, della legge 8 luglio 1986, n. 349, non deve intendersi limitata ad atti strettamente attinenti alla materia ambientale, ma deve ritenersi estesa a tutti gli atti di rilevanza urbanistica di tipo pianificatorio e autorizzatorio, ogni volta che essi involgano profili di lesione dell’ambiente (cfr. Cons. Stato, n. 839/2015 e TAR Lombardia n. 2491/2020).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 7 del 4 gennaio 2022.
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Il TAR Brescia, a fronte di un motivo di ricorso con il quale si asserisce che l'art. 167 del d.lgs n. 42 del 2004 non potrebbe essere interpretato in senso letterale, ma dovrebbe essere coordinato con la ratio della normativa sulla tutela del paesaggio che sarebbe sempre riferita alla sola parte visibile del territorio (nel caso di specie aumento di altezza di 60 cm, pari al 6% dell’altezza dell’edificio), osserva:
<<8.1) Il motivo è infondato.
8.2) Secondo quanto statuito dalla dominante giurisprudenza sopra menzionata - e condivisa dal Collegio - l’art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 comporta l’improcedibilità dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in presenza di incrementi di volume, anche di modesta entità, perché la valutazione sulla sussistenza o meno del pregiudizio per il paesaggio è effettuata in astratto direttamente dalla norma, sicché la Soprintendenza si è correttamente attenuta a tale principio dichiarando improcedibile la domanda del ricorrente ...
8.3) Tali considerazioni hanno carattere decisivo.
8.4) Per completezza si osserva comunque come, in una prospettiva di esegesi costituzionalmente compatibile o comunitariamente orientata della norma in questione, si potrebbe – in ipotesi - ritenere di escludere dallo spettro applicativo dell’art. 167 taluni incrementi volumetrici, ma solo allorquando i medesimi: i) siano così esigui da risultare ictu oculi paesaggisticamente irrilevanti; ii) siano imposti (anche indirettamente) da norme nazionali o europee finalizzate al perseguimento della transizione ecologia mediante miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici o riduzione dell'impatto dell’attività edificatoria sul paesaggio.
8.4) Nel caso di specie, peraltro, non sussiste alcuna delle menzionate condizioni in quanto l’incremento di altezza del 6% non può certamente essere ritenuto irrilevante o non percepibile e il ricorrente non ha fornito alcuna prova in merito alla sussistenza di interventi rientranti nelle misure di transizione ecologica che abbiano reso necessario l’incremento volumetrico contestato>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 12 del 5 gennaio 2022.
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Con l’atto introduttivo del giudizio parte ricorrente, assumendo l’illegittimità dei provvedimenti del Comune di diniego delle autorizzazioni commerciali, ha dedotto di aver patito un danno consistente nella mancata corresponsione del canone di locazione da parte della società promissaria conduttrice, a sua volta causato dall’impossibilità di aprire il punto vendita; secondo la ricorrente poi il mancato rilascio delle autorizzazioni è motivo di risoluzione del contratto preliminare di locazione.
Il TAR osserva in via generale che:
<<le disposizioni di un contratto di diritto comune e le condizioni e i termini apposti dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale, anche se ancorati a vicende ed eventi pubblicistici, sono idonei a vincolare soltanto le parti contraenti senza che ne derivi alcuna implicazione per l'Amministrazione.
L'inosservanza di un termine o il verificarsi di una condizione risolutiva, pur dipendente da provvedimenti amministrativi, non può essere opposta all’Amministrazione di riferimento, che resta estranea al contesto negoziale. È palese infatti che l'attività pubblicistica autoritativa giammai potrebbe essere condizionata e/o subordinata ad accordi privatistici, a cui peraltro l’Autorità pubblica è rimasta totalmente estranea, come avvenuto nel caso di specie.
L'apposizione di una condizione risolutiva dipendente dall’esercizio dell’attività autoritativa da parte di una pubblica Amministrazione è una scelta delle parti contraenti, che si assumono i rischi del verificarsi o meno della stessa.
Nella costruzione del regolamento negoziale, le parti hanno convenuto una modalità per liberarsi dalle obbligazioni nascenti dal contratto preliminare, ovvero apponendo una condizione risolutiva che consentiva, appunto, alle parti di sciogliersi dal vincolo contrattuale, stabilendo altresì espressamente di non avere “più nulla a pretendere l’una dall’altra per qualsivoglia motivo o costo sostenuto per quanto fatto sino al momento della risoluzione”>>.
Ricostruito il rapporto privatistico tra le parti contraenti, il TAR è dell’avviso che non sussistano – nella vicenda di cui è causa – gli elementi costitutivi di alcuna fattispecie illecita imputabile al Comune, per difetto dell’antigiuridicità del fatto e del nesso di causalità in termini di danno evento, ovvero di causalità fattuale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 13 del 4 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che la procedura di acquisizione di cui all’art. 42-bis del DPR 327/2001 è ammissibile non solo quando all’origine dell’occupazione e della trasformazione degli immobili vi sia una dichiarazione di pubblica utilità finalizzata all’espropriazione, ma in ogni situazione in cui l’amministrazione abbia individuato un preciso interesse pubblico, dal quale sia derivata la necessità dell’occupazione e della trasformazione (v. CS Ap 18 febbraio 2020 n. 5); non è quindi rilevante stabilire se la procedura espropriativa sia stata promossa, e a che punto sia arrivata, perché ai fini dell’applicazione dell’art. 42-bis del DPR 327/2001 è sufficiente accertare la presenza di una preventiva valutazione di interesse pubblico.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 22 del 12 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con avviso di rettifica, pubblicato sul BURL 18 gennaio 2022 n. 3, con oggetto "D.c.r. 2 dicembre 2021, n. 2137 «Revisione generale del Piano Territoriale Regionale, comprensivo del progetto di valorizzazione del paesaggio» pubblicata sul BURL n. 52 serie ordinaria del 29 dicembre 2021", si precisa:
Al punto 1 del dispositivo, della d.c.r. riportata in oggetto, le parole: «di approvare» sono sostituite con le seguenti: «di adottare».

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Il TAR Milano esamina un ricorso di un titolare di uno studio professionale, nel quale esercita l’attività di -OMISSIS-, contro gli inviti della ATS di -OMISSIS- a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria nonché il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione delle libertà di autodeterminazione e di esercizio dell’attività professionale.

Premesso che lo scrutinio delle censure proposte è riferito alla disciplina legislativa contenuta nel decreto legge n. 44 del 2021, nel testo vigente alla data di adozione degli atti impugnati, nella sentenza si mette in risalto, tra l'altro, quanto segue.
<<5.1. Il Collegio ritiene insussistenti i presupposti dell’obbligo di disapplicazione della norma interna confliggente con il diritto euro-unitario, in particolare con l’articolo 3, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che, nell’ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati <<il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge>>, e con l’articolo 52, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che le eventuali limitazioni all’integrità fisica e psichica degli individui devono corrispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, sempre che venga rispettato il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà tutelati dalla Carta.
5.3. Ai fini della sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, il Collegio non ravvisa la violazione della norma interposta.
La Corte costituzionale ha, d’altro canto, già affermato che la necessità di ricorrere ad una vaccinazione obbligatoria non richiede, quale presupposto indefettibile, l’accertamento di tutte le complicanze prevedibili (Corte costituzionale, 23 giugno 1994, n. 258).
...
6.2. La circostanza che, in assenza di una fase di sperimentazione tradizionale, non è possibile ad oggi individuare, con un elevato grado di verosimiglianza, quali saranno gli effetti avversi del vaccino a medio e lungo termine non è rilevante neppure ai fini della asserita violazione della libertà di autodeterminazione del destinatario dell’obbligo vaccinale.
La Corte costituzionale ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, se questo apporta benefici non solo alla salute dell’obbligato ma anche alla salute collettiva e se le eventuali conseguenze negative per la salute dell’obbligato si assestino nei limiti della normale tollerabilità dei rischi avversi, i quali normalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari (Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268).
Anche il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, in applicazione del principio di solidarietà, a tutela degli individui più fragili (Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere del 26 settembre 2017, n. 2065; Sezione III, sentenza n. 7045, cit.).
6.3. L’articolo 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, qualifica il consenso libero ed informato della persona interessata quale presupposto necessario di ciascun trattamento sanitario <<tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge>>.
Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra citata, l’indifferibile esigenza di affrontare l’emergenza sanitaria in atto e di predisporre idonei ed efficaci strumenti di contenimento dei contagi da Sars-Cov-2 nonché la necessità di consentire a tutti gli individui l’accesso alle cure sanitarie in condizioni di sicurezza e, in applicazione del principio solidaristico, di tutelare la salute individuale dei soggetti fragili, per età o per pregresse patologie, giustifichino il temporaneo e tollerabile sacrificio della piena autonomia decisionale degli esercenti le professioni sanitarie, in ordine alla somministrazione del vaccino.
6.4. All’affidamento che i pazienti ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di sicurezza, che garantiscano, oltre alla sicurezza intrinseca della somministrazione della cura, anche la sicurezza dei luoghi nei quali la stessa viene somministrata, consegue necessariamente l’adozione di tutte le precauzioni possibili per evitare che essi incorrano in concreti rischi di contagio.
Esigere che la somministrazione del vaccino al personale sanitario sia condizionata alla manifestazione di un consenso libero ed informato non consentirebbe pertanto di perseguire efficacemente ed in tempi ristretti l’obiettivo di ridurre la diffusività del contagio e di decongestionare il sistema sanitario nazionale.
La previsione di un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, esteso a tutti gli operatori del settore sanitario e non solo a quelli preposti alle prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche, si rivela pertanto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono, a prescindere dalle modalità di accesso alle prestazioni sanitarie, nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza, proprio negli ambienti sanitari che, secondo l’id quod plerumque accidit, comportano un maggior rischio di trasmissione virale.
Il personale sanitario, in ragione del contatto diretto con i pazienti, è inoltre investito di una posizione di garanzia per il bene dell’incolumità fisica degli stessi, la quale è idonea a giustificare, come già affermato al paragrafo 5.3., l’imposizione di un obbligo vaccinale settoriale.>>
Esaminando altri motivi del ricorso il il TAR nella sentenza osserva, tra l'altro, quanto segue:
<<9.5. Il Collegio ritiene pertanto che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole - sia pure temporaneamente - l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.
La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>>.
9.7. Il Collegio non ignora che un interesse di notevole rilievo, coinvolto nel procedimento disciplinato dall’articolo 4, sia anche quello dei pazienti di essere informati dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei professionisti ai quali si rivolgono, specialmente ove la domanda di prestazioni sanitarie avvenga per scelta diretta del professionista e non tramite il filtro dell’accesso ad una struttura sanitaria - pubblica o privata - che si faccia garante delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il diritto dei pazienti ad essere informati è infatti un corollario del diritto alla sicurezza delle cure, che l’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, individua come parte costitutiva del diritto alla salute.
Orbene, se è vero che la sospensione dall’albo professionale è idonea a realizzare la funzione notiziale della inidoneità temporanea del sanitario a svolgere le prestazioni professionali, tale funzione ben può essere garantita mediante specifiche e adeguate forme di pubblicità, la cui individuazione rientra nella competenza degli Ordini professionali.
9.8. Il nono motivo del ricorso introduttivo nonché il nono ed il decimo dei motivi aggiunti devono dunque essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS di -OMISSIS-, nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 109 del 17 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La fattispecie esaminata dal TAR Milano concerne una variante al PGT che prevede di ricomprendere l’area di parte ricorrente tra gli ambiti di rigenerazione urbana e classificata come suolo urbanizzabile; la ricorrente non presenta osservazioni; l’Amministrazione, in sede di approvazione, decide di stralciare l’area della ricorrente dagli ambiti di rinnovamento urbano e rigenerazione ambientale inserendola tra le Aree per il verde di nuova previsione e ciò in conseguenza dell’esame di una osservazione presentata da un confinante.

Il TAR osserva:
<< come la fattispecie alla propria attenzione presenta dei tratti di peculiarità che rendono fondate le censure di parte ricorrente nella parte in cui lamenta la violazione dei principi sottesi alla pianificazione. Deve, infatti, considerarsi come la scelta operata nel Piano adottato non sia, come spiegato, una mera ipotesi ma, al contrario, sia sorretta da analitiche valutazioni istruttorie (tra cui la v.a.s. che, secondo l’art. 4, co. 2, della L.r. n. 12/2005, è, comunque, effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura di approvazione) che servono ad una compiuta disamina della situazione fattuale nella direzione che l’Amministrazione intende imprimere all’uso del proprio territorio. Nel caso di specie la scelta di inserire gran parte dell’area dalla ricorrente negli a.r.u. non può, quindi, che ritenersi la conseguenza di una valutazione istruttoria mediante la quale si verifica la portata delle scelte che il Comune intende compiere. Rispetto alla scelta adottata l’Amministrazione opera un evidente riesame in fase di approvazione pur senza che vi sia una specifica osservazione da parte dell’interessata né un rilievo da parte di un Ente sovraordinato. Lo fa esaminando l’osservazione di un soggetto terzo che non si sostanzia, però, nella richiesta di modifica della decisione concernente l’area di OMISSIS che costituisce solo il termine di paragone per ottenere una miglior disciplina (omologa a quella di OMISSIS) rispetto a quella impressa dal Piano adottato alla propria di area. L’Amministrazione comunale disattende tale richiesta lasciando la destinazione dell’area del terzo immutata ed allineando a questa l’area di OMISSIS. In sostanza, il Comune non muta la disciplina relativa all’area di chi presenta le osservazioni ma di un soggetto terzo.
6.7. Ora, pur volendo ipotizzare la correttezza del ragionamento comunale nella parte in cui predica la non necessità di una stretta coincidenza (anche in termini soggettivi) tra osservazioni dei privati e modifiche conseguenti alle stesse deve, comunque, ritenersi che simile ricostruzione abbia senso solo qualora la modificazione indotta dal riesame stimolato dall’osservazione abbia comunque un forte supporto istruttorio e motivazionale. In sostanza, simili modificazioni potrebbero in astratto predicarsi a condizione che la scelta approvata abbia un sostegno nell’istruttoria condotta nella fase preparatoria del Piano e tale aspetto sia, altresì, chiaramente esplicitato dal Comune. Diversamente opinando, non tanto le scansioni procedimentali ma proprio le esigenze che le stesse realizzano e che sono sopra descritte verrebbero deprivate del rilievo che la legislazione regionale vi conferisce.
6.8. Nel caso di specie, la modifica viene giustificata invocando le certamente legittime esigenze di limitazione del consumo del suolo ma simile affermazione non si confronta in modo puntuale con la diversa scelta operata dal Piano adottato non spiegando, quindi, le ragioni per le quali il perseguimento di tale obiettivo debba passare attraverso una sostanziale rivisitazione di una concreta scelta già effettuata e, comunque, conforme alla storia urbanistica dell’area>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 50 del 11 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, richiama e fa applicazione nella fattispecie del principio statuito dall’Adunanza Plenaria n. 20/2021, secondo il quale: «la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sia insorto un ragionevole convincimento sulla legittimità dell’atto, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 62 del 12 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che la somma dovuta a titolo di lucro cessante per la mancata aggiudicazione di un appalto deve essere individuata, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 gennaio 2021, n. 788; 25 febbraio 2019, n. 1257), in base all’utile indicato nella propria offerta economica.
Il Collegio ritiene di non dover accogliere la richiesta formulata dalla stazione appaltante per cui, nell’eventualità in cui fosse riconosciuto il danno da mancata aggiudicazione, questo dovrebbe subire l’abbattimento derivante dal c.d. aliunde perceptum, ovvero dalla presunzione relativa che, in ragione delle commesse svolte nel frattempo dall’operatore economico danneggiato, questi non avrebbe potuto far fronte anche all’esecuzione dell’appalto oggetto del giudizio.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il fatto impeditivo dell’integrale risarcimento da mancata aggiudicazione non può essere oggetto di una presunzione ma, in applicazione dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 del codice civile, deve essere provato dalla parte che lo ha eccepito (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 gennaio 2021, n. 788), mentre, nella fattispecie, la stazione appaltante si è limitata a invocare l’applicazione della presunzione relativa e non ha pertanto fornito neppure un principio di prova avente ad oggetto lo svolgimento di altre commesse da parte della società ricorrente nel periodo di esecuzione dell’appalto da parte dell’illegittima aggiudicataria.
Per il TAR non può, invece, trovare riconoscimento, nella fattispecie, la voce del danno curriculare, ovvero del pregiudizio subito dall’operatore economico in dipendenza del mancato arricchimento del proprio curriculum e dell’immagine professionale con l’indicazione dell’avvenuta esecuzione dell’appalto, perduta a causa del comportamento tenuto dalla stazione appaltante.
Al riguardo, il TAR, pur dando atto dell’orientamento giurisprudenziale per cui il danno curriculare, ove l’aggiudicazione dell’appalto sia mancata per fatto imputabile alla stazione appaltante, debba ritenersi una conseguenza naturale, secondo l’id quod plerumque accidit, della mancata esecuzione dell’appalto e possa essere stimato, attesa la difficoltà della prova negativa ad esso sottesa, secondo un criterio equitativo (Consiglio di Stato, sez. V, 25 febbraio 2019, n. 1257), ritiene tuttavia di aderire al diverso orientamento giurisprudenziale per cui il ricorrente deve fornire la prova puntuale in ordine all’an ed al quantum del richiesto danno curriculare (Consiglio di Stato, Sezione V, 30 ottobre 2017, n. 4968; 11 maggio 2017, n. 2184), il quale, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, non può ritenersi in re ipsa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 14 del 4 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che, come evidenziato dal Consiglio di Stato, interventi come quello all’attenzione del Collegio (realizzazione di una platea in cemento armato e la posa di un palo porta antenne alto 30 metri, oltre ad un pennone di 4 metri, impianti e manufatti accessori per impianti e contatori) costituiscono nuove costruzioni, come tale soggette alle regole in tema di distanze fissate dai Regolamenti comunali; osserva, infatti, il Giudice d’appello che “le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, soggette ad una disciplina unitaria del procedimento autorizzatorio, restano, in ogni caso, nuove costruzioni che introducono trasformazione edilizia e urbanistica del territorio e pertanto rimangono soggette al rispetto dei regolamenti edilizi in materia di distanza delle costruzioni, dal confine e da altri fabbricati” (Consiglio di Stato, Sez. III, 19.5.2014, n. 2521); inoltre, il Consiglio di Stato evidenzia la “specifica rilevanza del limite di distanza dalla strada limitrofa che, come è noto, opera come fascia di rispetto a salvaguardia dei superiori interessi della sicurezza della circolazione dei veicoli”.
Aggiunge il TAR che la statuizione resa dal Giudice d’appello è condivisa dal Collegio atteso che le esigenze di sicurezza a base del mantenimento di una fascia di rispetto non vengono meno in ragione dell’assimilazione ad opere di urbanizzazione primaria; del resto anche altre opere di urbanizzazione primaria sono, comunque, soggette al rispetto di tale fascia non venendo meno per tale ragione la finalità di sicurezza della circolazione dei veicoli.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 43 del 10 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si allega la circolare del 10 gennaio 2022 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa con oggetto “Uso dei DPI del tipo FFP2 in occasione delle celebrazioni delle udienze pubbliche e delle camere di consiglio”.


Il TAR Milano ha rimesso alla Corte di Giustizia UE i seguenti quesiti interpretativi:
"se l’articolo 1 paragrafo 3 della direttiva 89/665 osta a che a un concorrente definitivamente escluso da una procedura di scelta del contraente, sia negata la possibilità di ricorrere avverso il diniego di annullamento dell’aggiudicazione, quando intenda dimostrare che l’aggiudicatario, e tutti gli altri concorrenti utilmente graduati, avevano commesso un grave illecito professionale, consistente nell’aver stipulato accordi anticompetitivi, accertati in sede giurisdizionale solo successivamente alla sua esclusione, e ciò al fine di conseguire la possibilità di partecipare alla riedizione della procedura”;
“se l’articolo 1 paragrafo 3 della direttiva 89/665 e i principi eurounitari in tema di tutela della concorrenza ostino a che sia precluso al giudice amministrativo lo scrutinio del ricorso presentato da un concorrente definitivamente escluso da una procedura di scelta del contraente, avverso il diniego di autotutela della stazione appaltante, rispetto agli atti di ammissione e di aggiudicazione in favore di concorrenti che abbiano stipulato accordi anticompetitivi, accertati in sede giurisdizionale, nello stesso settore oggetto della procedura”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 25 del 7 gennaio 2022.
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Il TAR Brescia osserva che
<<Come anche di recente chiarito dal Consiglio di Stato, nella sentenza 7530 del 2019, la fattispecie lottizzatoria può manifestarsi innanzitutto nella veste “materiale”, attraverso l’avvio non autorizzato di opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest’ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori: siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e, soprattutto, di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione; devono, cioè, valutarsi alla luce della ratio del citato art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, il cui bene giuridico tutelato risiede nella necessità di salvaguardare detta potestà programmatoria, nonché la connessa funzione di controllo, posta a garanzia dell'ordinata pianificazione urbanistica, del corretto uso del territorio e della sostenibilità dell’espansione abitativa in rapporto agli standard apprestabili (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3416).
L’illecito assume invece le sembianze della. lottizzazione “cartolare”, quando tale trasformazione viene predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (c.f.r. Consiglio di Stato Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215): ai fini dell’accertamento della sussistenza di una lottizzazione abusiva cartolare non è peraltro sufficiente il mero riscontro del frazionamento del terreno collegato a plurime vendite, ma è richiesta anche l’acquisizione di un sufficiente quadro indiziario dal quale sia oggettivamente possibile desumere, in maniera non equivoca, la destinazione a scopo di edificazione perseguito mediante gli atti posti in essere dalle parti. (c.f.r. Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5108).
La mera traslazione del posizionamento di un edificio espressamente previsto dalla pianificazione generale e di dettaglio in zona completamente urbanizzata non può, quindi, in alcun modo integrare un’ipotesi di lottizzazione abusiva, ma, al più, di variazione essenziale ai sensi dell’art. 32 del DPR 380/2001 che, alla lettera c), richiama proprio la “localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza” ovvero, considerato che la norma regionale non contiene analogo richiamo nella definizione di quelle che debbono essere considerate variazioni essenziali, una “difformità parziale”>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1146 del 30 dicembre 2021.
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Si segnala il corso di perfezionamento e specializzazione in Diritto Amministrativo organizzato dall’Università Statale di Milano il cui bando è qui allegato unitamente al decreto del Rettore di proroga dei termini di iscrizione.
Il termine ultimo per l’iscrizione scadrà alle ore 14:00 del 31 gennaio 2022.
Come indicato nel Bando, tutte le indicazioni sono disponibili alla pagina: https://www.unimi.it/it/studiare/servizi-gli-studenti/segreterie-informastudenti.
In ogni caso, per qualsiasi informazione sull’iscrizione gli interessati potranno contattare lo Sportello Dottorati e Master delle Segreterie Studenti tramite il Servizio InformaStudenti.



Il TAR Milano, dopo aver ricordato che ai sensi dell’Allegato B alla L.R. Lombardia 2/2/2010, n. 5  sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA, di cui all'articolo 6, gli «Impianti per il trattamento biologico o anche chimico fisico (quali ad esempio digestori per la produzione del biogas, denitrificatori, impianti di strippaggio, etc.) di reflui di allevamenti, biomasse e/o altre materie organiche, con una potenzialità di trattamento superiore a 150 tonnellate/giorno di materie complessivamente in ingresso al sistema», reputa che, ai fini della verifica del rispetto della soglia delle 150 t/g, la norma deve essere interpretata nel senso che, laddove essa richiama le «materie complessivamente in ingresso al sistema», intende fare riferimento alle materie in ingresso nell’impianto di trattamento e non, invece, genericamente, alle materie in entrata nell’azienda dov’è ubicato l’impianto.
Queste ultime, a ben vedere, non possono rilevare ai fini della verifica della potenzialità dell’impianto poiché, da un lato, non è certo il momento in cui le stesse saranno effettivamente «trattate», non essendo prescritto di immettere nell’impianto tutte le biomasse il giorno stesso del loro arrivo in azienda; e, dall’altro, il relativo rifornimento dipende da circostanze che non sono del tutto dipendenti dalla volontà del gestore dell’impianto (ma legate, ad esempio, al ciclo stagionale della coltura di provenienza).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2792 del 13 dicembre 2021.
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Il TAR Milano osserva che, come chiarito dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio (cfr. T.A.R. Milano, Sez. I, n. 658/2018; TAR Toscana, Sez. I, n. 689/2017): i) nessuna norma di carattere generale impone, per le gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, l’obbligo della stazione appaltante di attribuire alla migliore offerta tecnica in gara il punteggio massimo previsto dalla lex specialis, mediante il criterio della c.d. doppia riparametrazione, atteso che nelle gare da aggiudicarsi con detto criterio la riparametrazione ha la funzione di ristabilire l’equilibrio fra i diversi elementi qualitativi e quantitativi previsti per la valutazione dell’offerta solo se e secondo quanto voluto e disposto dalla stazione appaltante con il bando, con la conseguenza che l’operazione di riparametrazione deve essere espressamente prevista dalla legge di gara per poter essere applicata e non può tradursi in una modalità di apprezzamento delle offerte facoltativamente introdotta dalla commissione giudicatrice; ii) la discrezionalità che pacificamente compete alla stazione appaltante nella scelta, alla luce delle esigenze del caso concreto, dei criteri da valorizzare ai fini della comparazione delle offerte, come pure nella determinazione della misura della loro valorizzazione, non può non rivestire un ruolo decisivo anche sul punto della c.d. riparametrazione che, avendo la funzione di preservare l’equilibro fra i diversi elementi stabiliti nel caso concreto per la valutazione dell’offerta (e perciò di assicurare la completa attuazione della volontà espressa al riguardo dalla stazione appaltante), non può che dipendere dalla stessa volontà e rientrare quindi già per sua natura nel dominio del potere di disposizione ex ante della stessa Amministrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2939 del 29 dicembre 2021.
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Il TAR Milano ritiene inammissibile l’impugnazione del provvedimento comunale reso a conclusione del procedimento di “istruttoria preliminare facoltativa”, disciplinato dall’art. 40 del vigente Regolamento Edilizio del Comune di Milano, e che ha ritenuto non ammissibile la richiesta di intervento edilizio proposto dalla parte ricorrente.
Precisa il TAR che dal procedimento disciplinato dalla normativa richiamata non scaturisce l’adozione del provvedimento definitivo e conclusivo in ordine al rilascio o meno del richiesto titolo edilizio, ma è soltanto finalizzato a porre in essere un’attività prodromica all’assunzione del provvedimento finale, il quale dovrà recepire anche gli esiti del predetto procedimento istruttorio preliminare, unitamente agli altri aspetti non esaminati in sede di istruttoria preliminare.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2897 del 23 dicembre 2021.
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