Sul BURL, supplemento n. 22 del 30 maggio 2020, è pubblicata la nuova Ordinanza del Presidente della Giunta regionale della Lombardia 29 maggio 2020 n. 555 “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19.


Il TAR Milano precisa che la formulazione di una istanza di fissazione d'udienza, necessaria per evitare l'estinzione per perenzione del ricorso, non può essere desunta aliunde e, in particolare, dalla mera circostanza della presentazione dell'istanza di sospensione dell'atto impugnato, posto che quest'ultima serve ad introdurre un procedimento incidentale, inserito in quello principale, ma autonomo e distinto, onde la richiesta di tutela cautelare non è idonea ad interrompere il termine di perenzione del giudizio principale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 949 del 28 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, e che, per altro verso, l'art. 167, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura e pur quando ai fini urbanistici ed edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico (fattispecie in tema di chiusura di parte di un terrazzo coperto con pareti vetrate).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 915 del 22 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 133 del 27 maggio 2020 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 maggio 2020 recante “Regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti”.



Il TAR Milano, preso atto dell’indirizzo interpretativo secondo il quale, in caso di impugnazione di una lex specialis illegittima e ostativa alla partecipazione alla procedura concorsuale, l’annullamento della legge di gara avrebbe un effetto caducante e non semplicemente viziante degli atti successivi fra cui l’aggiudicazione, che verrebbe pertanto automaticamente privata dei propri effetti in caso di annullamento giurisdizionale del bando o di altro analogo atto di indizione della procedura, reputa di aderire ad altra opzione esegetica, per la quale i profili di illegittimità del bando si riverberano certo sugli atti successivi - fra cui l’eventuale esclusione o quello finale di aggiudicazione - ma non con effetto caducante bensì viziante, dal che consegue l’onere di impugnazione degli atti stessi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 835 del 18 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il silenzio serbato dall’Amministrazione comunale sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto; con la conseguenza che, all’atto della sua formazione per inutile decorso del relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere, dovendosi già ritenere costituito il provvedimento negativo tacito da impugnare; pertanto, a fronte di un’istanza di accertamento postumo di conformità, l’inerzia dell’amministrazione costituisce un’ipotesi tipica di silenzio significativo, i cui effetti si identificano con un provvedimento (tacito) di rigetto dell’istanza; in quanto tacito, tale provvedimento impone all’interessato l’onere di tempestiva impugnazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 824 del 15 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano precisa che il legislatore, con l’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020, «ha inteso riservare alle parti l’iniziativa del rinvio della trattazione della causa per l’impossibilità di svolgere le loro difese nell’arco temporale considerato dalla normativa emergenziale (“Il giudice, su istanza proposta entro lo stesso termine dalla parte che non si sia avvalsa della facoltà di presentare le note, dispone la rimessione in termini in relazione a quelli che, per effetto del secondo periodo del comma 1, non sia stato possibile osservare e adotta ogni conseguente provvedimento per l’ulteriore e più sollecito svolgimento del processo”), sull’evidente presupposto che la disciplina della “sospensione dei termini” in tal modo introdotta risponde soltanto all’esigenza di tutela di quanti sono stati gravemente ostacolati nel loro agire dall’epidemia sanitaria in atto. Pertanto, se tutte le parti costituite sono state in grado di presentare memorie e di replicare a quelle avversarie – anche con le “brevi note” depositabili fino a due giorni liberi prima dell’udienza –, o hanno liberamente scelto di non produrre ulteriori memorie o documenti, senza chiedere la rimessione in termini, ne deriva che la rinuncia a fruire del beneficio della “sospensione dei termini” risulta insita nella loro condotta e, di conseguenza, non sussistono ostacoli giuridici alla regolare celebrazione dell’udienza “sulla base degli atti depositati”».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 928 del 25 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Precisa il TAR Milano che: «in ambito urbanistico ed edilizio, incombe sulla parte che adduce un rilievo a sé favorevole l’onere di fornire adeguata dimostrazione del proprio assunto, con la conseguenza che laddove ciò non avvenga il fatto non si può ritenere provato (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 giugno 2019, n. 1320). In particolare, con riguardo all’effettiva epoca di realizzazione del manufatto (secondo le parti ricorrenti in data antecedente all’anno 1967), non assumono rilievo decisivo la tecnica costruttiva e il materiale utilizzato per realizzare l’intervento edilizio, trattandosi di elementi secondari e accidentali, peraltro non incontestabili (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 settembre 2018, n. 2098); del resto, secondo una consolidata giurisprudenza, “ricade sul privato l’onere della prova rigorosa in ordine alla ultimazione (…) delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’amministrazione (…) di irrogare la sanzione demolitoria” (Consiglio di Stato, IV, 3 febbraio 2017, n. 463; altresì, II, 18 marzo 2020, n. 1929; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 febbraio 2018, n. 574)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 797 del 12 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Si segnala l’evento formativo “GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E NORMAZIONE EMERGENZIALE (GENESI, PROFILI APPLICATIVI, CRITICITÀ)” che si terrà il 26 maggio 2020 dalle ore 15:00 alle ore 18:00 (su piattaforma Zoom) organizzato dalla Camera Amministrativa Distretto Lombardia Orientale - CADLO.

La partecipazione è gratuita previa iscrizione (barbara.gamba@virtius.it) che dovrà avvenire entro le ore 19:00 del giorno 25 maggio 2020. Agli iscritti saranno poi inviate le istruzioni per l’attivazione del collegamento su Zoom.

È stato chiesto l’accreditamento all’Ordine degli Avvocati di Brescia.



Il Consiglio di Stato precisa che il termine per il deposito di brevi note stabilito dall’art. 84, comma 5, del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 non subisce il dimezzamento disposto dall’art. 87, comma 3, del c.p.a. per i giudizi da trattare in camera di consiglio.
Ribadisce inoltre che il deposito con il processo amministrativo telematico è possibile fino alle ore 24:00, ma, se effettuato l’ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dalla legge (art. 73, comma 1, c.p.a. o art. 84 comma 5, del D.L. n. 18 del 2020), ove avvenga oltre le ore 12:00 (id est, l’orario previsto per i depositi prima dell’entrata in vigore del PAT), si considera – ai soli fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche – effettuato il giorno successivo, ed è dunque tardivo.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3149 del 18 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano affrontando il problema della differenza tra mutatio libelli ed emendatio libelli, afferma che le precisazioni e modificazioni della domanda consentite si sostanziano in rettifiche della portata della domanda senza variazione dei fatti principali da intendersi come quelli immediatamente rilevanti per la fattispecie quali fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio.
Aggiunge poi «17.2. Inoltre, non può omettersi di considerare come la classica dicotomia emendatio/mutatio libelli sia superata dal nuovo orientamento inaugurato dalle Sezioni unite nel solco di una riflessione generale che si ancora ai principi del giusto processo ed opera un’esegesi della normativa processuale volta a “salvaguardare la coerenza circolare del sistema” e a “riportare a sintesi univoca e manifesta il tormentato processo di adeguamento della ermeneutica giuridica al contesto legislativo e culturale in trasformazione” (Cassazione civile, Sezioni unite, 15 giugno 2015, n. 12310). La necessità di una lettura evolutiva del sistema (che consenta anche modifiche degli elementi oggettivi della domanda se relativi alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo) si giustifica in ragione di un valore di fondo del sistema stessa, comune tanto al giudizio civile che a quello amministrativo. L’ubi consistam del giudizio risiede, infatti, nella sua funzione di attribuire il bene della vita richiesto con la domanda giudiziale. Di conseguenza, la stessa previsione costituzionale di un processo giusto impone al Giudice “di non limitarsi alla meccanica e formalistica applicazione di regole processuali astratte, ma di verificare sempre (e quindi ogni volta) se l'interpretazione adottata sia necessaria ad assicurare nel caso concreto le garanzie fondamentali in funzione delle quali le norme oggetto di interpretazione sono state poste, evitando che, in mancanza di tale necessità, il rispetto di una ermeneutica tralascia sottratta alla necessaria verifica in rapporto al caso concreto si traduca in un inutile complessivo allungamento dei tempi di giustizia ed in uno spreco di risorse, con correlativa riduzione di effettività della tutela giurisdizionale” (Cassazione civile, Sezioni unite, 15 giugno 2015, n. 12310)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 840 del 18 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, con riferimento agli interventi abusivi su suolo pubblico, dopo aver ricordato che l’art. 35, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che “qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo”, precisa che l’omissione della diffida, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, rende illegittimo l’atto di demolizione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 783 del 11 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Supplemento n. 128 del 19 maggio 2020, è pubblicato il decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.




Il TAR Milano ricorda, in ordine alle modalità di presentazione delle offerte, che “è regola generale che grava sul concorrente l’obbligo di presentare un’offerta certa, seria, completa e immodificabile, che lo stesso deve attenersi all’obbligo di diligenza ex art. 1176 cod.civ. e che opera nei suoi confronti il principio di autoresponsabilità, non potendo l’offerente liberamente modificare ex post, per asseriti errori, quanto ha dichiarato in sede di gara, posto che, al momento della sua presentazione, l’offerta si cristallizza e, quindi, non può essere variata; in ragione di ciò – si è detto – la rettifica di eventuali errori è ammissibile a condizione che si tratti di correzione di “errore materiale”, necessariamente riconoscibile, e che non si sostanzi in operazioni manipolative e di adattamento dell’offerta, per risultare altrimenti violati la par condicio, l’affidamento nelle regole di gara e le esigenze di trasparenza e certezza, tanto più che, intese come atto negoziale, le offerte vanno interpretate al fine di ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante alla gara, superandone le eventuali ambiguità, e a condizione di giungere ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, cosicché alla rettifica di eventuali errori di scritturazione e di calcolo si può pervenire a condizione che ciò avvenga con ragionevole certezza e, comunque, senza attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima o a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 739 del 6 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano respinge una istanza di rinvio della trattazione della causa, presentata dai ricorrenti al dichiarato “… fine di consentire la discussione in pubblica udienza …”, richiesta cui l’Amministrazione comunale si è opposta “… avendo le parti già diffusamente rappresentato le proprie tesi difensive …”, e precisa:
«che, come è noto, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (conv. legge 24 aprile 2020, n. 27), come integrato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, nel periodo compreso tra il 15 aprile e il 29 maggio 2020 “… tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati […] Le parti hanno facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione …”, risultando ammessa la discussione orale, in presenza di date condizioni, nel periodo immediatamente successivo – fino al 31 luglio 2020 –, termine finale della normativa emergenziale attualmente in vigore;
che, tale essendo il quadro normativo di riferimento, la genericità della richiesta, anche per la decisiva assenza di un’analoga domanda della controparte, induce il Collegio a pronunciarsi per il passaggio in decisione della causa;
che, invero, i ricorrenti si sono avvalsi della facoltà di deposito delle «brevi note» in prossimità dell’udienza e hanno in tal modo ulteriormente argomentato su questioni già in precedenza affrontate, sì da risultare la controversia matura per la decisione e non abbisognevole di chiarimenti o integrazioni, che semmai sarebbe stato onere degli interessati prospettare fin da subito quanto a tipologia e finalità, anche solo in via sommaria;
che, in altri termini, gravava sui ricorrenti addurre le peculiari ragioni per le quali l’utilità di un contraddittorio svoltosi oralmente avrebbe giustificato il differimento dell’udienza, precisando quali aspetti della contesa si sarebbero giovati di un’illustrazione non consentita dalle memorie depositabili fino a due giorni liberi prima del passaggio in decisione della causa o quali profili, anche di fatto, avrebbero potuto acquisire, con il confronto orale, un rilievo diverso da quello emerso all’esito di difese rese unicamente per iscritto e quindi con modalità “asincrona”;
che non appare superfluo ricordare che, per costante giurisprudenza, la richiesta di rinvio della trattazione di una causa deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni, idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo revocarsi in dubbio che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, deve pur sempre ricordarsi che in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti, sicché il giudizio amministrativo è un processo di parte ma non delle parti – non essendo nella loro assoluta disponibilità –, e nell’ordinamento giuridico non esiste una norma o un principio che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della trattazione del ricorso, in quanto le stesse hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell’udienza, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque al giudice (v. Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018 n. 6823);
che nella fattispecie, a ben vedere, la temporanea deroga alla norma generale che prevede la “discussione orale” trova il suo legittimo fondamento nella peculiare situazione di emergenza sanitaria vissuta dal Paese ed è in parte compensata con la possibilità di depositare «brevi note» in prossimità dell’udienza – oltre che dagli altri strumenti processuali di cui dispone il giudice per creare un’interlocuzione diretta con le parti –, sicché si può eccezionalmente ammettere un differimento dell’udienza se la discussione orale emerge come insostituibile mezzo di esposizione di fatti o ragioni che, per la particolarità del caso, non consentano un’adeguata difesa in via cartolare, o se lo stesso organo giudicante valuti necessario approfondire talune questioni sottoponendo direttamente i quesiti ai difensori e così raccogliendone, con un articolato scambio di domande e risposte, gli ulteriori elementi di giudizio valutati essenziali per la risoluzione della controversia».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 815 del 14 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Sul BURL, supplemento n. 20 del 17 maggio 2020, è pubblicata la nuova Ordinanza del Presidente della Giunta regionale della Lombardia 17 maggio 2020 n. 547 “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”



Sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 17 maggio 2020 è pubblicato il nuovo DPCM 17 maggio 2020 “Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”




Il TAR Milano ritiene  priva dei requisiti di specialità previsti dalla disposizione di cui all’articolo 40, comma 1, lettera g), c.p.a. la procura che conferisce ai difensori il potere di rappresentanza e difesa “dinanzi al Tar Lombardia” senza, tuttavia, indicate l’oggetto del ricorso, le parti contendenti o altri elementi utili all’identificazione della controversia.
Il TAR procede quindi a verificare la possibile applicazione del combinato disposto delle previsioni di cui agli articoli 39, comma 1, c.p.a. e 182, comma 2, c.p.c. sulla possibilità di regolarizzare un difetto di rappresentanza di assistenza o di autorizzazione.
Il TAR, preso atto che «sussistano le “oggettive ragioni di incertezza” sulla questione di diritto esaminata considerato: a) la novità della stessa stante l’assenza di precedenti giurisprudenziali puntuali; b) la non agevole interpretazione del quadro normativo vigente anche in considerazione del tenore della regola tecnica la quale può indurre la parte a ritenere che integri una procura speciale, indipendentemente dal suo contenuto, la procura alle liti che “si considera apposta in calce” pur quando priva di congiunzione materiale perché riferita ad atto informatico; c) la sussistenza di soluzioni giurisprudenziali nient’affatto univoche anche con riferimento ai precedenti delle varie Sezioni del Tribunale», concede l’errore scusabile.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 805 del 13 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri




Il TAR Milano con riferimento alla nozione di paesaggio precisa che:
«come osservato dalla Sezione, la nozione di paesaggio non può che tener conto delle indicazioni provenienti dalla Convenzione europea del 2000 (entrata in vigore sul piano internazionale il 1° settembre 2006), la cui ratifica ed esecuzione è effettua in Italia con L. n. 14 del 2006. La disposizione contenuta all’interno dell’articolo 1 dell’atto normativo internazionale definisce il paesaggio come “una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Nozione che testimonia la peculiare polisemia del concetto in esame al cui interno sono ricompresi sia sostrati naturalistici (il territorio è, infatti, inteso come res extensa), sia elementi prettamente culturali. Lo conferma la disamina delle considerazioni inserite nel Preambolo della Convenzione ove si afferma che: a) il “paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica e che salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”; b) “il paesaggio concorre all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea” (cfr., T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 24 aprile 2019, n. 932).
26.6. La Convenzione europea adotta, pertanto, una nozione ampia di paesaggio che è inteso come “elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle area urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”. Tale concetto non ricomprende, soltanto, le c.d. bellezze naturali (al pari di quanto avviene, in precedenza, in forza della previsione di cui all’articolo 1 della L. 29 giugno 1939 n. 1497; nella giurisprudenza di legittimità costituzionale, cfr. Corte Costituzionale, 29 maggio 1968 n. 56; Id., 24 luglio 1972 n. 141; Id., 3 agosto 1976 n. 210), o il solo patrimonio storico, archeologico e artistico (come può inferirsi dalle previsioni di contenute nella legge 26 aprile 1964 n. 310), o ancora i c.d. beni ambientali (come emerge dal d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 che colloca il paesaggio nel pur ampio crinale tra l’ambiente e il governo del territorio). Al contrario, si tratta di nozione che supera le sovrapposizioni spesso presenti nella legislazione interna tra ambiente, paesaggio e beni culturali, e che reclama un’autonomia del paesaggio riconoscendo, al contempo, la necessità di una visione integrale ed olistica del concetto in esame. In sostanza, il paesaggio descrive un patrimonio di risorse identitarie non riducibili alle sole bellezze naturali in sé o alle testimonianze storico-artistiche di eccezionale valenza ma assume rilievo ogni qual volta sussistano elementi morfologici a cui sia attribuibile una valenza estetica (cfr., ancora, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 24 aprile 2019, n. 932)».
Il TAR aggiunge inoltre con riguardo al rapporto tra paesaggio e pianificazione urbanistica che: 
«26.7. Alla tutela di simile valore concorre la materia della pianificazione territoriale. Difatti, secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale, all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (Consiglio di Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6656; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309). E ciò in quanto, come affermato dalla Sezione, “l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, IV, 10 maggio 2012, n. 2710; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 giugno 2018, n. 1534). Argomentazioni condivise dal Collegio che ritiene di rilievo l’ulteriore notazione compiuta dalla sentenza in esame secondo cui “la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano” (cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 830; T.A.R. Lombardia – Sede di Milano, Sez. II, 22 gennaio 2019, n. 122). Al contrario, anche laddove si sia al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, “non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale” (v., ancora, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 5 novembre 2018, n. 2479)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 751 del 7 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Sul BURL, supplemento n. 20 del 13 maggio 2020, è pubblicata l’ordinanza del Presidente della Giunta Regionale della Lombardia 3 maggio 20202 n. 546 “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”.
L’ordinanza tra l’altro prescrive, dal 18 maggio 2020 e sino al 31 maggio 2020, ai datori di lavoro o loro delegati di sottoporre il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro e ogni qual volta durante l’attività il lavoratore dovesse manifestare i sintomi di infezione respiratoria da COVID – 19 (es. tosse, raffreddore, congiuntivite), al controllo della temperatura corporea, dando prescrizioni per la gestione dei casi di accertata temperatura superiore a 37,5°; l'ordinanza raccomanda poi “fortemente” la rilevazione della temperatura anche nei confronti dei clienti/utenti prima dell’accesso e l’utilizzo della app «AllertaLom» da parte del datore di lavoro e di tutto il personale, compilando quotidianamente il questionario «CercaCovid».
La stessa ordinanza precisa che i protocolli di sicurezza anticontagio di cui all’art. 1, lettera ii, del d.p.c.m. 26 aprile 2020, per le attività professionali devono tenere conto di quanto disposto con l'ordinanza stessa.




Il TAR Brescia ricorda che è noto che i verbali delle gare per l'aggiudicazione di un pubblico appalto hanno natura di atto pubblico facente piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che il pubblico ufficiale, sotto la propria responsabilità, attesta essere avvenuti in sua presenza. Pertanto, il contenuto di quanto la Commissione giudicatrice ha dichiarato essere avvenuto in occasione delle sedute di gara può essere messo in discussione soltanto per il tramite dello strumento della querela di falso, secondo la disciplina dell'art. 2699 c.c. e del seguente art. 2700 c.c.; la fede privilegiata che assiste i verbali della commissione giudicatrice, in quanto atti pubblici, prescinde dal formato (cartaceo o digitale) utilizzato; in entrambi i casi, per contestare la veridicità dei fatti che la commissione afferma essere avvenuti in sua presenza o essere stati da essa compiuti, è necessario proporre querela di falso (dinanzi al giudice competente), restandosi altrimenti nel campo delle mere congetture e delle affermazioni suggestive, prive di ogni rilievo giuridico.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 334 del 6 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la condotta del soggetto che si è limitato a ricevere dei rifiuti a seguito della restituzione del bene in cui veniva svolta una ormai cessata attività produttiva da parte dell’impresa locataria dell’area di deposito non è inquadrabile in quella prevista dall’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, ma piuttosto assimilabile, in relazione agli obblighi stabiliti in capo al detentore di rifiuti dall’art. 188 dello stesso decreto, ad un’attività di gestione di rifiuti non autorizzata; è pertanto in rapporto a tale attività di gestione e all’instaurarsi, con la presa in consegna, dell’obbligo del soggetto, in qualità di detentore di rifiuti, di provvedere direttamente al loro trattamento, oppure di consegnarli ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, che il Comune deve modulare, nell’ambito delle sue competenze e delle sue autonome valutazioni, il suo intervento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 777 del 9 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il Consiglio di Stato precisa che la valutazione della sanabilità delle opere incluse nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001, nel caso in cui nella stessa area di pertinenza coesistano altre opere abusive non considerate dall’interessato nella predetta istanza, ma pur sempre funzionalmente collegate alle prime, come avviene nel caso di specie in cui tutte le opere costituiscono manufatti funzionalmente legati all’esercizio di una attività imprenditoriale, non può non includere la verifica circa la sanabilità delle altre opere edilizie abusivamente realizzate, atteso che lo scrutinio sulla “doppia conformità” non può che essere complessivo; ne deriva, pertanto, che, qualora venga chiesto il rilascio di un permesso di costruire riferito soltanto a talune delle opere realizzate e l’Amministrazione riscontri l’esistenza di altre opere abusive, non scomponibili in progetti scindibili, ma funzionalmente connesse al perseguimento di uno scopo unitario, l’ente procedente non può accogliere una domanda riguardante singole opere, dovendo aversi riguardo al complessivo intervento all’uopo realizzato.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1848 del 16 marzo 2020.
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Il Consiglio di Stato fa il punto sulla revisione prezzi negli appalti pubblici e precisa:
Può quindi affermarsi che (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25):
- l’art. 6, comma 4, della L. n. 537 del 1993, come novellato dall’art. 44 della L. n. 724 del 1994, prevede che tutti i contratti pubblici ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo pattuito;
- tale disposizione costituisce norma imperativa non suscettibile di essere derogata in via pattizia, ed è integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell'inserzione automatica;
- la finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato: Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994), dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato: Sez. V, 23 aprile 2014, n. 2052; Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074);
- l’obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo, da operare sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione, non comporta anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti;
- in tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013, n. 465), rilevando che la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuazione della revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l'interesse dell'appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato;
- in ordine alla fissazione dell'adeguamento spettante, è da escludere che la pretesa vantata dal privato fornitore abbia la consistenza di un diritto soggettivo perfetto suscettibile di accertamento e condanna da parte del giudice amministrativo; infatti, le citate disposizioni prescrivono che la determinazione sia effettuata dalla stazione appaltante all'esito di un'istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi;
- l'istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell'amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest'ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l'amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa;
- di conseguenza, la posizione del privato contraente si articolerà nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all’an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, ma solo una volta che sarà intervenuto il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale; peraltro tale costruzione, ormai del tutto ininfluente ai fini del riparto di giurisdizione, mantiene inalterata la sua rilevanza con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive del contraente dell’Amministrazione, proprio per effetto dell'art. 133, lett. e), punto 2), c.p.a., che assoggetta l'intera disciplina della revisione prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
- la qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l'attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell’appaltatore, quest’ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall’Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l’accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all'amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465);
- i risultati del procedimento di revisione prezzi sono dunque espressione di facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2015, n. 5375; 24 gennaio 2013, n. 465)
3. È opportuno, fin da ora, osservare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la revisione dei prezzi come sopra prevista trova applicazione solo alle proroghe contrattuali, ma non agli atti successivi al contratto originario, con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1° giugno 2010, n. 3474; Sez. III, 23 marzo 2012, n. 1687 e 11 luglio 2014, n. 3585).
Il presupposto per l’applicazione dell’istituto della revisione risiede, pertanto, nella sussistenza di una mera proroga del contratto: ciò in quanto le manifestazioni negoziali di procedere al rinnovo del contratto, anche se di contenuto analogo alle condizioni precedenti, danno luogo a nuovi e distinti rapporti giuridici, in discontinuità con l’originario contratto, che non può essere assunto a parametro di raffronto per la maggiorazione dei corrispettivi a mezzo del procedimento di revisione (Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2018 n. 4869; Sez. III, 9 maggio 2012 n. 2682)

In ordine poi alla differenza tra rinnovo e proroga contrattuale il Consiglio di Stato precisa che:
Per qualificare la tipologia contrattuale (rinnovo, piuttosto che proroga) che viene in rilievo nella materia de qua, non è rilevante il nomen juris formalmente attribuito dalle parti, bensì l’esistenza in concreto:
- per il rinnovo, di una nuova negoziazione;
- e per la proroga, del solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario;
con la precisazione, peraltro, che la nuova negoziazione può anche concludersi con la conferma delle precedenti condizioni (Cons. Stato: Sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9302; Sez. VI, 22 marzo 2002, n. 1767).
In definitiva, la rinnovazione si contraddistingue per la rinegoziazione del complesso delle condizioni (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295); di talché, per il periodo in cui l’espletamento del servizio è proseguito in virtù di apposita clausola di rinnovo del rapporto contrattuale, si determina uno iato con il contratto originario ed il nuovo periodo contrattuale si configura, pertanto, come autonomo rispetto al precedente (con la conseguenza che non può, quindi, trovare applicazione il meccanismo di revisione dei prezzi, perché incompatibile con la rinnovata volontà negoziale della ditta di rendere il servizio al medesimo costo in precedenza concordato e con accettazione della congruità del corrispettivo: cfr. Cons. Stato, Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 5779)”.

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 2860 del 6 maggio 2020.
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Il TAR Brescia precisa che la situazione di inquinamento acustico originata dalla violazione dei limiti di rumore previsti per una determinata zona non necessariamente coinvolge l'intera collettività, ben potendo l’amministrazione intervenire anche ove sia in discussione la salute di gruppi o di singoli individui; né detto intervento risulta precluso dalla possibilità per i privati che subiscono un pregiudizio dalla violazione delle norme in materia di rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria azionando gli strumenti di intervento messi a disposizione dal codice civile.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 332 del 5 maggio 2020.
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Il TAR Milano precisa che nel caso in cui la presentazione della domanda di partecipazione avvenga in un momento successivo all’impugnazione del bando, si pone la necessità di verificare la persistenza delle condizioni dell’azione, declinate in relazione alla concretezza e attualità dell’interesse e alla sua disponibilità.
Secondo il TAR: “La partecipazione alla gara si pone alla stregua di un fatto (successivo) incompatibile con l’azione proposta avverso il bando, poiché le due (contrapposte) utilità perseguite – accoglimento del ricorso e aggiudicazione – rischiano di elidersi a vicenda, impedendo alla parte di ottenere qualsivoglia vantaggio giuridicamente apprezzabile. Difatti, l’accoglimento del ricorso contro il bando porrebbe nel nulla le chance di aggiudicazione, venute in essere in seguito alla presentazione dell’offerta (la chance è considerata un’utilità intermedia autonomamente tutelata: Corte costituzionale, sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019, che richiama anche Corte di giustizia, IV, ord. 14 febbraio 2019, causa C-54/18). Né in presenza di un diritto di azione di natura disponibile può essere affidato al giudice il compito di attribuire prevalenza alla domanda avanzata in sede giurisdizionale piuttosto che all’interesse ad ottenere l’aggiudicazione della gara per la quale si è presentata la domanda, dovendo peraltro considerarsi che il bene della vita finale è rappresentato dall’aggiudicazione della gara e non dall’accoglimento del ricorso, utilità di natura meramente strumentale (cui potrebbe non far seguito la riedizione della procedura). Non può quindi condividersi quella giurisprudenza che assume l’irrilevanza, ai fini della sussistenza dell’interesse alla decisione del ricorso, della presentazione della domanda di partecipazione, sul presupposto che permarrebbe in ogni caso l’interesse dell’operatore economico a partecipare ad una gara in grado di garantirgli astrattamente un adeguato utile d’impresa, non potendo lo stesso essere costretto a formulare un’offerta antieconomica (Consiglio di Stato, V, 25 novembre 2019, n. 8037; T.A.R. Lazio, Roma, III, 26 giugno 2019, n. 8341; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 12 febbraio 2018, n. 404)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 707 del 29 aprile 2020.
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Il TAR Milano precisa che “il rilascio di titolo abilitativo all’edificazione (e corrispondentemente il diniego) costituisce atto amministrativo vincolato alla verifica della conformità della richiesta alla disciplina urbanistico-edilizia (cfr., C.d.S., Sez. II, sentenza n. 3972/2019), con la conseguenza di non poter essere viziato da eccesso di potere, il quale presuppone - di contro - la sussistenza di un margine di valutazione discrezionale in capo all’Amministrazione procedente (cfr., della Sezione, sentenza n. 1799/2017)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 693 del 27 aprile 2020.
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Il TAR Milano, con riferimento alla nozione di grave illecito professionale ai fini dell’esclusione da una gara di appalto e alla rilevanza dell’eventuale procedimento penale pendente, precisa che:
La giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. I, 24 luglio 2019, n. 1729), ha già precisato che l’art. 80, comma 5 lett. c), del d.l.vo 2016 n. 50 ha dilatato il potere valutativo discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici in tema di esclusione dei concorrenti, correlandone l’esercizio ad un “concetto giuridico indeterminato”, sicché spetta alle stazioni appaltanti declinare, caso per caso, la condotta dell’operatore economico “colpevole di gravi illeciti professionali” (cfr. sul punto, Consiglio di Stato, sez. III, 23 novembre 2017, n. 5467), fermo restando che, quando la stazione appaltante esclude un operatore economico, perché considerato colpevole di un grave illecito professionale, deve adeguatamente motivare l’esercizio di siffatta discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299).
Quanto ai fatti oggetto di un procedimento penale, deve riconoscersi alla stazione appaltante la facoltà di escludere un concorrente per ritenuti “gravi illeciti professionali”, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, ferma restando la necessità che l’esclusione sottenda un’adeguata istruttoria e una congrua motivazione.
Va ribadito che qualsiasi condotta, di cui venga contestata dall’Autorità la contrarietà alla legge e collegata all’esercizio dell’attività professionale, è di per sé potenzialmente idonea ad incidere sul processo decisionale rimesso alle stazioni appaltanti sull’accreditamento dei concorrenti come operatori complessivamente affidabili (cfr. così Consiglio di Stato, Sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787), a prescindere dall’esito dell’eventuale procedimento penale instaurato.
Corrispondentemente, la pendenza di un procedimento penale o la rilevanza penale dei fatti contestati dalla stazione appaltante non conducono ad un’espulsione automatica, ma ad una doverosa valutazione della loro incidenza sulla professionalità dell’operatore economico, valutazione che, con adeguata motivazione, deve dare conto delle ragioni dell’eventuale esclusione disposta (cfr. in argomento, Consiglio di Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 701 del 27 aprile 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che «secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la mancata sottoscrizione della convenzione correlata al Piano di lottizzazione, rende quest’ultimo inefficace e non consente nemmeno l’avvio del decorso del termine decennale di validità dello stesso («il piano di lottizzazione, mai divenuto efficace per la mancata stipula della convenzione, è tamquam non esset» per Consiglio di Stato, IV, 12 luglio 2018, n. 4271; altresì, 3 aprile 2014, n. 1597; T.A.R. Puglia, Lecce, III, 16 gennaio 2018, n. 52; T.A.R. Liguria, I, 29 gennaio 2015, n. 148; il piano non convenzionato non risulta in vigore per T.A.R. Puglia, Bari, III, 19 ottobre 2017, n. 1081)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 654 del 20 aprile 2020.
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Sul BURL, Supplemento n. 18 del 3 maggio 2020, è pubblicata l’Ordinanza del Presidente Giunta regionale 3 maggio 2020 - n. 539 “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”




Il Consiglio di Stato, nel confermare la decisione del TAR Milano, Sez. I, n. 1064/2019, precisa che «deve essere anzitutto disattesa la tesi dell’inoperatività dell’art. 77, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016, in attesa dell’istituzione dell’albo dei commissari istituito presso l’A.N.A.C., cui fa riferimento il comma 3 dello stesso articolo, non intervenuta al momento della nomina contestata. Invero, le due disposizioni sono autonome, come dimostra proprio il comma 12, che contiene una disciplina transitoria fino all’adozione della disciplina in materia di iscrizione all’albo, rimettendo la nomina all’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante (tale disciplina transitoria è confermata dall’art. 216, comma 12, dello stesso d.lgs. n. 50 del 2016).
La norma transitoria, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, contiene un rinvio alla disciplina previgente per quanto concerne la nomina della Commissione che deve essere effettuata dalla stazione appaltante “secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate”; ciò significa non già l’integrale inapplicabilità della disposizione del quarto comma dell’art. 77, quanto piuttosto, in attesa della selezione dei commissari dall’albo istituito presso l’A.N.A.C., l’imposizione di un limite modale nella scelta dei commissari stessi.
Il riferimento normativo alle regole di competenza e trasparenza riguarda il procedimento di nomina dei componenti della Commissione da parte dell’organo competente della stazione appaltante, ma non vale ad elidere, in assenza di un’espressa previsione, l’efficacia di una norma che pone una regola di incompatibilità (con valenza, dunque, precettiva e non sanzionatoria).
Può dunque convenirsi con la sentenza appellata laddove afferma che la norma dettante la disciplina transitoria è “disposizione che afferisce unicamente al modus di scelta da parte della stazione appaltante –in assenza del sistema di individuazione e nomina previsto con la istituzione dell’Albo Anac- non mai afferendo ai requisiti soggettivi di legittimazione dei commissari”».

Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2471 del 17 aprile 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano precisa che qualora l'efficacia dei piani da impugnare sia condizionata alla pubblicazione sul BUR avvenuta dopo la pubblicazione della delibera di approvazione del piano urbanistico all'albo pretorio, il dies a quo per l'impugnazione va individuato nel momento di acquisizione dell’efficacia ovvero nella pubblicazione sul BUR e non già in quello, antecedente, della scadenza del termine di pubblicazione all'albo pretorio, sicché la presunzione legale di conoscenza non ha luogo sino a che non si sia perfezionata l’intera fase della pubblicità legale (v., tra le altre, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 16 novembre 2018 n. 1070); ne consegue che non assume rilievo a tali fini la sola pubblicazione dell’atto di approvazione del piano all’albo pretorio comunale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 692 del 24 aprile 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 30 aprile 2020 è pubblicato il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28 “Misure urgenti per la funzionalita' dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonche' disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19”.
L’art. 4 reca disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia amministrativa.




Sul BURL, Supplemento n. 18 del 30 aprile 2020, sono pubblicate:
- l’Ordinanza Presidente Giunta regionale 30 aprile 2020 - n. 537 “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19;
- l’Ordinanza Presidente Giunta regionale 30 aprile 2020 - n. 538 “Ulteriori misure per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nel settore del trasporto passeggeri”.