Il TAR Brescia, a fronte di una eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto la procura alle liti è antecedente alla predisposizione del ricorso e quindi, secondo la prospettazione di parte resistente, il ricorrente, dopo aver firmato la procura, sarebbe rimasto nell’ignoranza circa il contenuto del ricorso, il quale, per questo motivo, non sarebbe collegabile alla sua volontà, osserva;
<<(a) relativamente all’eccezione di inammissibilità, si osserva che l’art. 40 comma 1-g cpa non richiede la sottoscrizione contestuale del ricorso e della procura alle liti. Un simile adempimento non è imposto neppure dall’art. 8 del DPCM 16 febbraio 2016 n. 40, con riferimento al processo amministrativo telematico. Parimenti, nessuna contestualità è richiesta dalla nuova disciplina del processo amministrativo telematico, raccolta dapprima nel DPCS 28 dicembre 2020 e ora nel DPCS 28 luglio 2021 (v. art. 8);
(b) in effetti, non vi è alcuna esigenza processuale che imponga la contestualità dei due atti. La procura alle liti può essere indifferentemente anteriore o contestuale alla sottoscrizione del ricorso da parte del difensore, perché in entrambi i casi è possibile stabilire un collegamento tra la volontà del ricorrente e quanto esposto nel ricorso. Il collegamento non deve riguardare necessariamente ogni dettaglio della difesa tecnica, essendo quest’ultima di esclusiva competenza del professionista. Non occorre quindi che il ricorrente abbia letto e approvato il contenuto del ricorso, o che si possa presumere che lo abbia letto e approvato, ma è sufficiente che abbia dato preventivamente un incarico riferibile al ricorso. Al resto provvedono altri strumenti, tradizionali o telematici. La certezza della provenienza della procura dal ricorrente è garantita dal potere di certificazione riconosciuto al difensore, che autentica la sottoscrizione. L’apposizione virtuale della procura in calce al ricorso è determinata ex lege dal deposito della stessa con modalità telematiche, come documento informatico o come copia asseverata, unitamente all'atto a cui si riferisce (v. art. 8 comma 3 del DPCS 28 luglio 2021)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1147 del 30 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri;



L’art. 16 della legge regionale 27 dicembre 2021, n. 24 “Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9 ter della l.r. 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2022”, pubblicata sul BURL, Suppl. n. 52 del 29 dicembre 2021, apporta all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 "Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato" la seguente modifica:
a) dopo il comma 5 è inserito il seguente:
«5.1. La durata della proroga di validità dei documenti di piano dei PGT comunali, già disposta ai sensi del secondo e terzo periodo del comma 5, è estesa di ulteriori dodici mesi successivi all’efficacia dell’adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2; a tal fine, non occorre alcuna deliberazione da parte dei consigli comunali interessati. Laddove, alla data di entrata in vigore della legge regionale recante «Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9 ter della l.r. 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) - Collegato 2022», sussistano ancora le condizioni per deliberare la proroga di validità dei documenti di piano dei PGT comunali di cui al secondo periodo del comma 5, tale proroga può essere disposta, con deliberazione motivata del consiglio comunale interessato, con durata pari a ventiquattro mesi successivi all’efficacia dell’adeguamento della pianifica zione prescritto al comma 2. Nei casi di proroga di validità dei documenti di piano dei PGT di cui al presente comma restano ferme, per i comuni interessati, l’applicazione di quanto previsto al comma 3 e la possibilità di procedere ai sensi del quinto periodo del comma 4


Secondo il TAR Milano risulta illegittimo l’operato dell’Amministrazione Provinciale che, in sede di screening ambientale di cui all’art. 19 del D.lgs. n. 152/2006, ha disposto di assoggettare a VIA un progetto che - in applicazione di criteri predeterminati di cui alla DGR 11317/2010, vincolanti per l’Amministrazione stessa quali autolimiti alla propria discrezionalità - è risultato pacificamente non soggetto a VIA.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2895 del 23 dicembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che la previsione di cui all’art. 36 t.u.e. consente di presentare istanza di accertamento di conformità al proprietario e al responsabile dell’abuso; i soggetti legittimati sono, quindi, due: il proprietario (o i proprietari in caso di comunione del diritto reale) dell'immobile e il responsabile dell'abuso (o i responsabili ove siano più d’uno) che potrebbe non avere una relazione giuridica qualificata con il bene ma è, comunque, titolare dell’interesse alla rimozione degli effetti negativi derivanti dalla realizzazione di opere abusive.
In ordine al rapporto tra i due soggetti, il TAR Milano ricorda che il Consiglio di Stato evidenzia, in relazione alla diversa previsione dell’art. 31 della L. n. 47/1985, come non sia comunque consentito il rilascio della conseguente concessione edilizia in sanatoria senza che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario (Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.5.2018, n. 3049). Con specifico riferimento alle situazioni di comproprietà il Consiglio di Stato sottolinea come “il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso”; non può, quindi, riconoscersi legittimazione “al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento”; pertanto, “in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati - dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di c.d. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823)” (Consiglio di Stato, Sez. II, 12.3.2020, n. 1766).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2919 del 24 dicembre 2021.
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Il TAR Milano osserva che ai sensi dell’art. 14 del DPCM 16 febbraio 2016, n. 40 nonché dell’art. 14 del successivo decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 luglio 2021 “I difensori possono eseguire la notificazione a mezzo PEC a norma dell'articolo 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53”. A sua volta l’art. 3 bis della legge n. 53/1994 dispone, al comma 3, che “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”.
Il dato positivo sopra richiamato fornisce la regola da applicare, con la conseguenza che occorre avere riguardo al “momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione” fornita dal gestore di posta elettronica certificata.
Nella fattispecie il TAR ha dichiarato irricevibile il ricorso in presenza di una ricevuta di accettazione che è stata generata alle ore 00:00:38 del giorno successivo al giorno di scadenza del termine.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2893 del 22 dicembre 2021.
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La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 7 agosto 2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali), come delimitato – nel suo ambito di applicazione – dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lombardia 27 novembre 2020, n. 22 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2020).
Oggetto di impugnazione da parte dello Stato è il citato art. 28, rubricato «Differimento di termini e sospensione dell’efficacia di atti in materia di governo del territorio in considerazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19», che ha disposto «[a]nche in considerazione del permanere di gravi difficoltà per il settore delle costruzioni, derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19», la proroga della validità di atti e titoli abilitativi.
In particolare l’art. 28, comma l, ha previsto, alla lettera a), la proroga della validità di «tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza dal 31 gennaio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, per tre anni dalla data di relativa scadenza», e, alla lettera b), la proroga della validità delle «convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla relativa scadenza».
In linea preliminare, occorre rilevare che, successivamente alla proposizione del ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso limitatamente alla impugnazione dell’art. 28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, in ragione della sopravvenuta abrogazione della citata disposizione ad opera dell’art. 18, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 27 novembre 2020, n. 22 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2020).
Ciò ha comportato l’estinzione del processo, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, promossa dal Governo in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
Sempre in linea preliminare, va messo in risalto che in giudizio la Regione ha segnalato l’ulteriore sopravvenienza normativa costituita dal comma 1-bis dell’art. 28 della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, inserito dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020, entrata in vigore il 30 novembre 2020, precisando che tale disposizione ha escluso le autorizzazioni paesaggistiche dalla proroga di cui al comma 1.
Il periodo di vigenza della disposizione regionale impugnata – 11 agosto 2020-30 novembre 2020 – è allineato con la disciplina statale, contenuta nell’art. 103, comma 2-sexies, del d.l. n. 18 del 2020, aggiunto dal decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, in legge 27 novembre 2020, n. 159; la norma regionale impugnata avrebbe potuto operare dopo novanta giorni dalla scadenza della dichiarazione dello stato di emergenza previsto dalla normativa statale, ovvero dopo il 31 gennaio 2021 e dunque non ha trovato applicazione,
Tale sopravvenienza ha comportato la cessazione della materia del contendere con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nella sola parte relativa alla proroga delle autorizzazioni paesaggistiche.
Così delimitata la materia del contendere, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt. 103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in collisione con un principio fondamentale della materia governo del territorio di competenza legislativa concorrente.
Il principio fondamentale che viene in rilievo riguarda la durata dei titoli abilitativi, nella cui determinazione si ravvisa un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale, secondo il sistema delineato dal d.P.R. n. 380 del 2001.
Incidendo sulla durata, le norme statali interposte partecipano della natura di “principio fondamentale” che connota la disciplina dei titoli abilitativi, con l’effetto di vincolare le Regioni.
In conclusione, secondo la Corte, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 7 agosto 2020, n. 18, con esclusione della parte in cui, nel testo antecedente all’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020, prevedeva la proroga delle autorizzazioni paesaggistiche.

Corte Costituzionale n. 245 del 21 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Il TAR Brescia, con riferimento alla norma di cui al comma 3 dell’art. 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, ai sensi della quale “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ossia successivamente al 6 dicembre 2017, osserva:
<<3.7. La norma in parola, infatti, nell’estendere anche alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di applicare l’istituto dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi da esse conferiti, è finalizzata ad assicurare una speciale protezione al professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione, a causa della propria preponderante forza contrattuale, definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista e lo imponga a quest’ultimo senza alcun margine di contrattazione; e ciò sia in occasione di affidamenti diretti dell’incarico professionale, sia nella determinazione della base d’asta nel contesto di procedure finalizzate all’affidamento dell’incarico professionale secondo le regole dell’evidenza pubblica.
3.8. La norma non trova invece applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare (in tal senso cfr. di recente, TAR Milano, Sez. I, 29 aprile 2021 n. 1071). E ciò per l’evidente motivo che nel caso in cui il professionista non sia costretto ad accettare supinamente il compenso predeterminato unilateralmente dall’amministrazione, ma contratti liberamente il proprio compenso su un piano paritetico con la committente, viene meno quella speciale esigenza di protezione del professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, su cui si fonda la ratio dell’istituto dell’equo compenso.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1088 del 20 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che con sentenza del 2 luglio 2020, n. 12, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato il principio di diritto per cui il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione, normalmente decorrente dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, subisce una dilazione temporale ove sia stata proposta istanza di accesso agli atti di gara ed i motivi di ricorso derivino dalla “conoscenza dei documenti che completino l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta”.
Aggiunge il TAR che tale conclusione rappresenta il punto di equilibrio tra il principio della piena conoscenza o della conoscibilità degli atti di gara ed il principio antagonista di celerità dei procedimenti per gli affidamenti degli appalti pubblici, entrambi compendiati nell’articolo 120, comma 5, del codice del processo amministrativo; la dilazione temporale del termine di impugnazione dell’aggiudicazione deve pertanto essere individuata - ai sensi dell’articolo 76, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, subentrato all’abrogato articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - in quindici giorni, tale essendo il termine massimo previsto dalla norma per la comunicazione delle ulteriori informazioni sull’aggiudicazione, fornite dalla stazione appaltante su richiesta scritta dell’interessato (Consiglio di Stato, Sezione V, 20 settembre 2019, n. 6251); solo ove la stazione appaltante rifiuti di fornire tali informazioni o assuma un atteggiamento ostinatamente dilatorio ed ostativo all’immediata conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario o delle giustificazioni rese nel corso del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione inizia a decorrere dall’effettiva conoscenza degli stessi (Consiglio di Stato, Sezione III, 6 marzo 2019, n. 1540).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2854 del 20 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la mancata attuazione degli impegni assunti attraverso un atto di asservimento (avente ad oggetto nella fattispecie la realizzazione di spazi per parcheggio ad uso pubblico) rende legittimo – e altresì necessario – l’intervento sanzionatorio comunale, attraverso il quale deve essere ripristinata – o posta in essere per la prima volta – la condizione, la cui realizzazione era stata assunta dalla parte istante, cui era subordinato il rilascio del titolo edilizio o la sua formazione in seguito al decorso del tempo (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24 novembre 2021, n. 2603).
Aggiunge il TAR che:
<<Del resto, secondo una condivisibile giurisprudenza, “gli obblighi di facere (realizzare le opere di urbanizzazione) e di dare (…) sono assunti, infatti, a fronte dell’esercizio dell’attività di pianificazione da parte del comune e dei vantaggi astrattamente ritraibili dagli investitori dall’esercizio di questa potestà” (Consiglio di Stato, IV, 16 luglio 2021, n. 5358) e deve essere garantita la loro permanenza e attuazione nel corso del tempo, con la conseguenza che un inadempimento del privato determina uno squilibrio nell’assetto del territorio cui deve essere posto rimedio o dando attuazione ai ridetti obblighi o rimuovendo l’intervento edilizio e i suoi effetti>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2800 del 14 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che, pur non avendo le ordinanze contingibili e urgenti carattere sanzionatorio, ma solo ripristinatorio, con conseguente irrilevanza della previa individuazione di una responsabilità in capo al proprietario dell’area, non è possibile indirizzare le stesse a coloro (in cui vanno ricompresi i proprietari) che non si trovano in rapporto diretto con il bene e, di conseguenza, non hanno la possibilità di eliminare la riscontrata situazione di pericolo (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 19 novembre 2021, n. 2568; T.A.R. Campania, Salerno, I, 25 novembre 2019, n. 2090); del resto, si è ritenuto che «l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (...), difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile» (Consiglio di Stato, VI, 17 maggio 2017, n. 2337; V, 28 settembre 2015, n. 4504).
(Nella fattispecie, in ragione dell’occupazione di un compendio da parte di soggetti estranei, alcune famiglie nomadi, con ordinanza contingibile e urgente, il Sindaco ha ordinato alla ricorrente, ai proprietari delle aree confinanti e agli occupanti di fatto delle aree in questione, di provvedere, entro quindici giorni dal ricevimento dell’ordinanza, (i) a rimuovere i rifiuti eterogenei presenti in conformità alle disposizioni di legge ed effettuare la completa pulizia dei luoghi, (ii) a rimuovere e/o destinare ad un centro di raccolta e demolizione autorizzato le strutture utilizzate come abitazioni presenti, in quanto incompatibili all’uso abitativo per le motivazioni evidenziate in premessa dall’A.S.L., e (iii) a effettuare, in caso di confermata presenza di ratti, i necessari interventi di sanificazione, fino alla completa risoluzione del problema, al fine di tutelare la salute di persone e animali).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2815 del 15 dicembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che il principio della esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi, anche in assenza di espressa comminatoria di estromissione dalla procedura selettiva, non può che valere nei casi in cui la disciplina di gara prevede qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino come caratteristiche minime, vuoi perché espressamente definite come tali nella disciplina stessa, vuoi perché la descrizione che se ne fa nella disciplina di gara è tale da farle emergere come qualità essenziali della prestazione richiesta; mentre - ove questa certezza non vi sia e sussista al contrario un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando - riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività delle cause di esclusione.
Aggiunge il TAR che l’interpretazione degli atti amministrativi, ivi compresi i bandi di gara, soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e segg. cod.civ. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, perché gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla pubblica Amministrazione di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative; sì che la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori e preclude ogni estensione analogica intesa ad evidenziare significati inespressi e impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti e la par condicio dei concorrenti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2799 del 13 dicembre 2021.
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Il TAR Milano osserva che gli effetti obbligatori discendenti dalle convenzioni urbanistiche o dagli atti ad esse equiparati non sono soggetti a scadenza, a differenza del regime urbanistico conseguente alla pianificazione attuativa o al rilascio del titolo edilizio.

Osserva al riguardo che:
<<Secondo una recente giurisprudenza, difatti, «gli obblighi di cessione recati da una convenzione di lottizzazione ovvero dagli atti a questa assimilabili devo essere ritenuti imprescrittibili (cfr. Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4278; sez. IV, 30 novembre 2015, n. 5413; da ultimo, sez. IV, 26 febbraio 2019, n. 1341; sez. IV, n. 3672 del 14 giugno 2018; sez V, 31 agosto 2017, n. 4144), atteso che:
c.1) quanto al significato da attribuire agli artt. 16, 17 e 28 della legge urbanistica - secondo cui l’efficacia dei piani particolareggiati ha un termine entro il quale le opere debbano essere eseguite, che non può essere superiore a dieci anni - “l’imposizione del termine suddetto va intesa nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione. Ne segue che, se, e fino a quando, tale potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito nei termini disposti con la convenzione di lottizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 851)” (sentenza n. 4278/2014, cit.);
c.2) tale interpretazione è conforme alle statuizioni dell’Adunanza plenaria, secondo cui le conseguenze della scadenza dell’efficacia del piano attuativo “si esauriscono [...] nell’ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi che solo mediatamente trovano fonte nel piano urbanistico attuativo (nel caso di specie, piano di zona), radicandosi piuttosto nelle convenzioni urbanistiche, disciplinate dall’art. 11 della legge n. 167 del 1962, come modificato dalla legge n. 865 del 1971, ovvero negli atti d’obbligo accessivi al provvedimento di assegnazione” (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 20 luglio 2012, n. 28)» (Consiglio di Stato, IV, 7 ottobre 2021, n. 6717)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2800 del 14 dicembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che
<<la revoca del mandato ad entrambi i difensori, effettuata dalla parte ricorrente …, non seguita dalla nomina e dalla costituzione in giudizio di un nuovo difensore, non incide sul rapporto processuale, il quale, a differenza del rapporto di prestazione d’opera, resta validamente costituito ai fini della prosecuzione del giudizio>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2774 del 9 dicembre 2021.
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Secondo il TAR Brescia, la rotazione prevista dall’art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 nonché dalle linee guida ANAC n. 4/2016 non è imposta qualora la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ex multis Consiglio di Stato sez. III, 04/02/2020, n. 875); indicazione, questa, che compare anche nelle linee guida dell’ANAC numero 4, nella versione adottata con delibera 1 marzo 2018 n. 206.

TAR Lombardia, Brescia, I, n. 1004 del 2 dicembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che rispetto ad una ordinanza contingibile e urgente non rileva la risalenza nel tempo della situazione di pericolosità, atteso che il momento in cui l’ordinanza è adottata segna il limite oltre il quale il rischio non è più accettabile per la collettività e si avverte come indispensabile l’intervento per scongiurare il danno; come pure non rileva che nessun accadimento si sia realizzato successivamente all’adozione dell’ordinanza, considerato che l’operato dell’Amministrazione deve essere verificato ex post ma sulla base di una valutazione prognostica in ragione degli elementi conosciuti o conoscibili al momento dell’adozione dell’atto (c.d. criterio della “prognosi postuma”).
Aggiunge il TAR che, non avendo le ordinanze contingibili e urgenti carattere sanzionatorio, ma solo ripristinatorio, non richiedono la previa individuazione di una responsabilità in capo al proprietario dell’area; difatti, l’ordinanza viene indirizzata al predetto proprietario in quanto si tratta del soggetto che si trova in rapporto diretto con il bene e che per tale ragione ha la possibilità di eliminare la riscontrata situazione di pericolo; la natura poi di atto doveroso e vincolato nel contenuto dell’ordinanza contingibile e urgente, fa sì che la stessa non debba essere preceduta da avviso di avvio del relativo procedimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2568 del 19 novembre 2021.
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Il TAR Milano, esaminando un ricorso contro il Regolamento per la qualità dell'aria, approvato dal Comune di Milano con deliberazione del Consiglio Comunale n. 56, del 19.11.2020, nella parte in cui (art. 3, commi 1 e 2) vieta:
a) di installare (anche in sostituzione) generatori di calore per impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW o a essi assimilati ai sensi della normativa regionale vigente, nonché apparecchi di riscaldamento localizzato alimentati con gasolio, kerosene e altri distillati leggeri e medi di petrolio e loro emulsioni; b) di utilizzare i medesimi impianti a far data dal 1° ottobre 2022,
ritiene che il potere esercitato vada ricondotto all’art. 50, comma 7 ter, del d.lgs. 267 del 2000, introdotto dall’art. 8 del d.l. n. 14 del 20.02.2017 (conv. l. 18 aprile 2017 n. 48).

Osserva al riguardo il TAR che:
<<Per quanto qui rileva, la norma dispone che “i comuni possono adottare regolamenti nelle materie di cui al [precedente] comma 5, secondo periodo”, così indicando quelle “situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana” che, ricorrendo l’ulteriore presupposto dell’urgente necessità di intervento, e prima della modifica normativa, avrebbero giustificato il (solo) ricorso al diverso potere sindacale di ordinanza contingibile e urgente.
L’addenda normativa, letta nel contesto dell’intera disposizione recata dall’art. 50, ha inteso affiancare allo strumento sindacale – utile a fronteggiare, come detto, situazioni contingenti e non altrimenti gestibili – un potere ordinario (consiliare), destinato a risolvere problematiche locali di identica natura, ma connotate, all’evidenza, da una tendenziale permanenza, idonea a travalicare la portata ed i limiti dei poteri attribuiti al Sindaco e, per l’effetto, bisognevoli di una gestione “strutturale” di lungo periodo. Così ricostruita la ratio del comma 7ter, è evidente che il legislatore del 2017 - nell’ intento, da un lato, di ridefinire i confini netti del potere sindacale e, dall’altro, di individuare mezzi più idonei ed efficaci a rispondere alle esigenze della comunità locale - si è mosso nel quadro del progressivo incremento di quei moduli di autonomia regolamentare, già riconosciuti, ad ampio spettro, dal dettato Costituzionale (art. 5, 114 e 117, comma 6, per cui: “I Comuni […] hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”) e dalle legge ordinaria (in primis, art 3, commi 1 e 4 del T.U.E.L, per cui “Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome” e “I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica”). E ciò nella consapevolezza che limite ultimo all’esercizio di un tale potere regolamentare è e resta sempre il collegamento funzionale con la cura degli interessi della comunità rappresentata che – quanto agli enti locali – si presenta come elemento ineludibile di una corretta interpretazione del principio di legalità (sostanziale) dell’agere amministrativo. Quanto a quest’ultimo profilo e volendo semplificare, alla base del corretto esercizio del potere regolamentare previsto dall’art. 7ter, deve collocarsi sempre e comunque, la necessità di gestire una situazione di disagio e/o (in)vivibilità (“degrado”) di rilievo locale, correlata al precipuo territorio di riferimento ed alla popolazione che ivi insiste>>
TAR Milano, III, 6 dicembre 2021 n. 2710
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Milano precisa che un’offerta che non possiede le caratteristiche essenziali e indefettibili – ossia i requisiti minimi – delle prestazioni o del bene previsti dalla lex specialis della gara risulta carente di una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato a un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta, e non depone in senso contrario la circostanza che la lex specialis non disponga espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle pretese, risolvendosi tale difformità in un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria in tal senso (Consiglio di Stato, III, 8 luglio 2021, n. 5203; anche, Consiglio di Stato, III, 14 maggio 2020, n. 3084; III, 11 dicembre 2019, n. 8429; V, 25 luglio 2019, n. 5260; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 settembre 2021, n. 2062; anche, 14 giugno 2021, n. 1445).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge della Regione Lombardia 21 maggio 2020, n. 11 (Legge di semplificazione 2020) che prevede, per il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), con valore di rinnovo, effettuato a seguito dell’emanazione delle conclusioni sulle BAT (best available techniques) ai sensi dell’art. 29-octies, comma 3, lettera a), d.lgs. n. 152 del 2006, e in assenza di modifiche che implichino l’attivazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) o di verifica di assoggettabilità a VIA, la convocazione di norma di una conferenza di servizi in forma semplificata e in modalità asincrona.
Secondo la Corte, la norma regionale si pone in contrasto con l’art. 29-quater, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, come risultante dal testo modificato dall’art. 5, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 127 del 201l; il legislatore statale ha, infatti, stabilito, in ragione della complessità di tali procedure, che la conferenza di servizi per il rilascio – e il riesame con valore di rinnovo – dell’AIA si debba svolgere in forma simultanea e in modalità sincrona.

Corte costituzionale n. 233 del 3 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Il TAR Milano, con riferimento ad un ricorso eccedente i limiti dimensionali stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dello Stato 22 dicembre 2016, n. 167 e succ. mod., osserva come tale superamento debba essere “comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l'obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine” (Consiglio di Stato, Sez. III, 12.10.2020, n. 6043).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 19 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento a un dia presentata senza allegare (entro la fine lavori) un atto di pertinenzialità richiesto dal regolamento edilizio, ritiene corretta la valutazione del Comune secondo la quale la carenza dell’atto di pertinenzialità rende non conforme al titolo e quindi abusiva la superficie realizzata e, pertanto, deve escludersi l’applicabilità al caso di specie delle disposizioni del c.d. “Piano Casa” (legge regionale n. 4 del 2012), trattandosi di “edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità, anche condonati”.
Il TAR osserva al riguardo che
<<In effetti, esaminando la concreta fattispecie oggetto di giudizio, emerge che la d.i.a. del … non è mai divenuta efficace, in assenza del vincolo unilaterale di pertinenzialità che si era impegnata a produrre la dante causa del ricorrente. Tale vincolo risultava necessario al fine di rendere conforme alla vigente regolamentazione urbanistica ed edilizia l’intervento correlato alla realizzazione di locali pertinenziali, posto che diversamente gli stessi sarebbero stati computati nella s.l.p. e avrebbero determinato il superamento della superficie ammessa, con il correlato dovere in capo al Comune di inibire l’intervento …
A conforto di tale soluzione milita la circostanza che, a differenza del caso riguardante l’adozione di un provvedimento amministrativo, qual è il permesso di costruire, il cui contenuto e gli effetti sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente, pur in presenza di un procedimento avviato o mediato da un’istanza del privato, in caso di utilizzo del modulo procedimentale riconducile alla d.i.a. (oggi s.c.i.a.) ci si trova al cospetto di un’attività e di un atto soggettivamente e oggettivamente privati (cfr. art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13 marzo 2019; Consiglio di Stato, II, 12 marzo 2020, n. 1795; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 giugno 2020, n. 1205) che, pur abilitando all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, richiedono comunque la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti stabiliti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio del rispetto della disciplina urbanistica, in carenza dei quali la segnalazione non può esplicare alcun effetto>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2603 del 24 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in una controversia concernente la debenza o meno del contributo di costruzione, ritiene tempestiva l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune resistente nella memoria ex art. 73 c.p.a.
Al riguardo il TAR osserva che “Secondo l’orientamento consolidato, infatti, nel processo amministrativo non trovano applicazione le preclusioni processuali di cui all’art. 167 cod. proc. civ.; pertanto, l’eccezione di prescrizione può essere proposta anche dopo la scadenza del termine di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate in primo grado (in tal senso, da ultimo, TRGA Trento n. 103 del 22.6.2021)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2634 del 29 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, esaminando un ricorso proposto contro il Regolamento per la qualità dell'aria, approvato dal Comune di Milano, nella parte in cui all'art. 9 («Fumo all'aperto»), ha previsto che:
«1. Fatto salvo quanto già disposto dalla vigente normativa in tema di divieto di fumo, a far data dal 1 gennaio 2021, è fatto divieto di fumare negli spazi di seguito indicati: - aree destinate a verde pubblico, salvo in luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone; - aree attrezzate destinate al gioco, allo sport o alle attività ricreative dei bambini, così come disciplinato all'art. 21, comma 7 del Regolamento comunale d'uso e tutela del verde pubblico e privato; - presso le fermate di attesa dei mezzi pubblici, incluse le fermate dei taxi, fino ad una distanza di 10 metri dalle relative pensiline ed infrastrutture segnaletiche; - aree cimiteriali; - aree cani; - strutture sportive di qualsiasi tipologia, ivi comprese le aree adibite al pubblico (ad esempio: spalti).
2. A far data dal 1 gennaio 2025 il divieto di fumo è esteso a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico, ivi incluse le aree stradali, salvo in luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone»,
ritiene che il divieto in questione costituisca una legittima manifestazione dell’autonomia comunale, riconosciuta e garantita dalla Costituzione, risultando altresì radicato su una specifica previsione di legge statuale, concernente l’esercizio del potere regolamentare per «superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana» (art. 50, T.U.E.L., commi 5 e 7-ter).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2631 del 29 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che «nel vigente ordinamento costituzionale non è configurabile una rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo effettuata prima della lesione di quest’ultimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione stessa, lo strumento di tutela non è ancora azionabile» (così, C.G.A.S. – Sez. giur., sentenza n. 75/2015).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 995 del 26 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<< è pacifico che il vigente codice dei contratti pubblici consenta l’attivazione del subappalto necessario con riferimento alle opere specialistiche (nel caso di specie la categoria OS 21); sul punto la giurisprudenza ha già precisato, in modo del tutto condivisibile, che tale tipo di subappalto, previsto in vigenza del d.l.vo n. 163/2006, è compatibile con la disciplina introdotta dal d.l.vo n. 50/2016.
Il subappalto necessario ha trovato regolamentazione nell’art. 109 del D.P.R. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione del previgente Codice dei contratti pubblici) e tale disciplina è stata abrogata e sostituita dall’art. 12, commi 1 e 2, del d.l. n. 47/2014. Lo stesso art. 12 è stato abrogato dall’art. 217 del D.Lgs. n. 50/2016, a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella, ma limitatamente ai commi 3, 5, 8, 9 e 11, sicché restano in vigore i primi due commi della norma, che disciplinano le categorie riguardanti opere speciali suscettibili di subappalto necessario in favore di imprese in possesso delle relative qualificazioni (cfr. ex multis, Tar Piemonte, sez. I, 17 gennaio 2018, n. 94; Consiglio di Stato, sez. V, 2 luglio 2018, n. 4036; Tar Calabria - Catanzaro, sez. I, 18 giugno 2020, n. 1108)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2592 del 22 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l'esercizio del particolare potere di ordinanza contingibile e urgente, delineato dall'art. 9 della L. 26 ottobre 1995, n. 447, deve ritenersi consentito allorquando gli appositi accertamenti tecnici effettuati dalle competenti agenzie Regionali di Protezione Ambientale rivelino la presenza di un fenomeno di inquinamento acustico, precisa che la norma da ultimo richiamata non può essere riduttivamente intesa come una mera (e, quindi, pleonastica) riproduzione, nell'ambito della normativa di settore in tema di tutela dall'inquinamento acustico, del generale potere di ordinanza contingibile e urgente tradizionalmente riconosciuto al Sindaco, in materia di sanità e igiene pubblica; con la conseguenza che l'utilizzo del particolare potere di ordinanza delineato dal citato art. 9 della L. n. 447 del 1995 assume carattere pressoché doveroso (in ciò decisamente differenziandosi rispetto ad altri poteri di ordinanza extra ordinem e in particolare dalle ordinanze sindacali ex artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000) in ipotesi di superamento dei valori limite accertato dalle competenti Agenzie Regionali di Protezione Ambientale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2602 del 24 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano espunge dal fascicolo processuale, in quanto inammissibile, una memoria di replica del controinteressato depositata senza il previo deposito della memoria conclusionale e nella quale sono state concentrate le difese, alterando la parità processuale tra le parti e impedendo all’avversario di controdedurre per iscritto alle difese della parte.
Al riguardo il TAR osserva:
<<come evidenziato dal Consiglio di Stato, “[l]a giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. q), D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al Codice), le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della controparte ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.), atteso che la ratio legis si individua nell’impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell’evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l’espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica con la conseguente impossibilità per l’avversario di controdedurre per iscritto (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5676). Né la memoria di replica può essere considerata prima memoria se depositata, come nel caso all’esame del Collegio, oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 73 c.p.a. (Cons. St., sez. III, 28 gennaio 2015, n. 390; 4 giugno 2014, n. 2861)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 19 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, a fronte del diniego di concludere un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 al fine di regolarizzare le difformità esistenti nell’immobile, in ragione dell’accertata carenza dei presupposti richiesti dalla legge per addivenire ad un tale accordo, osserva che il provvedimento risulta legittimo per un triplice ordine di ragioni, ovvero per l’assenza di una previsione che imponga all’Amministrazione di addivenire ad un accordo ex art. 11, sulla necessità del perseguimento di un interesse pubblico e per la mancanza di discrezionalità in capo agli Uffici comunali nell’applicazione della normativa in ambito edilizio, che di regola si presenta vincolata.

Aggiunge quindi il TAR che:
<<L’art. 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”. La predetta disposizione, in primo luogo, non impone affatto la conclusione di accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento amministrativo, ma lascia la facoltà di scelta in capo all’Amministrazione procedente (“può concludere”), che senza dubbio può determinarsi in senso negativo con riguardo alla loro stipulazione. Al di là di tale aspetto, comunque dirimente, deve poi potersi riscontrare, quale elemento necessario per poter utilizzare lo strumento convenzionale, il perseguimento dell’interesse pubblico, riferito ad attività di natura discrezionale e non vincolata, non potendosi “contrattare” con soggetti privati l’esercizio di un potere già conformato dal legislatore e quindi condizionato nella sua esplicazione (ad esempio, la potestà sanzionatoria)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2588 del 22 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, con riguardo all’ammissibilità dell’avvalimento c.d. premiale, ovvero del prestito dei requisiti oggettivi, mezzi e risorse richiesti dalla lex specialis per la valutazione dell’offerta, volto ad ottenere un punteggio maggiore, precisa che:
<<Ove pertanto il contratto di avvalimento abbia ad oggetto i requisiti di partecipazione speciali di ordine oggettivo, i mezzi, le attrezzature, le risorse ed il personale messi a disposizione dall’impresa ausiliaria devono essere considerati anche in sede di valutazione dell’offerta tecnica, ai fini dell’attribuzione dei relativi punteggi.
Ove invece il contratto di avvalimento sia utilizzato al di fuori della necessità di incrementare i requisiti richiesti dalla lex specialis per partecipare alla gara, lo strumento esula dalla fisiologica funzione pro concorrenziale per sviare verso una funzione patologica della logica ad essa sottesa, meramente incrementale della valutazione dell’offerta tecnica, senza che a ciò corrisponda “una reale ed effettiva qualificazione della proposta”.
Il contratto di avvalimento è dunque meritevole di tutela solo se l’apporto dell’impresa ausiliaria consente all’operatore economico di partecipare alla gara, mediante il prestito di requisiti oggettivi dei quali lo stesso è carente>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2439 del 5 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.








Il TAR Brescia osserva che non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’istituto della retrocessione totale ove, ancorché la richiesta di retrocessione sia fondata sulla mancata realizzazione dell’opera pubblica, non sussista a monte un procedimento espropriativo; il che accade ove le cessioni dei beni siano da qualificarsi come contratti di diritto privato e cioè siano intervenute difettando la dichiarazione di pubblica utilità e la determinazione dell’indennità di espropriazione e quindi senza l’apertura di una formale procedura espropriativa.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 965 del 17 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, al fine si deve distinguere tra roulotte e case mobili, che possono permanere nelle stesse piazzole, a campeggio chiuso, per la loro custodia, e manufatti accessori riconducibili al concetto di “preingressi”, che debbono comunque essere smontati a fine di ogni stagione, osserva che:
<<La stabilità di questi ultimi nel tempo ne determina la natura abusiva - venendo meno quella temporaneità che la norma pone come condizione essenziale per ammetterne la realizzazione in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica - e ne legittima l’ordine di rimozione.
Ciò in conformità all’ormai consolidato principio per cui “La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante” (in tal senso: Cons. Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842).
Principio che deve, naturalmente, trovare applicazione anche con riferimento alle stesse roulotte e case mobili la cui collocazione all’interno di un’area adibita a campeggio non necessita di alcun titolo edilizio solo nel caso in cui tali mezzi mobili risultino dotati di impianto rotativo funzionante. Solo ricorrendo tale presupposto oggettivo e previo smontaggio dei "preingressi", essi possono, così come affermato nel ricorso, rimanere collocati nelle piazzole anche nel corso della stagione invernale per essere ivi custoditi in forza di un apposito contratto a ciò preordinato.
Ciò che è determinante allo scopo della corretta qualificazione delle strutture adibite al campeggio (siano esse abitazioni mobili o accessori rispetto alle stesse) è, dunque, accertarne quella precarietà che è connaturale a un uso temporaneo e non permanente del manufatto adibito al pernottamento ed è garantita dalla dotazione di un impianto rotante idoneo allo spostamento, ovvero esclusa dalla sua assenza o dalla presenza di strutture adibite a “preingresso” per le loro caratteristiche non destinate alla rimozione alla fine di ogni stagione di utilizzo.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 944 del 10 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano rispetto alla contestata legittimità del riferimento – quale condizione di esecuzione dell’appalto – al rispetto di una determinata norma tecnica (nella fattispecie UNI 11799:2020), rileva come la stessa non rappresenti alcun ostacolo eccessivo alla concorrenza visto che, anche in assenza del possesso della prescritta certificazione, l’operatore avrebbe potuto fornire la dimostrazione della capacità di eseguire l’appalto secondo la richiesta metodologia. Del resto, nella individuazione dei requisiti da porre alla base della prestazione da mettere a gara è consentito all’Amministrazione di prendere a riferimento le tecniche più avanzate riguardanti il settore interessato, al fine di ottenere il prodotto migliore esistente sul mercato, e ciò può certamente avvenire attraverso il richiamo delle “buone pratiche” già sperimentate in altri contesti comparabili o da primari operatori del settore. Diversamente, nessuna innovazione sarebbe incentivata nei settori degli appalti pubblici, considerato che soltanto l’individuazione di stringenti requisiti di ammissione o esecuzione è in grado di garantire la qualità dei prodotti o dei servizi da acquisire, stante la scarsa efficacia all’opposto dell’esclusivo intervento operato nella fase di valutazione dell’offerta tecnica, a sua volta facilmente neutralizzabile dal rilievo dell’elemento prezzo con cui entra in comparazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2264 del 18 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ribadisce che, nel perseguimento degli obiettivi di tutela stabiliti dal P.T.R. e a protezione dei valori paesaggistici ivi indicati, ben possa il P.T.C.P. introdurre ulteriori disposizioni, destinate a prevalere immediatamente sugli strumenti comunali, riferite anche ad aree e a beni che non siano stati direttamente e specificamente individuati dal P.T.R. D’altra parte, il riconoscimento della possibilità per il P.T.C.P. di dettare siffatte previsioni appare del tutto rispondente alle finalità stesse dello strumento di pianificazione provinciale, cui l’articolo 15 della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce un ruolo di rilievo in tema di conservazione dei valori ambientali e paesaggistici (cfr.: T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, 8 ottobre 2014, n. 2423). L’individuazione degli ambiti destinati a far parte della Rete verde costituisce oltretutto scelta che involge interessi di carattere sovracomunale, ambientali e paesaggistici, la cui tutela è stata affidata dalla legge regionale n. 12 del 2005 – in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione – alla Regione e alle Province. Questi interessi sono dunque presi in considerazione dagli strumenti di pianificazione territoriale approvati da tali enti (P.T.R. e P.T.C.P.) e si sovrappongono agli interessi di carattere urbanistico la cui tutela è principalmente affidata ai Comuni (Consiglio di Stato, Sez. IV, 15.1.2020, n. 379; T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, 23.7.2020, n. 1433; Id., 30.6.2017, n. 1474; Id., 5.4.2017, n. 798).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2517 del 11 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riguardo al dies a quo per impugnare l’aggiudicazione qualora la stazione appaltante non abbia compiuto una comunicazione satisfattiva e completa delle informazioni della gara e dell’aggiudicazione, osserva:
<<l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2020, nel fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 120, comma 5, c.p.a. (da ultimo avallata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 28 ottobre 2021, n. 204), ha precisato che “la proposizione dell’istanza di accesso comporta la ‘dilazione temporale’ [del termine medesimo di proposizione del ricorso] quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario” senza fare alcun riferimento a meccanismi di sottrazione e aggiunta di giorni in relazione al tempo eventualmente impiegato dall’impresa ai fini della predisposizione dell’istanza di accesso. Nell’ottica della Plenaria, il dies a quo per articolare motivi di impugnazione prima non conoscibili inizia a decorrere necessariamente dall’esaudimento della pretesa ostensiva, in linea con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea circa la decorrenza del termine dalla presunta conoscenza o conoscibilità della violazione (cfr. CGUE 8 maggio 2014, C-161/13, 12 marzo 2014, C583/13, 14 febbraio 2019, C-54/18).
L’Adunanza Plenaria, interpretando l’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 (che invero si riferisce al termine per la stazione appaltante per l’ostensione dei documenti), indica poi in quindici giorni il termine entro il quale l’interessato ha l’onere di proporre istanza di accesso se si voglia giovare della dilazione temporale del termine di proposizione del ricorso.
In altre parole, qualora – come nel caso di specie – la stazione appaltante non abbia compiuto una comunicazione satisfattiva e completa delle informazioni della gara e dell’aggiudicazione e l’offerente abbia proposto una tempestiva istanza di accesso agli atti al fine di ottenere la piena conoscenza delle informazioni potenzialmente lesive, il termine per la proposizione del ricorso avverso le violazioni (conoscibili solo per mezzo di tali atti) decorre dall’ostensione dei medesimi atti>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2530 del 12 novembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale – formatosi già sull’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, poi sostituito dall’art. 164 del d.lgs. n. 490 del 1999 e, attualmente, dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 – la sanzione pecuniaria di cui all’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 si pone come alternativa alla sanzione di carattere reale della rimozione dell’opera realizzata senza autorizzazione paesaggistica, con scelta rimessa all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 gennaio 2020, n. 130; id., sez. IV, 31 agosto 2017, n. 4109). Si tratta pertanto di sanzione non avente carattere meramente afflittivo, ma anche riparatorio alternativo al ripristino dello status quo ante, tanto che, da un lato, essa viene ragguagliata al danno arrecato e al profitto conseguito mediante la trasgressione e, da altro lato, gli introiti da essa assicurati sono finalizzati ad interventi di salvaguardia e recupero dei valori ambientali. Partendo da queste premesse, la stessa giurisprudenza esclude che a tale sanzione siano applicabili le norme di cui alla legge n. 689 del 1981, ritenendo che essa, contrariamente da quanto previsto dall’art. 7 della legge n. 689 del 1981, sia trasmissibile agli eredi, e sia applicabile anche in assenza di dolo o colpa, contrariamente da quanto previsto dall’art. 3 della stessa legge (cfr. CGA 14 giugno 2021, n. 533; Consiglio di Stato, sez. II, 30 ottobre 2020, n. 6678).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2493 del 10 novembre 2021.
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Il TAR Brescia ricorda che è principio generalmente riconosciuto quello secondo cui la richiesta di riesame di un provvedimento non ingenera alcun obbligo di provvedere in ordine alla stessa in capo all’ente destinatario, con la conseguenza che non può configurarsi nessun obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi. Tale principio è efficacemente riaffermato nella recente sentenza del Consiglio di Stato n. 3277/2020, nella quale si legge che “deve escludersi la sussistenza di un dovere generalizzato dell’amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che la richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi “una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere” (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2774 del 2012, e 767 del 2013). Invero, come noto “i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1469 del 2010 e n. 4362 del 2008).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 940 del 9 novembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che l'accertamento del soggetto "responsabile" dell'abbandono incontrollato dei rifiuti, attesa la gravità delle conseguenze, economiche e anche penali, che da esso possono scaturire, deve fondarsi su un'attività istruttoria approfondita e accurata che faccia emergere, se non prove inconfutabili di tale responsabilità, quanto meno una serie di indizi gravi precisi e concordanti che possano consentire di presumerla con un grado elevato di attendibilità; l’obbligo di diligenza gravante sul proprietario di un fondo va sempre valutato secondo criteri di «ragionevole esigibilità» per cui va esclusa la responsabilità per colpa anche quando sarebbe stato possibile evitare il fatto solo sopportando un sacrificio obiettivamente sproporzionato; in tale ottica, la mancata recinzione del fondo, con effetto contenitivo dubitabile, atteso che non sempre la presenza di una recinzione è di ostacolo allo sversamento dei rifiuti, non può comunque costituire di per sé prova della colpevolezza del proprietario, rappresentando la recinzione una facoltà e non un obbligo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2476 del 9 novembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che, fatte salve le ipotesi in cui la lex specialis preveda un’espressa comminatoria di esclusione, l’omesso versamento del contributo Anac non comporta di per sé l’estromissione dalla gara.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2356 del 26 ottobre 2021.
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Il TAR Brescia ricorda che l'art. 4 della l. 9 gennaio 1989 n. 13 dispone che gli interventi volti a eliminare le barriere architettoniche previsti dall'art. 2 della legge stessa, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, possono essere effettuati anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato, precisandosi al comma 5 che “il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato” (Cons. Stato, sez. II, 14/01/2020 , n. 355).
Aggiunge che, quanto all’eliminazione delle barriere architettoniche, si è precisato che l'accessibilità è una qualità essenziale degli edifici, quale conseguenza dell'affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone con disabilità; pertanto, non rimuoverle costituisce discriminazione indiretta in danno delle persone con disabilità e consente loro il ricorso alla tutela antidiscriminatoria, quando l'accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere, dall'esistenza di una norma regolamentare apposita che attribuisca la qualificazione di barriera architettonica a un determinato stato dei luoghi (Cass. civ., sez. III, 13/02/2020, n. 3691).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 903 del 2 novembre 2021.
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Il TAR Milano, con riferimento al dovere di formulazione distinta e specifica dei motivi, imposta dall’art. 40 c.p.a., ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. In argomento il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale lo scopo dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. “è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine alla prassi dei ricorsi non strutturati secondo una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Cons. Stato, V, 31 ottobre 2016, n. 4561; 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 4 gennaio 2016, n. 8). Si è altresì rilevato che l’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm., non prescrive che il ricorso sia necessariamente articolato in una parte ‘in fatto’ e in una ‘in diritto’, graficamente distinte, sicché, per quanto tale distinzione sia preferibile e auspicabile per una maggiore chiarezza espositiva dell’atto, l’articolazione di un unico motivo, senza distinzione tra ‘fatto’ e ‘diritto’, non determina la ‘indistinzione’ dell’unico motivo, inteso e proposto quale continuum nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, anche di appello, purché esso soddisfi, ovviamente, il requisito della specificità (Cons. Stato, III, 10 aprile 2019, n. 2369; 21 luglio 2017, n. 3621)” (Consiglio di Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2343).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
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Il TAR Milano, in materia di allegazione della cauzione provvisoria all’offerta e soccorso istruttorio, osserva che:
<<la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che già nel vigore della disciplina previgente si era consolidata la tesi per cui la mancata allegazione della cauzione provvisoria all’offerta non fosse causa di esclusione, per essere, invece, la stazione appaltante tenuta ad attivare il soccorso istruttorio, invitando il concorrente ad integrare la documentazione mancante, e che tale orientamento è stato poi ribadito con il nuovo codice dei contratti pubblici, nell’assunto che il soccorso istruttorio previsto dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 sia attivabile in quanto le ragioni di invalidità della cauzione provvisoria costituiscono altrettante ipotesi di “carenze di elementi formali della domanda” ovvero ipotesi di “mancanza, incompletezza” o di “irregolarità essenziale” della documentazione allegata alla domanda di partecipazione, con la precisazione, però, che il soccorso istruttorio va a buon fine – e l’operatore può restare in gara – solo se la cauzione provvisoria presentata in sanatoria sia di data anteriore al termine per la formulazione delle domande di partecipazione, dando luogo ad una violazione della par condicio tra i concorrenti la circostanza che si consenta ad uno di essi la presentazione di una cauzione provvisoria formata successivamente alla scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione, per potersi esso in tal caso giovare di un termine più lungo per l’acquisizione della documentazione necessaria alla partecipazione alla gara, e così, probabilmente, per la natura onerosa della garanzia, poter spuntare condizioni economiche più favorevoli (v. Cons. Stato, Sez. V, 4 dicembre 2019 n. 8296);>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2221 del 14 ottobre 2021.
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Il TAR Milano, in materia di disciplina urbanistica differenziata all’interno della medesima proprietà, richiama la giurisprudenza secondo cui la pianificazione urbanistica prescinde dalla titolarità delle aree sulle quali va a incidere, così come dalla ripartizione catastale delle stesse, avendo riguardo piuttosto alle qualità di dette aree, al contesto nel quale si inseriscono e agli obiettivi di conservazione e/o di sviluppo che l’amministrazione intende perseguire. Può dunque legittimamente accadere che un’area appartenente a un unico proprietario o costituente un unico mappale catastale sia in parte assoggettata a un regime urbanistico e in parte a un altro (cfr. TAR Lombardia – Brescia, 10 marzo 2021, n. 235).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2354 del 26 ottobre 2021.
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Il TAR Milano osserva che, in virtù del dictum della Adunanza Plenaria del 2 luglio 2020, n. 12, il termine di impugnazione dell’aggiudicazione decorre, in via di principio, dalla pubblicazione integrale degli atti di gara ex art. 29 D.Lgs. 50/2016 e non piuttosto dalla comunicazione ex art. 76 D.Lgs. 50/2016; può computarsi dalla comunicazione di cui al cit. art. 76 solo ove in tale sede l’impresa interessata abbia ottenuto informazioni aggiuntive, dalle quali sia scaturita la conoscenza di ulteriori e nuovi profili di vizio da censurare.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2407 del 29 ottobre 2021.
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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 202 del 28 ottobre 2021,
<<1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali», nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge della Regione Lombardia 24 giugno 2021, n. 11, recante «Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità. Modifiche all’art. 40-bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)»;
2) dichiara, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021.>>
Corte Costituzionale n. 202 del 28 ottobre 2021.
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Il TAR Milano con riferimento alla possibilità di far valere, anche al di fuori del perimetro soggettivo delle PMI, doglianze avverso un assetto organizzativo della gara che comprometta in concreto il principio di concorrenza tra più operatori, rammenta che:
<<la prevalente giurisprudenza precisa che l’interesse a contestare la suddivisione in lotti non è riferibile solo alle piccole e medie imprese, poiché tale suddivisione e la complessiva disciplina ad essa riferibile sottendono interessi di più ampia portata.
La tendenziale preferenza dell’ordinamento per una ragionevole divisione in lotti è fondata non solo sulla notoria esigenza di favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese, ex art. 51 del d.l.vo n. 50/2016 (ed in precedenza l’art. 2, comma 1 bis, dell’abrogato d.lgs. n. 163/2006), ma anche, e soprattutto, sull’esigenza di assicurare realmente la libera concorrenza e la massima partecipazione sia al momento dell’effettuazione della gara, sia in relazione a tutto il periodo successivo di svolgimento del rapporto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1491; Consiglio di Stato Sez. III, 22 febbraio 2018 n. 1138; nello stesso senso Consiglio di Stato, Sez. III, 26 settembre 2018, n. 5534, ed in precedenza con riguardo all’art. 2, comma 1, dell’abrogato d.l.vo n. 163 del 2006: Consiglio di Stato, sez. VI, 12 settembre 2014, n. 4669; Consiglio di Stato, sez. V, 20 marzo 2007, n. 1331).
Pertanto, sussiste l’interesse dell’imprenditore che ha partecipato alla procedura a contestare la suddivisione in lotti, poiché l’illegittima ripartizione incide sulla possibilità di realizzare un’effettiva apertura alla concorrenza nel particolare mercato.
L’interesse a ricorrere non è integrato solo dal conseguimento del c.d. bene o utilità “finale”, ma si declina anche nel perseguimento di un interesse “mediano”, connesso alla caducazione dell’intero procedimento e all’eventuale nuovo esercizio del potere, veicolante l’utilità gradata consistente nella chance di un esito favorevole del procedimento rinnovato.
Ai fini della sussistenza dell’interesse a ricorrere, nella declinazione ora prospettata, è sufficiente che la chance esista, non potendosi pretendere che essa oltrepassi anche una soglia di probabilità definita ex ante (su tali profili, Consiglio di Stato sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564), fermo restando che la chance si configura quale utilità intermedia autonomamente tutelata (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019).
Insomma, è meritevole di tutela ed integra la condizione dell’azione contestata l’interesse strumentale del concorrente che potrebbe ottenere un vantaggio dalla ripetizione della gara, in seguito al suo annullamento.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2265 del 18 ottobre 2021.
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Il TAR Milano,
preso atto:
- che un Comune aveva notificato l’avviso di emanazione del permesso di costruire, informando l’interessato che l’inizio dei lavori sarebbe stato subordinato all’ottenimento dei necessari atti di assenso da parte delle Amministrazioni competenti in materia di tutela ambientale, il tutto a valle dell’esecuzione del piano di indagine ambientale;
- che il giorno successivo alla notifica dell’avviso è stato adottato il nuovo P.G.T.;
- che il Comune ha quindi comunicato l’avvio del procedimento di verifica di compatibilità del permesso di costruire con le previsioni del P.G.T. adottato nonché l’impossibilità di procedere alla notifica del richiesto permesso di costruire, concludendo che il permesso di costruire relativo all'avviso di cui sopra non era divenuto efficace, in quanto lo stesso non era stato ritirato/notificato entro la data di adozione del P.G.T;
precisa:
- che l’applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 12, comma 3, del DPR 380/2001 è riferita agli interventi edilizi che siano ancora oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione comunale al momento dell’adozione del nuovo piano, non applicandosi le misure di salvaguardia anche ad interventi edilizi già autorizzati prima del sopravvenire del nuovo strumento urbanistico;
- che nella specie si controverte intorno ad una valutazione – trasfusa in un atto che avrebbe espresso, a prescindere dalle prescrizioni apposte, un assenso all’intervento in questione – che sarebbe stata, in pratica, superata per effetto dell’adozione, il giorno seguente, di una nuova disciplina urbanistica;
- che nel caso di specie, il permesso di costruire deve invece considerarsi rilasciato con l’avvenuta notifica dell’avviso di rilascio;
- che non si può far prevaricare il comportamento materiale che pone fine al procedimento (la consegna; il ritiro del permesso) sulla manifestazione di volontà dell’Amministrazione;
- che, in conclusione, il permesso di costruire – che pure compendia profili istruttori complessi – non deve sottostare nella fattispecie alla sopravvenuta verifica di compatibilità con la nuova disciplina urbanistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2334 del 22 ottobre 2021.
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Il TAR Milano precisa che, ai sensi dell’art. 89 comma 3 del D.Lgs. n. 50/2016, in caso di avvalimento, la stazione appaltante impone all’operatore economico partecipante alla gara di sostituire i soggetti ausiliari che non soddisfano un «pertinente criterio di selezione» o per i quali sussistono «motivi obbligatori di esclusione»; la disposizione, che ricalca l’art. 63 della direttiva dell’Unione Europea 2014/24, costituisce una sorta di deroga al principio di immodificabilità del soggetto partecipante alla gara e ciò in omaggio ad esigenze di promozione della concorrenza, esigenze che sono del resto proprie della figura dell’avvalimento; ne consegue che l’Amministrazione, prima di disporre l’esclusione, deve chiedere all’esponente di procedere alla sostituzione dell’ausiliaria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2323 del 22 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che un piano attuativo d’ufficio con funzione di schema urbanistico strategico deve avere un contenuto chiaro e indicare esattamente gli effetti conformativi esercitati sulla proprietà privata, nonché l’estensione temporale di tali effetti, oltre alla disciplina applicabile successivamente.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 870 del 14 ottobre 2021.
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Il TAR Milano precisa che, in sede di individuazione dei lotti, sono giustificate delle compressioni alla concorrenza solo in presenza di motivate esigenze organizzative o economiche che non possano trovare adeguato soddisfacimento in altro modo.
Ne consegue che ogni deroga al principio della necessaria suddivisione in lotti, che è presidio di tutela per il favor partecipationis delle imprese che non siano in grado di soddisfare le richieste del bando proprio a causa della predetta mancata ripartizione in lotti funzionali, deve essere misurata con il parametro dell’equilibrato bilanciamento dei valori che la norma sottende, sicché, tanto più elevato è il sacrificio che si richiede alle esigenze partecipative delle imprese, tanto più rigorosa dovrà essere la motivazione della deroga, da giustificarsi in ragione dell’elevato valore delle esigenze tecnico-organizzative o economiche rappresentate dall’amministrazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2265 del 18 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che l’individuazione del responsabile dell’inquinamento ambientale può basarsi anche su elementi indiziari (quali, a mero titolo esemplificativo, la tipica riconducibilità dell’inquinamento rilevato all’attività industriale condotta sul fondo o la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato), giacché la prova può essere data in via diretta o indiretta, potendo cioè, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ. (cfr., ex multis, T.A.R. Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562; T.A.R. Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202; T.A.R. Bologna, Sez. II, 29 ottobre 2020, n. 677). Laddove l’amministrazione abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l’ascrivibilità dell’inquinamento a un soggetto, spetta a quest’ultimo l’onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un’incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare – con pari analiticità – la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell’inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2236 del 15 ottobre 2021.
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Secondo il TAR Milano, se è pur vero in linea di principio che l’attività demandata all’amministrazione comunale per la classificazione acustica del proprio territorio si connota in termini ampiamente discrezionali, sia quanto alla delimitazione delle singole zone, sia quanto alla loro classificazione, è altresì vero che tra i parametri legali di ineludibile rispetto della concreta azione amministrativa svolta in materia di zonizzazione acustica, vi è il rispetto del c.d. preuso del territorio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2241 del 15 ottobre 2021.
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Secondo il TAR Milano, nei RTI orizzontali la circostanza che le imprese partecipanti distinguano le parti del servizio che saranno eseguite da ciascuna di esse non esclude il carattere orizzontale del raggruppamento. Milita in tal senso innanzi tutto un dato letterale, vale a dire la previsione del comma 4 dell’art. 48 del codice, secondo cui nel caso di servizi devono essere specificate le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori riuniti e ciò a prescindere dalla qualificazione del RTI come verticale oppure orizzontale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2156 del 6 ottobre 2021.
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Il TAR Milano, con riguardo alla possibilità del rinnovo o del rilascio della procura alle liti, ribadisce che l’art. 182, comma 2, c.p.c. non può essere ritenuto applicabile al processo amministrativo. In primo luogo, l’art. 182, comma 2, c.p.c. non è espressione di un principio generale, in quanto il processo amministrativo, a differenza di quello civile – che ammette anche il conferimento di un mandato generale alle liti – impone il conferimento del mandato speciale prima della sottoscrizione del ricorso da parte del difensore, trattandosi di processo strutturato come prevalentemente di impugnazione; inoltre il predetto art. 182, comma 2, c.p.c. non può ritenersi compatibile con i principi propri del processo amministrativo, atteso che la previsione di un termine decadenziale per la notifica del ricorso presuppone necessariamente il previo conferimento del mandato speciale, con riferimento allo specifico atto oggetto di impugnazione. Detta disposizione implicherebbe la sanatoria di una decadenza specificamente comminata dal codice – quale è quella correlata al rispetto del termine per la proposizione dell’azione di annullamento – sicché si tratta di norma incompatibile con controversie di tale tipo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2253 del 15 ottobre 2021.
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