Il TAR Milano, esaminando un ricorso contro il Regolamento per la qualità dell'aria, approvato dal Comune di Milano con deliberazione del Consiglio Comunale n. 56, del 19.11.2020, nella parte in cui (art. 3, commi 1 e 2) vieta:
a) di installare (anche in sostituzione) generatori di calore per impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW o a essi assimilati ai sensi della normativa regionale vigente, nonché apparecchi di riscaldamento localizzato alimentati con gasolio, kerosene e altri distillati leggeri e medi di petrolio e loro emulsioni; b) di utilizzare i medesimi impianti a far data dal 1° ottobre 2022,
ritiene che il potere esercitato vada ricondotto all’art. 50, comma 7 ter, del d.lgs. 267 del 2000, introdotto dall’art. 8 del d.l. n. 14 del 20.02.2017 (conv. l. 18 aprile 2017 n. 48).

Osserva al riguardo il TAR che:
<<Per quanto qui rileva, la norma dispone che “i comuni possono adottare regolamenti nelle materie di cui al [precedente] comma 5, secondo periodo”, così indicando quelle “situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana” che, ricorrendo l’ulteriore presupposto dell’urgente necessità di intervento, e prima della modifica normativa, avrebbero giustificato il (solo) ricorso al diverso potere sindacale di ordinanza contingibile e urgente.
L’addenda normativa, letta nel contesto dell’intera disposizione recata dall’art. 50, ha inteso affiancare allo strumento sindacale – utile a fronteggiare, come detto, situazioni contingenti e non altrimenti gestibili – un potere ordinario (consiliare), destinato a risolvere problematiche locali di identica natura, ma connotate, all’evidenza, da una tendenziale permanenza, idonea a travalicare la portata ed i limiti dei poteri attribuiti al Sindaco e, per l’effetto, bisognevoli di una gestione “strutturale” di lungo periodo. Così ricostruita la ratio del comma 7ter, è evidente che il legislatore del 2017 - nell’ intento, da un lato, di ridefinire i confini netti del potere sindacale e, dall’altro, di individuare mezzi più idonei ed efficaci a rispondere alle esigenze della comunità locale - si è mosso nel quadro del progressivo incremento di quei moduli di autonomia regolamentare, già riconosciuti, ad ampio spettro, dal dettato Costituzionale (art. 5, 114 e 117, comma 6, per cui: “I Comuni […] hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”) e dalle legge ordinaria (in primis, art 3, commi 1 e 4 del T.U.E.L, per cui “Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome” e “I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica”). E ciò nella consapevolezza che limite ultimo all’esercizio di un tale potere regolamentare è e resta sempre il collegamento funzionale con la cura degli interessi della comunità rappresentata che – quanto agli enti locali – si presenta come elemento ineludibile di una corretta interpretazione del principio di legalità (sostanziale) dell’agere amministrativo. Quanto a quest’ultimo profilo e volendo semplificare, alla base del corretto esercizio del potere regolamentare previsto dall’art. 7ter, deve collocarsi sempre e comunque, la necessità di gestire una situazione di disagio e/o (in)vivibilità (“degrado”) di rilievo locale, correlata al precipuo territorio di riferimento ed alla popolazione che ivi insiste>>
TAR Milano, III, 6 dicembre 2021 n. 2710
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.