Il TAR Milano a fronte di una censura che postula l’assenza di un presupposto normativo per lo svolgimento del procedimento finalizzato alla valutazione di incidenza su sito di importanza comunitaria (SIC), osserva che la stessa si pone in evidente e chiara contraddizione con la richiesta inoltrata dalla stessa ricorrente e finalizzata, per l’appunto, proprio ad ottenere la valutazione di incidenza sul sito importanza comunitaria, sulla base della sua ritenuta necessità.
Precisa, al riguardo, il TAR che: «un siffatto comportamento, con il quale, sostanzialmente, la ricorrente agisce in giudizio negando lo stesso presupposto sul quale aveva invece basato la propria iniziativa in sede amministrativa, costituisce, ad avviso del Collegio, una palese violazione dei canoni della buona fede e correttezza “che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico […] con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes” (T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, 09/09/2019, n. 10797), integrando un’ipotesi di abuso del diritto (processuale) vietata dall’ordinamento, per come da tempo sancito dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale (Consiglio di Stato, sez. V, 27/3/2015, n. 1605; idem, 27 aprile 2015, n. 2064; Sez. III, 13-04-2015, n. 1855; T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, 09/09/2019, n. 10797; TAR Campania, III, 10 gennaio 2018, n. 154; T.A.R. Lombardia, I, 19 novembre 2018, n. 2603 per cui: “Espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, […]è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium”).
Circostanza, che, in applicazione del principio per cui, un diritto, se esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge, cessa di ricevere tutela, comporta, “l’inammissibilità, prima ancora che l’infondatezza della doglianza” (T.A.R. Lazio, cit.)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1 del 30 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato precisa che «se è vero che, nel processo amministrativo, l’omesso deposito di copia autenticata non può determinare l'improcedibilità ovvero l'inammissibilità del gravame, in quanto l’art. 94 c.p.a., nel disporre che nel giudizio di appello, unitamente al gravame, deve essere depositata anche una copia della sentenza impugnata, non richiede che si tratti necessariamente di una sua copia autentica, come invece è previsto espressamente dall’art. art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., l’inammissibilità dell’appello deve essere, al contrario, dichiarata nel caso di mancata produzione in grado di appello di alcuna copia della sentenza impugnata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2014 n. 2773 nonché, più di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 19 febbraio 2019 n. 1136)».

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 7133 del 17 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano «Non è … possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 gennaio 2018 n. 269).
E ciò a maggior ragione tenuto conto che si tratta di cooperative sociali e Onlus, che per loro natura agiscono per scopi sociali e mutualistici e non commerciali, avendo una vocazione non lucrativa.
La finalità lucrativa non è estensibile a soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici, per i quali l’obbligatoria indicazione di un utile d’impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa, con l’imposizione di un’artificiosa componente di onerosità della proposta. Ne deriva che, diversamente da quanto accade per gli enti a scopo di lucro, l’offerta senza utile presentata da un soggetto che tale utile non persegue non è, solo per questo, anomala o inaffidabile, in quanto non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio strictu sensu economico (Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2016 n. 3855)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2592 del 24 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano richiama «l’orientamento secondo cui la costruzione oggetto della domanda di sanatoria edilizia deve essere considerata unitariamente. Infatti la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio esclude la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti prive di autonomia funzionale. Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa. Del resto, una volta che risulti l'inaccoglibilità di una istanza per come è stata proposta, l'Amministrazione legittimamente la respinge, senza porsi la questione se una diversa istanza - in ipotesi - avrebbe potuto avere un esito diverso (Cons. Stato, VI, 2 luglio 2018, n. 4033). E’ stato precisato che ai fini della valutazione della domanda di sanatoria edilizia, il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate, vale a dire che la costruzione non può essere scissa nei vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa; va esclusa, pertanto, la possibilità di una sanatoria parziale ed è legittimo il rigetto integrale dell'istanza relativa alla costruzione abusiva nella sua interezza, senza che il Comune debba interrogarsi su quale sarebbe l'esito se l'istanza fosse stata confezionata diversamente (T.A.R. Toscana, sez. III, 18/09/2019, n.1247)».
Aggiunge tuttavia il TAR che «pur riaffermando il principio per cui è precluso il rilascio di una sanatoria parziale perché ciò significherebbe accordare al richiedente un titolo diverso nel contenuto rispetto alla domanda da lui presentata, la giurisprudenza continua a far salvo il particolare caso in cui la relazione tecnica illustrativa della domanda di sanatoria risulti scindibile in parti autonome, avuto riguardo in particolare all’impiego di più modelli per la redazione della domanda (Cons. Stato, II, 16 aprile 2020, n. 2434)» (come nel caso esaminato dal TAR ove gli abusi presentavano una loro autonomia e netta distinzione, sia dal punto di vista temporale, sia funzionale).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2575 del 22 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano a fronte di un ricorso con il quale vengono impugnati i provvedimenti con i quali sono state approvate le graduatorie provinciali delle supplenze, unitamente alle graduatorie stesse, nella parte in cui hanno attribuito al ricorrente un punteggio inferiore a quello ritenuto spettante, evidenziando altresì delle violazioni procedimentali, declina la propria giurisdizione e precisa che:
«Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie in materia di concorsi pubblici finalizzati all'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ex art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, è limitata alle vere e proprie procedure concorsuali che iniziano con l'emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione di una graduatoria finale di individuazione dei vincitori che andranno a ricoprire i posti messi a concorso. Partendo da questa premessa, la stessa giurisprudenza esclude che la suddetta norma trovi applicazione nelle fattispecie che si caratterizzano per la formazione di apposite graduatorie in cui vengono inseriti tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti (anche derivanti dalla partecipazione a concorsi) e che sono preordinate al conferimento dei posti di lavoro che si renderanno via via disponibili nel tempo. In quest’ultima categoria rientrano proprio le procedure di formazione e gestione delle graduatorie permanenti del personale docente e delle relative graduatorie provinciali per le supplenze i cui atti, non essendo ascrivibili ad altre categorie di attività autoritativa, si ritiene non possano che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità ed i poteri del datore del lavoro privato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, di fronte ai quali sono configurabili soltanto diritti soggettivi, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario ( cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 9 dicembre 2020, n. 2405, 2408 e n. 2413; Consiglio di Stato, ad. plen. 12 luglio 2011, n. 11; T.A.R. Piemonte, sez. II, 5 agosto 2016, n.1110; T.A.R. Sicilia Catania, 21 novembre 2014, n. 3057; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 4 giugno 2014, n. 575, T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 6 marzo 2013, n. 474; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 27 marzo 2006, n. 719)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2511 del 16 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che quanto al numero di lotti aggiudicabili, l’art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che “Le stazioni appaltanti possono, anche ove esista la possibilità di presentare offerte per alcuni o per tutti i lotti, limitare il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente, a condizione che il numero massimo di lotti per offerente sia indicato nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse, a presentare offerte o a negoziare”; l’introduzione di un limite massimo di lotti aggiudicabili rappresenta una facoltà e non già un obbligo a carico delle stazioni appaltanti, facoltà che, per di più, deve specificamente trovare espressione nel bando di gara; il limite massimo di lotti aggiudicabili, quindi, costituisce una deroga alla regola generale per cui non vi sono limiti ai lotti aggiudicabili a un solo concorrente; in quest’ottica, la possibilità di stabilire un limite alla aggiudicazione di tutti i lotti di cui all’articolo 51 del Codice dei contratti è una facoltà discrezionale il cui mancato esercizio non è – da solo e di per sé — sintomo di illegittimità.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2552 del 18 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la nozione di pergotenda è riferibile solo ad opere che, pur non essendo destinate a soddisfare esigenze precarie, non necessitano di titolo abilitativo in considerazione della consistenza, delle caratteristiche costruttive e della sua funzione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3309; Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8190); tale tipologia di intervento non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità, dell’assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3309); deve quindi trattarsi di un mero arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all’appartamento cui accede, in quanto tale riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (così Consiglio di Stato, sez. VI, 11 aprile 2014, n. 1777).


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2472 del 10 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che «Il nostro ordinamento, anche in considerazione del favor del diritto europeo per la partecipazione alle gare ad evidenza pubblica dei soggetti riuniti, quale che sia la forma giuridica di tale aggregazione, non vieta le ATI c.d. sovrabbondanti, sicché, come precisato dalla giurisprudenza, non può ritenersi illegittima l’ammissione in gara, e la successiva aggiudicazione della stessa, in favore di una associazione temporanea di imprese la cui mandataria sia in possesso dei requisiti per partecipare alla gara singolarmente, e quindi “sovrabbondante e/o sovradimensionata” in relazione alle esigenze della stazione appaltante, nel caso in cui la lex specialis non contempli uno specifico divieto di costituzione di raggruppamenti “sovrabbondanti”; invero, in assenza di uno specifico divieto del bando in tal senso, risulta pienamente legittima la partecipazione alla gara della medesima ATI (C.d.S., n. 560/2017; T.A.R. Puglia - Bari, n. 14/2015)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2517 del 17 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, secondo periodo, limitatamente alla parte in cui prevede che i vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi decadono qualora, entro cinque anni decorrenti dall’entrata in vigore del piano stesso, l’intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere pubbliche e relativo aggiornamento.
Osserva al riguardo la Corte che:
<<le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 9, comma 12, della legge reg. n. 12 del 2005 sono fondate, poiché tale disposizione viola gli artt. 42, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost.
Non può che ribadirsi, nel solco della sentenza n. 179 del 1999, che la proroga in via legislativa dei vincoli espropriativi è fenomeno inammissibile dal punto di vista costituzionale, qualora essa si presenti «sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza».
Questo è proprio il vizio che presenta, in primo luogo, la disposizione censurata.
Come correttamente evidenziato dal giudice rimettente, infatti, l’art. 9, comma 12, secondo periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, consente la protrazione dell’efficacia del vincolo preordinato all’esproprio ben oltre la naturale scadenza quinquennale e, in virtù dell’inclusione dell’aggiornamento annuale del programma triennale delle opere pubbliche nell’ambito applicativo della norma, per un tempo sostanzialmente indefinito, senza che sia previsto il riconoscimento al privato interessato di alcun indennizzo.
Questo effetto si pone in frontale contrasto con la giurisprudenza costituzionale illustrata in precedenza, dando seguito alla quale il legislatore statale ha individuato un ragionevole punto di equilibrio tra la reiterabilità indefinita dei vincoli e la necessità di indennizzare il proprietario.
Gli artt. 42, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. sono, infatti, violati in tutti i casi in cui – come avviene nella specie – alla protrazione automatica di vincoli di natura espropriativa, disposta da una legge regionale oltre il punto di tollerabilità individuato dal legislatore statale, non corrisponda l’obbligo di riconoscere un indennizzo.
A ciò si aggiunga che, nel consentire la proroga senza indennizzo del vincolo preordinato all’esproprio oltre il quinquennio originario, il legislatore regionale ha omesso di imporre un preciso onere motivazionale circa l’interesse pubblico al mantenimento del vincolo per un periodo che oltrepassa quello cosiddetto di franchigia: ciò che invece è richiesto dalla legge statale (art. 9, comma 4, t.u. espropriazioni) per le ipotesi di reiterazione del vincolo.
Ancora, e si tratta di un profilo che non risulta certo ultimo per importanza, la disposizione censurata appare del tutto carente quanto al livello di garanzia partecipativa da riconoscersi al privato interessato.
Proprio in materia espropriativa, questa Corte ha da tempo affermato che i privati interessati, prima che l’autorità pubblica adotti provvedimenti limitativi dei loro diritti, devono essere messi «in condizioni di esporre le proprie ragioni, sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico» (da ultimo, sentenza n. 71 del 2015).
La garanzia in parola è, invece, frustrata da un atto – l’approvazione del programma triennale delle opere pubbliche – in relazione al cui contenuto il codice dei contratti pubblici prevede forme di partecipazione di qualità e grado insufficienti, e comunque non corrispondenti a quelle stabilite dal t.u. espropriazioni (in particolare nell’art. 11) per gli atti appositivi e per quelli reiterativi del vincolo espropriativo.
Infatti, la partecipazione al procedimento che sfocia nel programma in questione è prevista esclusivamente dalla fonte regolamentare (d.m. n. 14 del 2018), non già dall’art. 21 cod. contratti pubblici e nemmeno dalla legge regionale. Inoltre, e soprattutto, l’art. 5, comma 5, del d.m. prima ricordato si limita a prevedere che le «amministrazioni possono consentire la presentazione di eventuali osservazioni» da parte dei privati interessati, così degradando la partecipazione a mera eventualità>>.

Corte Costituzionale n. 270 del 18 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Il TAR Milano osserva che «Come già evidenziato da questa Sezione in plurime occasioni (sentenze 23 luglio 2020, n. 1433; 16 marzo 2020, n. 489; 30 giugno 2017, n. 1474; 15 dicembre 2017, n. 2394) le previsioni riguardanti la Rete verde di ricomposizione paesaggistica, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, possiedono una efficacia prescrittiva e prevalente in quanto appaiono certamente riconducibili al novero delle “previsioni in materia di tutela dei beni ambientali e paesaggistici in attuazione dell’articolo 77”, di cui alla lett. a dell’art. 18, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005.
Difatti, l’art. 77 richiede la conformazione di tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica agli “obiettivi” e alle “misure generali” di tutela paesaggistica, con facoltà di introdurre “previsioni conformative di maggiore definizione che, alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dal PTR”. La disposizione normativa non contiene, invero, alcun riferimento ad aree o a specifici beni di rilevanza paesaggistica, ma solo a “obiettivi”, “misure generali” e “valori paesaggistici” indicati dal P.T.R. (cfr. sul punto in maniera specifica, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 giugno 2017, n. 1474).
Deve quindi ritenersi che, nel perseguimento degli obiettivi di tutela stabiliti dal P.T.R. e a protezione dei valori paesaggistici ivi indicati, ben possa il P.T.C.P. introdurre ulteriori disposizioni, destinate a prevalere immediatamente sugli strumenti comunali, riferite anche ad aree e a beni che non siano stati direttamente e specificamente individuati dal P.T.R.
D’altra parte, il riconoscimento della possibilità per il P.T.C.P. di dettare siffatte previsioni appare del tutto rispondente alle finalità stesse dello strumento di pianificazione provinciale, cui l’articolo 15 della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce un ruolo di rilievo in tema di conservazione dei valori ambientali e paesaggistici (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 8 ottobre 2014, n. 2423).
L’individuazione degli ambiti destinati a far parte della Rete verde costituisce oltretutto scelta che involge interessi di carattere sovracomunale, ambientali e paesaggistici, la cui tutela è stata affidata dalla legge regionale n. 12 del 2005 – in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione – alla Regione e alle Province. Questi interessi sono dunque presi in considerazione dagli strumenti di pianificazione territoriale approvati da tali enti (P.T.R. e P.T.C.P.) e si sovrappongono agli interessi di carattere urbanistico la cui tutela è principalmente affidata ai Comuni (Consiglio di Stato, IV, 15 gennaio 2020, n. 379; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 23 luglio 2020, n. 1433; 30 giugno 2017, n. 1474; 5 aprile 2017, n. 798)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2492 del 14 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ribadisce che «va attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli, a tutti i vincoli, che non solo non sono esplicitamente preordinati all'esproprio in vista della realizzazione di un'opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da parte dei privati, e ciò in linea con quanto statuito dalla Corte costituzionale, per la quale non sono annoverabili tra i vincoli espropriativi quelli derivanti da scelte urbanistiche realizzabili anche a mezzo dell'iniziativa privata; in sostanza sono conformativi - e al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e quindi non sussiste un dovere di ritipizzazione - i vincoli che importano una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e, quindi, siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di ablazione del bene».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2473 del 11 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, con riguardo alla natura e alla funzione degli istituti della sanatoria edilizia e dell’accertamento di compatibilità paesaggistica e alla possibilità per detti istituti ad avere ad oggetto interventi abusivi che necessitino di ulteriori lavori di regolarizzazione, ricorda che : «La giurisprudenza ha chiarito, al riguardo, che “il permesso di costruire in sanatoria ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 è finalizzato alla regolarizzazione degli abusi meramente formali - vale a dire di interventi che, pur effettuati senza il preventivo rilascio del titolo abilitativo edilizio, risultino conformi alla normativa urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione e al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria - e non può riguardare, in conseguenza, interventi abusivi che necessitino di ulteriori lavori di regolarizzazione” (cfr. T.A.R. Torino, sez. II, 2 luglio 2019, n. 749). Analogamente, è stato affermato che “Nel rendere il parere di compatibilità paesaggistica per la sanatoria prevista dall'art. 1, commi 37, 38 e 39, l. n. 308 del 2004, l'Amministrazione preposta alla gestione del vincolo è tenuta ad esaminare l'oggetto dell'istanza nel suo stato attuale, senza che sussista alcun obbligo di indicare prescrizioni finalizzate a rendere l'opera compatibile con il contesto paesaggistico” (T.A.R. Genova, sez. I, 08/06/2016, n. 579)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 839 del 1 dicembre 2020.
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Il TAR Milano ricorda che:
«Come noto, l’art. 80 comma 5 lettera “c” citata (oggi lettera “c-bis” dopo le modifiche introdotte dal decreto legge n. 135/2018 convertito con legge n. 12/2019), consente alle stazioni appaltanti di desumere il comportamento di gravi illeciti da ogni pregressa vicenda professionale dell’operatore economico; da ciò consegue l’onere per l’operatore di portare a conoscenza dell’amministrazione le informazioni relative alla propria attività, per consentire all’amministrazione stessa una ponderata valutazione dell’integrità e dell’affidabilità di ogni partecipante alla gara (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6615/2020, oltre a sez. III n. 6530/2020 e sez. VI, n. 6743/2020; fra la numerose decisioni di primo grado, preme citare TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sentenza n. 806/2020 e TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza n. 1881/2020).
Spetterà poi all’amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, apprezzare le vicende professionali dell’impresa partecipante, per individuare il punto di rottura dell’affidamento del futuro contraente (sul punto preme rinviare altresì alla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 16/2020)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2456 del 9 dicembre 2020.
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Il TAR Milano, in presenza di provvedimento che costituisce presupposto di validità di un provvedimento consequenziale e non un elemento essenziale dello stesso, precisa che:
«il suo intervenuto annullamento in sede giurisdizionale non determina la caducazione automatica dell’atto conseguente (sulla nozione di atto presupposto, da ultimo, Consiglio di Stato, III, 10 novembre 2020, n. 6922), ma semplicemente ne vizia il contenuto, con l’effetto che se l’atto conseguente non viene rimosso dall’ordinamento – dall’Amministrazione in via di autotutela, oppure, con una pronuncia di tipo costitutivo, dal giudice – lo stesso si consolida e diviene inoppugnabile. Difatti, non sempre ciò che segue cronologicamente si pone in rapporto di causalità giuridica con ciò che lo precede, visto che l’atto successivo può ritenersi travolto dall’annullamento dell’atto presupposto soltanto allorquando il primo costituisca la specifica, ulteriore (e unica) manifestazione del vizio che ha afflitto il secondo, con la conseguenza che, ravvisato tale vizio, esso non può che congiuntamente invalidare, con effetto caducante, ciò che ne è il prolungamento. Un diverso regime deve applicarsi alle «vicende amministrative che traggono spunto da un assetto fattuale determinato da atti eventualmente illegittimi, ma che, rispetto a questi ultimi, non ne amplificano il vizio, ma, muovendo da quella condizione, evolvono in episodi della vita affatto autonomi. Non è infrequente, in altri termini, che gli estremi di fatto che si concedono all’azione amministrativa siano indotti da provvedimenti che precedono quest’ultima in via temporale, senza peraltro pregiudicarla giuridicamente: sono i casi in cui il post hoc non diviene giuridicamente un propter hoc. Nel linguaggio della giurisprudenza, infatti, l’effetto caducante è del tutto eccezionale, ed esige e “l’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale”, e che il secondo atto sia “inevitabile ed ineluttabile conseguenza (ndr: dell’atto presupposto) e senza necessità di nuove valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi” (ad es. Cons. Stato, sez. IV. n. 3001 del 2018; id. sez. V, n. 2168 del 2018)» (T.A.R. Lazio, Roma, II quater, 6 novembre 2020, n. 11551)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2367 del 2 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si segnala il VII Convegno annuale della Società Lombarda degli Avvocati Amministrativisti - SOLOM: "Il processo amministrativo al vaglio della normativa e della giurisprudenza europea" che si terrà il 14 dicembre 2020 sulla piattaforma Zoom dalle ore 14:30 alle ore 16:30.


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Il TAR Brescia ritiene illegittima una disposizione di un PGT che assoggetta a preventiva autorizzazione comunale l’abbattimento di alberi di alto fusto siti all’interno di aree agricole di proprietà privata e subordinatamente alla presentazione da parte del richiedente di un progetto di ripiantumazione o comunque di sostituzione delle piante ritenuto adeguato dall’Amministrazione.
Osserva al riguardo che «norma in questione è stata adottata in assenza di una previsione normativa di rango sovraordinato che la legittimasse, in violazione del principio di legalità che governa e condiziona la legittimità dell’azione amministrativa. Lo stesso art. 10 comma 4 della Legge Urbanistica Lombarda (L.R. 12/2005), nel prevedere che “Il piano delle regole: a) per le aree destinate all'agricoltura: 1) detta la disciplina d'uso, di valorizzazione e di salva-guardia”, aggiunge che tale disciplina deve essere dettata “in conformità con quanto previsto dal titolo terzo della parte seconda”, ossia in conformità con quanto previsto dagli artt. 59 e ss. della stessa legge regionale, i quali dettano norme specificamente riferite alla attività di “edificazione” consentita nelle aree destinate all’agricoltura, senza attribuire al pianificatore comunale poteri ulteriori genericamente riferiti ad ogni possibile utilizzazione del suolo, che possano in qualche modo legittimare previsioni pianificatorie dirette ad incidere in senso limitativo sull’esercizio di facoltà dominicali tipiche quali la scelta delle colture praticabili (come nel caso deciso dalla Sezione nel precedente sopra citato del 2005) o l’abbattimento delle alberature di proprietà privata (come nel caso qui in esame). E tali considerazioni consentono persino di prescindere dal rilevare, comunque, la palese irragionevolezza di una previsione regolamentare, quale quella (omissis) in questione, che, a rigore, imporrebbe agli imprenditori agricoli di richiedere la preventiva autorizzazione comunale anche per procedere al taglio di un solo albero di alto fusto (o, addirittura, di una sola ceppaia) sui terreni di loro proprietà, visto che la norma non ricollega la necessità dell’autorizzazione al ricorrere di soglie quantitative minime di alberature o di ceppaie da abbattere».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 796 del 16 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene ritualmente notificato un ricorso all’indirizzo p.e.c. estratto dal pubblico registro IPA in quanto non presente alcun indirizzo nel registro PP.AA., ai sensi dell’art. 16 ter DL 18/10/2012, n. 179, come modificato dall’art. 28, DL 16/07/2020 n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2382 del 3 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Per il TAR Brescia è illegittima la previsione del PGT che subordina il rilascio del titolo edilizio autorizzatorio degli interventi di ampliamento in una zona produttiva al preventivo parere favorevole dell’ufficio tecnico comunale, ciò in quanto:
«il rilascio di titolo abilitativo all'edificazione (e corrispondentemente il diniego) costituisce atto amministrativo vincolato alla verifica della conformità della richiesta alla disciplina urbanistico-edilizia (cfr., C.d.S., Sez. II, sentenza n. 3972/2019; C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 3317/2018). Conseguentemente, nel procedimento di rilascio non vi può essere spazio per una valutazione di tipo discrezionale, segnatamente sotto forma di parere dell’Ufficio tecnico. Se il progetto è congruente alla strumentazione urbanistica, il permesso di costruire deve essere rilasciato; in caso contrario, deve essere denegato (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 18/2019)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 785 del 12 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano è legittima l’esclusione dalla gara del concorrente che non ha allegato la copia fotostatica del documento di identità del dichiarante, trattandosi di omissione che, ai sensi dell'art. 83, c. 9 D.Lgs. 18.4.2016, n. 50, non può essere sanata con il soccorso istruttorio.
Tuttavia, per il TAR, ove le dichiarazioni asseritamente carenti, siano sottoscritte con firma digitale, va considerato che dal combinato disposto dell'art. 65, c. 1, lett. a) del Codice dell'amministrazione digitale, e dell'art. 77, c. 6, lett. b) del Codice dei contratti, l'apposizione della firma digitale, a cagione del particolare grado di sicurezza e di certezza nell'imputabilità soggettiva che la caratterizza, è di per sé idonea a soddisfare i requisiti dichiarativi di cui al c. 3 dell'art. 38 del D.P.R. n. 445/2000, anche in assenza dell'allegazione di copia del documento di identità del dichiarante; la ratio della previsione dell’onere di produrre una copia del documento di identità, strettamente legata alla necessità per l’Amministrazione di identificare il richiedente, viene meno nel caso in cui le istanze o le dichiarazioni siano invece inviate per via telematica, prevedendo infatti il c. 2 del citato art. 38, che “sono valide se effettuate secondo quanto previsto dall'articolo 65 del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82”.
Ne consegue, per il TAR, che la prescrizione della lettera di invito che commina l’esclusione delle offerte economiche prive di copia del documento d’identità dell’offerente, è in contrasto con il disposto dell’art. 83, c. 8, del D.Lgs. n. 50/2016 laddove le stesse siano state sottoscritte con firma digitale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2395 del 4 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, con riferimento alla possibile rimozione dei vizi dopo l'annullamento del permesso di costruire, precisa:
«19. L’art. 38 del DPR 380/2001 tutela il soggetto che esegue un intervento edilizio confidando senza colpa nella legittimità del permesso di costruire poi annullato. La tutela consiste nella facoltà di ottenere un nuovo titolo edilizio previa “rimozione dei vizi delle procedure amministrative”. Questa formula è stata variamente interpretata in giurisprudenza, ma recentemente si è affermata una tesi restrittiva, che limita la regolarizzazione alle questioni di forma e di procedura, con esclusione dei vizi sostanziali, allo scopo di evitare che “la conservazione dell'immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali” (v. CS Ap 7 settembre 2020 n. 17).
20. Prendendo come riferimento quest’ultima precisazione, sembra ragionevole ritenere che il confine tra l’ammissibilità e il divieto della riedizione del titolo edilizio annullato passi per la conformità con la disciplina urbanistica attuale. Più precisamente, se attraverso la rinnovazione dell’istruttoria è possibile dare un diverso fondamento giuridico all’edificazione nel rispetto della disciplina urbanistica attuale, il rilascio di un nuovo titolo edilizio appare ammissibile, in quanto viene salvaguardato l’equilibrio tra l’affidamento del privato e l’interesse pubblico di natura pianificatoria. Al contrario, se il mantenimento di quanto edificato introducesse un elemento incongruo rispetto alla disciplina urbanistica, tale equilibrio non sarebbe rispettato, perché il titolo edilizio annullato e rieditato avvantaggerebbe solo il privato, spezzando l’omogeneità della disciplina di zona. In questo caso, dovrebbe essere ingiunta la demolizione, e in alternativa la fiscalizzazione, se la demolizione, secondo il prudente apprezzamento dell’amministrazione, non fosse tecnicamente praticabile.
21. Per il rilascio di un nuovo titolo edilizio in luogo di quello annullato non è necessaria la doppia conformità, che è invece prevista per la sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. Quest’ultima fattispecie e quella dell’art. 38 del DPR 380/2001 si distinguono perché in un caso viene posto in essere un comportamento illegittimo, mentre nell’altro il comportamento è assistito dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi (v. ancora CS Ap 17/2020 sopra citata). Ne consegue che per il passato vale l’apparenza giuridicamente qualificata, mentre è sufficiente che la conformità urbanistica sussista al momento del rilascio del nuovo titolo, in modo che sia certa la coerenza tra l’edificazione e la versione più recente dell’interesse pubblico di natura pianificatoria».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 777 del 9 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento ai requisiti generali, di capacità tecnica e finanziaria in caso di partecipazione a una gara di appalto da parte di un consorzio, precisa che:
«mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria riguardano il consorzio, se quelli di ordine generale fossero accertati solamente in capo a quest’ultimo, e non anche ai consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura, consentendo la partecipazione di soggetti privi dei necessari requisiti, derivandone che i requisiti di ordine generale devono essere posseduti individualmente dalle singole imprese consorziate (C.S., Sez. V, 5.6.2018, n. 3384).
Conseguentemente, in base a quanto disposto nel c. 7 bis dell’art. 48 cit. [del d.lgs. n. 50 del 2016 n.d.a.], la designazione di un’impresa diversa da quella indicata in sede di gara è consentita a condizione che la modifica soggettiva non sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione in capo all'impresa consorziata.
[Omissis] l'assenza di requisiti in capo all'impresa consorziata, incide sulla partecipazione dell'intero consorzio, senza che sia pertanto possibile neutralizzare tale effetto ostativo attraverso il ricorso a modelli riparatori di tipo sostitutivo (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 6.3.2019, n. 1304)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2298 del 25 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano richiama «la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui l'eccesso di potere per disparità di trattamento si può configurare solo sul presupposto, di cui l’interessato deve dare prova rigorosa, dell’identità assoluta in fatto della situazione considerata (Cons. Stato, sez. III, 2 novembre 2019, n. 7478; sez. IV, 27 luglio 2018, n. 4611; sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5016; sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824).
In particolare, secondo un consolidato orientamento, in sede di formazione del piano regolatore e delle sue varianti la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare specifici interessi urbanistici rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale dall’Amministrazione, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è neppure configurabile il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti (Cons. Stato, sez. II, 5 giugno 2019, n. 3806; sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4150)».
Aggiunge quindi che la disparità di trattamento nella pianificazione tra aree presuppone che le aree oggetto di ricorso e quelle in comparazione si trovino nelle stesse identiche condizioni di fatto e di diritto, là dove nel caso esaminato l’identità di fatto non era stata dimostrata e quella di diritto era contraddetta dal fatto che le aree in questione rientravano in un diverso piano attuativo; d’altro canto, ricorda sempre il TAR, l’urbanistica è una disciplina che consiste proprio nel differenziare l’uso del territorio e quindi è intrinsecamente discriminatoria, con la conseguenza che l’eccesso di potere per disparità di trattamento dev’essere inteso in senso restrittivo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2306 del 25 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Milano ricorda che, per giurisprudenza pacifica, in assenza di un espresso obbligo di specifica verbalizzazione imposto dal disciplinare di gara, non vi è ragione per derogare dal principio generale secondo il quale gli apprezzamenti dei commissari sono destinati a essere assorbiti nella decisione collegiale finale, costituente momento di sintesi della comparazione e composizione dei giudizi individuali, mentre la separata enunciazione dei punteggi attribuiti dai singoli commissari assume valore di formalità interna relativa ai lavori della commissione esaminatrice.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2132 del 11 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.