Il TAR Milano ricorda che:
<< in materia di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto – esclusa la rilevanza dell’elemento soggettivo della condotta, colposa o meno, della Stazione appaltante, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza euro-unitaria (ex multis, Consiglio di Stato, V, 26 gennaio 2021, n. 788) – si richiede la prova della sussistenza del nesso di causalità tra la lesione patrimoniale subita e l’illegittima aggiudicazione della gara, oltre che la quantificazione del danno – correlato al lucro cessante che si identifica con l’interesse c.d. positivo, il quale ricomprende sia il mancato profitto, ovvero l’utile che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, sia il danno c.d. curriculare, ovvero il pregiudizio subìto a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non potere l’impresa indicare tra le proprie referenze l’avvenuta esecuzione dell’appalto – e tale dimostrazione spetta all’impresa danneggiata, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento; quindi il concorrente che si assume danneggiato non può ricorrere a criteri forfettari o generici, ma deve dimostrare in modo rigoroso la sussistenza dei presupposti per ottenere il risarcimento, ivi compreso il profitto di cui avrebbe goduto ove fosse risultato aggiudicatario dell’appalto, ammettendosi la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno (cfr. Consiglio di Stato, V, 27 settembre 2022, n. 8327; V, 23 agosto 2019, n. 5803; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 1° luglio 2021, n. 1618; II, 23 marzo 2021, n. 762).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 247 del 30 gennaio 2023.


Il TAR Brescia precisa che non si deve confondere il produttore di rifiuti con il produttore di terre e rocce da scavo, ovvero di un sottoprodotto che rifiuto non è (cfr. art. 2 del d.P.R. 120/2017 cit.); se, poi, il materiale scavato contiene rifiuti (nella fattispecie amianto), oltre a terre e rocce, ed è perciò complessivamente rifiuto, il soggetto non è più realizzatore di un sottoprodotto, ma non diviene per questo transitivamente produttore di rifiuti: è soltanto il soggetto che li ha portati alla luce, perché l’amianto celato nel terreno non si trasforma in un rifiuto solo quando diventa visibile.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 70 del 24 gennaio 2023.


Il TAR Milano richiama la consolidata giurisprudenza, secondo la quale lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico). D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo. In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano. Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 194 del 23 gennaio 2023.


Il TAR Milano, con riferimento a un cambio di destinazione d’uso dei locali accessori del piano interrato (sgombero, ripostigli) in locali con permanenza di persone (servizio igienico, camera e cucina), evidenzia l’assoluta irrilevanza del fatto che il mutamento sia stato effettuato eventualmente senza opere e mediante la mera apposizione di elementi di arredo; infatti, secondo orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 marzo 2021, n. 1857), il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria (v. anche Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 27 agosto 2020, n. 1620).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 213 del 23 gennaio 2023.


Secondo il TAR Milano, la violazione del comma 3 dell’art. 12-bis del decreto legge n. 68 del 2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 108 del 2022 – a mente del quale “le pubbliche amministrazioni sono tenute a rappresentare che il ricorso ha ad oggetto una procedura amministrativa che riguarda interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR” – non determina l’illegittimità della procedura ma si pone alla stregua di una irregolarità, non invalidante l’attività amministrativa posta in essere. Difatti, con riguardo ai provvedimenti amministrativi deve distinguersi tra la fase di esistenza e di legittimità, che dipende dalla sussistenza degli elementi essenziali soggettivi e oggettivi e dei relativi requisiti di validità, e la fase integrativa dell’efficacia (pubblicazioni, notificazioni, comunicazioni; controlli ove previsti, ecc.), che non attiene né alla perfezione dell’atto, e neppure alla sua validità, ma che incide esclusivamente sulla sua efficacia o su aspetti estrinseci al provvedimento (cfr. Consiglio di Stato, IV, 17 maggio 2012, n. 2849); ne deriva che la mancata segnalazione in ordine alla riferibilità del giudizio a interventi finanziati con risorse stanziate nel P.N.R.R. non determina alcuna illegittimità della predetta procedura, potendo tale evenienza al limite rappresentare una mera irregolarità sotto il profilo processuale, certamente non invalidante l’attività amministrativa posta in essere (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, 31 dicembre 2020, n. 69) e regolarizzabile con l’applicazione del comma 4 del citato art. 12-bis.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 212 del 23 gennaio 2023.


Il TAR Milano dichiara inammissibile un ricorso proposto dalla promissaria acquirente avverso le previsioni del PGT che interessano l’area oggetto del contratto preliminare di compravendita, non risultando che la ricorrente abbia mai effettivamente acquistato la proprietà della suddetta area, essendo presente agli atti soltanto il preliminare di vendita e non essendo stata allegata sul punto alcuna circostanza ulteriore. Sul punto, richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato che afferma, con riferimento alle “condizioni in presenza delle quali è possibile affermare la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a impugnare gli atti generali di pianificazione urbanistica, chiarendo che avverso tale tipologia di provvedimenti la legittimazione e l'interesse a ricorrere (condizioni dell’azione tra loro distinte, ma in questa materia considerate spesso nella loro sintesi reciproca) sussistono a fronte di prescrizioni immediatamente e specificamente incidenti sulla sfera giuridica del ricorrente” (ex multis, Cons. Stato, Sez. I, parere n. 1102/2020).
Aggiunge, quindi, il TAR che nella specie, le previsioni regolatorie impugnate non ledono alcuna situazione giuridica soggettiva della ricorrente, che sostanzialmente si duole degli effetti sfavorevoli della variante in una prospettiva meramente economica, dato che esse osterebbero al perseguimento dei suoi programmi di espansione sul territorio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 197 del 23 gennaio 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l'art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 enuclea gli interventi che costituiscono la c.d. "attività edilizia libera" e tra di essi, alla lettera e-quinquies (introdotta dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222), "gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici", ricorda che:
<<4.4. Per qualificare correttamente le opere realizzate dalla ricorrente, è necessario richiamare il concetto di pertinenza rilevante a fini urbanistici. Secondo giurisprudenza pacifica, l’accezione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia. In particolare, si è affermato che: "i) "la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce"; ii) «a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto "carico urbanistico" proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale"» (così Cons. St., sez. VI, 26 aprile 2021, n. 3318; cfr., per una fattispecie analoga alla presente, Tar Lazio, Roma, Sez. II, 19 novembre 2021, n. 11976).>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 105 del 9 gennaio 2023.


Il TAR Milano nel ricordare il diffuso orientamento giurisprudenziale secondo cui le osservazioni presentate dai privati ai piani urbanistici adottati hanno normalmente il carattere di un mero apporto collaborativo, sicché il rigetto delle osservazioni stesse non richiede una particolare o specifica motivazione da parte dell’Amministrazione, precisa, tuttavia, che la controdeduzione all’osservazione deve essere coerente rispetto a quest’ultima, dovendo in ogni caso essere esaminati tutti gli elementi addotti dal privato, non potendo il mancato accoglimento risolversi in una formula di mero stile.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 163 del 17 gennaio 2023


Il TAR Milano, con riguardo alla natura dell’atto impugnato, il quale richiama sia l’art. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000 (relativo alle ordinanze contingibili e urgenti emesse dal sindaco) sia gli artt. 192, 255 e 256 del d.lgs. n. 152 del 2006 (riguardanti i provvedimenti ordinari in materia di rifiuti e bonifica delle aree inquinate), osserva che:
<<Come noto, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, le ordinanze contingibili e urgenti sono provvedimenti atipici che possono essere adottati quando gli ordinari poteri conferiti dalla legge risultano inadeguati (contingibilità) per ovviare ad una situazione di imminente pericolo che deve essere prontamente fronteggiata (urgenza). Affinché un provvedimento amministrativo possa essere ascritto alla categoria delle ordinanze contingibili e urgenti non è dunque sufficiente che la sua funzione sia quella di ovviare prontamente ad una situazione di pericolo, ma è altresì necessario che con il provvedimento stesso venga esercitato un potere il cui contenuto non sia specificamente determinato dalla legge. Molteplici sono invero i provvedimenti tipici funzionali alla prevenzione di un pericolo (cd. atti necessitati) i quali, proprio perché tipici, non possono essere qualificati alla stregua di ordinanze contingibili e urgenti.
Per quanto riguarda specificamente la materia dei rifiuti e dell’inquinamento ambientale, la giurisprudenza ammette che l’Amministrazione possa intervenire, non solo con l’esercizio dei poteri tipici previsti dalle norme contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, ma anche, in presenza di una situazione che si renda pericolosa per la salute pubblica, con ordinanze contingibili e urgenti, imponendo l’immediata rimozione del materiale o l’adozione di altre misure emergenziali. In tal caso, poiché il potere esercitato non è quello tipico previsto dall’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, la pubblica amministrazione non è assoggettata agli oneri motivazionali e istruttori ivi previsti e può ordinare l’intervento al proprietario dell’area senza il ricorrere dei presupposti (accertata responsabilità a titolo di dolo o di colpa) indicati dalla suddetta norma (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 maggio 2019, n. 3316; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 12 novembre 2018, n. 6550; T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 5 maggio 2007, n. 2087).
Va però osservato che il provvedimento ordinariamente deputato a far fronte all’abbandono dei rifiuti rimane comunque quello individuato dal citato art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale, come accennato, prevede specifici e stringenti requisiti di applicazione, al cui accertamento l’amministrazione non può sottrarsi mediante il ricorso alle ordinanze contingibili e urgenti, se non quando venga offerta una rigorosa motivazione in ordine alla inadeguatezza dello strumento ordinario a fronteggiare una condizione di pericolo, tale da imporre il ricorso al provvedimento contingibile. In caso contrario, infatti, non vi sarebbe modo per assicurare che l’azione amministrativa si conformi al principio di legalità, anziché eluderlo attraverso la fuga dalle forme tipizzate dell’agire amministrativo (cfr. (T.A.R. Toscana, sez. II, 31 maggio 2021, n. 828; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 18 maggio 2021, n. 154; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 17 dicembre 2020, n. 2516). Ne consegue che in capo in alla stessa amministrazione sussiste un obbligo di motivazione riguardo ai presupposti che giustificano l’adozione del provvedimento straordinario, in comparazione con la inidoneità dello strumento ordinario nel caso di specie.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 167 del 17 gennaio 2023.


Il TAR Milano precisa che la verifica in ordine alla idoneità e all’affidabilità del soggetto a svolgere l’attività di stoccaggio di prodotti energetici presso depositi di terzi non può avvenire attraverso una valutazione atomistica e parcellizzata delle singole condotte tenute dallo stesso, poiché solo per mezzo di una analisi di carattere globale e complessivo è possibile stabilire la sussistenza o meno dei presupposti per rilasciare l’autorizzazione.
Osserva il TAR che:
<<difatti la Raccomandazione della Commissione Europea del 29 novembre 2000 (pubblicata nella G.U.C.E, serie L n. 314/29 del 14 dicembre 2000) ha individuato quale presupposto fondamentale per il rilascio (e implicitamente pure per il rinnovo) dell’autorizzazione (anche) l’accertamento del possesso in capo al richiedente di “una solida posizione economica, desunta dalle scritture contabili e commerciali e da ogni altra utile documentazione”. Tale verifica ha la finalità di evitare l’ingresso (o far permanere) nel settore dello stoccaggio dei prodotti energetici – avente rilevanza in ambito europeo (cfr. la Direttiva 2008/118/CE, relativa al regime generale delle accise) – di soggetti che non garantiscano il rispetto delle regole e siano potenzialmente in grado di porre in essere attività fraudolente o di natura criminale (cfr. art. 7 della Raccomandazione); lo svolgimento dell’attività di controllo pertanto deve avvenire anche attraverso un’analisi di carattere indiziario, non potendosi fondare solo su elementi prestabiliti e tipizzati, pena la sua inefficacia e facile elusione, con la conseguenza che all’Amministrazione procedente deve essere necessariamente riconosciuto un certo margine di discrezionalità nel valutare l’insieme degli elementi relativi a un determinato soggetto che intende operare nel settore dello stoccaggio dei prodotti energetici>>
TAR Lombardia, Milano, IV, n. 2835 del 21 dicembre 2022


Il TAR Milano precisa che la qualificazione degli interventi edilizi, anche ai fini dell’applicazione di una norma agevolativa nella fissazione del contributo di costruzione o della monetizzazione, non può che avvenire avendo riguardo alla totalità di un intervento, impedendo così suddivisioni meramente artificiose e mosse da una finalità sostanzialmente elusiva (si vedano, per l’affermazione della necessaria valutazione unitaria di qualsivoglia intervento costruttivo, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5879/2022; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4919/2021; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 5140/2022 e anche TAR Milano, Sez. II, n. 572/2022). Tale principio viene in considerazione in caso di abusi edilizi, ma si può estendere senza dubbio alle fattispecie per le quali il legislatore prevede una disciplina di riduzione o addirittura di esenzione dal pagamento dei contributi dovuti al Comune per il compimento dell’attività costruttiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2742 del 13 dicembre 2022.


Il Tar Milano precisa che l’acquisizione gratuita del bene, con conseguente perdita del diritto di proprietà, non può operare ai danni del proprietario incolpevole, come messo in evidenza dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 345/1991 e come in seguito pacificamente confermato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. fra le tante, TAR Lombardia, Milano, Sezione II, sentenza n. 746/2019 ed anche le sentenze di questa Sezione n. 1628/2014 e n. 493/2014 con la giurisprudenza in esse richiamata).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2856 del 22 dicembre 2022.


Il TAR Milano con riguardo alla riconducibilità delle alcune opere realizzate (mensa, deposito, laboratorio didattico) alla destinazione produttiva o a quella terziaria ai fini della corresponsione del contributo di costruzione, osserva:
<<4.2.1. L’art. 19, comma 1, t.u. edilizia prevede per gli impianti industriali un particolare regime agevolato per la corresponsione del contributo di costruzione.
Storicamente, la disciplina di favore per le attività produttive trova il suo antecedente in una disposizione della legge Bucalossi (L. 28 gennaio 1977, n. 10), che – nell’introdurre il principio secondo cui ogni attività comportante trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, subordinata al rilascio di un titolo edilizio, partecipa agli oneri da essa derivanti, mediante l'obbligo di corresponsione di un contributo che il successivo art. 3 indicava come costituito dalle due quote di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione – escludeva poi, all’art. 10, dal pagamento della quota prevista per il costo di costruzione la "concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi”, che comportava la “corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi”.
Analoga disposizione è ora contenuta nel D.P.R. n. 380 del 2001, che prevede all'art. 19, comma 1, che "Il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere a) e b) dell'articolo 16, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva".
4.2.2. Trattasi quindi di una disciplina di favore di cui deve farsi interpretazione restrittiva, in quanto norma eccezionale.
Sul punto, deve richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sentenze 19 giugno 2012 n. 3561; 21 ottobre 1998, n. 1512; 5 settembre 1995, n. 1266; 13 luglio 1994, n. 752; Tar Piemonte, 22 aprile 2021, n. 430) che afferma che "il beneficio dell'esonero dalla corresponsione del contributo concessorio afferente ai costi di costruzione ed urbanizzazione, previsto per gli immobili nei quali si svolge attività industriale dall'art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977, concerne strettamente i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali, ovvero quelle opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica".
4.2.3. Le unità edilizie in esame – per le ragguardevoli dimensioni e la destinazione in sé estranea alla produzione di beni industriali – non sono suscettibili di essere utilizzate in via diretta per l'esercizio dell'attività produttiva e a suo esclusivo vantaggio: a seguito delle varianti essenziali, infatti, la mensa, oltre a divenire notevolmente più ampia, diviene esterna all’edificio in cui è inserito il corpo di fabbrica, potendo essere – anche viste le ragguardevoli dimensioni – non destinata esclusivamente alle esigenze del personale impiegato nell’attività produttiva; lo stesso vale per il laboratorio didattico, che non ha alcun collegamento diretto e immediato con la destinazione industriale.
Alla luce delle modifiche introdotte in sede di variante e dell’istruttoria del Comune – di cui si è dato più puntualmente conto in narrativa – le superfici in questione non possono essere ritenute asservire alla destinazione industriale, che si è quindi ridotta.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 60 del 4 gennaio 2023.


Il TAR Milano osserva che non può ritenersi legittimo procedere a una riformulazione della controdeduzione all’osservazione assumendo di volerla interpretare anche alla luce della richiesta formulata dal privato, essendo quest’ultima soltanto il presupposto della determinazione del Consiglio comunale, ma non entrando certo a far parte dell’atto di pianificazione che deve essere considerato autosufficiente e completo in sé. Ciò è confermato dalla circostanza che le osservazioni presentate in sede di adozione degli strumenti pianificatori, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, «costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree; pertanto, seppure l’Amministrazione è tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano» (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 25 gennaio 2022, n. 165; 9 dicembre 2021, n. 2763; 6 agosto 2018, n. 1945; 20 giugno 2017, n. 1371; 30 marzo 2017, n. 761; altresì, T.A.R. Toscana, I, 6 settembre 2016, n. 1317). Per tale ragione, ciò che rileva in ordine alle scelte in ambito urbanistico è soltanto il contenuto del Piano approvato, dal quale necessariamente e in via esclusiva deve emergere l’assetto urbanistico conferito al territorio di riferimento, non potendo avere alcuna rilevanza il contenuto delle osservazioni presentate e le finalità, ontologicamente individualistiche, perseguite dai loro proponenti (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 11 luglio 2022, n. 1662).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2678 del 2 dicembre 2022.


Il TAR Milano rigetta la tesi secondo cui al fine di integrare il requisito della doppia conformità di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 con riferimento a interventi in aree agricole non si dovrebbe avere riguardo al possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale e osserva:
<<2.2. Nel caso in esame, si discorre della sanatoria di opere realizzate su area agricola senza titolo.
È poi incontestato che l’autore delle opere abusive non possedesse la qualifica di imprenditore agricolo professionale.
2.3. L’art. 60 della L.R. 11 marzo 2005, n. 12 prevede che «Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire; il permesso di costruire può essere rilasciato esclusivamente: a) all'imprenditore agricolo professionale per tutti gli interventi di cui all'articolo 59, comma 1, a titolo gratuito; b) in carenza della qualifica di imprenditore agricolo professionale, al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agricola per la realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di costruzione».
In via ordinaria, non è quindi possibile ottenere il permesso di costruire per la realizzazione di opere edili in area agricola, ancorché al servizio del fondo, senza possedere la qualifica di imprenditore agricolo.
Con la disciplina in esame, il legislatore regionale mira a mantenere e conservare le zone agricole o a destinazione agricola della Regione, attraverso la limitazione degli usi diversi, ammessi soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni territoriali a vocazione rurale, evitando che l’esercizio di attività agricola divenga un indebito meccanismo di trasformazione della destinazione delle aree da “agricola” a “residenziale” o comunque, di tipo diverso (su tale finalità, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 7 luglio 2011, n. 1843; id., 22 novembre 2011 n. 2823; id., 28 aprile 2020, n. 1267, oltre a Corte Costituzionale n. 167/1995).
2.4. Se si ammettesse invece, come pretende la ricorrente, che per mezzo dell’eccezionale rimedio dell’accertamento di conformità, le opere possano essere realizzate anche in assenza del possesso della qualifica di imprenditore agricolo, si giungerebbe al paradossale risultato per cui attraverso un abuso edilizio si potrebbe ottenere di più (e sanarlo) di quanto non previsto dalla disciplina ordinaria. Oltre a ciò, l’interpretazione proposta dalla ricorrente si presterebbe a notevoli abusi, posto che sarebbe sufficiente – come peraltro avvenuto nella fattispecie – che l’autore delle opere abusive o il proprietario dell’area agricola destini temporaneamente, anche con un contratto di comodato e ai meri fini dell’ottenimento della sanatoria, l’area a un imprenditore agricolo professionale.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 119 del 9 gennaio 2023.


Il TAR Brescia ricorda che chi lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte pianificatorie lesive del proprio interesse. L’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le determinazioni lesive fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente condizionate, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1114 del 7 novembre 2022


Il TAR Milano con riferimento al disposto dell'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 e alla nozione di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, osserva:
<<12.2 Per giurisprudenza consolidata l'illecito professionale è rinvenibile ogni qual volta si verifichino fatti tali da porre in dubbio l'integrità e affidabilità dell'operatore economico, in base ad una valutazione discrezionale che è rimessa alla stazione appaltante e che è soggetta al controllo ed al sindacato giurisdizionale nei limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.
L'elencazione delle cause rilevanti sulla valutazione di affidabilità del concorrente, sotto la vigenza del precedente e dell'attuale codice, deve intendersi come meramente esemplificativa, di talché la stazione appaltante può desumere il compimento di "gravi illeciti professionali" da ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui è stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; V, 25 gennaio 2019, n. 591; V, 3 gennaio 2019, n. 72; III, 27 dicembre 2018, n. 7231) se essa ne mette in dubbio l'integrità e l'affidabilità, secondo un giudizio espresso dall'amministrazione non in chiave sanzionatoria, ma piuttosto fiduciaria (tra le tante, Cons. Stato sez. V, 3 settembre 2018, n. 5136; sez. IV, 11 luglio 2016, n. 3070).
Anche le Linee guida n. 6 - adottate dall’ANAC al dichiarato fine di “fornire indicazioni operative e chiarimenti in merito alle fattispecie esemplificative indicate in via generica dal Codice e ai criteri da seguire nelle valutazioni di competenza. Ciò nell’ottica di assicurare l’adozione di comportamenti omogenei da parte delle stazioni appaltanti e garantire certezza agli operatori economici” - precisano che “le stazioni appaltanti possono attribuire rilevanza a situazioni non espressamente individuate dalle Linee guida, purché le stesse siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta indicata dall’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice e sempre che ne ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi”, evidenziando il carattere “aperto” del novero degli illeciti professionali e dei relativi mezzi di prova.
L'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 costituisce dunque "norma di chiusura", ossia una clausola residuale in cui può essere fatta rientrare qualsiasi violazione tale da rendere dubbia l'integrità o l'affidabilità del concorrente (T.A.R. Lazio, sez. II, 9 dicembre 2020, n. 13237; Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2020, n. 1603).
Tra queste "violazioni" rientrano pertanto anche i reati diversi da quelli di cui all'art. 80, comma 1, nonché quelli pur riconducibili a siffatto elenco ma per i quali non è ancora intervenuta sentenza definitiva di condanna. In questa stessa direzione possono essere prese in considerazione non solo le condanne non definitive ma anche altri accertamenti ed elementi di prova quali rinvii a giudizio oppure misure restrittive della libertà personale o patrimoniale.
In questo quadro si è affermato, anche sotto la vigenza del precedente codice, che il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale al pari della adozione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano l’aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l'incidenza negativa sulla moralità professionale (Cons. Stato sez. VI, 1/2/2013, n. 620).
12.3 La giurisprudenza ha, poi, definito puntualmente il contenuto della valutazione cui è tenuta la stazione appaltante qualora sia venuta a conoscenza di una condotta potenzialmente suscettibile di integrare un "grave illecito professionale" incidente sull’affidabilità e integrità del concorrente priva di portata escludente automatica.
In particolare (Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 307) è stato precisato che:
- la stazione appaltante è tenuta ad una duplice valutazione: dapprima se si tratti, in ogni aspetto, di un effettivo caso di pregresso "grave illecito professionale" e poi in che termini il fatto che lo integra risulti incongruo rispetto all'affidabilità dell'impresa in vista del particolare contratto per il quale è gara;
- da quest'ultimo punto di vista, il giudizio della stazione appaltante "non può che investire il fatto in sé, in tutti i suoi profili sostanziali, e non la sola valutazione e il trattamento datogli in sede penale", considerato che l'apprezzamento del medesimo fatto in sede penale e da parte dell'amministrazione ex art. 80, comma 5, lett. c) del codice dei contratti pubblici è ben distinto proprio per le diverse finalità istituzionali della valutazione e gli inerenti parametri normativi;
- non occorre un giudicato sulla vicenda addebitata al concorrente per poterne trarre ragioni di inaffidabilità o non integrità giustificanti la sua esclusione (e cioè che il fatto sia stato accertato in sede penale con sentenza definitiva), poiché l'amministrazione è investita di un autonomo e distinto apprezzamento in funzione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara (Cons. Stato, sez. V, 27/11/2020, n. 7471 e 13/5/2021, n. 3772).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 19 del 2 gennaio 2023.


Il TAR Milano, con riferimento ai presupposti per ottenere l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, osserva:
<<10) Preliminarmente, il Collegio ritiene utile rammentare come la regola generale in materia di controllo e gestione dei beni paesaggistici, ritraibile dall’art. 146 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), vieti il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica «in sanatoria», successivamente cioè, alla realizzazione, anche parziale, degli interventi di trasformazione delle aree o degli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico. La previsione eccettuativa (di cui all’art. 167, comma 4, del medesimo Decreto), che tale autorizzazione «postuma» consente, ha ad oggetto interventi che, per quanto qui d’interesse, «non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati». Si tratta, quindi, di abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di causare un effettivo pregiudizio al bene tutelato [cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, VI, 04-01-2021, n. 40, per cui «l’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è “sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”, “fatto salvo quanto previsto al comma 4”. L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato. Segnatamente, sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica: gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4)»].
Resta ferma, poi, la necessità, in caso di accesso alla procedura «in sanatoria», di valutare in concreto l'effettiva compatibilità paesaggistica dell'opera realizzata, con la irrogazione in ogni caso della sanzione normativamente contemplata (cfr. TAR Campania, VI, 22-05-2020, n. 1939; id., 14-06-2022, n. 4036; TAR Umbria, I, 30-04-2021, n. 300).
Soffermandoci sulla predetta valutazione, non va sottaciuto come, per consolidato orientamento (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato, II, 26-07-2017, n. 1775), possano avere rilevanza ai fini paesaggistici, per il loro impatto visivo, anche opere edilizie che non determinano la costituzione di nuove superfici o di volumi edilizi, come i volumi tecnici o le tettoie di dimensioni modeste. Detto altrimenti: «Rivestono un'indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se non vi sia un volume da computare sotto il profilo edilizio (…) poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità dello stato dei luoghi» (così, TAR Campania, Napoli, VIII, 03-12-2021, n. 7787; nello stesso senso, fra le tante, TAR Lombardia, III, 22-05-2020, n. 915, e, da ultimo, id., IV, 23-06-2022, n. 1460).
È, del resto, evidente la ratio di tale differente rilevanza dei volumi di carattere tecnico in sede edilizia rispetto a quella paesaggistica, atteso che, mentre nelle valutazioni di natura urbanistica attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori, «nei giudizi paesistici è utile soltanto il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico» [così, TAR Campania, Napoli, VIII, 01-02-2018, n. 712, che poi aggiunge: «Un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, e in questo caso sarebbe senz'altro classificabile come utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico. Reciprocamente, un volume utile ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio e, dunque, in assenza di danno per l'ambiente, non potrebbe costituire un presupposto ragionevole per l'applicazione di una misura ripristinatoria (nel caso di specie, l'innalzamento della copertura ha incidenza dal punto di vista paesaggistico andando a modificare il prospetto dell'edificio e, pertanto, la relativa volumetria non poteva che essere ricondotta a quella contemplata dall'art. 167, comma 4, d.lg. n. 42/2004, al fine di escludere l'accertamento postumo di conformità paesaggistica)»; id., 20-02-2014, n. 1122; TAR Marche, Ancona, I, 07-01-2017, nn. 23, 24 e 25; TAR Toscana, III, 10-03-2021, n. 377].
Sul piano più in generale, va poi rammentato che, come recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio: i due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti (cfr. Cons. Stato, VI, 03-05-2022, n. 3446).
Ne deriva che, il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia ma s’individua nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo (cfr. Cons. St., VI, 24-11-2015, n. 5327), poiché la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia (cfr. Cons. St., VI, 31-10-2013, n. 5273; nonché, sulla ratio dei vincoli paesaggistici generalizzati e sulla «integrità ambientale» quale «bene unitario», che può risultare compromesso anche da interventi minori, Corte costituzionale, sentenza 23-03-2016, n. 56, con la giurisprudenza costituzionale ivi richiamata; e, sulla necessità di valutare sempre espressamente l’interesse paesaggistico anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici, Corte Costituzionale, sentenza 28-06-2004, n. 196).
Non va, infine, trascurato che, sempre per giurisprudenza pacifica, le valutazioni effettuate dalle amministrazioni preposte alla tutela dei valori paesaggistici circa la compatibilità delle opere edilizie che si intende realizzare (o che, come, nella fattispecie, si intende sanare) con i valori che sono stati tutelati con l’imposizione del vincolo paesaggistico, possono essere censurate davanti al giudice amministrativo solo per la presenza di vizi nel procedimento, per evidenti errori di fatto o per la chiara irragionevolezza della scelta operata (cfr., fra le tante, Cons. Stato, II, 05-12-2017, n. 2531).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 67 del 4 gennaio 2023.





Il TAR Milano precisa che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, pienamente condiviso dal Collegio, la misurazione dei livelli di rumore residuo deve essere effettuata con modalità omogenee rispetto alla misurazione del rumore ambientale (Consiglio di Stato, Sezione II, 28 dicembre 2021, n. 8649). La sostanziale uniformità delle modalità di misurazione si riferisce anche all’elemento temporale, il quale, insieme all’elemento spaziale, è stato espressamente considerato dalla fonte secondaria per la misurazione del LA, come <<livello continuo equivalente di pressione sonora ponderato “A”, prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 8 del 2 gennaio 2023.


Il TAR Milano precisa che quando il proprietario abbia proposto istanza di fiscalizzazione dell’abuso per impossibilità della demolizione senza danno per la parte conforme, l’effetto acquisitivo automatico, che comunque si verifica nei limiti delle parti abusive, con esclusione delle altre parti dell'immobile e dell'area non interessate dall'abuso, non si produce fino alla reiezione dell’istanza di fiscalizzazione dell’abuso parziale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2727 del 12 dicembre 2022.


Il TAR Brescia, con riferimento alla installazione di una stazione radio base in corrispondenza di luoghi sensibili, osserva;
<<(a) per quanto riguarda le distanze minime dai luoghi sensibili, l’art. 4 comma 8 della LR 11/2001, come conformato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 7 novembre 2003 n. 331, prevede il divieto di installazione di impianti di telecomunicazione esclusivamente “in corrispondenza” dei luoghi sensibili. La suddetta pronuncia ha inoltre stabilito che il potere di fissare soglie di protezione dalle esposizioni a campi elettromagnetici appartiene allo Stato, mentre la previsione di distanze minime, se introdotta dai Comuni nell’ambito della potestà urbanistica, è applicabile solo a condizione che sia possibile collocare gli impianti in una postazione alternativa;
(b) i contorni della competenza comunale sono stati precisati dall’art. 8 comma 6 della legge 36/2001, che, nella versione attuale, consente ai Comuni di disciplinare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, e di minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a luoghi sensibili individuati in modo specifico, ma vieta limitazioni alla localizzazione delle stazioni radio base in aree generalizzate del territorio. La medesima norma vieta inoltre di incidere, anche in via indiretta o mediante ordinanze contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, sui valori di attenzione, e sugli obiettivi di qualità, tutte materie che rimangono riservate allo Stato;
(c) in questo quadro, la previsione di ampie fasce di interdizione attorno ai luoghi sensibili costituisce una forma di divieto generalizzato. Qualora la motivazione di tali fasce si basi su un’autonoma valutazione dell’inquinamento elettromagnetico, condotta dai Comuni attraverso propri consulenti, si realizza anche una sovrapposizione rispetto alle competenze dell’ARPA. In realtà, se gli uffici comunali hanno dei dubbi sull’effetto aggregato delle antenne di una pluralità di operatori, l’interlocutore necessario è l’ARPA, a cui dovranno essere indirizzate eventuali richieste di approfondimento. Lo stesso vale per il calcolo dell’intensità dell’effetto ombrello dovuto alla ricaduta delle onde elettromagnetiche nelle immediate vicinanze dei siti di installazione degli impianti;
(d) tornando al significato da attribuire all’art. 4 comma 8 della LR 11/2001, occorre sottolineare che la nozione di corrispondenza non è equivalente a quella di vicinanza. La prima implica un diretto contatto con i luoghi sensibili, o con le opere di delimitazione degli stessi. La seconda è più generica, e può variare dalla prossimità (coincidente nella sostanza con la nozione di corrispondenza) fino a qualsiasi distanza soggettivamente percepita come non sufficientemente ampia rispetto agli impianti. Occorre poi sottolineare che quando l’amministrazione cerca di codificare la vicinanza attraverso indicazioni metriche precise si espone al rischio di lasciare prive di copertura intere porzioni del territorio comunale, introducendo di fatto una serie di divieti generalizzati. Per questa ragione il potere comunale di stabilire delle distanze minime dai luoghi sensibili, ammissibile ai sensi dell’art. 8 comma 6 della legge 36/2001 in connessione con il perseguimento di obiettivi urbanistici, è esercitabile solo qualora sia garantita agli operatori un’alternativa equivalente sotto il profilo tecnico, e praticabile a prezzi di mercato;>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1381 del 28 dicembre 2022.