Il Consiglio di Stato precisa che: «Ai sensi dell’art. 44 comma 4 c.p.a., “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”. Per la costante giurisprudenza si tratta di ipotesi in cui la notifica non sia andata buon fine per fatti non addebitabili al notificante, ovvero la non imputabilità sussiste solo laddove la mancata notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all'inerzia dell'ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non anche alla omissione od alla erroneità di adempimenti spettanti al notificante (Cons. Stato Sez. III, 24 aprile 2018, n. 2462). La rinnovazione della notifica può essere dunque concessa solo se l’esito negativo dipenda da causa che risulta non imputabile al notificante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2011, n. 6207; id, 12 gennaio 2011, n. 107)».

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 396 del 16 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, in merito all’interferenza del diniego di permesso di costruire in sanatoria con il libero godimento di un bene legittimamente acquisito in buona fede, specifica che “la giurisprudenza ha recentemente chiarito che le sanzioni civili ed amministrative contro l’abusivismo edilizio sono solo parzialmente coincidenti. Infatti, in costanza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato (purchè esistente), e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità prevista dalla normativa civilistica (Cass. Civile, Sez. Un., n. 8230/2019). Tuttavia il diniego di permesso di costruire in sanatoria non costituisce un’interferenza illecita nel diritto di proprietà, in quanto tale diritto è conformato dalla legge allo scopo di assicurarne la funzione sociale (art. 42 Cost.) mentre l’ordine di demolizione di un bene legittimamente acquisito, al quale fa più specificamente riferimento il motivo di ricorso, tende alla riparazione effettiva di un danno al corretto sviluppo del territorio e non è rivolta nella sua essenza ad infliggere una punizione per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 178 del 24 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Giustizia UE, nel giudizio per inadempimento promosso dalla Commissione europea contro l’Italia,  ha statuito che: «Non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni».

Corte di Giustizia UE,  Grande Sezione, del 28 gennaio 2020 (causa C-122/18).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.


 Il TAR Milano, esaminando un ricorso con il quale il ricorrente contesta la legittimità dell’adesione da parte di una A.S.S.T. al contratto stipulato tra altra amministrazione aggiudicatrice e il controinteressato all’esito dell’aggiudicazione disposta in favore di quest’ultimo con procedura aperta, precisa che:
- «la questione giuridica all’attenzione del Collegio riguarda la legittimità di un’adesione che involga prestazioni ulteriori rispetto a quelle oggetto della dialettica competitiva tra operatori del mercato in cui si sostanzia la procedura di gara. Prestazioni aggiuntive derivanti in parte dall’utilizzo da parte dell’originaria stazione appaltante della facoltà prevista dalla previsione di cui all’articolo 106, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 50/2016, e, in altra parte, dalla negoziazione di ulteriori prestazioni tra l’aderente e l’aggiudicatario parte del contratto»,
- il punto di equilibrio e contemperamento tra i principi applicabili alla fattispecie è individuato «nella necessaria e congiunta ricorrenza dei presupposti legittimanti il ricorso all’istituto. Sono tali: a) l’individuazione preventiva della possibilità di estensione della prestazione e l’indicazione delle Amministrazioni abilitate ad aderire; b) l’individuazione del valore economico massimo delle eventuali adesioni ed estensioni consentite; c) la sussistenza di prestazioni sostanzialmente omologhe con conseguente irrilevanza di modifiche meramente marginali. In presenza di simili presupposti, le esigenze dell’Amministrazione trovano compiuta realizzazione senza urtare gli ulteriori principi che vengono in rilievo. Infatti, in tal modo, l’appalto oggetto di estensione, “non viene sottratto al confronto concorrenziale, a valle, ma costituisce l’oggetto, a monte, del confronto tra le imprese partecipanti alla gara, poiché queste nel prendere parte ad una gara, che preveda la c.d. clausola di estensione, sanno ed accettano […] che potrebbe essere loro richiesto di approntare beni, servizi o lavori ulteriori, rispetto a quelli espressamente richiesti dalla lex specialis, purché determinati o determinabili a priori, al momento dell’offerta, secondo requisiti né irragionevoli né arbitrari, tanto sul piano soggettivo – per caratteristiche e numero delle Amministrazioni eventualmente richiedenti – che su quello oggettivo – per natura, tipologia e quantità dei beni o delle prestazioni aggiuntive eventualmente richieste entro un limite massimo” (Consiglio di Stato, sez. III, 4 febbraio 2016, n. 442)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 174 del 24 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano afferma che la domanda volta al rilascio del permesso di costruire (inclusa quello in sanatoria) può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo e vi sia la materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante, anche se persona diversa dal proprietario, per cui è legittimato anche un soggetto, come il conduttore, che si trovi rispetto al bene immobile in un rapporto qualificato; deve quindi escludersi che il titolare di un diritto di servitù non abbia la legittimazione a chiedere il rilascio di un permesso di costruire per lavori da eseguire sul fondo servente, ponendosi esclusivamente un problema di limiti, cioè del rispetto dell’art. 1069 c.c. secondo il quale il proprietario del fondo dominante può effettuare sul fondo servente le sole opere necessarie per conservare la servitù.
Aggiunge poi il TAR che, per quanto riguarda poi i controlli che competono all’amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto; l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore” e la più recente giurisprudenza, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2728 del 23 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano precisa che:
- l’art. 40, comma 1, lett. g), c.p.a. dispone che, in caso di ricorso sottoscritto dal solo difensore, quest’ultimo sia munito di procura speciale, la quale si caratterizza, rispetto alla procura generale, per avere ad oggetto uno o più atti giuridici singolarmente determinati, il che presuppone che il soggetto il quale rilascia la procura abbia contezza del contenuto dell’atto oggetto del potere rappresentativo conferito (v., ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 18 ottobre 2018 n. 2335);
- la “procura speciale” deve indicare l’oggetto del ricorso, le parti contendenti, l’autorità davanti alla quale il ricorso deve essere proposto ed ogni altro elemento utile alla individuazione della controversia (v. Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2018 n. 5723);
- circa poi la sanabilità del vizio derivante dalla “procura speciale” carente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 39, comma 1, c.p.a. e 182, comma 2, c.p.c., la giurisprudenza si è espressa negativamente, posto che la disciplina del processo amministrativo qualifica l’esistenza della procura speciale come requisito di ammissibilità del ricorso e tale previsione comporta che il relativo requisito si rinvenga inderogabilmente al momento della proposizione del ricorso, impedendo quindi la configurabilità del potere di rinnovazione, che in generale concerne la categoria delle nullità sanabili e non già quella distinta delle inammissibilità (v. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2019 n. 2922).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 144 del 23 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato enuncia il seguente principio in materia di occupazione sine titulo della proprietà privata da parte della pubblica amministrazione:
«Per le fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 la rinuncia abdicativa del proprietario del bene occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione, anche a non voler considerare i profili attinenti alla forma, non costituisce causa di cessazione dell’illecito permanente dell’occupazione senza titolo».

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 4 del 20 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che: «il termine triennale di rilevanza per le ipotesi di grave illecito professionale previsto dall’art. 80, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 è riferito all’inibizione a partecipare alle procedure di affidamento, ma non all’obbligo dichiarativo ex articolo 80 comma 5 lett c) bis. Infatti “l'art. 80, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 non contiene alcune alcuna espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali, il che è coerente con il potere discrezionale di valutazione di tali fattispecie attribuito alla stazione appaltante. Una limitazione triennale è, invero, richiamata dal successivo comma 10, ma attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva) e non attiene in alcun modo all'esercizio del potere della P.A. di escludere l'operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c), da una procedura di appalto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6530, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 25 gennaio 2019 n. 122)” (ex multis T.A.R. Lazio, Roma Sez. I, 10 aprile 2019, n. 4729)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1022 del 28 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano osserva come, per consolidata giurisprudenza, l’amministrazione non abbia l’obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita su un’istanza diretta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela (che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l’amministrazione per la tutela dell’interesse pubblico) e come il potere di autotutela sia incoercibile dall’esterno attraverso l’istituto del silenzio–inadempimento ai sensi dell’art. 117 c.p.a.
Ciò posto in linea di principio, il TAR Milano aggiunge che va tuttavia dato atto di come la stessa giurisprudenza, a parziale temperamento del succitato rigoroso orientamento, abbia riconosciuto che, fermo restando il carattere discrezionale dell’autotutela, il riesame da parte dell’amministrazione, quale fase ad essa prodromica, possa ritenersi in taluni casi (e non solo in relazione ad atti vincolati) doveroso; se, infatti, non può legittimarsi un uso distorto e strumentale della richiesta di riesame che investa situazioni già valutate dall’amministrazione, sì da rimettere in discussione rapporti già definititi e provvedimenti rimasti inoppugnati (con pregiudizio per il principio di certezza dell’azione amministrativa), nondimeno il concreto esercizio del potere di autotutela è pur sempre vincolato all’attuazione delle finalità per cui esso è attribuito dalla legge del perseguimento, secondo le migliori modalità, dell’interesse pubblico, nella comparazione con i differenti interessi coinvolti nella vicenda oggetto di valutazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2725 del 23 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Secondo il Consiglio di Stato: «In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’Amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio.
Ciò rileva sotto un duplice aspetto. Da un lato, rileva l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata. Da un altro lato, rileva l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità edificatorie connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria».

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 8443 del 12 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano afferma che il principio di omogeneità della zona (criterio ordinariamente invocabile nella pianificazione generale) non costituisce un limite all’attività pianificatoria del Comune, il quale resta libero di imprimere alle varie parti del territorio la destinazione urbanistica che ritiene più confacente ai bisogni della collettività.
Osserva al riguardo il TAR che: “Secondo una giurisprudenza condivisibile (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 23.04.2015 n. 651) il modello della zonizzazione del territorio ha assunto forme flessibili nella prassi applicativa, sino a pervenire, nell’ambito della stessa zona omogenea, alla microzonizzazione o alla previsione di sottozone distinte da ulteriori peculiarità strutturali o funzionali, sicché il processo di conformazione del territorio non esclude che a livello di pianificazione generale possano essere previsti differenti regimi urbanistici all’interno della stessa zona omogenea. Il principio di tipicità degli strumenti urbanistici, che riflette il limite di legalità dell’azione amministrativa, non esclude infatti che il pianificatore comunale, stante la progressiva espansione degli interessi affidati al governo di prossimità, introduca un sistema di “lettura” del territorio diverso o ulteriore rispetto al modello per zone, purché al pari di questo sia iscritto nel medesimo referente normativo, nazionale e regionale, e ad esso si conformi. Se così non fosse infatti l’azione amministrativa sarebbe non discrezionale, ma del tutto arbitraria e il nuovo modello di conformazione del territorio risulterebbe sostanzialmente abrogativo del sistema delineato dalla l. 1150/1942, il cui nucleo essenziale inderogabile, tanto da costituire principio fondamentale per la legislazione regionale concorrente, esige che siano identificate previamente le categorie generali e astratte ove iscrivere le porzioni di territorio, sulla base di descrittori anch’essi previamente definiti, in funzione degli obiettivi che l’azione pianificatrice si prefigge. Allora sarà del tutto irrilevante che la conformazione del territorio, come detto funzionale alla dislocazione dei servizi di interesse generale, sia concepita per zone, contesti, ambiti, comparti, zone miste o microzone, purché –qualunque essa sia – corrisponda a categorie prefissate ex ante, tali cioè da costituire il parametro di legittimità della successiva azione amministrativa.”

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 63 del 9 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che le procedure di evidenza pubblica devono essere improntate al rispetto dei principi di imparzialità e parità di trattamento, che risulterebbero irrimediabilmente violati ove si consentisse di accettare un’offerta priva dei requisiti richiesti ex ante dalla lex specialis, solo perché, una volta divenuto aggiudicatario, un determinato operatore economico abbia materialmente messo a disposizione della stazione appaltante prodotti con le caratteristiche dalla stessa richiesti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 33 del 7 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano precisa che la normativa regionale (art. 63 e segg. L.R. 12/2005) che favorisce il recupero dei sottotetti ha quale presupposto per il recupero abitativo un volume sottotetto già esistente passibile di riutilizzo a fini abitativi; ciò richiede che il sottotetto abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità; solo a queste condizioni il "recupero", che la stessa legge regionale classifica come "ristrutturazione", è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall'art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001, la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente, l'intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione (nel caso in esame, veniva dato un completo riassetto del piano, creando un nuovo piano abitabile, un nuovo volume, un nuovo terrazzo, con conseguente modifica della sagoma preesistente e il TAR ha ritenuto l’intervento in questione, pur essendo finalizzato al recupero del sottotetto, comunque soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2743 del 24 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano sostiene che:
«È ben vero che al momento della conclusione del subprocedimento di ammissione alla gara e di adozione del relativo atto endoprocedimentale era vigente la disciplina contenuta nell’articolo 120, comma 2 bis, Cod. proc. amm., che imponeva la immediata impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni dei concorrenti. È, tuttavia, vero anche che al momento della conclusione della procedura ristretta di cui si discute, al momento cioè dell’aggiudicazione dell’appalto, quella norma processuale non era più vigente. Quando, cioè, si è verificata la lesione all’interesse della società … al conseguimento del bene della vita (i.e. l’aggiudicazione dell’appalto) operava la regola generale, e ora senza più eccezioni, per cui gli eventuali vizi degli atti endoprocedimentali (quale, l’ammissione della concorrente) devono essere fatti valere contro il provvedimento conclusivo del procedimento (l’aggiudicazione). Ora, come noto, il processo è retto dal principio “tempus regit actum”, per cui va applicata la disciplina processuale vigente al momento della sua instaurazione. E, dunque, nel caso di specie va applicata la disciplina che non conosce più il rito superspeciale di cui al comma 2 bis dell’articolo 120 del Cod. proc. amm.. D’altro canto, voler ragionare diversamente significherebbe assegnare ultrattività al rito previgente in assenza di una espressa previsione normativa».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 69 del 10 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.

In senso contrario: cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 45 del 20 gennaio 2020.


Si ricorda che martedì 21 gennaio 2020, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso il Tribunale Ordinario di Como, Aula Magna, si terrà l’incontro formativo su “Transazione con la P.A. e responsabilità dei funzionari” (relatori: prof. Vito Tenore e avv. Luigi Burti).

La partecipazione è gratuita e le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera.


Il TAR Milano afferma che:
- secondo il più recente orientamento espresso dal Consiglio di Stato, la casella di p.e.c. da utilizzare per la rituale notificazione del ricorso alle Amministrazioni pubbliche è soltanto quella tratta dall’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui all’articolo 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012; al contrario, l’indirizzo p.e.c. risultante dal registro IPA (di cui all’articolo 16, comma 8, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in L. n. 2 del 2009 e non più espressamente menzionato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari) non può ritenersi valido ai fini della notifica degli atti giudiziari alle P.A. (Consiglio di Stato, Sez. III, 22 ottobre 2019, n. 7170);
-  l’interpretazione della normativa di riferimento rinviene esiti non univoci in giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 27 febbraio 2019, n. 1379; Id., Sez. V, sentenza 12 dicembre 2018 n. 7026) e in tali evenienze (“contraddistinte dalla evidenziata oscillazione giurisprudenziale”, come evidenziato da Consiglio di Stato, Sez. III, 22 ottobre 2019, n. 7170) non può che accordarsi il beneficio della rimessione in termini ex articolo 37 c.p.a.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 81 del 13 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ribadisce che le destinazioni introdotte ex novo dagli strumenti urbanistici non possono avere effetto espulsivo delle attività già insediate, mentre solo la riattivazione di un’attività rimasta sospesa per un lungo periodo di tempo non beneficia delle medesime tutele; anche se il disegno urbanistico può essere improntato a criteri ragionevoli (come l’allontanamento dal centro abitato delle industrie insalubri), l’uso del potere di pianificazione con finalità espulsive è sempre vietato, in quanto contrario ai principi generali della materia; sono ammesse solo misure incentivanti, attraverso le quali la delocalizzazione è perseguita individuando soluzioni alternative praticabili, previo coinvolgimento degli interessati; la programmazione urbanistica non può, in definitiva, introdurre misure espulsive degli insediamenti produttivi esistenti, neanche in via indiretta, in ossequio ai principi di corretta pianificazione che traspaiono dalla normativa di settore.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1101 del 30 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Milano precisa che le dichiarazioni di atto di notorietà da parte di soggetti terzi, esibite in giudizio dalla parte ricorrente, costituendo un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, sono insuscettibili di assurgere al rango di prove e possono, al più, rappresentare meri indizi che, però, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non sono idonee a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione resistente; infatti, il contenuto di quanto rappresentato nella dichiarazione sostitutiva non è assistito da garanzia privilegiata, essendo certa esclusivamente la provenienza della dichiarazione da parte di chi l’ha sottoscritta.
Aggiunge poi il TAR che, per quanto attiene poi all’assunzione della prova testimoniale, in materia edilizia, la prova per testimoni si connota come del tutto residuale e idonea solo ad integrare principi di prova oggettivi (ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, ecc.), concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo (nel caso di specie, non essendo stato offerto un idoneo principio di prova documentale a favore della tesi di parte ricorrente, la richiesta di assunzione della prova testimoniale è stata rigettata).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2730 del 23 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il Consiglio di Stato precisa che «nel processo amministrativo, la verificazione, di cui all'art. 66 c.p.a., è diretta ad appurare la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare, nella realtà delle cose, la sussistenza di determinati elementi, ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali (cfr. Consiglio di Stato, III Sez., 19.10.2017, n. 4848). Dunque, a differenza della consulenza tecnica d’ufficio prevista dall’art. 67 c.p.a. al fine di consentire al giudice di acquisire un giudizio tecnico, la verificazione è uno strumento probatorio che mira all’effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa. In buona sostanza, la verificazione comporta l'intervento, in funzione consultiva del giudice, di un organismo qualificato per la risoluzione di controversie che implichino l'apporto di competenze tecniche essenziali ai fini della definizione della questione (Cons. St., sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 138). L’esito della verificazione è certo autonomamente apprezzabile dal giudice, il quale può anche discostarsi dalle conclusioni del verificatore, a condizione tuttavia che ne espliciti adeguatamente le ragioni. La giurisprudenza amministrativa riconosce, infatti, al giudice di discostarsi dalle risultanze della verificazione (così come da quelle di una consulenza tecnica disposta in corso di causa). Tuttavia, è necessaria la motivazione del dissenso con attenta valutazione di tutti gli elementi esposti nella relazione del verificatore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5454)».

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 330 del 14 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano precisa che allorquando si dovesse ritenere non più rispondente all’interesse pubblico un piano attuativo conforme alla disciplina urbanistica generale, risulterebbe necessario, dapprima, procedere all’approvazione di una variante al predetto strumento generale e, solo successivamente, ricorrendone i presupposti, si potrebbe procedere alla revoca dell’atto di approvazione del piano attuativo ritenuto non più conforme all’interesse pubblico, da intendersi come l’interesse espresso – attraverso le regole ivi fissate – dall’atto di pianificazione generale vigente; in tema di rapporti tra i vari livelli di pianificazione risulta evidente che la prevalenza del piano gerarchicamente sovraordinato impedisce agli organi comunali di effettuare, in via estemporanea, valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate nel predetto piano, dovendosi dapprima attivare il procedimento per la sua modifica, secondo le scansioni stabilite dalla legge; pertanto, la valutazione di congruità di un piano attuativo – o la sua modifica, fino alla sua abrogazione – deve porsi in collegamento attuativo e nel rispetto funzionale delle previsioni dello strumento urbanistico di valenza generale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2734 del 23 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il Consiglio di Stato precisa che, ai sensi dell’ art. 4 della legge n. 13 del 1989, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche previste dall’art. 2 della stessa legge, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, dovendosi intendere come tali non solo quelle portatrici di disabilità, ma anche le persone che soffrono di disagi fisici e difficoltà motorie, possono essere effettuati anche su edifici sottoposti a vincolo come beni culturali, sicché l'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza pregiudizio del bene tutelato.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 8225 del 2 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Brescia precisa che la necessità di garantire la concorrenza impone alle stazioni appaltanti di non escludere tutte quelle offerte che hanno ad oggetto prodotti con caratteristiche tali da soddisfare le specifiche tecniche richieste; ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 68 del d. lgs. 50/2016, il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo un’offerta se questa possiede una certificazione equivalente e se il concorrente dimostra che il prodotto offerto ha caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard richiesto; dato tale principio risulterebbe abnorme far discendere l’esclusione dell’offerta dal fatto che, incontestato che il prodotto offerto possiede tutte le caratteristiche richieste (e dichiarate nell’offerta), quello fornito per la “verifica in vivo” risulti privo esclusivamente del marchio CE, di cui la ditta concorrente garantisce la presenza nel prodotto che sarà fornito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1055 del 9 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il Tar Milano precisa che la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente non può comportare che i fatti posti a fondamento del ricorso debbano ritenersi accertati e che l’interpretazione delle norme proposta da parte ricorrente sia vincolante per il giudice; infatti, l’art. 64, comma 2, c.p.a. stabilisce che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”; ne consegue che solo la costituzione delle amministrazioni resistenti è il presupposto perché possa operare il principio di non contestazione, il cui perimetro è poi limitato ai fatti e non può estendersi alle norme.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 63 del 9 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene non irragionevole la scelta della stazione appaltante, nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, a fronte dei rilevanti scostamenti tra i prezzi offerti dal concorrente rispetto a quelli di mercato, di non ritenere sufficiente la loro giustificazione mediante “preventivi” e, pertanto, di mere proposte contrattuali provenienti da terzi, in luogo di “fatture” e, dunque, di documenti che comprovino l’avvenuta esecuzione di un contratto a determinate condizioni, rispondendo questa scelta all’esigenza di tutelare la stazione appaltante da offerte eccessivamente basse senza risultare discriminatoria, in quanto riferita a materiali di uso comune e facilmente reperibili.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 9 del 2 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato chiarisce che un bosco rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l’idea che per bosco debba intendersi l’insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla produzione di legname; la nozione di bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi; del resto, una differente nozione sarebbe non solo incompatibile con il dato esperenziale, ma non consentirebbe la tutela di tutti gli altri interessi pubblici, che motivano il divieto di antropizzazione di detti territori; si pensi alla tutela della fauna selvatica che evidentemente necessita per la sua vita non solo di aree interamente boscate, ma anche di radure.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 8242 del 2 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano delinea la ratio e l’ambito di applicazione della previsione di cui all’articolo 96 del R.D. n. 523 del 1904 che reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese” e in particolare, la previsione di cui alla lettera f) del comma 1 che vieta “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Il TAR afferma che: «Tale disposizione opera anche in relazione alle acque lacuali. Lo afferma il Consiglio di Stato osservando come il divieto di edificazione in esame abbia carattere assoluto e riguardi, in genere, le acque pubbliche. La regola sub observatione non si limita, quindi, ai soli corsi d’acqua come dimostra l’alinea dell’articolo che, nel fare riferimento alle acque pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere diversamente da quanto invece dispone la disposizione di cui all’articolo 98, comma 1, lettera d), circoscritta alle nuove “costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”. Né una diversa conclusione può affermarsi in ragione della mancata espressa menzione dei laghi da parte delle previsioni contenute nell’articolo 96 e la sola menzione degli stessi nel successivo articolo 97. Invero, la disposizione di cui all’articolo 97, comma 1, lettera n), reca “una previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale dell’art. 96” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5620). Del resto, “se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di livello” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5620)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 37 del 7 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri




Il Consiglio di Stato ribadisce che quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà sia consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa; aggiunge poi che nel caso in cui la domanda di rilascio del permesso di costruire sia stata presentata da parte di precedente proprietario dell'area, l’affidamento legittimo dell'acquirente debba ritenersi escluso tutte le volte in cui il medesimo abbia comunque avuto contezza dell’errore o comunque quando, utilizzando la ordinaria diligenza allo stesso richiesta in quanto soggetto che intendeva ottenere il titolo edilizio, avrebbe potuto accorgersi del suddetto errore.

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7094 del 21 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che le offerte, intese come atto negoziale, devono essere interpretate al fine di ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante alla gara, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di giungere ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto; tale attività interpretativa può, quindi, anche consistere nell’individuazione e nella rettifica di eventuali errori di scritturazione o di calcolo, a condizione, però, che alla rettifica si possa pervenire con ragionevole certezza e, comunque, senza attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta o a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente; va, allora, ribadita, per il TAR, la legittimità del potere di rettifica di errori materiali o refusi da circoscrivere nelle ipotesi in cui l’effettiva volontà negoziale è stata comunque espressa nell’offerta e risulta palese che la dichiarazione discordante non è voluta, ma è frutto di un errore ostativo, da rettificare in applicazione dei principi civilistici contenuti negli artt. 1430-1433 cod. civ.


TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2684 del 17 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ribadisce che è sottratta ai Comuni ogni potestà regolamentare in materia di disciplina dell’attività di spandimento dei fanghi di depurazione in agricoltura, essendo la stessa attribuita dal legislatore statale alla competenza regionale, che non l'ha delegata agli enti locali.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2537 del 28 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la stazione appaltante nella configurazione della disciplina di gara gode di ampia discrezionalità, in quanto funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico tutelato dalla Amministrazione, purché non si restringa irragionevolmente la concorrenza, ovvero non si giunga ad esiti palesemente illogici, o ancora il contenuto sia trasparente e intellegibile; ora, tra gli esiti palesemente illogici cui la legge di gara non può condurre, pena la illegittimità della medesima, rientra indubbiamente quello della non rimuneratività, neanche minima, del capitale investito o, peggio, dell’esecuzione del contratto in perdita; deve, peraltro, trattarsi di una non rimuneratività oggettiva che valga, cioè, per qualsiasi operatore economico che intenda partecipare al confronto competitivo, e non soggettiva, ossia legata alle specifiche modalità organizzative e produttive del singolo concorrente.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2658 del 12 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il Consiglio di Stato precisa che la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono quindi esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza.

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7289 del 25 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il Consiglio di Stato, è inefficace la notifica dell’avviso di perenzione ultraquinquennale effettuata all’indirizzo PEC del domiciliatario non avvocato non inserito in alcun pubblico elenco, atteso che, ai sensi dell’art. 136 c.p.a., tale avviso può produrre efficacia solo se inviato ad un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi.

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 8877 del 27 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato, riformando una sentenza del TAR Milano, afferma che le convenzioni urbanistiche possono consentire lo scomputo degli oneri di urbanizzazione, ma non del costo di costruzione.
In argomento, si veda ora in Lombardia la recente L.R. 26 novembre 2019 n. 18, il cui art. 4, comma 1, lettera g), ha aggiunto al comma 1 dell’art. 46 della L.R.  n. 12 del 2003 il seguente comma:
«1 bis. Nel caso in cui la realizzazione di attrezzature pubbliche e di interesse pubblico e generale prevista in convenzione non sia correlata alla necessità di garantire il reperimento della dotazione di cui all’articolo 9 e l’approntamento delle opere e delle infrastrutture sia totalmente aggiuntivo rispetto al fabbisogno generato dalle funzioni in previsione, è ammessa la possibilità di dedurre gli importi di dette opere o attrezzature a compensazione del contributo afferente il costo di costruzione di cui all’articolo 48.».

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 8919 del 31 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa, con riferimento al principio di tassatività delle clausole escludenti, che se è vero che la sanzione della nullità implica l’automatica inefficacia delle previsioni del bando, disapplicabili direttamente dalla stazione appaltante senza necessità di attendere l’eventuale annullamento giurisdizionale, per la prevalente giurisprudenza, però, la disposizione in ordine alla tassatività delle clausole escludenti – in precedenza prevista dall’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 – non può essere interpretata in modo avulso dal contesto normativo di riferimento, sì da doversene individuarne la ratio nella necessità di ridurre gli oneri formali gravanti sulle imprese partecipanti a procedure di affidamento, quando questi non siano strettamente necessari a raggiungere gli obiettivi perseguiti attraverso gli schemi dell’evidenza pubblica; è quindi da condividere, per il TAR, l’orientamento giurisprudenziale per il quale la sanzione della nullità testuale è riferita esclusivamente alle ragioni di esclusione incentrate sulle forme con cui la dichiarazione negoziale viene esternata, in quanto aspetti formali e documentali che, in assenza di una specifica previsione di nullità, potrebbero essere regolarizzati attraverso l’istituto del soccorso istruttorio; il “principio di tassatività delle cause di esclusione” e la conseguente nullità ex lege, invece, non riguardano i profili sostanziali o qualitativi dell’offerta – come, ad esempio, la base d’asta –, in sé insuscettibili di regolarizzazione postuma giacché l’amministrazione si troverebbe altrimenti a comparare proposte tra loro non omogenee, violando i principi basilari che presiedono lo svolgimento delle procedure competitive; del resto, come pure è stato rilevato in giurisprudenza, la disposizione di cui all’art. 83, comma 8, del d.lgs. 50 del 2016 va letta in continuità ermeneutica con la norma di cui all’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, restando quindi pienamente valido, anche nell’attuale regime normativo, il principio secondo cui la sanzione della nullità testuale è preordinata a privare di rilievo giuridico tutte le ragioni di esclusione dalle gare incentrate non già sulla qualità della dichiarazione, quanto piuttosto sulle forme con cui questa viene esternata.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2693 del 18 dicembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.