Il TAR Milano ricorda che sulla questione della legittimità dell’applicazione della sanzione per ritardato pagamento del contributo per il rilascio del permesso di costruire in presenza di una fideiussione
<< si è pronunciata l’Adunanza Plenaria (sentenza n. 24 del 7 dicembre 2016), intervenuta a fronte di due orientamenti contrapposti: secondo il primo, quando il credito vantato dal Comune per gli oneri dovuto dal titolare di una concessione edilizia è assistito da garanzia fideiussoria, l’Amministrazione non può fare legittimamente ricorso alle sanzioni di cui all'art. 42 D.P.R. n. 380/2001, se non dopo aver previamente escusso infruttuosamente il fideiussore (Cons. St., V , n. 32 del 2003, V, n. 571 del 2003 e I, parere 17 maggio 2013 n. 11663). Secondo questo orientamento l’Amministrazione violerebbe i doveri di correttezza e buona fede, non attivandosi per tempo nel chiedere al garante il pagamento delle somme dovute, in quanto vi sarebbe uno specifico dovere, ai sensi degli artt. 1175, 1375 e 1227, comma 2, cod. civ., di richiedere il pagamento al garante.
Nell’ipotesi in cui l'ente stesso ometta tale adempimento, violerebbe l'obbligo per il creditore di non aggravare inutilmente la posizione del debitore.
Un secondo, maggioritario, orientamento (Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2012 n. 5818, 30 luglio 2012 n. 4320, Sez. VI, 27 novembre 2014 n. 5884), inquadrava la fattispecie in una prospettiva pubblicistica; la fideiussione non avrebbe avuto la funzione di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, ma avrebbe costituito una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'Amministrazione, sulla quale non graverebbe alcun obbligo giuridico di preventiva escussione del fideiussore.
L’Adunanza Plenaria ha condiviso il secondo orientamento, riconoscendo “il potere-dovere della amministrazione comunale di applicare le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel pagamento dei contributi di costruzione al semplice verificarsi delle condizioni previste dalla legge, dovendosi per contro escludere la sussistenza di un obbligo di preventiva escussione della garanzia fideiussoria”.
Ha precisato l’Adunanza Plenaria che il sistema di pagamento degli oneri concessori è caratterizzato da uno strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo individuato dalla lett. c), dell'art. 42 d.p.r. n. 380 del 2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento, e trova applicazione al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligato principale.
La sanzione scatta automaticamente, quale effetto legale automatico, se l'importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito principale.
In tale sistema, l'amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all'aumentare del ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43, D.P.R. n. 380 del 2001).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 913 del 13 aprile 2023.



Il TAR Milano osserva che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un'iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Fin dalla legge che ha introdotto nell'ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l'amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio (Consiglio di Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; T.A.R. Milano, sez. II, 4 gennaio 2023, n.604) e solo da tale momento è dovuto.
Ciò premesso, nel caso in cui l’intervento edilizio si fermi alla fase della demolizione, il privato non riceve alcun beneficio dalle urbanizzazioni primarie e secondarie realizzate dal Comune, in quanto manca del tutto l'edificio che dovrebbe esserne servito; viene meno quindi il presupposto del pagamento degli oneri di urbanizzazione, non essendovi alcuna incidenza qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 986 del 21 aprile 2023.






Il TAR Milano, con riferimento alla contestazione della ragionevolezza dell’utilizzo nella valutazione delle offerte economiche della formula inversamente proporzionale, osserva che la più recente e ormai prevalente giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale, riconosce la legittimità di tale formula e la sua coerenza con i principi posti dal d.lgs. 50/2016 in ordine al rapporto tra componente tecnica e componente economica (cfr. in particolare Consiglio di Stato, sez. III, 14 dicembre 2021, n. 8353; Consiglio di Stato sez. III, 8 ottobre 2021, n. 6735; Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2021, n. 7420; da ultimo ex multis Tar Lazio, sez. I bis, 26 settembre 2022, n. 12207).

Sul punto evidenza che:
<<- come è noto, la formula inversamente proporzionale utilizza i prezzi offerti anziché i ribassi e risponde alla finalità di valorizzare maggiormente l’offerta tecnica, atteso che il rapporto tra grandezze maggiori determina minori differenze tra i punteggi attribuibili alle diverse offerte e dunque minore concorrenza sul fattore prezzo;
- la tesi della ricorrente fa leva su un orientamento giurisprudenziale (cfr. tra le altre Cons. St., sez. V, 28 agosto 2017, n. 4081) secondo cui nell’ambito delle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è necessario che nell’assegnazione dei punteggi venga utilizzato tutto il potenziale differenziale previsto per il prezzo, al fine di evitare uno svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell’offerta; pertanto sarebbero irragionevoli le formule matematiche di attribuzione di punteggi che hanno l’effetto di sterilizzare le differenze fatte registrare tra i ribassi offerti, nella misura in cui abbiano l’effetto di alterare il peso della componente prezzo nell’ambito dell’equilibrio complessivo con la componente tecnica;
- l’orientamento sopra richiamato è riferito in prevalenza a procedure di gara soggette al codice dei contratti pubblici ora abrogato, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dal quale non era ricavabile alcuna preferenza per criteri legati alla componente prezzo rispetto a quelli di carattere qualitativo;
- la situazione è mutata per effetto dell’art. 95 del codice dei contratti pubblici attualmente in vigore che esprime una chiara preferenza per il criterio qualitativo (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 21 maggio 2019, n. 8), tanto che il settimo comma della norma consente anche di bandire gare nelle quali gli operatori economici sono chiamati a competere esclusivamente sulla qualità, limitando se non azzerando la componente economica;
- pertanto, l’uso della formula inversamente proporzionale non è irragionevole, perché, sebbene non comporti eccessive differenziazioni tra le singole offerte (pure a fronte di ribassi apprezzabilmente diversi), garantisce comunque - come è nel caso di specie - un apprezzabile collegamento proporzionale tra l’entità del ribasso e la conseguente attribuzione del punteggio (cfr. ex plurimis, Cons. St., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2185);
- si esclude quindi la necessità di assegnare il punteggio massimo al maggiore ribasso e un punteggio pari a zero al minore ribasso, perché, anzi, un siffatto criterio - anche se astrattamente rispondente alla possibilità di assegnare l’intero range di punteggio alla componente economica - determinerebbe l’effetto - anch’esso opinabile e, in ultima analisi, irragionevole - di produrre ingiustificate ed “estreme” valorizzazioni delle offerte economiche (cfr. sul punto: Cons. St., sez. V, 9 marzo 2020, n. 1691; Cons. St., sez. V, 26 novembre 2020, n. 7436);
- in sintesi, la più recente giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso di ritenere “non contrarie a legge o irragionevoli formule matematiche volte a rendere marginale il peso degli elementi economici attraverso vari elementi correttivi” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8688; id. 23 novembre 2018, n. 6639);
- va ribadito (cfr. Cons. St., sez. V, 26 novembre 2020, n. 7436) che la descritta evoluzione è avvenuta sulla base del mutato contesto conseguente all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in relazione al quale nelle Linee-guida n. 2, sull’offerta economicamente più vantaggiosa, anche l’ANAC ha segnalato la possibilità di impiegare formule matematiche in funzione dissuasiva rispetto ad una competizione eccessiva sul prezzo e dunque in funzione correttiva del metodo tradizionale dell’interpolazione lineare.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 362 del 10 febbraio 2023.


Il Tar Milano afferma che per quanto una parte della giurisprudenza (Cfr. Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 2 novembre 2022, n. 1899) ammetta la possibilità per i terzi di impugnare i titoli in sanatoria dalla data di effettiva conoscenza dell’avvenuto rilascio del titolo, il concetto di “piena conoscenza” di cui all’art. 41, co. 2, c.p.a. – momento dal quale decorre il termine di decadenza per l’impugnazione – non si può dilatare sino a vanificare il principio di certezza dei rapporti giuridici e di stabilità dei provvedimenti amministrativi ammettendo la tempestività di un’impugnazione a moltissimi anni dal rilascio del titolo senza nemmeno una plausibile allegazione delle circostanze che ne hanno impedito la conoscenza tempestiva (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 30 marzo 2023, n. 804).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 970 del 19 aprile 2023.


Il TAR Brescia aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale rispetto al provvedimento di esclusione di un concorrente da una procedura di gara, adottato prima che sia intervenuta l'aggiudicazione dell'appalto, non sussistono controinteressati ai quali il ricorso debba essere notificato a pena di inammissibilità, anche in ragione del fatto che l'unico interesse tutelabile degli operatori concorrenti è quello all'aggiudicazione dell'appalto sul quale l'eventuale riammissione di uno di essi non ha incidenza determinante (Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2021, n. 3172).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 139 del 16 febbraio 2023.


Il TAR Milano, a fronte della dedotta illegittimità di un diniego di proroga per l’assenza di un preventivo provvedimento formale dichiarativo dell’intervenuta decadenza, osserva che la pronuncia formale di decadenza è richiesta semplicemente per attestare l’intervenuta maturazione dei presupposti per la decadenza, non rivestendo la stessa efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa; in guisa di ciò, l’intervenuta decadenza del permesso di costruire ben può emergere da un atto in cui tale aspetto viene preso compiutamente in considerazione, seppure si riferisca a un procedimento avente un oggetto diverso (ma collegato); del resto, opinando diversamente, si costringerebbe l’Amministrazione a duplicare senza motivo dei procedimenti che aggraverebbero soltanto l’azione della P.A., in violazione della normativa in materia (cfr. art. 97 Cost. e art. 1 della legge n. 241 del 1990), senza peraltro nulla aggiungere in termini di tutela per il privato, che già può fornire il proprio apporto nel procedimento collegato e prospettare le proprie ragioni.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 812 del 3 aprile 2023.


Il TAR Brescia, dopo aver ricordato che l’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. 152/06, proprio per individuare un punto di equilibrio tra efficienza del servizio, libertà di organizzazione dello stesso e tutela degli interessi pubblici sovraordinati, dopo aver sancito che i servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali, ha previsto la possibilità di proseguirne la gestione autonoma «nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148» ovvero qualora sussistano «contestualmente le seguenti caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico» (cfr. art. 147, comma 2-bis, d.lgs. 152/06), osserva che:
<<l’eccezionalità del ripetuto comma 2-bis impone che la disposizione debba «essere interpretata in modo rigoroso e restrittivo, atteso che una più ampia interpretazione comporterebbe l'effetto di vanificare il principio dell'unicità di gestione per ambiti territoriali ottimali, riducendone fortemente la portata applicativa» (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 26 agosto 2020, n. 5237): è perciò convincimento del Collegio che, con la locuzione “siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, il legislatore abbia voluto riferirsi alle sole sorgenti poste in luoghi tutelati in virtù di un espresso provvedimento dell’autorità competente, escludendo, quindi, quelle localizzate in aree genericamente tutelate ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. 42/04.
Una diversa interpretazione sarebbe, infatti, contraria al dato letterale dell’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. 152/06 sia nella parte in cui utilizza la locuzione “siti individuati”, anziché riferirsi genericamente a tutti i beni paesaggistici, così come definiti dall’art. 134 del d.lgs. 42/04, sia con il fatto che le fonti de quibus possono trovarsi anche in “parchi naturali o aree naturali protette”, precisazione che sarebbe oltremodo ridondante qualora si accogliesse l’impostazione proposta dal ricorrente, posto che essi sono già contemplati dall’art. 142, comma 1, let. f, del d.lgs. 42/04 («parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi»).>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 344 del 17 aprile 2023.





Secondo il TAR Brescia non vi è alcun obbligo per l’Amministrazione chiamata a valutare l’impatto ambientale di un’opera di utilizzare lo strumento delle prescrizioni per superare le criticità emerse nel corso dell’istruttoria. Si tratta di una scelta discrezionale, all’interno di una valutazione costi-benefici connotata da ancor più ampia discrezionalità.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 226 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano osserva che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il diritto di chiedere la revisione dei prezzi soggiace alla prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948, n. 4, del codice civile: tale assunto discende dalla considerazione della revisione dei prezzi come una mera integrazione quantitativa del compenso spettante al prestatore del servizio, per cui il suo esercizio si prescrive con il decorso del termine quinquennale previsto per il pagamento dei singoli ratei. (TAR Trento, 19 luglio 2022, n. 140; Consiglio di Stato, sezione III, 22 ottobre 2013, n. 5128; sezione III 2011, n. 4362).
La funzione integrativa del prezzo spiegata dal compenso revisionale non comporta tuttavia l’automatica applicazione del termine prescrizionale del diritto al compenso periodico, di cui all’articolo 2948, n. 4, del codice civile.
Secondo un altrettanto consolidato orientamento giurisprudenziale, l’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, fa salva l’autonomia contrattuale delle parti di sottoporre ad un termine decadenziale l’operatività della clausola revisionale e, in considerazione della procedimentalizzazione della sua applicazione, esclude ogni automatismo nell’adeguamento del prezzo (TAR Lombardia, sezione IV, 19 gennaio 2022, n. 117).
Sicché, deve ritenersi legittima la previsione pattizia della clausola di decadenza dall’esercizio del diritto alla revisione dei prezzi, purché non sia irragionevole e sia rispettosa del canone della buona fede contrattuale (TAR Puglia, Lecce, sezione I, 22 luglio 2014, n. 1929; Consiglio di Stato, sezione V, 10 settembre 2012, n. 4783).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 824 del 3 aprile 2023.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza (cfr. tra le altre, T.A.R. Campania, sez. V, 1 agosto 2019, n. 4225) precisa che l’obbligo giuridico di provvedere, ex art. 2 della legge 1990 n. 241, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, essendo il silenzio rifiuto un istituto riconducibile a inadempienza dell’Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento, rinvenibile anche al di là di un’espressa disposizione normativa che preveda la facoltà del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento ovvero le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione” (cfr. ex multis T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 23 febbraio 2017, n. 328).
Non solo, sicure esigenze di giustizia sostanziale impongono la conclusione del procedimento, in ossequio anche al dovere di correttezza e buona amministrazione, “in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2318/2007).
In casi come questo, invero, la mancata risposta dell’amministrazione viola il “principio generale della doverosità dell’azione amministrativa”, integrato “con le regole di ragionevolezza e buona fede” (così T.A.R. Lazio, sez. II, 23 gennaio 2013, n. 788).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 878 in data 11 aprile 2023.


Il TAR Milano ricorda che l'ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è sottratto alla disponibilità del destinatario del comando, difetta di una condizione costituiva dell'ordine e cioè, l'imposizione di un dovere eseguibile.
Aggiunge quindi il TAR che, con riferimento all’ordine di demolizione in materia edilizia, ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario di un ordine di demolizione, l'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, nell'individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell'abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l'abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta, in quanto il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non coincide con l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma è correlato all'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico-edilizia, e all'individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l'ordine ripristinatorio, ossia il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale; del resto, l'ordinanza di demolizione costituisce una misura di carattere reale volta a reprimere un illecito di natura permanente e da tale natura consegue che la sanzione demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti di colui che ha la effettiva disponibilità del bene.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 652 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano osserva che sull’art. 51 d. lgs. n. 50/2016 si sono formati i seguenti principi, avvalorati anche da quanto previsto dalla direttiva 2014/24/UE (art. 46): la suddivisione in lotti rappresenta uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, ma tale principio non costituisce un precetto inviolabile né può comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie (Cons. St., sez. V, 11 gennaio 2018, n.123; sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1076) e derogabile, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata (cfr. Cons. St., sez. VI, 12 settembre 2014, n. 4669, sez III, 12 febbraio 2020 n. 1076).
La ripartizione in lotti, funzionale alla tutela della concorrenza (es. Cons. St., sez. V, 7 febbraio 2020, n. 973; 26 giugno 2017, n. 3110; sez. III, 21 marzo 2019, n. 1857), è espressione di una valutazione discrezionale dell'amministrazione sindacabile in sede giurisdizionale sotto l'aspetto della ragionevolezza e proporzionalità e dell'adeguatezza dell'istruttoria (ex multis, cfr. Cons. St., sez. III n., 21 marzo 2019, n. 1857; Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2044;).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 729 del 234 marzo 2023.


Il TAR Milano osserva che, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa, in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte:
a) le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo);
b) le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.).
Per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. Invece, le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, possono essere oggetto di censura in occasione della sua impugnazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 581 del 5 aprile 2023


Il TAR Milano, in merito alla possibilità di sottoporre a condizione la VIA, osserva che:
<<la giurisprudenza amministrativa costante stabilisce che non può essere ritenuto illegittimo il giudizio positivo di compatibilità ambientale subordinato a determinate prescrizioni o condizioni, dato che tale tipo di approvazione “condizionata” costituisce un giudizio allo stato degli atti integrato dall'indicazione preventiva degli elementi idonei a risolvere possibili dissensi e tanto in osservanza del principio di economicità dell'azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento, dimostrando, anzi, la pluralità di prescrizioni la puntualità e affidabilità della fase istruttoria e l'accuratezza della valutazione (C.d.S. IV, 27 marzo 2017 n. 1392). La compatibilità ambientale non è infatti un concetto naturalistico, si ripete, ma una condizione di equilibrio tra l'idoneità dei luoghi a ospitare un'attività impattante e le prescrizioni limitative poste alla medesima attività, sicchè la graduazione e la previsione di limitazioni postume tramite prescrizioni da verificare in sede esecutiva rendono possibile migliorare l'equilibrio e confermare nel tempo il giudizio di compatibilità (T.A.R. Lazio-Roma III, 3 gennaio 2022 n. 11). Ancora, è stata ritenuta legittima una valutazione di impatto ambientale che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da verificare all'atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell'impianto poiché nulla osta in linea di principio a che l'Amministrazione attesti che, a seguito dell'adozione futura di ben precisi accorgimenti, l'opera possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale (C.d.S. IV, 11 dicembre 2020 n. 7917).>>
Con riferimento poi al rapporto tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, il TAR ricorda che:
<< è stato chiarito (C.d.S. IV, 14 settembre 2022 n. 7978) che la prima investe, in via preventiva, i profili prettamente localizzativi e strutturali di un’opera mentre la seconda costituisce il provvedimento complessivo con cui si valutano gli aspetti gestionali dell’attività e di esercizio di un impianto. In altri termini, la valutazione di impatto precede il rilascio dell’autorizzazione integrata sostanziandosi in un’analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio-economica ritraibile dall’esecuzione e esercizio dell’opera proposta, e ne condiziona il contenuto, essendo la seconda caratterizzata dall’esame, a un maggior livello di definizione, di tutti i profili ambientali (emissioni in atmosfera, scarichi idrici, emissioni sonore, vibrazioni, odori, impatto su suolo e sottosuolo e quello complessivo del progetto in base agli aspetti gestionali). Il maggior livello di approfondimento implica, quindi, una retroazione dell’autorizzazione integrata ambientale sulla procedura di valutazione di impatto ambientale nel senso che la prima, benché cronologicamente successiva, conferma, precisa e condiziona l’oggetto della seconda. Pertanto mentre una valutazione di impatto negativa preclude il rilascio dell’autorizzazione integrata, al contrario legittimamente può essere negata l’autorizzazione integrata anche in presenza di una valutazione di impatto positiva poiché solo l’autorizzazione è, di per sé, idonea a esprimere un giudizio definitivo sull’intervento in concreto proposto. Ne deriva che non incidono sulla legittimità della valutazione positiva di impatto ambientale impugnata con il presente ricorso gli eventuali inadempimenti della proponente alle prescrizioni imposte, i quali semmai dovranno essere valutati dall’Amministrazione competente in sede di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Pertanto nessuna circostanza sopravvenuta relativa al mancato ottenimento delle autorizzazioni prescritte o al mancato adattamento dell’impianto alle prescrizioni, adeguate e legittime, imposte in sede di valutazione di impatto ambientale può inficiare la validità della conclusione di quest’ultima in senso favorevole.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 739 del 27 marzo 2023.


In un giudizio avanti al TAR Milano gli esponenti sostengono che l’accertamento di conformità, con riguardo al momento di presentazione della domanda, doveva essere condotto non avendo riguardo al PRG vigente al momento della domanda, bensì tenendo in considerazione il nuovo strumento urbanistico generale (PGT), allora solo approvato ma non ancora pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia.
La doglianza si rivela per il TAR infondata.
L’art. 13 comma 11 della LR n. 12/2005 stabilisce che gli atti del PGT «acquistano efficacia» con la pubblicazione sul Burl dell’avviso della loro approvazione definitiva.
Di conseguenza, al momento di presentazione della domanda di sanatoria la disciplina urbanistica “vigente”, ai sensi dell’art. 36 del TUE, non poteva essere quella del PGT solo adottato, bensì quella del PRG vigente, in attesa dell’efficacia del nuovo strumento urbanistico.
Nel ricorso si sostiene però l’applicazione del PGT all’istanza di sanatoria, richiamando le norme sulle misure di salvaguardia di cui all’art. 12 del TUE ed agli articoli 13 e 36 della LR n. 12/2005.
Tali misure, precisa il TAR, sono però volte ad evitare che, dopo l’adozione di uno strumento urbanistico e prima della sua approvazione definitiva, siano posti in essere interventi di modifica territoriale tali da rendere sostanzialmente irrealizzabili le disposizioni del piano in itinere (cfr. l’art. 12 comma 3 citato e l’art. 36 commi 3 e 4, anch’esso sopra richiamato).
Per il TAR, lo scopo delle misure è quindi quello di garantire la sostanziale effettività del piano adottato in attesa della sua approvazione attraverso la preclusione di taluni interventi, ma non di anticipare gli effetti della nuova pianificazione per una mera finalità di sanatoria edilizia.
In altri termini, la misura di salvaguardia non può avere una sorta di effetto di condono per abusi che potrebbero eventualmente essere conformi a norme urbanistiche non ancora efficaci.




TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 841 del 4 aprile 2023


Il TAR Milano ritiene infondata l’eccezione di invalidità della costituzione in giudizio del Comune resistente in quanto la stessa non è stata preceduta bensì seguita dalla deliberazione della Giunta Comunale di autorizzazione a resistere nel giudizio.
Il TAR osserva che, secondo le disposizioni dello statuto comunale, il Comune resistente sta in giudizio nella persona del Sindaco – che in effetti conferisce la procura alle liti ai difensori dell’Amministrazione – con autorizzazione rilasciata dalla Giunta Comunale con apposita deliberazione.
Tuttavia, secondo un pacifico indirizzo esegetico, l’autorizzazione a resistere di un ente pubblico non è requisito di validità ma soltanto di efficacia della costituzione in giudizio, sicché può intervenire anche in corso di causa, purché prima della spedizione a sentenza (così, fra le tante, Cassazione Civile, Sezione I, sentenza 8.3.2007, n. 5353).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 842 del 4 aprile 2023.


Il TAR Brescia ricorda che la motivazione postuma è eccezionalmente consentita solo qualora «effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida» (ex multis Consiglio di Stato sez. III, 13 luglio 2022, n.5959), documenti istruttori che, ovviamente, devono essere antecedenti, e non successivi, alla determinazione impugnata.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 278 del 28 marzo 2023.


Il TAR Milano respinge un motivo di ricorso che afferma che la previsione del piano attuativo sarebbe illegittima poiché l’area sarebbe già sufficientemente urbanizzata e non necessiterebbe di nuovi standard, ricordando che, secondo la giurisprudenza amministrativa (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 novembre 2022, n. 9916), «in materia edilizia costituisce […] ius receptum che sono eccezionali e di stretta interpretazione i casi in cui il piano regolatore generale consenta il rilascio del permesso di costruire diretto, senza previa approvazione dello strumento attuativo. Pure in presenza di una zona già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo, ma non anche nell'ipotesi in cui, per effetto di una edificazione disomogenea, ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione - cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV nn. 2397 e 825 del 2018)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 760 del 28 marzo 2023.