Secondo il TAR Milano:
<<- in definitiva, l’art. 181, comma 4 bis, del d.l. 19/05/2020 n. 34, disponendo un rinnovo automatico delle concessioni di parcheggio sino al 31.12.2023, si pone in insanabile contrasto con l’art. 12 della direttiva 2006/136 - come interpretato dalla Corte di giustizia nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15 - e tale contrasto deve essere risolto mediante la disapplicazione della norma nazionale, in coerenza con il noto principio di primazia del diritto eurounitario, di cui va assicurato l’effetto utile e quindi, nel caso concreto, l’attivazione di una procedura di selezione tra i candidati potenziali (cfr. Corte Costituzionale, n. 389 del 1989;Consiglio di Stato sez. V 6 aprile 1991, n. 452).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1235 del 30 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano osserva che, con specifico riferimento al metodo del confronto a coppie, volto a individuare l’offerta migliore in termini strettamente relativi, si è evidenziato che il suo svolgimento non può avvenire ponderando in maniera atomistica ogni singola offerta rispetto a standard ideali, ma deve fondarsi su una graduazione comparativa delle varie proposte dei concorrenti mediante l’attribuzione di coefficienti numerici nell’ambito di ripetuti “confronti a due”, da cui discende l’impossibilità per il giudice di sindacare il merito di tali scelte, salva la ricorrenza di un uso palesemente distorto, logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale del metodo in parola, che è, però, preciso onere dell’interessato allegare e dimostrare, evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità del giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca inattendibilità tecnica o la sua palese insostenibilità logica (cfr. Consiglio di Stato, III, 29 maggio 2020, n. 3401; V, 9 luglio 2019, n. 4787).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1227 del 27 maggio 2022.
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Il TAR Milano osserva che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”; essi, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 902; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 25 marzo 2019, n. 646; id., 2 ottobre 2020, n. 1767).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 745 del 4 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, l’individuazione delle aree idonee all’ubicazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e dei criteri e delle modalità di autorizzazione degli stessi spetta esclusivamente alla Conferenza unificata, fermo restando, in capo alle Regioni, il potere di indicare aree non idonee a ospitare siffatti impianti. Nessuna competenza in tale ambito viene invece attribuita alle Province. Conseguentemente la disposizione di un PTCP che esclude la possibilità di insediare i descritti impianti a biogas (ricompresi nell’ambito applicativo del D.Lgs. 387/2003) in determinate porzioni del territorio provinciale risulta illegittima in quanto viziata da incompetenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1206 del 25 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 345 del 15 luglio 1991, ovvero che l’acquisizione dell’area di sedime al patrimonio indisponibile del Comune ha natura di vera e propria sanzione autonoma, che non può colpire il proprietario che incolpevolmente non abbia potuto dare esecuzione all’ordine di demolizione dell’immobile abusivamente realizzato sulla sua area (sulla natura di sanzione autonoma dell’atto di acquisizione rispetto al presupposto ordine di ripristino, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 4 aprile 2019, n. 746; più diffusamente, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 26 febbraio 2019, n. 1084); costituendo l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale sorge il fabbricato da demolire sanzione personale della mancata attuazione dell’ordine demolitorio, la stessa non può riguardare un soggetto estraneo all’abuso edilizio in confronto del quale non sia stata ritualmente compiuta la comunicazione d’avvio del procedimento di demolizione (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 28 dicembre 2020, n. 2614; Consiglio di Stato, VI, 4 luglio 2014, n. 3409; T.A.R. Campania, Napoli, III, 4 gennaio 2019, n. 61).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1192 del 23 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano condivide l’orientamento giurisprudenziale per cui quando ci si trova di fronte ad un annullamento giurisdizionale per difetto di motivazione, residua uno spazio assai ampio per il riesercizio dell’attività valutativa da parte della pubblica Amministrazione, con la conseguenza che se essa elimina il vizio motivazionale, ma ciò nonostante adotta un provvedimento ugualmente non satisfattivo della pretesa, si avrà violazione o elusione del giudicato solo se l’attività asseritamente esecutiva dell’Amministrazione risulti contrassegnata da uno sviamento manifesto, diretto ad aggirare le prescrizioni, puntuali, stabilite con il giudicato, altrimenti viene in questione non la violazione/elusione del giudicato, bensì un’eventuale nuova autonoma illegittimità deducibile attraverso l’ordinario giudizio di cognizione (cfr. TAR Lombardia, III sez. 11 novembre 2021, n. 2511; Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2021 n. 6422).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1186 del 23 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<una parte della giurisprudenza afferma che la disciplina dello spandimento dei fanghi è da ricondurre alla disciplina dei rifiuti e che quest’ultima è, a sua volta, da collocare – secondo l’insegnamento costante della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. 24 luglio 2009, n. 249) – nell'ambito della materia “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema”, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Si è quindi ritenuto che, siccome nessuna norma statale conferisce ai comuni potestà regolamentare in materia ambientale e, più in particolare, in materia di spandimento fanghi per uso agricolo, gli stessi comuni non possano emanare atti di normazione secondaria che abbiano ad oggetto tale materia. Ancora più in dettaglio, si è escluso poi che i comuni possano regolare l’attività di spandimento dei fanghi attraverso l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, per sua natura finalizzato alla disciplina degli interventi di trasformazione fisica del territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 4 aprile 2012, n. 1006; id. 25 maggio 2009, n. 3848).
A questo orientamento se ne contrappone un altro (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2986) il quale non esclude che l’attività in questione possa essere oggetto di regolamentazione e disciplina da parte degli strumenti urbanistici comunali, e ciò in particolare in quelle Regioni la cui normativa urbanistica attribuisca ai comuni il potere di dettare norme volte alla tutela del paesaggio e dell’ambiente (in Regione Lombardia tale potere sarebbe previsto dall’art. 10 della legge regionale n. 12 del 2005).
In diverse recenti sentenze (cfr., fra le altre, T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 2 maggio 2019, n. 986), la Sezione si è espressa a favore dell’orientamento più restrittivo, e ciò soprattutto in base al rilievo (che appare invero decisivo) secondo cui non è ammissibile ritenere che la norma regionale possa intervenire in una materia di competenza legislativa esclusiva statale, quale è la materia “ambiente”, per sovvertire il quadro delle competenze amministrative delineate dall’art. 6, n. 3), del d.lgs. n. 99 del 1992 il quale, come visto, affida alle regioni e non ai comuni il compito di individuare le fasce di rispetto entro le quali è vietata l’attività di spandimento fanghi (per quanto riguarda l’esatta portata da attribuire all’art. 10 della legge regionale n. 12 del 2005, si rimanda alla sentenza citata).
In ogni caso, va poi osservato che, anche qualora si dovesse ritenere che la legge regionale n. 12 del 2005 abbia attribuito agli strumenti urbanistici comunali il potere di individuare le fasce di rispetto concernenti l’attività di spandimento fanghi, non si può ammettere che tali strumenti introducano una disciplina contrastante con quella dettata dagli atti amministrativi regionali, cui la legge statale attribuisce, come ripetuto, specifica competenza in materia. Non ci si può quindi esimere dal rilevare il contrasto delle disposizioni contenute nel PGT del Comune di Omissis (le quali individuano una fascia di 500 metri entro la quale è vietata l’attività di spandimento fanghi) rispetto a quella contenuta nella DGR n. 5269 del 2016 emanata in attuazione dell’art. 6, n. 3), del d.lgs. n. 99 del 1992, la quale, a differenza della precedente DGR n. 7/15944 del 2003, non indica più un limite minimo ma individua una limite fisso pari a 100 metri dal perimetro del centro abitato.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1027 del 6 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Brescia,
<<il presupposto di operatività dell’art. 9, co. 1 n. 2, D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 è l’essere in presenza di un nuovo edificio, circostanza che non ricorre nel caso di specie venendo piuttosto in rilievo un "intervento di ristrutturazione edilizia" ex art. 3, co. 1 lett. d), del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, ricomprendendo tale categoria, per espressa disposizione di legge, anche “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti”.
Rispetto all’autorimessa di cui alla presente causa, che deriva proprio da un intervento di demolizione e ricostruzione, non può, pertanto, parlarsi di nuovo edificio giacché, come si evince dall’art. 3, co. 1 lett. e) D.P.R. cit., può discorrersi di “intervento di nuova costruzione” solo per le opere ”di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti” (tra le quali, quindi, anche quelle di cui alla lettera d) sopra richiamata)>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II n. 395 del 26 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<Secondo l’orientamento già espresso da questa Sezione, l’operatività del soccorso istruttorio deve essere esclusa ove si tratti di integrare la documentazione attestante il possesso di un requisito di qualificazione mancante, quale una specifica certificazione SOA, necessaria per l’esecuzione di una parte di opere oggetto dell’appalto, e non già un requisito di partecipazione che già risulta posseduto dall’operatore economico al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte.
L’omessa dichiarazione nell’offerta della volontà di ricorrere al subappalto c.d. qualificante o necessario non è dunque suscettibile di essere sanata, in quanto manifesta la carenza di un requisito di partecipazione che, andando ad incidere direttamente sul contenuto dell’offerta tecnica, preclude in radice la concreta possibilità della sua esecuzione da parte del concorrente (Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione I, 22 novembre 2021; 3 settembre 2021, n. 1965)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 875 del 16 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva:
<<2.3. Va anzitutto osservato che le controversie concernenti la sussistenza dei presupposti legittimanti la richiesta di un titolo edilizio (o i procedimenti assimilati) sono assoggettate al regime della c.d. “doppia tutela”, per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell’autore dell’attività edilizia illecita (con giurisdizione del giudice ordinario) e, dall’altro, dell’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell’amministrazione, con cui tale attività sia stata autorizzata, consentita e permessa, da far valere di fronte al giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, IV, 14 gennaio 2016, n. 81; 3 agosto 2016, n. 3511; 31 marzo 2015, n. 1692; T.A.R. Lombardia, Milano II, 17 dicembre 2021, n. 2837; 26 luglio 2017, n. 1680; 5 dicembre 2016, n. 2301).
In particolare, il potere di controllo dell’amministrazione in sede di rilascio dei titoli edilizi (al pari di quello esercitato in sede inibitoria) deve essere collegato al riscontro di profili di illegittimità per contrasto con leggi, regolamenti, piani, programmi e regolamenti edilizi, mentre non può essere esercitato a tutela di diritti di terzi non riconducibili a quelli connessi con interessi di natura pubblicistica; tra questi ultimi rientrano, ad esempio, il rispetto delle distanze dai confini di proprietà o del distacco dagli edifici oppure i casi conclamati di inesistenza di un titolo giuridico che fondi la legittimazione attiva del richiedente il titolo edilizio (cfr. Consiglio di Stato, IV, 24 febbraio 2022, n. 1302; T.A.R. Lombardia, Milano, 14 aprile 2022, n. 854).
omissis
Invece, l’amministrazione, quando venga a conoscenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza del giudice ordinario), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 aprile 2018, n. 2397; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20 gennaio 2020, n. 117; id., 23 dicembre 2019, n. 2728).>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1129 del 16 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riguardo all'impugnazione delle clausole di un bando di gara, osserva:
<<In forza di un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1, di recente confermato da Consiglio di Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4) le clausole del bando devono essere impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione e dunque, di norma, unitamente all’esclusione del concorrente, che censura anche la lex specialis, o all’aggiudicazione a terzi, fermo restando, inoltre, che la partecipazione alla gara da parte di un operatore non implica alcuna acquiescenza alle regole della gara prive di immediata lesività (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 4 del 26 aprile 2018).
A fronte di una clausola illegittima della lex specialis, ma non immediatamente lesiva, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta o potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale e, quindi, in un’effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare.
La ricordata regula iuris subisce delle eccezioni, perché in taluni casi, secondo l’indirizzo dell’Adunanza plenaria, il bando di gara deve essere immediatamente impugnato, perché direttamente lesivo e ciò accade allorché: a) si contesti in radice l’indizione della gara; b) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione proceduto all’affidamento diretto; c) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti e sono tali quelle che pregiudicano l’utile partecipazione alla procedura, perché precludono ab origine la possibilità di conseguire l’aggiudicazione, indipendentemente dallo svolgimento delle operazioni di gara.
La giurisprudenza ha chiarito che le clausole escludenti, la cui elencazione resta suscettibile di elaborazione ispirata a criteri necessariamente restrittivi, avuto riguardo al carattere eccezionale dell’onere di reazione immediata, comprendono: a) le clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; b) le regole che valgano a rendere la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; e) le clausole impositive di obblighi contra jus; f) i bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta, ovvero presentino formule matematiche del tutto errate; g) gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione di voci di costo necessarie, come quella relativa ai costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (per tali considerazioni si vedano anche: Consiglio di Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5789; Consiglio di Stato sez. V, 24 ottobre 2018, n. 6040).
Va ribadito, quindi, che l’impugnazione immediata del bando rappresenta l’eccezione, visto che al momento dell’avvio della procedura, di regola, la lesione per il soggetto concorrente è potenziale, assumendo la stessa i caratteri della concretezza e dell’attualità, di norma, soltanto a conclusione della gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4 marzo 2019, n. 1491; Consiglio di Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1350).
Non solo, quando si assume che la lex specialis precluda la possibilità di formulare un’offerta economicamente sostenibile, è necessario che si tratti di un impedimento certo e attuale e non meramente eventuale (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 245 del 22 novembre 2016), poiché solo in tale caso si giustifica l’onere di immediata impugnazione.
Per contro, laddove permanga almeno una chance di aggiudicazione non può ritenersi preclusa ab initio l’utile partecipazione alla procedura, con la precisazione che la chance si configura quale utilità intermedia autonomamente tutelata (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019, che richiama anche Corte di giustizia, IV, ord. 14 febbraio 2019, causa C-54/18; in argomento anche T.A.R. Lombardia, sez. II, 29 aprile 2020, n. 710).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 940 del 28 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Brescia osserva:

<<7.1) Preliminarmente si osserva che l’oggetto del provvedimento impugnato attiene alla distanza dell’edificio “dal confine” e non alla distanza “tra edifici” frontistanti.
La differenza tra i due parametri urbanistici è chiara.
In primo luogo a materia della distanza delle costruzioni “dal confine” è pacificamente rimessa alle scelte della pianificazione comunale e non alla normativa primaria (Cass. Civ. sez. II, 22/03/2022, n. 9264), mentre quella sulla distanza minima tra edifici è disciplinata sia dall’art. 873 del Cod. Civ. che - in via integrativa - dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
In secondo luogo i due parametri urbanistici sono diversi ed autonomi anche sotto il profilo applicativo.
L’art. 873 del Cod. Civ. richiede la distanza minima tra gli edifici di 3 metri che, tuttavia, può essere rispettata anche se un manufatto è posto sul confine e l’altro è arretrato di tre metri.
Al contrario la distanza minima dal confine impone a tutti i proprietari di edificare necessariamente mantenendo il distacco dal confine prescritto dalla pianificazione locale, non operando in tal caso il principio civilistico della “prevenzione”, con la conseguenza che anche chi costruisce per primo deve comunque rispettare la distanza minima dal confine.
Infine i due parametri si differenziano anche sotto il profilo della ratio e della finalità giacché la prima garantisce l’ordinato assetto urbanistico, mentre la seconda assolve alla funzione igienico-sanitaria di evitare la realizzazione di intercapedini insalubri.
7.2) Così inquadrata la questione si rileva l’infondatezza del motivo che pretende di far discendere l’illegittimità della norma tecnica sulle distanze degli edifici dal confine utilizzando alcune prescrizioni di dettaglio previste per la normativa sulle distanze tra edifici.
Tale operazione è errata in quanto la normativa sulla distanza tra costruzioni non è estensibile analogicamente a quella sulla distanza dal confine poiché, come si è precisato, le due discipline hanno una ratio e una finalità diverse.
Anche la giurisprudenza ha precisato che “Le due prescrizioni hanno anche una ratio diversa in quanto la previsione di una distanza tra fabbricati e quella del distacco dal confine assolvono a funzioni diverse, rivestono valenza autonoma e producono effetti tra loro distinti, talché il rispetto della prima non vale ad autorizzare la violazione o la disapplicazione della seconda” (Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 2003 n. 6506).>>

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 465 del 10 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver richiamato la giurisprudenza che riconosce da tempo l’esistenza del divieto di utilizzare il potere di pianificazione con finalità espulsive, considerato che gli strumenti urbanistici sono essenzialmente rivolti a disciplinare la futura attività di trasformazione e di sviluppo del territorio, non potendo di regola incidere sulle opere già eseguite in conformità alla disciplina previgente, le quali conservano la loro originaria legittima destinazione, pur se difformi dalle nuove prescrizioni, e possono essere oggetti di interventi necessari per integrarne, mantenerne o ripristinarne la funzionalità (TAR Lombardia, Brescia, I, 15.03.2017, n. 374; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2020 n. 1234; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.04.2021 n. 924), osserva:
<<Da ciò consegue, con riferimento al primo motivo, che il cambio di titolarità di un’attività produttiva, costituendo una mera modifica dell’attività esistente, non può essere equiparata ad una nuova attività e quindi non può formare oggetto di un divieto urbanistico di prosecuzione dell’uso delle strutture produttive che sia conforme a quello già assentito.
Diverso è invece il caso delle nuove attività che, pur condividendo la classificazione di industrie insalubri di prima classe, abbiano oggetto e caratteristiche produttive diverse e non si fondino sulla voltura dei titoli esistenti>>;
aggiunge inoltre che
<<Ne consegue che debbono ritenersi ammessi tutti gli interventi sul patrimonio edilizio che abbiano finalità conservativa.
Ai sensi del DPR 380/01 vigente alla data dell’approvazione del PGT tra gli interventi conservativi rientrano non solo quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria ma anche gli interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, in quanto interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente con finalità conservativa dell’immobile o della volumetria esistente.
In merito occorre rammentare che l’art. 3 bis del DPR 380/01 nel permettere allo strumento urbanistico di individuare gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione, stabilisce che nelle more dell'attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario.
Qualsiasi interpretazione più restrittiva, infatti, finirebbe per limitare l’esercizio delle attività economiche legittimamente ammesse nell’area, con conseguente violazione della libertà di iniziativa economica privata.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1076 del 11 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, a fronte di una legge di gara che prevedeva la possibilità per le ASST facenti parte di un raggruppamento/unione d’acquisto di chiedere all’aggiudicatario di ciascun lotto l’estensione del contratto, alle condizioni tecnico-organizzative ed economiche definite dalla procedura stessa, osserva che:
<<Ancorché non espressamente previsto né nella disciplina nazionale, né in quella eurounitaria, l’istituto della clausola di adesione è ritenuto dalla pacifica giurisprudenza legittimo, sia pure a ben determinate condizioni di cui si dirà nel prosieguo (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. IV, sentenza n. 545/2021; C.d.S., Sez. III, sentenza n. 982/2018).
Si tratta di una conclusione che la Sezione condivide appieno, per i motivi ampiamente esposti nella sentenza n. 224/2022, a cui per ragioni di sintesi si rinvia. Qui è sufficiente rammentare che la clausola di adesione soddisfa un’esigenza, meritevole di tutela, di aggregazione e razionalizzazione delle gare pubbliche in vista dei risparmi di spesa che tale modalità di aggiudicazione dei contratti consente di ottenere.
Nell’opera di bilanciamento dei principi proconcorrenziali che permeano il diritto dell’Unione europea e dell’interesse interno a una efficiente allocazione delle risorse pubbliche, l’elaborazione pretoria è giunta a individuare le condizioni che devono accompagnare la clausola di adesione perché essa possa ritenersi legittima. Così è condivisa, anche dalla Sezione, la conclusione per la quale la clausola in questione (i) deve essere prevista a favore di Amministrazioni aggiudicatrici predeterminate, (ii) deve essere prevista per quantità predeterminate, (iii) deve avere a oggetto prestazioni sostanzialmente omogenee.
7.2.3. Ove ricorrano, congiuntamente, le suvviste condizioni non è affatto necessario, ai fini della legittimità della clausola, che questa sia riconducibile a un accordo-quadro e, segnatamente, a un accordo-quadro con pluralità di operatori economici, così come infondatamente sostiene la ricorrente nel primo motivo di impugnazione.
Va osservato che l’istituto dell’accordo-quadro nel diritto eurounitario (articolo 33 Direttiva n. 2014/24/UE) e in quello interno (articolo 54 D.Lgs. n. 50/2016) si presenta polimorfo, nel senso che può essere sottoscritto da una o più amministrazioni aggiudicatrici e da uno o più operatori economici, e in determinati casi può, ancorché non sia necessario, prevedere l’apertura, in tutto o in parte, di una seconda fase del confronto competitivo.
Ora, benché in concreto possa accadere che una clausola di adesione sia ascrivibile al paradigma dell’accordo-quadro, in astratto clausola di adesione e accordo-quadro restano fattispecie affini ma distinte. La clausola di adesione è accessoria a un contratto già produttivo di effetti e come tale essenzialmente già completo; il contratto-quadro non obbliga immediatamente a rendere la prestazione, nemmeno nei confronti dell’Amministrazione capofila che lo ha sottoscritto, ma necessita di un nuovo contratto a valle per essere eseguito>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 279 del 25 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano esamina la domanda di un Comune formulata in via riconvenzionale al risarcimento dei danni conseguenti alla rovina di un muro di cinta fronteggiante una via comunale e osserva:
<<5. Nel merito, il Collegio ritiene che la fattispecie debba essere inquadrata nella responsabilità da rovina di edificio ex art. 2053 cod. civ. e non nella responsabilità per danni provocati dalle cose in custodia di cui all'art. 2051 cod. civ., evocato dal Comune. Il discrimen tra le due ipotesi è dato dalla specialità del criterio d'imputazione dell'art. 2053 cod. civ., ove la responsabilità viene posta a carico del proprietario in base al criterio formale del titolo e non sulla base del mero rapporto di custodia e di uso della res.
Ad ogni modo, anche quella di cui all'art. 2053 cod. civ. è una responsabilità oggettiva e presunta, che può essere esclusa solamente dalla dimostrazione, da parte del danneggiante, che il danno è stato provocato da un fattore causale autonomo (ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 26 maggio 2020, n. 9694; Id., 21 gennaio 2010, n. 1002).
Per l'effetto, il Comune danneggiato deve provare unicamente il titolo d'imputazione (la proprietà), l'evento dannoso (la rovina) e il danno, spettando viceversa ai danneggianti resistenti l'onere della prova del fattore eziologico escludente...>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1036 del 6 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa:
<<L'AIA e l'autorizzazione paesaggistica sono titoli abilitativi della specifica attività e delle opere ad essa connesse, perciò – come tra l'altro chiaramente si evince dall'art. 29, co. 1, d.lgs. 152/2006 – presuppongono il rilascio di una VIA positiva. Poiché diversi sono gli accertamenti e le finalità delle autorizzazioni, è possibile che l'AIA (come del resto l'autorizzazione paesaggistica) sia negata anche in presenza di una VIA positiva, ma «una valutazione d'impatto ambientale negativa preclude senz'altro il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale» (Cons. Stato, Sez. IV, 18 luglio 2017, n. 3559; Id., Sez. V, 6 luglio 2016, n. 3000).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1034 del 6 maggio 2022.
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Il Consiglio di Stato, esaminando un appello avverso una decisione del TAR Lombardia, Milano, ribadisce che “per la giurisprudenza, l’appello non può limitarsi a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi in primo grado, dovendo contenere una puntuale critica ai capi della sentenza appellati; a tal fine, pur non richiedendosi l’impiego di formule sacramentali, si esige l’onere specifico, a carico dell’appellante, di formulare una critica specifica della motivazione della sentenza appellata in modo che il giudice di appello sia posto nelle condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente (di recente, Cons. Stato, VI, 30 dicembre 2021, n. 8715; V, 19 aprile 2021 ,n. 3159)”.

Consiglio di Stato, sez. V, 26 aprile 2022 n. 3207
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Secondo il TAR Milano l’ordine di procedere alla bonifica di un’area, senza previo accertamento della contaminazione delle matrici ambientali e definizione dei contenuti della bonifica in contraddittorio con l’amministrazione, è illegittimo per genericità, perplessità del contenuto e per aver delegato una parte dell’attività che competete all’amministrazione al privato, dovendo invece l’ordine contenere disposizioni precise e dovendo le attività di bonifica successive alla presentazione del piano di caratterizzazione essere approvate dalle autorità competenti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 955 del 29 aprile 2022.
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Il TAR Milano, con riferimento al disposto di cui all’art. 338, co. 5, R.D. n. 1265/1934 che disciplina l’edificazione in prossimità dei cimiteri osserva:
<<8.1. … come la giurisprudenza formatasi prima delle modifiche apportate al testo di legge dall’art. 28 della L. 166/2002 sia costante nel ritenere che, all’interno delle c.d. zone di rispetto, sia preclusa la possibilità di realizzare ogni tipo di attività edilizia “costruttiva”, fermo restando i soli corpi di fabbrica già esistenti all'interno di detta fascia (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 476: Id., 12 novembre 1999, n. 1871).
8.2. Le modifiche normative apportate nel 2002 segnano l’insorgenza di un dibattito sulla portata della previsione di cui all’art. 338, co. 5, R.D. n. 1265/1934 che, come visto, si riferisce alla possibilità di realizzare opere pubbliche o di attuare un intervento urbanistico.
8.3. Secondo una parte della giurisprudenza l’espressione “intervento urbanistico” potrebbe ritenersi riferita solo alle opere pubbliche o di pubblica utilità al fine di non snaturare la ratio su cui riposa la previsione legale (Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2006, n. 1593; Id., 3 maggio 2007, n. 1934).
8.4. Altra parte della giurisprudenza ricomprende nell’alveo applicativo della regola in esame anche le opere realizzate dai privati (cfr.: T.A.R. per l’Abruzzo – sede di Pescara, sez. I, 22 febbraio 2007, n. 189; T.A.R. per la Sardegna, Sez. II, 20.03.2009, n. 322; Id., 18 maggio 2007, n. 973).
8.5. Invero, la prima opzione interpretativa appare maggiormente aderente al dato normativo e alla mens legis. Si tratta, infatti, di materia “disciplinata direttamente dalla legge e non suscettibile, pertanto, di deroghe, da parte di altra disposizione normativa se non di pari o superiore rango ed in base alle seguenti considerazioni” (T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942). Con le modifiche normative del 2002 si fissa, comunque, in 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale il limite per l’edificabilità privata. Lo conferma la previsione contenuta nel primo comma, risoluta nell’affermare che è vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di duecento metri “quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge”. Il limite all’edificabilità privata non è, quindi, ancorato alla “fascia di rispetto” (che può variare in relazione alle determinazioni adottate dall'Autorità Comunale), ma è legislativamente fissato in ogni caso entro il limite di 200 metri da calcolarsi dal perimetro dell'impianto cimiteriale. “Il regime vincolistico così delineato con riferimento all'attività edilizia dei privati appare più che in linea con la ratio delle deroghe ed eccezioni al limite dei 200 metri previste dalla legge medesima che sono ammesse in funzione dell'ampliamento dei cimiteri esistenti o della costruzione di nuovi cimiteri (comma 4), nonché nei casi in cui l'amministrazione comunale debba dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico” (T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942). Trattasi in entrambi i casi di eccezioni giustificate da esigenze pubblicistiche correlate alla stessa edilizia cimiteriale, oppure ad altri interventi pubblici purché compatibili con le concorrenti ragioni di tutela della zona (comma 5) (cfr., ancora, T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942).>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 772 del 6 aprile 2022.
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Il TAR Milano precisa che:
<<Non si ritiene, infatti, che il ricorso collettivo possa qualificarsi come una “deroga” al dichiarato principio che imporrebbe al titolare dell’interesse di proporre una domanda separata. Difettano previsioni in tal senso sia nell’ordito del codice di rito amministrativo che in quello civile a cui rinvia la previsione di cui all’articolo 39 c.p.a., “deponendo anzi in senso (tendenzialmente) contrario le norme in tema di connessione, presenti in ambedue i Codici (artt. 31-36, art. 40 c.p.c.; art. 70 Cpa)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). L’elemento che consente ad una pluralità di soggetti di assumere la qualità di attore o ricorrente è la identità di posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela. Situazione che “più che “derogatoria” di un principio generale, costituisce una ipotesi ordinaria di esercizio del potere di azione, proiezione in sede processuale di una situazione sostanziale identica, accomunante tutti gli attori o ricorrenti” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). Del resto, non mancano in giurisprudenza esempi di situazioni nelle quali la proposizione di giudizi autonomi in caso di identità di posizioni sia persino ritenuta contraria al canone di buona fede e correttezza processuale (cfr., Cassazione civile, Sezioni unite, 15.11.2007 n. 23726; Id., sez. III, 22.12.2011 n. 28266; Id., 9.4.013 n. 8576; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.11.2016 n. 5019). Non sembra, quindi, predicabile il carattere derogatorio dell’azione collettiva proposta in ambito civile o amministrativo.
11.2. Affermazione che, tuttavia, non si traduce nel deflettere dal necessario accertamento dei presupposti tipici di simile modalità di esercizio dell’azione che, come spiegato, risiedono nella verifica della ricorrenza di “identità di situazioni sostanziali e processuali”. E’, quindi, necessario verificare:
i) la “identità” della posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela in giudizio (intendendosi per “identità” non già la astratta appartenenza della posizione considerata ad una delle due species tutelate dal nostro ordinamento giuridico, quanto la riconducibilità di tutte le posizioni alla medesima tipologia posta dall’atto di esercizio del medesimo potere amministrativo);
ii) la “identità” del tipo di pronuncia richiesto al Giudice;
iii) la “identità” degli atti impugnati, nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano “comuni” ai ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di “identiche” posizioni di interesse legittimo;
iv) la identità dei motivi di censura rivolti avverso gli atti impugnati che rappresenta una evidente conseguenza della relazione intercorrente tra atto illegittimo e situazione giuridica posta dall’esercizio del potere e da questo, nel concreto esercizio, illegittimamente lesa (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 908 del 26 aprile 2022.
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Il TAR Milano ricorda che i chiarimenti non possono in alcun modo modificare una chiara previsione della lex specialis della gara, come sostenuto da giurisprudenza consolidata e pienamente condivisa dal Collegio: «I chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso di una gara d'appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di gara; i chiarimenti della stazione appaltante, infatti, sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando, proprio mediante l'attività interpretativa, si giunga ad attribuire ad una disposizione della lex specialis, un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal testo stesso, in tal caso violandosi il rigoroso principio formale della lex specialis, posto a garanzia dei principi di cui all'art. 97 Cost.» (Consiglio di Stato, III, 7 gennaio 2022 n. 64).
Aggiunge il TAR che nessuna deroga potrebbero apportare i chiarimenti alla lex specialis nemmeno ove (per ipotesi) l’Amministrazione ritenesse di avere errato nella configurazione del bando: «Nel disciplinare di gara l'errore materiale non è emendabile con lo strumento dei chiarimenti, in quanto l'errore materiale o l'omissione commessa nella lex specialis richiede una apposita rettifica del bando e del disciplinare da parte della stazione appaltante, adottata con le medesime forme di detti atti e non già con un semplice chiarimento del responsabile unico del procedimento» (Consiglio di Stato, III, 7 gennaio 2022 n. 64).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 967 del 2 maggio 2022.
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Secondo il TAR Milano, l’interpretazione del comma 4 dell’art. 15 del DPR n. 380/2001 deve essere condotta secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, tali da contemperare l’interesse dell’Amministrazione all’applicazione delle nuove norme di piano con quello del privato all’esecuzione dell’intervento edilizio ritualmente assentito e non concluso per fatto non imputabile al privato stesso. Ciò che rileva, pertanto, è che i lavori siano effettivamente iniziati entro il termine annuale e che siano in corso all’atto dell’entrata in vigore delle norme di piano, giacché tali circostanze manifestano la serietà degli obiettivi del titolare del permesso di costruire, che intende portare a termine i lavori avviati regolarmente.
Nulla vieta, di conseguenza, che pur a fronte di nuove previsioni urbanistiche sia accordata una proroga per completare i lavori effettivamente avviati e in corso di esecuzione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 873 del 15 aprile 2022.
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