Precisa il TAR Milano che l’accordo di programma è una species dell’accordo tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della legge n. 241/90 e non degli accordi tra amministrazioni e privati ex art. 11 della legge n. 241/90; l'accordo di programma, infatti, consiste nel consenso unanime delle amministrazioni statali e locali e degli altri soggetti pubblici interessati, senza che ad esso partecipino i privati che, invece, possono essere coinvolti nella sua attuazione, con la conseguenza che i diritti soggettivi di questi, derivanti dalla proprietà delle aree o da concessioni edilizie, restano affievoliti, essendo l'indicato accordo di programma espressione di poteri pubblicistici nei loro confronti; laddove i privati siano legittimati all’intervento, ad esempio da leggi regionali, non assumono la qualifica di “parti” del procedimento organizzatorio, riservata, invece, esclusivamente ai soggetti pubblici.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2123 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato osserva che, come già evidenziato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4180 del 9 luglio 2018), la disposizione dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2, e 120, comma 5, ultima parte, del c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto o, per quanto qui interessa, in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di ammissione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante, il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, ma ciò a patto che l’interessato sia in grado di percepire i profili che ne rendano evidente la lesività per la propria sfera giuridica in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall’ordinamento processuale; in altri termini, la piena conoscenza dell’atto di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso.
Aggiunge il Consiglio di Stato che laddove si tratti della impugnazione di un provvedimento di esclusione, la conoscenza dei relativi profili lesivi deve ritenersi insita nella percezione della sua adozione da parte dell’impresa esclusa, tanto più se acquisita congiuntamente a quella delle relative ragioni determinanti.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5434 del 17 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia aderisce all’orientamento secondo il quale l'operatività della decadenza del permesso di costruire necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria; la decadenza del permesso di costruire non opera quindi di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all'obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990 e può essere adottato solo previa formale e apposita contestazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 825 del 3 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che la salvaguardia di cui comma 3 dell’art. 12 del T.U. edilizia si verifica a prescindere dal fatto che la domanda di permesso di costruire sia stata presentata anteriormente alla data di adozione dello strumento urbanistico, poiché l'amministrazione deve tenere conto della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui la determinazione relativa all'istanza di titolo abilitativo viene assunta; in altri termini, la mera presentazione della domanda di permesso di costruire non basta a rendere irrilevanti le variazioni di strumento urbanistico sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento. 

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 825 del 3 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato si discosta dall’unanime orientamento della giurisprudenza amministrativa che è, allo stato, nel senso della inammissibilità dell’appello c.d. cumulativo, ancorché le sentenze impugnate abbiano lo stesso contenuto o siano pronunziate fra le stesse parti, e ritiene che sia possibile esperire l’appello cumulativo anche nel processo amministrativo, sia pure a condizione che ricorra il requisito soggettivo della identità delle parti e quello oggettivo della comunanza delle questioni o della stretta connessione tra le cause.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5385 del 14 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano dopo aver premesso che, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, l’installazione di un ascensore all’esterno di un condominio non richiede il permesso di costruire, trattandosi della realizzazione di un volume tecnico, necessaria per apportare un’innovazione allo stabile, e non di una costruzione strettamente intesa, precisa che, tuttavia, l’intervento edilizio in questione non può prescindere dall’acquisizione del consenso della maggioranza dei condomini dello stabile interessato, come previsto dalla normativa civilistica in materia di innovazioni condominiali (art. 1120 cod. civ.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2065 del 13 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte di Giustizia UE in ordine alla questione relativa alla fissazione dei requisiti minimi per la valutazione tecnica di un’offerta in una gara d’appalto statuisce i seguenti principi:

«1) La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che autorizza le amministrazioni aggiudicatrici ad imporre, nel capitolato d’oneri di una gara d’appalto con procedura aperta, requisiti minimi per la valutazione tecnica, cosicché le offerte presentate che, al termine di tale valutazione, non raggiungono una soglia di punteggio minima prestabilita sono escluse dalla successiva valutazione fondata sia su criteri tecnici sia sul prezzo.
2) L’articolo 66 della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che autorizza le amministrazioni aggiudicatrici ad imporre, nel capitolato d’oneri di una gara d’appalto con procedura aperta, requisiti minimi per la valutazione tecnica, cosicché le offerte presentate che, al termine di tale valutazione, non raggiungono una soglia di punteggio minima prestabilita sono escluse dalle fasi successive dell’aggiudicazione dell’appalto, e ciò a prescindere dal numero di offerenti restanti».

La sentenza della Quarta Sezione del 20 settembre 2018 (causa C-546/16) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che oggetto dei compiti di tutela dell’Amministrazione dei beni culturali previsti dall’art. 152  del D.Lgs n. 42/2004 nel caso di aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni sono i procedimenti autorizzatori  concernenti gli interventi descritti dalla norma, sia che si intenda realizzare gli stessi “nell’ambito” delle aree indicate dall’art. 136, sia che tali interventi si intendano realizzare “in vista” delle aree o “in prossimità” degli immobili indicati dal medesimo art. 136, ai quali occorre aggiungere anche i beni “tutelati per legge”, di cui all’art. 142 T.U.; sarebbe illogico che tale sistema di ulteriore protezione (indiretta) dei beni paesaggistici assistesse unicamente quelli sottoposti a dichiarazione di notevole interesse pubblico (le cui categorie sono contemplate dall'art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e non invece i beni paesaggistici previsti dalla legge (art. 142), in cui il valore paesaggistico compendiato nel vincolo ex lege che li assiste è una qualità correlata originariamente al bene, non suscettibile di una protezione giuridica di minore intensità; quando vengono in rilievo opere infrastrutturali di grande impatto visivo il paesaggio, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella rinveniente dalla sua semplice perimetrazione fisica consentita dalle indicazioni contenute nel decreto di vincolo.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Si ricorda che il 28 e 29 settembre 2019 si terrà a Varese, Villa Panza, il convegno "Verso leggi urbanistiche regionali di quarta generazione", organizzato dall’Associazione italiana di diritto urbanistico e dall'Università degli Studi dell'Insubria.

L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Varese e dall’Ordine degli Architetti di Varese.



Si informa che l'Associazione Giudici Amministrativi Tedeschi Italiani Francesi - AGATIF ha organizzato per il 5 ottobre 2018 nella città tedesca di Saarbrüchen, il convegno con titolo “Il regolamento fondamentale per la protezione dei dati (elettronici) e i connessi ricorsi davanti ai tribunali amministrativi”.

Il convegno è gratuito e le modalità di iscrizione sono contenute nella locandina.


Precisa il TAR Milano che la disciplina procedimentale complessivamente delineata dall’articolo 13 della legge regionale n. 12 del 2005 non vieta, di per sé, la riedizione di singole fasi della procedura pianificatoria, ove si intenda rivedere gli atti già assunti, a partire da un determinato segmento procedimentale; in questa prospettiva, la circostanza che non si sia proceduto alla pubblicazione di una nuova comunicazione di avvio del procedimento di formazione del Piano e all’apertura di un nuovo termine per la presentazione delle proposte e dei suggerimenti degli eventuali interessati è perciò da ritenere del tutto fisiologica; la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento di formazione dello strumento urbanistico ha, infatti, una valenza del tutto indicativa, poiché tale avviso è volto soltanto a rendere nota la volontà dell’Amministrazione di dare corso alla formazione di un piano, o di una variante di piano, ma non vincola né preordina le successive opzioni pianificatorie, che sono destinate a emergere – e sono ampiamente modificabili – nel corso del procedimento, alla luce dell’acquisizione di tutti gli interessi rilevanti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2052 del 6 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che il riferimento operato dall’art. 120, comma 11 bis, c.p.a. (ai sensi del quale: “nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”) allo “stesso atto”, quale presupposto oggettivo del ricorso cumulativo, debba essere ragionevolmente inteso come concernente il provvedimento adottato dalla stazione appaltante in senso formale, anche se comprensivo di plurime determinazioni provvedimentali in senso sostanziale, atteso che, in considerazione della specificità della fattispecie disciplinata, caratterizzata dallo svolgimento di una gara avente ad oggetto un appalto suddiviso in lotti, l’ipotesi di provvedimento anche sostanzialmente unitario, suscettibile di impugnazione cumulativa ai sensi della norma richiamata, appare squisitamente teorica e comunque residuale (ad esempio: impugnazione di distinti provvedimenti di aggiudicazione sulla scorta di vizi di illegittimità attinenti in via immediata all’unica lex specialis); di conseguenza, in una fattispecie caratterizzata dalla impugnazione di plurimi provvedimenti di esclusione, di cui la parte è stata destinataria con riferimento ai distinti lotti alla cui aggiudicazione ha partecipato, ma contenuti in un unico atto in senso formale, sussistono i presupposti legittimanti la proposizione di una impugnazione di carattere cumulativo, alla luce della identità dei motivi di esclusione (connessi alla presentazione da parte dell’impresa appellante di offerte non convenienti) e delle censure prospettate dalla parte appellante al fine di conseguirne l’annullamento, mentre non influiscono sui suddetti elementi accomunanti i profili differenziali pur sussistenti, ai sensi della lex specialis, tra i diversi lotti nei quali è stato articolato l’oggetto della gara.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5434 del 17 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che in presenza di un insieme di opere interessanti un edificio occorre effettuare una valutazione globale delle opere, non dei singoli interventi: artificiose frammentazioni, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'intervento, comportano una scomposizione virtuale delle opere finalizzata a “declassare” l’intervento, che deve invece essere complessivamente considerato; è infatti sempre necessaria una visione globale e non atomistica dell'intervento edilizio, dal momento che la sua qualificazione deriva non dalla singola opera, ma dall’insieme delle variazioni apportate all’assetto del territorio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2046 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Per il Consiglio di Stato sussiste la piena legittimità, e anzi il carattere dovuto, degli ordini di inibizione dei lavori emanati dalla Soprintendenza sul corretto rilievo della insussistenza di un valido titolo abilitativo alla loro realizzazione e della necessità di apprestare comunque (indipendentemente cioè dalla questione del titolo) una tutela cautelare e preventiva-interinale, da riferire alle disposizioni circa i poteri cautelari generali in materia, vale a dire gli artt. 28 (Misure cautelari e preventive, per i beni culturali) e 150 (Inibizione o sospensione dei lavori, per il paesaggio) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, a salvaguardia dal pregiudizio ai valori culturali e paesaggistici compendiati nei luoghi oggetto dei distinti interventi; la circostanza, poi, che il comma 2 dell’art. 150 del D.Lgs n. 42/2004 preveda il termine di cessazione dell’efficacia dei provvedimenti di inibizione o di sospensione, collegandolo all’avvio del procedimento per l’imposizione del vincolo, se disciplina lo specifico caso in cui il potere venga esercitato su bene che, pur possedendo intrinsecamente valore paesaggistico, non risulta tuttavia ancora oggetto di vincolo, non per questo esclude che il potere possa (anzi debba) essere esercitato, ed a maggior ragione, per la tutela di beni già vincolati (o, per l’effetto del c.d. irradiamento, su beni ad essi contermini).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Sezione Prima del TAR Milano ribadisce (cfr. TAR Lombardia, I, 7 maggio 2018 n. 1223) che la stazione appaltante, qualora riscontri nell'offerta economica l’omessa indicazione separata dei costi di manodopera, dovrà verificare se i valori economici complessivamente esposti comprendono o meno i costi indicati, sulla base di una verifica di congruità, sicché l’esclusione può seguire solo all’esito negativo di tale verifica; e ciò in ossequio ai principi normativi domestici e euro-unitari, nonché alla elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia che, seppure in relazione al solo tema degli oneri della sicurezza aziendali e richiamando i principi già espressi dalla stessa Corte UE con sentenza 2 giugno 2016, C-27/15, ha chiaramente escluso ogni automatismo espulsivo, prediligendo una logica sostanzialistica (per un orientamento difforme si veda la Quarta Sezione del TAR Milano n. 1855 del 27 luglio 2018).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2056 del 10 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato ribadisce che nel processo amministrativo la facoltà di replica discende in via diretta dall'esercizio della correlata facoltà di controparte di depositare memoria difensiva nel termine di trenta giorni prima dell'udienza di merito, con la conseguenza che ove quest'ultima facoltà non sia stata esercitata, non può consentirsi la produzione di memoria definita di replica dilatando il relativo termine di produzione (pari a trenta giorni e non a quello di venti giorni prima dell'udienza, riservato dall’art. 73 c.p.a. appunto alle repliche).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5277 del 7 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che non possono realizzarsi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, per il quale non sia stata ancora definita la procedura di sanatoria o di condono edilizio; infatti, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2046 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo (in senso conforme: TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2058 del 12 settembre 2018 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo).


Il Consiglio di Stato precisa che, alla luce di uno stato di inquinamento latamente preesistente, quanto meno l’Amministrazione ha il dovere di farsi carico della dimostrazione – anche a livello meramente indiziario – del fatto che l’attuale operatore economico è (non già solo il “probabile” ma) il “più probabile” autore o di un aggravamento del tasso di inquinamento precedentemente rilevato o addirittura di un proprio ed autonomo inquinamento, che a quello precedente si era andato a sommare; il corretto ricorso al canone del “più probabile che non” presuppone o che un sedime sia stato certamente vergine (dal punto di vista dell’inquinamento) prima dell’insediamento su di esso di un’attività produttiva o, qualora il terreno fosse invece già parzialmente inquinato, che un diverso e nuovo agente inquinante si sia aggiunto (autonomamente aggravandoli) a quelli precedentemente presenti, quale conseguenza appunto della nuova attività produttiva insediatasi su un sottosuolo già compromesso.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5076 del 29 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano precisa che le misure di salvaguardia sono unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune, quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo; in particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia, al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standard e quantificazione del contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2039 del 31 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, in ordine all’effetto modificativo ex art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 delle previsioni urbanistiche relative all’aree in relazione alle quali viene autorizzata la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero rifiuti, precisa che la ratio della disposizione in esame - che è quella di dotare la nazione di una adeguata rete di impianti di smaltimento dei rifiuti superando le fisiologiche lungaggini insite nell’acquisizione di atti di assenso da parte dei molteplici livelli di governo territoriale (anche di natura espropriativa) - non consente di alterare la gerarchia dei valori che si compongono nella gestione del territorio e che vedono collocati al più basso gradino di una scala ideale, dal punto di vista spaziale e funzionale “quelli compendiati dalla pianificazione urbanistica comunale”; la legge statale ha individuato il punto di equilibrio fra i contrapposti interessi coniugando il massimo della semplificazione burocratica facente capo ai tre livelli di governo territoriale (regione, provincia e comune) relativamente agli atti e provvedimenti individuali, con la compromissione dei poteri pianificatori al minore livello possibile (che è quello urbanistico comunale); l’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 introduce quindi una norma eccezionale che deroga, per superiori esigenze pubbliche, il normale quadro degli assetti procedimentali e sostanziali in materia di costruzione e gestione di impianti di smaltimento di rifiuti (anche pericolosi); da qui l’indefettibile necessità, ex art. 14, disp. prel. c.c., di una esegesi rigorosa della norma medesima che sia, ad un tempo, conforme agli obbiettivi (nazionali ed europei) di razionale gestione del ciclo dei rifiuti a tutela della salute pubblica, ma al contempo rispettosa degli ulteriori valori legati alla tutela del paesaggio, dell’ecosistema e comunque espressione di interessi fondamentali che necessitino, per la loro cura, di un livello dimensionale e funzionale superiore rispetto a quello assicurato dalla pianificazione urbanistica comunale (nel caso di specie, le previsioni contenute nel Piano di gestione dei rifiuti speciali e nel Piano Urbanistico Territoriale Tematico "Paesaggio" della Regione Puglia).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5065 del 28 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che per la formazione di un titolo edilizio è necessario che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può formarsi, considerato che l’eventuale inerzia dell’Amministrazione non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso, trattandosi non di una deroga al regime autorizzatorio, ma di modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione; con riferimento poi alla d.i.a., i presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, per cui il decorso del termine di trenta giorni non legittima l’intervento edilizio se la dichiarazione non corrisponde al modello legale prescritto dalla legge, o comunque risulti inesatta o incompleta, sicché l’Amministrazione, in tale ipotesi, non decade dal potere di inibire l’attività o di sospendere i lavori e ciò anche se la dichiarazione di inizio attività non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì riflette un atto del privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2020 del 27 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che ove la P.A. si adegui all'ordinanza cautelare, ma con un atto dichiaratamente esecutivo, non è configurabile l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta cessazione della materia del contendere; perché possa ritenersi venuto meno l’interesse dell’amministrazione resistente è invece necessario che le ragioni di diritto poste a base dell’ordinanza cautelare siano realmente condivise dalla P.A., che, senza attendere il giudicato, proceda all’annullamento (o anche al mero ritiro) definitivo del precedente provvedimento sospeso ed alla sua sostituzione con un nuovo atto conforme al dictum dell’ordinanza di sospensiva; solo una rinnovata ed autonoma valutazione dell'Amministrazione, adeguatamente motivata, determina la sopravenuta carenza di interesse alla decisione avverso l'atto originariamente impugnato.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5084 del 29 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano rammenta che all’accertamento della responsabilità della P.A. per lesione di interesse legittimo conseguente all’adozione di atti illegittimi può accedersi solo ove siano provati dal danneggiato, ex art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, ovvero, i presupposti di carattere oggettivo (danno e suo ammontare, ingiustizia dello stesso e nesso causale) e soggettivo (dolo o colpa del danneggiante); ove, poi, sia richiesto il ristoro del danno da lesione di interessi pretensivi, il riconoscimento della responsabilità necessita che venga accertata la concreta spettanza, in capo alla vittima dell’illecito, del bene della vita richiesto all’Amministrazione e da questa illegittimamente negato; ne consegue che la mera illegittimità formale del provvedimento non giustifica l’attivazione della pretesa risarcitoria, né assume, di per sé solo, alcuna rilevanza il pregresso rapporto tra privato e Amministrazione e l’eventuale lesione del solo affidamento che il primo abbia riposto nella correttezza della seconda; ciò che occorre, invece, rigorosamente verificare è la sussistenza di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base ad un criterio di normalità, ad un esito favorevole, risultando quindi giuridicamente protetta; la delicatezza del c.d. giudizio di spettanza, comprensibile in considerazione del rischio che il giudice si sostituisca all’Amministrazione in valutazioni di esclusiva spettanza di quest’ultima, è massima laddove l’attività amministrativa, dal cui concreto esercizio dipende il conseguimento del bene della vita, è riconducibile all’attività discrezionale pura o comunque mista della p.a.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1998 del 16 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Precisa il TAR Milano che in sede di approvazione del PGT, nel caso in cui, recependo una osservazione della Commissione del paesaggio, venga introdotta una nuova destinazione, privando in tal modo il privato della facoltà di presentare osservazioni sulla nuova destinazione, occorre procedere a una nuova pubblicazione dello strumento urbanistico,

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2004 del 21 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento ancora (cfr. precedente post) all’interpretazione dell’art. 105, comma 1, c.p.a. e all’esatta individuazione dei casi di annullamento con rinvio, enuncia i seguenti principi di diritto:
«a) In coerenza con il generale principio dell’effetto devolutivo/sostitutivo dell’appello, le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 Cod. proc. amm. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive.
b) La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un’ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell’effetto sostitutivo dell’appello, anche in questo caso, ravvisato l’errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado».

La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 14 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano esamina le conseguenze che derivano dalla scadenza del piano di lottizzazione, senza che la sua esecuzione abbia avuto luogo entro il termine di efficacia decennale, e ricostruisce il seguente quadro dei principi elaborati dalla giurisprudenza e condivisi dallo stesso TAR:
«- il Piano di lottizzazione ha durata decennale, di talché decorso infruttuosamente il suddetto termine lo strumento attuativo perde efficacia (Cons. Stato Sez. VI 20/1/2003 n. 200; Consiglio di Stato, sez. IV, 27/04/2015, n. 2109; idem 25/7/2001 n. 4073);
- né è ipotizzabile l’ultrattività delle previsioni del Piano di lottizzazione decennale, in quanto la prosecuzione degli effetti oltre il detto termine decennale confligge con la finalità sottesa alla fissazione del termine de quo coincidente con l'esigenza di assicurare effettività e attualità alle previsioni urbanistiche, non potendo le lottizzazioni convenzionate condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura (Cons. Stato Sez. IV 29/11/2010 n. 8384; idem 13/4/2005 n. 1543);
- è irrilevante, ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione, la circostanza che l’impossibilità della mancata attuazione sia dovuta alla pubblica amministrazione o al privato lottizzante (Cons. Stato, Sez. IV, 10/8/2011 n. 4761);
- il termine di validità decennale del piano di lottizzazione decorre dalla data di stipula della relativa convenzione e ciò si ricollega “al fatto che, in via normale, all’approvazione del piano di lottizzazione segue, in tempi ragionevoli, la stipula della relativa convenzione… deve tuttavia ritenersi che la circostanza della mancata stipula della convenzione non possa ragionevolmente costituire legittimo motivo per cui il piano di lottizzazione abbia validità a tempo indeterminato, sia perché a ciò osta il dato letterale della disposizione di cui all'art. 16, quinto comma, della L. 17 agosto 1942 n. 1150 relativamente ai piani particolareggiati, che fa esclusivamente riferimento al "tempo, non maggiore di anni dieci, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato", sia perché deve comunque ritenersi prevalente la ratio della norma per cui le previsioni di un piano particolareggiato o di un piano di lottizzazione devono avere una determinata e certa durata temporale, con conseguente scadenza di validità del piano medesimo, al fine di garantire l'adeguatezza e rispondenza di tali previsioni agli interessi pubblici e privati riferiti al periodo di validità del piano, con la conseguente e ragionevole necessità che, dopo un certo periodo di tempo (10 anni), si debba necessariamente procedere ad una rivalutazione di tali interessi pubblici e privati coinvolti nelle scelte urbanistiche in questione” (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 18 gennaio 2018, n. 24);
- inoltre, “il termine massimo di dieci anni di validità del piano di lottizzazione, stabilito dall'art. 16, quinto comma, della L. 17 agosto 1942 n. 1150 per i piani particolareggiati, non è suscettibile di deroga neppure sull'accordo delle parti e decorre dalla data di completamento del complesso procedimento di formazione del piano attuativo (Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2003 n. 1315). Ciò in quanto la convenzione è per certo un atto accessorio al Piano di lottizzazione, deputato alla regolazione dei rapporti tra il soggetto esecutore delle opere e il Comune con riferimento agli adempimenti derivanti dal Piano medesimo, ma che non può incidere sulla validità massima, prevista in legge, del sovrastante strumento di pianificazione secondaria” (cfr. Consiglio di Stato n. 1574/2013);
- quindi, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920; Cons. Stato, Sez. V, 30.04.2009, n. 2768; Sez. IV, 27.10.2009, n. 6572) decorso il termine stabilito per l'esecuzione del piano di lottizzazione, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso, con la precisazione che da ciò discende che: a) le previsioni dello strumento attuativo comportano la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata, le medesime previsioni rimangono efficaci a tempo indeterminato e, col decorso del termine (di dieci anni, per il piano di lottizzazione), diventano inefficaci unicamente le previsioni del piano attuativo che non abbiano avuto concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del p.r.g. e con le prescrizioni del piano attuativo (anche sugli allineamenti), che solo per questa parte ha efficacia ultrattiva (Tar Abruzzo L'Aquila, sez. I, 20/11/2014, n. 810; Cons. Stato, n. 2768 del 2009 e n. 6170 del 2007; Campania, Salerno, n. 522 del 2014); b) il termine di efficacia di 10 anni deve intendersi riferito all’esecuzione delle previste opere di urbanizzazione che devono essere realizzate entro tale termine; viceversa per la realizzazione delle costruzioni dei fabbricati trovano applicazione i termini previsti nei relativi titoli edilizi, fermo restando che poiché, in generale, il termine di efficacia dei piani attuativi, compresi i piani di lottizzazione, è di 10 anni, i titoli edilizi andranno richiesti e ottenuti entro tale termine, dato che, una volta che esso sia decorso, il piano decade per la parte rimasta inattuata rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (cfr. T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 26/04/2018, n. 226; c) le conseguenze della scadenza dell'efficacia del piano di lottizzazione si esauriscono pertanto nell'ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi (cfr. in particolare, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920);
- con riferimento all’ipotesi – ricorrente anche nel caso di specie – in cui l’amministrazione abbia rilasciato il titolo edilizio dopo anni dalla maturata scadenza del termine di durata del piano di lottizzazione e della relativa convenzione, il Tribunale (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 29 febbraio 2016, n. 406) ha già chiarito che: a) una volta scaduto il termine di efficacia della convenzione, il Comune non può in ogni caso ritenersi vincolato a riconoscere agli esborsi sostenuti dallo stesso lottizzante per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione carattere integralmente sostitutivo rispetto al contributo concessorio; b) deve tenersi presente che le opere previste dalla convenzione di lottizzazione sono strettamente correlate alle esigenze di urbanizzazione dell'area, come stimate al tempo della stipula della convenzione, e in relazione al quadro complessivo della disciplina urbanistica a quel tempo vigente, sicché decorso il termine decennale di efficacia della lottizzazione convenzionata, si impone unicamente, secondo i principi, e in assenza di una diversa disciplina di dettaglio, il rispetto degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabilite dal piano di lottizzazione, in applicazione dell'articolo 17 della legge n. 1150 del 1942 (già Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2009, n. 6661); c) non può ritenersi pregiudicata la potestà dell'Amministrazione, una volta scaduta la convenzione urbanistica, di riconsiderare il fabbisogno di opere di urbanizzazione e di dare applicazione agli eventuali nuovi importi stabiliti per la quantificazione del contributo concessorio; d) “ne deriva che l'eventuale impegno del Comune a riconoscere alle opere di urbanizzazione eseguite a spese del lottizzante carattere integralmente satisfattivo dell'obbligazione relativa al contributo concessorio non può vincolare l'Ente oltre il termine di durata della convenzione urbanistica”».

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2001 del 17 agosto 2018, è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 205 del 4 settembre 2018, è pubblicato il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 recante “Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”.


Secondo il TAR Milano, il privato sanzionato con l'ordine di demolizione per la costruzione di un'opera edilizia abusiva non può invocare l'applicazione in suo favore dell'art. 12, comma 2, 1egge n. 47 del 1985 (oggi, art. 34, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001) che comporta l'applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l'ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso, sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo, a nulla valendo che la demolizione implicherebbe una notevole spesa e potrebbe incidere sulla funzionalità del manufatto, perché per impedire l'applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio alla restante parte dell'edificio, consistente in una menomazione della stabilità dell’intero manufatto.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1989 del 16 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Brescia le riorganizzazioni societarie infragruppo non sono mai opponibili all’amministrazione quando abbiano lo scopo, o il risultato, di rendere più difficile la tutela di interessi pubblici, nello specifico il conseguimento degli obiettivi di messa in sicurezza e di bonifica delle aree inquinate; l’attività delle società controllate deve essere vista in una logica di gruppo; queste società sono vettori delle decisioni imprenditoriali del gruppo, e quindi operano sostanzialmente come organi del gruppo; la cancellazione o la trasformazione della società controllata che in concreto gestiva l’attività all’origine dell’inquinamento non libera il gruppo, e specificamente la capogruppo, anche qualora l’attività imprenditoriale inquinante sia stata nel frattempo dismessa con successiva liquidazione della società controllata; quando la società controllata responsabile dell’inquinamento passa, per conferimento o in altra forma, a un diverso gruppo, il gruppo cedente rimane obbligato alla messa in sicurezza e alla bonifica, in applicazione della regola generale sulla cessione d’azienda ex art. 2560 comma 1 c.c., salvo consenso dell’amministrazione titolare dell’interesse pubblico coinvolto.
Aggiunge il TAR Brescia che si pone, poi, il problema se il gruppo acquirente assuma una responsabilità in solido per le obbligazioni derivanti dalla gestione aziendale pregressa; nel caso del danno ambientale la soluzione deve essere negativa, anche in questo caso, tuttavia, con la precisazione che vi sarebbe al contrario piena assunzione di responsabilità se la cessione o il conferimento avessero lo scopo di sottrarre all’amministrazione l’autore dell’inquinamento; la norma applicabile non è l’art. 2558 comma 1, c.c. che riguarda il subentro automatico dell’acquirente nei contratti aziendali, ma l’art. 2560 comma 2, c.c. che prevede la responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti che risultano dai libri contabili obbligatori; in via analogica, quest’ultima disposizione può essere interpretata nel senso che l’acquirente risponde del danno ambientale solo se già accertato in un provvedimento amministrativo divenuto pubblico, oppure se vi era una conoscenza diretta della situazione per effetto di accordi con il cedente.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 802 del 9 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Ricorda il Consiglio di Stato che nel processo amministrativo la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale; la rinuncia all’azione comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; in quest’ultimo caso non vi può essere estinzione del processo, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l’estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo; ne consegue, sempre per il Consiglio di Stato, che una volontà rinunciativa ex lege, quale quella derivante dall’applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.a. – ai sensi del quale “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello” – non può assumere di per sé valenza di volontà di rinunciare alla pretesa sostanziale, con la conseguente limitazione dei relativi effetti al processo nell’ambito del quale si sia perfezionata e senza preclusioni di sorta in ordine alla riproposizione della relativa domanda in un altro contesto processuale.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5014 del 22 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



L’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato ha enunciato i seguenti principî di diritto in materia di contributo di costruzione:

«a) gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio;
b) la pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento;
c) l’amministrazione comunale, nel richiedere i detti importi con atti non aventi natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si deve escludere l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica;
d) la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune».

La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 12 del 30 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato enuncia il seguente principio di diritto con riferimento alla questione relativa alla corretta interpretazione dell’articolo 97, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n 50 del 2016 con specifico riguardo alla nozione di “concorrenti ammessi”:
«l’articolo 97, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 50 del 2016 (‘Codice dei contratti pubblici’) si interpreta nel senso che la locuzione “offerte ammesse” (al netto del c.d. ‘taglio delle ali’) da prendere in considerazione ai fini del computo della media aritmetica dei ribassi e la locuzione “concorrenti ammessi” da prendere in considerazione al fine dell’applicazione del fattore di correzione fanno riferimento a platee omogenee di concorrenti.
Conseguentemente, la somma dei ribassi offerti dai concorrenti ammessi (finalizzata alla determinazione del fattore di correzione) deve essere effettuata con riferimento alla platea dei concorrenti ammessi, ma al netto del c.d. ‘taglio delle ali’».

La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 13 del 30 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.