Il TAR Milano ritiene che le  opere realizzate sotto il livello delle acque e non sulle sponde del lago non sono soggette ad autorizzazione paesaggistica; aggiunge il TAR Milano che, benché la realizzazione o collocazione di strutture anche precarie su area sottoposta a vincolo paesaggistico necessita di preventiva autorizzazione paesaggistica, a diverso risultato si deve invece giungere nel caso in cui la precarietà sia legata allo stato di cantiere in cui si trovano le opere, in cui alla precarietà si aggiunge l’impossibilità di utilizzo e la chiusura dell’area, perché in tal caso l’impatto paesaggistico è dato non tanto dalle opere realizzate nel cantiere, ma dal cantiere stesso, per cui le opere precarie realizzate al suo interno e da questo coperte diventano paesaggisticamente irrilevanti (fattispecie relativa ai lavori interessanti il lungo lago di Como).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 581 del 28 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Palermo ritiene inammissibile il ricorso notificato ai sensi dell’art. 3 bis della legge n. 53/1994, a mezzo p.e.c., ad unico controinteressato, persona fiscica, ad un indirizzo estratto da INI-PEC, cioè dall’Indice nazionale degli indirizzi p.e.c. delle imprese e dei professionisti di cui all’art. 6 bis del d.lgs. n. 82/2005, in quanto ritiene che l’INI-PEC non possa essere utilizzato ai fini del reperimento dell’indirizzo di posta elettronica del soggetto individuato come controinteressato qualora si tratti di una persona fisica.

La sentenza del TAR Sicilia, Palermo, Sezione Seconda, n. 407 del 14 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la funzione delle aree standard è quella di soddisfare i rapporti indicati dall’art. 3, comma 1, del d.m. n. 1444 del 1968, nonché dall’art. 9, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005, norme che fanno riferimento, in sostanza, alla dotazione minima di aree destinate alle opere di urbanizzazione secondaria, ai parcheggi e al verde attrezzato, e che hanno come scopo – non quello di rendere utilizzabili le nuove opere realizzate – quanto piuttosto quello di garantire una adeguata qualità di vita alla popolazione insediata sul territorio; ne consegue che la superficie dello standard deve essere calcolata in eccedenza rispetto a quella delle aree minime necessarie per rendere fruibili i nuovi insediamenti (quali, ad esempio, le aree destinate alla viabilità e alle reti energetiche); e non è un caso che né l’art. 3 del d.m. n. 1444 del 1968 né l’art. 9 della legge regionale n. 12 del 2005 facciano riferimento a quest’ultima categoria di funzioni. Per queste ragioni il TAR ritiene corretta la scelta operata in una convezione urbanistica di escludere dal computo delle aree a standard da cedere al Comune l’area di sedime di una strada comunale, opera necessaria a rendere concretamente fruibile la struttura da realizzare.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 458 del 15 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato precisa che ai principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’articolo 99, comma 4, c.p.a. non può essere riconosciuta l’autorità della cosa giudicata; l’attività di contestualizzazione e di sussunzione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’articolo 99, comma 4, c.p.a., in relazione alle peculiarità del caso concreto spetta alla Sezione cui è rimessa la decisione del ricorso.

La sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 23 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.



L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha formulato il seguente principio di diritto limitatamente alla questione relativa al cumulo tra risarcimento e indennità dovute da enti pubblici: “la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”; la questione posta all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato attiene alla valenza del principio della c.d. compensatio lucri cum damno nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente.


La sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 23 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il TAR Milano ritiene che l’impugnazione della segnalazione all’A.N.A.C. ai fini dell’annotazione nel casellario risulta inammissibile, per difetto di un interesse attuale e concreto; soltanto con l’iscrizione della notizia segnalata nel casellario, infatti, il soggetto riceverà un danno diretto e concreto rispetto alle future gare cui intende partecipare nei termini di un potenziale pregiudizio alla partecipazione stessa, previa valutazione della stazione appaltante; l’eventuale vincolo valutativo imposto all’ANAC va considerato unicamente sotto il profilo dei vizi rilevabili e non anche sotto il profilo della possibilità di impugnazione immediata di un atto che ha semplicemente dato avvio ad un iter procedimentale complesso, in quanto coinvolgente due diverse amministrazioni.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 488 del 20 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ritiene fondata l’opposizione alla produzione di memorie e documenti depositati, in violazione dei termini liberi di cui all’art. 73 c.p.a., dopo le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito, essendo indubbia sia la perentorietà dei termini di cui all’art. 73 citato, sia la tassatività del disposto dell’art. 4, ultimo comma, all. 2 al c.p.a., laddove considera, ai fini del computo dei termini a difesa, il deposito dopo le ore 12:00 equiparato al deposito effettuato il giorno successivo; ne consegue la inutilizzabilità dei predetti documenti ai fini della decisione della causa.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 29 dell’8 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

IL TRGA di Trento ritiene, invece, utilizzabile una memoria depositata oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito, secondo i termini perentori previsti dall'art. 73 c.p.a., in quanto “ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo, come introdotto dal d.l. 168/2016, la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito e, quindi, coerentemente, fino allo spirare dell’ultimo giorno. Il deposito telematico si considera, quindi, perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno, senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora. Ed è appena il caso di rilevare che una diversa interpretazione mal si concilierebbe con la ratio stessa del sistema di deposito telematico degli atti che ha fatto venir meno i vincoli orari dell’apertura delle cancellerie, nonché con i connessi vantaggi che ne costituiscono la stessa ratio. Tale considerazione non è incisa da quanto dispone l’ultimo periodo di tale comma 4 secondo cui, agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze, il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo. Questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa che per contrastare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo: successivo: trattasi quindi di regola del tutto ragionevole e coerente con i principi presidiati dalla Costituzione”.

La sentenza del TRGA di Trento, Sezione Unica, n. 31 del 13 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

Si veda in argomento anche il seguente post


Il TAR Molise precisa che se è vero che, ai sensi dell’art. 45, comma 1, c.p.a., il termine per il deposito decorre dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario, è altresì vero che la giurisprudenza formatasi sull'analoga previsione dell'art. 21 della legge n. 1034 del 1971, ha affermato che - in linea di principio - il concetto di ultima notificazione si riferisce alle notifiche necessarie ai fini dell'integrità del contraddittorio e non a quelle meramente facoltative o fatte dal ricorrente ad abundantiam, perché diversamente sarebbe in potere della parte prolungare a proprio arbitrio il termine per il deposito del ricorso; pertanto, una notifica non prescritta dalla legge è inidonea a impedire la scadenza del termine per il deposito del ricorso, che decorre dall'ultima notifica utile.

La sentenza del TAR Molise, Prima Sezione, n. 37 del 29 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Tar Milano ribadisce che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie; la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (nella fattispecie il manufatto considerato non precario era una casa mobile destinata a un utilizzo protratto nel tempo); aggiunge, poi, il TAR che nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto in questione una semplice pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un minimo di 2,83 m. a un massimo di 3,58 m.) e considerato che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 354 del 7 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.