Il TAR Milano ricorda che nel diritto amministrativo si ammette la sussistenza del provvedimento implicito quando la P.A., “pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà” (C.d.S., A.P. 20 gennaio 2020, n. 3; Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6732; id., 27 novembre 2014, n. 5887; Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589; id., 19 febbraio 2018, n. 1034; Sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2456).
Aggiunge il TAR che la presenza di un atto implicito può “desumersi indirettamente ma univocamente da altro provvedimento o dal comportamento esecutivo dell’amministrazione, di modo che esso se ne possa dire l’antecedente dal punto di vista logico – giuridico” (C.d.S., Sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543) e come si abbia un atto implicito “le quante volte (….) emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà” (C.d.S., Sez. V, n. 589/2019, cit.).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 658 del 15 marzo 2023.


Il TAR Brescia, con riferimento alla nozione di sottoprodotto, precisa che:
<<la qualificazione di un materiale come sottoprodotto non attiene alle caratteristiche intrinseche di quel materiale, ma al soddisfacimento di una serie di condizioni giuridiche. Uno stesso materiale può costituire rifiuto o sottoprodotto a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni stabilite dall’articolo 184 bis D.L.gs. n. 152/2006.
Nello specifico, è necessario al contempo:
a) che il materiale in questione origini da un processo di produzione, di cui costituisca parte integrante, ancorché lo scopo primario del processo produttivo non sia la produzione di tale materiale;
b) che sia certo che detto materiale sia utilizzato nel corso del medesimo processo produttivo o in altro processo produttivo, da parte del produttore o di un terzo;
c) che tale materiale possa essere utilizzato direttamente, senza necessità di alcun trattamento che in qualche modo lo modifichi;
d) che l’utilizzo di detto materiale sia legale e non abbia impatti negativi sull’ambiente o sulla salute umana.>>
TAR Lombardia, Brescia, I, n. 211 del 8 marzo 2023


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d), decreto legislativo n. 380 del 2001 prevede che rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia «gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza», osserva che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che perché si possa ritenere sussistente una fattispecie di ristrutturazione edilizia è necessario che la parte interessata provi, in sede procedimentale, la preesistenza del fabbricato e la sua esatta consistenza al fine di consentire la individuazione precisa dei suoi «connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione»; in particolare, «la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze (…) – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura petrimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può (…) prescindere» (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106; Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 657 del 15 marzo 2023.


Si informa che sul sito di Giustizia Ammnistrativa, nella pagina relativa al TAR Lombardia - Milano, è pubblicato il decreto n. 6 del 13 marzo 2023, con il quale il Presidente del TAR Lombardia ha differito al 1 giugno 2023, l’entrata in vigore della nuova ripartizione delle materie contenziose tra le cinque sezioni disposta dal precedente decreto 9 dicembre 2022 n. 25.


Il TAR Milano osserva che ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lett. d), c.p.a., l’atto di impugnazione deve contenere “i motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. Secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale, infatti, nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l'inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell'obbligo ex art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. di specificità delle censure consegue, dunque, l'inammissibilità del motivo proposto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2019, n. 4491; Cons. Stato, sez. VI, 1 settembre 2017, n. 4158).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 661 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che è ammessa la partecipazione dei raggruppamenti di tipo verticale a una determinata procedura se la Stazione appaltante lo prevede specificatamente tramite l’indicazione delle prestazioni prevalenti o principali e di quelle scorporabili o secondarie, ritiene che, in presenza di una prestazione principale e di una secondaria, la prescrizione della lex specialis secondo la quale “i requisiti di idoneità professionale devono essere posseduti da ciascun operatore economico facente parte del raggruppamento” non può che applicarsi ai soli raggruppamenti di tipo orizzontale, stante l’identità delle prestazioni riferibili alle imprese componenti il predetto raggruppamento. Al contrario, in presenza di prestazioni aventi oggetto e natura differenti, non può ragionevolmente richiedersi a tutti i componenti del raggruppamento il possesso dei medesimi requisiti professionali specifici.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 635 del 14 marzo 2023.


Secondo il TAR Milano, una villa utilizzata in forma continuativa per accogliere l’organizzazione professionale di attività ludico ricreative, quali matrimoni, feste, compleanni ecc., rientra tra le infrastrutture adibite ad attività ricreative e, per l’effetto, soggetta ai controlli comunali del rispetto della normativa per la tutela dell’inquinamento acustico di cui all’art. 6, co. 1, lett. d) e g), della legge n. 447 del 1995 in qualità di sorgente sonora fissa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 634 del 14 marzo 2023.





Il TAR Milano precisa che la successione prevista dalla normativa civilistica nell’obbligo sorto a seguito della stipula di una convenzione collegata a un provvedimento di autorizzazione allo svolgimento di attività estrattiva opera anche in assenza di voltura dell’autorizzazione.
Il successore a titolo particolare o a titolo universale del soggetto che (avendo esercitato attività di coltivazione di una cava) si era obbligato al ripristino ambientale è, pertanto, tenuto ad adempire a tale obbligo e ciò anche nel caso in cui egli non abbia chiesto od ottenuto la voltura dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività estrattiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 495 del 27 febbraio 2023.


Il TAR Milano esamina un motivo di ricorso con il quale si contesta che un consorzio aggiudicatario di una gara a procedura aperta telematica per l’affidamento del servizio di facility management per stabili, stazioni, parcheggi e rotabili ha dichiarato, ai sensi dell’art. 47, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici di soddisfare i requisiti richiesti in ragione di quelli esistenti “in capo alle proprie consorziate, sulla base del principio del c.d. cumulo alla rinfusa”.
La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 47, comma 1, del d.l.vo n. 50/2016, in quanto l’aggiudicatario ha dimostrato il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria, previsti dal disciplinare, utilizzando il cumulo alla rinfusa al di fuori delle ipotesi consentite dalla norma citata.
Il TAR accoglie la censura in esame, sulla base del seguente percorso argomentativo:
<<L’art. 47 del d.l.vo 2016 n. 50 disciplina i “requisiti per la partecipazione dei consorzi alle gare”.
Nella versione vigente – conseguente alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 20, lett. l), n. 1, del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, c.d. “decreto sblocca-cantieri” e applicabile ratione temporis alla procedura in esame - il primo comma della norma stabilisce che i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b) e c), devono essere “posseduti e comprovati dagli stessi” con le modalità previste dal codice, “salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio, ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
La norma prosegue prevedendo al comma 2 che i consorzi stabili eseguono le prestazioni o “con la propria struttura” o “tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto, ferma la responsabilità solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante”
La stessa disposizione aggiunge che “per i lavori”, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni saranno stabiliti “con il regolamento di cui all’articolo 216, comma 27-octies”.
Il successivo comma 2 bis aggiunge, per quanto di interesse nel presente giudizio, che “la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati”.
E’ noto al Tribunale che, con riferimento ai consorzi stabili, sono presenti due diversi orientamenti interpretativi a livello giurisprudenziale in ordine ai limiti entro i quali è legittimo il cumulo alla rinfusa, al fine della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione.
Il primo orientamento è favorevole alla permanente operatività del cumulo, nonostante la novella introdotta dal d.l. 2019 n. 32.
Si sostiene, in sintesi, che la praticabilità del cumulo alla rinfusa sarebbe ancora possibile per gli appalti di servizi e forniture in ragione del comma 2 bis del citato art. 47, che, proprio in relazione a questi due settori, avrebbe introdotto una disciplina ad hoc, tesa ad escludere il limite posto dal comma 1, che legittima il cumulo alla rinfusa solo per le attrezzature, i mezzi d’opera e l’organico medio annuo.
Tale interpretazione sarebbe coerente con la ratio proconcorrenziale che sottende la disciplina dei consorzi stabili e con la relazione illustrativa della legge di conversione del D.L. n. 32/2019, la quale, in tesi, confermerebbe “che la volontà del legislatore era quella di mantenere, anzi, potenziare l’operatività del meccanismo del cumulo alla rinfusa”, nella dichiarata prospettiva della “operatività e sopravvivenza di tale strumento pro-concorrenziale” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2021, n. 2588; T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 7 aprile 2022, n. 4082).
Il Tribunale ritiene maggiormente aderente al dato letterale e coerente con il quadro sistematico la tesi opposta, che, anche in relazione ai servizi e alle forniture, limita il cumulo alla rinfusa ai soli requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo.
L’orientamento interpretativo da ultimo richiamato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 agosto 2022, n 7360; Tar Lazio, sez. III, 3 marzo 2022, n. 2571; Tar Lazio, sez. I, 7 dicembre 2020, n. 13049) evidenzia che, sul piano letterale, il primo comma dell’art. 47 è chiaro nel consentire il cumulo solo con riferimento a determinati requisiti, ossia attrezzature, mezzi e organico medio, stabilendo che, al di fuori di questo ambito, i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere posseduti direttamente dal consorzio stabile e non per il tramite delle imprese consorziate (vale precisare che tale orientamento è espresso, seppure in obiter dictum, anche da Consiglio di Stato, ad. pl. 18 marzo 2021, n. 5).
La norma non delimita il suo ambito di applicazione ai lavori, ma è di carattere generale, perché non reca alcuna delimitazione applicativa, sicché va riferita anche ai servizi e alle forniture.
Non solo, è stata espunta la previsione di cui al previgente art. 36, comma 7, in forza della quale “il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.
Questa norma non prevedeva alcuna distinzione tra imprese designate e non designate per l’esecuzione delle prestazioni, sicché aveva legittimato un’interpretazione ampia e generalizzata del cumulo dei requisiti c.d. “alla rinfusa”.
La soppressione della disposizione richiamata, unitamente al tenore letterale dell’art. 47, conducono a superare l’orientamento ampliativo e a restringere la praticabilità del cumulo ai soli requisiti menzionati nel comma 1 dell’art. 47.
Anche l’argomento della finalità proconcorrenziale, che giustificherebbe l’interpretazione estensiva, non è dirimente.
Invero, come rilevato dalla citata giurisprudenza, la finalità di favorire la concorrenza è insita nella possibilità di utilizzare la forma del consorzio stabile, indipendentemente dall’operatività del cumulo alla rinfusa.
Anche il secondo comma dell’art. 47 supporta l’interpretazione restrittiva.
In primo luogo va osservato che anche questa disposizione, come il primo comma, non ha un ambito di applicazione riservato al settore dei lavori, sicché è di portata generale e va riferita anche ai servizi e alle forniture.
La norma stabilisce che i consorzi stabili eseguono le prestazioni o con la propria struttura o tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto; la disposizione non prevede più la possibilità di ricorrere all’avvalimento ai fini dell’utilizzazione dei requisiti posseduti dalle imprese consorziate non designate come esecutrici.
Pertanto, dal coordinamento tra il primo e il secondo comma deriva che (cfr. giur cit.): a) i consorzi stabili che intendano eseguire le prestazioni “con la propria struttura” devono dimostrare (e comprovare con le modalità ordinarie) il possesso, in proprio, dei “requisiti di idoneità tecnica e finanziaria” per l’ammissione alle procedure di affidamento, salva la facoltà di “computare cumulativamente” i soli requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera e all’organico medio annuo, quand’anche posseduti “dalle singole imprese consorziate”, ancorché non designate all’esecuzione; b) essi possano, alternativamente, affidarsi (senza che ciò costituisca subappalto) alle imprese consorziate, all’uopo indicate in sede di gara, che ne risultano corresponsabili.
Quanto alla portata del comma 2 bis dell’art. 47, la tesi estensiva ritiene che la norma abbia un ruolo centrale nella soluzione del problema, in quanto si tratterebbe di una disciplina speciale, relativa ai servizi e alle forniture, che legittimerebbe il cumulo alla rinfusa oltre i limiti posti dal primo comma, perché prevede che la sussistenza dei requisiti possa essere verificata in capo ai singoli consorziati.
Quella prospettata non è l’unica interpretazione possibile, perché la norma può essere collocata nel contesto del complessivo art. 47 senza derogare ai primi due commi, che, come già evidenziato, presentano un ambito applicativo generale.
In particolare, fermi restando sia la praticabilità del cumulo solo per attrezzature, mezzi d’opera ed organico medio annuo, sia il fatto che il consorzio stabile possa eseguire le prestazioni in proprio o per il tramite delle consorziate designate, la norma si limita a precisare, in relazione ai servizi e alle forniture, che, qualora il consorzio individui una consorziata come esecutrice, quest’ultima dovrà essere autonomamente in possesso del requisito di qualificazione, così come, in caso di esecuzione in proprio ad opera del consorzio, quest’ultimo dovrà possedere autonomamente il requisito.
Come precisato dalla giurisprudenza citata e qui condivisa (cfr. in particolare Consiglio di Stato, sez. V, n. 7360/2022) il quadro normativo complessivo evidenzia che:
a) la possibilità di “qualificazione cumulativa”, nell’ambito dei consorzi stabili, è limitata ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi d’opera e all’organico medio annuo (cfr. art. 47, comma 1);
b) i consorzi stabili possono, per tal via, partecipare alle gare qualificandosi in proprio (art. 47, comma 2, prima ipotesi) e comprovando i propri requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, potendo, a tal fine, cumulare attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo di tutte le consorziate (con il limite, non codificato ma implicito, del divieto di cumulo in caso di autonoma partecipazione, alla medesima gara, dell’impresa consorziata, che autorizzerebbe – di là dalla paradossale vicenda del concorso competitivo con cooperazione qualificatoria – un’implausibile valorizzazione moltiplicativa dei medesimi requisiti: cfr., per la relativa vicenda, Corte di Giustizia UE, C-376/08, 23 dicembre 2009);
c) i consorzi stabili, anche quando partecipino e si qualifichino in proprio, possono eseguire la prestazione, oltreché con la propria struttura, anche per il tramite delle consorziate, ancorché non indicate come esecutrici in sede di gara (onde, in chiara – seppur circostanziata – prospettiva proconcorrenziale, il ricorso alla struttura consortile consente ad imprese non qualificate di partecipare, sia pure indirettamente, alle procedure di affidamento): si tratterebbe – nella ricostruzione di Consiglio di Stato, ad. plen. n. 5/2021, che argomenta dal confronto con la previgente formulazione dell’art. 47, comma 2 - di “una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità”, espressione non puntuale sul piano tecnico ma che esprime e sintetizza un condivisibile corollario di sistema;
d) in alternativa, il consorzio può designare per l’esecuzione del contratto una o più delle imprese consorziate, che, in tal caso, partecipano direttamente alla gara, concorrendo alla sostanziale formulazione dei tratti, anche soggettivi, dell’offerta ed assumendo, in via solidale, la responsabilità per l’esatta esecuzione, ancorché la formalizzazione del contratto sia rimessa al consorzio, che è parte formale (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., n. 5/2021 cit.);
e) in tale ultimo caso è necessario che le imprese designate possiedano e comprovino (con la ribadita salvezza dei, limitati e specifici, casi di qualificazione cumulativa) i requisiti, tecnici e professionali, di partecipazione.
Vale ribadire che tale impostazione conserva anche la finalità proconcorrenziale, che è insita nella struttura stessa del consorzio stabile e che risulta realizzata anche in ragione del fatto che le consorziate, non indicate come esecutrici, possono eseguire le prestazioni allorché il consorzio, che partecipa e si qualifica in proprio, si “avvalga” di esse in sede di esecuzione.
Ne deriva che la qualificazione del Consorzio aggiudicatario, basata sul cumulo alla rinfusa, è illegittima per violazione dell’art. 47 del d.l.vo 2016 n. 50, con conseguente fondatezza della censura in esame.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 397 del 15 febbraio 2023.


Rispetto a un ricorso contro un PGT proposto da due soggetti, il TAR Milano rileva che solo talune delle censure sono comuni ai ricorrenti; altre sono invece esclusive di un ricorrente e pertanto di esse va dichiarata l’inammissibilità.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 604 del 8 marzo 2023.


Parte ricorrente si duole di una clausola di una convenzione accessiva a un piano di recupero che pone a capo di un condominio un obbligo “in perpetuo” alla manutenzione ordinaria dei parcheggi e del verde pubblico e che deve reputarsi, secondo la tesi di parte ricorrente, nulla o comunque non più giuridicamente efficace.

Il TAR Milano osserva che:
<< Come evidenziato dai ricorrenti a conclusione della loro esposizione (cfr. pag. 19 dell’atto introduttivo) il nostro ordinamento non consente vincoli contrattuali perpetui; in altri termini un obbligo di carattere personale e continuativo – come è, nel caso di specie, quello di manutenzione del parco pubblico – non può vincolare un soggetto senza alcun limite di tempo.
L’ordinamento civile prevede, infatti, durate diverse e massime per i singoli contratti; si pensi, a mero titolo di esempio, alla locazione che non può avere durata superiore a trent’anni (art. 1573 del codice civile) o all’affitto di fondi destinati al rimboschimento per il quale è previsto il termine massimo di novantanove anni (art. 1629 del codice civile).
Per i contratti tipici a tempo indeterminato è poi praticamente sempre ammessa la facoltà di recesso, proprio per evitare vincoli personali perpetui; si abbia riguardo – sempre a mero titolo esemplificativo – all’affitto senza determinazione di tempo (art. 1616 del codice civile); alla somministrazione a tempo indeterminato (art. 1569 del codice civile) oppure al conto corrente a tempo indeterminato (art. 1833 del codice civile).
Anche nell’ipotesi di rendita perpetua (art. 1861 del codice civile) è sempre concesso al debitore il diritto di riscatto, nonostante qualunque patto contrario (art. 1865 del codice civile).
Può quindi affermarsi, in conformità alla giurisprudenza e alla dottrina dominanti, che esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo cui in ogni rapporto contrattuale a tempo indeterminato il recesso unilaterale (ex art. 1373 del codice civile) costituisce una ordinaria causa estintiva, considerato che la perpetuità di un vincolo obbligatorio contrasta anche con il principio di buona fede nell’esecuzione contrattuale (ex art. 1375 del codice civile).
In giurisprudenza sia consentito il rinvio a Cassazione Civile, Sezione lavoro, sentenza n. 6427/1998, secondo cui: «…per quanto attiene in particolare ai contratti privi di termine finale, ossia a tempo indeterminato, deve essere riconosciuta la possibilità di farne cessare l'efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una espressa previsione legale, così come ha già da tempo riconosciuto autorevole dottrina. Trattasi di un principio, che appare in sintonia con quello di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), e che è coerente con la particolare struttura del rapporto, che non può vincolare le parti senza limiti, in contrasto con la naturale temporaneità della obbligazione».
L’ordinamento civile conosce vincoli perpetui in tema di servitù prediali ma in tale caso il vincolo non hai mai carattere personale ma è imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo (così l’art. 1027 del codice civile sulla definizione di “servitù prediale”).
A conferma di quanto sopra, è noto che il proprietario del fondo servente può essere tenuto ad un obbligo di non fare oppure di sopportare (“pati”) l’attività altrui ma non ad un obbligo di “facere” di carattere personale (cfr. l’art. 1030 del codice civile).
Ne deriva altresì il divieto di servitù atipiche e che, anche nel caso in cui fosse posta convenzionalmente a carico del proprietario del fondo servente una prestazione accessoria, tale prestazione sarebbe necessariamente temporanea.
Infatti: «Il complesso di argomentazioni che precedono - dal quale discende l'incasellamento dell'istituto della "servitù irregolare" nell'ambito dei rapporti obbligatori atipici con esclusione di ogni connotato di realità - conduce, ad avviso del collegio, a riconoscere necessariamente allo stesso un carattere temporaneo, dovendosi considerare estranea al nostro ordinamento ed incompatibile con l'altrui diritto di proprietà la concezione di un'obbligazione personale di natura perpetua (che - se conclusa - sarebbe nulla), in quanto "disintegrerebbe" in modo temporalmente indefinito il diritto di proprietà dal suo contenuto economico» (così espressamente Cassazione Civile, Sezione II, sentenza n. 25195/2021).
Da ultimo e per completezza si evidenzia che anche l’abrogato codice civile del 1865 vietava ogni forma di c.d. servitù personale ed in genere gli obblighi di fare perpetui (si veda ad esempio l’art. 1628 del codice civile del 1865, per il quale: “Nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”).>>
Ciò posto, il TAR afferma che la clausola convenzionale scrutinata, nella parte in cui pone un obbligo manutentivo perpetuo in capo al Condominio, non può reputarsi legittima; detta clausola deve, pertanto, reputarsi inefficace, con conseguente liberazione del Condominio dall’obbligo manutentivo a far tempo dalla notificazione al Comune del testo integrale della sentenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 603 del 8 marzo 2023.


Il TAR Milano, a fronte di un affidamento sottosoglia di un servizio di manutenzione e gestione in house providing di un centro sportivo che non si pone all’esito di una procedura aperta al mercato, sicché sottoposto al principio di rotazione ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016, osserva:
<<- vale ribadire che il principio di rotazione - che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da consultare e da invitare a presentare le offerte - trova fondamento nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato. Pertanto, al fine di ostacolare le pratiche di affidamenti senza gara ripetuti nel tempo che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di favorire la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio di rotazione comporta in linea generale che l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale e deve essere adeguatamente motivato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 05/04/2022, n. 2525), avuto riguardo al numero ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto e alle caratteristiche del mercato di riferimento (Consiglio di Stato, sez. V, 17/01/2019 n. 435);
- il principio ha una chiara valenza sostanziale perché è diretto ad evitare la creazione dì rendite di posizione ovvero evitare che la stazione appaltante affidi la commessa sempre allo stesso affidatario o, in relazione ad un procedimento ad inviti, rivolga-la propria attenzione sempre alla stessa platea di concorrenti (cfr. T.A.R. Campania, sez. IV, 31/05/2018, n. 3627);
- non solo, il principio di rotazione degli affidamenti e degli inviti, con riferimento all’affidamento immediatamente precedente a quello di cui si tratti, si applica nei casi in cui i due affidamenti, quello precedente e quello attuale, abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, ovvero nella stessa categoria di opere, ovvero ancora nello stesso settore di servizi (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. I, 11/03/2021, n. 531 che richiama anche la line guida Anac n. 4);>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 500 del 27 febbraio 2023.





Il TAR Brescia osserva che
<<Sebbene, infatti, non operi nel processo amministrativo la regola di stampo processual-civilista per cui la statuizione del Giudice copre il dedotto ed il deducibile, il rigido sistema di termini decadenziali che governa il D. Lgs 104/2010, in piena armonia con i principi di certezza del diritto nonché della ragionevole durata del processo, non consente di far valere i motivi di ricorso che avrebbero potuto essere sollevati avverso l’atto presupposto in occasione dell’impugnazione dell’atto presupponente; l’atto presupponente, pur adottato sulla base di quanto statuito da un pregresso provvedimento, non eredita i vizi di quest’ultimo dovendosi ritenere gli stessi, qualora all’epoca non impugnati, non più contestabili.
La conseguenza in diritto è l’inammissibilità del motivo di ricorso che pretende di far valere un vizio del presupposto provvedimento in occasione dell’impugnazione del consequenziale atto presupponente, non potendosi rimettere in discussione all’infinito le situazioni ormai consolidate.>>
(fattispecie relativa all’impugnazione di una ingiunzione di pagamento quale atto autonomo e distinto, ancorché collegato, rispetto al presupposto ordine di demolizione e rimessa in pristino)

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 103 del 3 febbraio 2023.





Il, TAR Milano ricorda che la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che “chi lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte pianificatorie lesive del proprio interesse. L’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 15 novembre 2016 n. 2140).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 215 del 24 gennaio 2023.


Con riguardo ad una procedura per la concessione di beni e servizi, e più nello specifico la concessione d’uso e la gestione di un servizio interno di bar, caffetteria e ristorazione ubicata all’interno di un Conservatorio di Musica, parte ricorrente aveva contestato l’Avviso esplorativo nella parte in cui consente la partecipazione alla gara soltanto a coloro che dimostrino “di non avere debiti o morosità e neppure liti pendenti nei confronti di Amministrazioni Pubbliche a qualsiasi titolo o comunque di provvedere a sanare la propria posizione debitoria entro il termine di scadenza del bando”, ritenendolo nullo per violazione dell’art. 83, comma 8, del D.Lgs. n. 50 del 2016, rientrando tale prescrizione nella categoria dei requisiti di ordine generale non previsti dalla legge e la cui introduzione in sede di lex specialis non risulterebbe ammessa.

Tale conclusione non è condivisa dal TAR Milano il quale ritiene di aderire all’orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale «il principio di tassatività delle cause di esclusione si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal Codice dei contratti pubblici in via diretta ovvero per autovincolo dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, V, 9 giugno 2015, n. 2839); allo stato, il vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 stabilisce all’art. 164 comma 2 che “Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”; la norma di attuale riferimento della questione individua dunque la normativa applicabile alle procedure di aggiudicazione delle concessioni tramite un rinvio per “temi” e non per articoli, e postula altresì l’espressione di un giudizio di compatibilità della relativa disciplina con l’oggetto di regolazione tramite rinvio» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).

Di conseguenza, secondo il TAR:
<<non è possibile applicare, de plano, alle concessioni di beni pubblici o di servizi l’art. 83, comma 8, considerato che si è al cospetto di una figura peculiare attraverso la quale si determina «l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione [art. 3 comma 1 lettera zz) e art. 165 comma 1 Codice contratti; Cons. Stato, III, 3 agosto 2020, n. 4910; 18 giugno 2020, n. 3905; VI, ordinanza 6 dicembre 2019, n. 6073; V, 28 marzo 2019, n. 2065; III, 11 gennaio 2018, n. 127; VI, 16 luglio 2015, n. 3571; 14 ottobre 2014, n. 5065], nell’ambito dell’equilibrio economico finanziario proprio dell’istituto [art. 3 comma 1 lett. fff) e art. 165 comma 2 Codice contratti].
Agli espressi fini del raggiungimento di tale equilibrio, l’art. 165 comma 2 del Codice contratti prevede, tra altro, che l’amministrazione aggiudicatrice possa stabilire in sede di gara “un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. Il contributo, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell’amministrazione aggiudicatrice la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione”.
Indi, accanto all’affidamento del servizio, l’amministrazione può concedere l’utilizzo dei beni necessari all’esercizio dell’attività, così integrando anche una concessione di bene pubblico (C.G.A.R.S., 24 marzo 2021, n. 247).
A sua volta, l’art. 172 comma 1 del Codice contratti, nel disporre in linea generale le regole di selezione e valutazione qualitativa degli aspiranti concessionari, prevede che le stazioni appaltanti verifichino le condizioni di partecipazione anche sotto il profilo della loro “capacità finanziaria ed economica” e ciò “sulla base di certificazioni, autocertificazioni o attestati che devono essere presentati come prova”.
Si tratta di una potestà non illimitata: l’art. 172 comma 1, con una disposizione non dissimile a quella dettata dal precedente art. 83 comma 2 per i contratti di appalto, stabilisce che “Le condizioni di partecipazione sono correlate e proporzionali alla necessità di garantire la capacità del concessionario di eseguire la concessione, tenendo conto dell’oggetto della concessione e dell’obiettivo di assicurare la concorrenza effettiva”» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).
Tenuto conto che la prescrizione di cui al punto 5.5 dell’Avviso pubblico è inserita nell’ambito di una lex specialis che non si è vincolata in linea generale all’applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici, e avendo la Stazione appaltante ritenuto di procedere alla verifica dell’affidabilità dei partecipanti alla gara non solo da un punto di vista formale, ma anche sostanziale, attraverso un accertamento della capacità finanziaria ed economica dei partecipanti alla procedura, ne risulta un diretto collegamento con l’oggetto dell’affidamento, costituito dalla cessione (anche) di un bene pubblico, a fronte del pagamento di un canone predeterminato. Ciò risulta coerente con la previsione di cui all’art. 172, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, secondo la quale è assolutamente proporzionato pertinente all’oggetto della concessione procedere a una verifica delle capacità dell’operatore economico di gestire la predetta concessione, unitamente alla sua affidabilità e integrità.
Ne risulta l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 83, comma 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016 alla procedura de qua.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 538 del 2 marzo 2023.


Il TAR Milano, con riferimento alla nozione di rifiuto riferita a dei cumuli di materiale inerte frantumato da demolizione, osserva che:
<<viene in rilievo l’art. 183, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi. La giurisprudenza ha chiarito che la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 20 gennaio 2015, n. 29069; id, 23 aprile 2008, n. 22245). La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C‑241/12 e C‑242/12, par 38).
Si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 477 del 23 febbraio 2023.



Il TAR Milano, con riferimento all’attribuzione del punteggio tecnico con criteri on/off, osserva quanto segue:
<<- l’art. 95 del d.l.vo 2016 n. 50 affronta il rapporto tra il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e il criterio del prezzo più basso, evidenziando la residualità di quest’ultimo – in particolare commi 3 e 4 – nonché prevedendo un tetto massimo alla rilevanza attribuibile al criterio economico, che non può eccedere il 30%, in base al comma 10 bis (cfr. in argomento T.A.R. Liguria, sez. II, 27 dicembre 2019, n. 1024);
- ne deriva, in generale, che, quando sia prescelto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la concreta articolazione dei criteri e dei relativi punteggi deve essere tale da conservare la discrezionalità tecnica dell’amministrazione, senza neutralizzarla con parametri esclusivamente tabellari;
- in tale contesto si inseriscono i criteri c.d. on/off, che introducono un’alternativa secca tra attribuzione del punteggio pieno, in caso di offerta di un particolare elemento e punteggio pari a zero in caso di mancanza di detto elemento;
- il criterio on/off si caratterizza, quindi, per il fatto di escludere qualunque graduazione del punteggio tra il minimo e il massimo;
- si tratta di una metodologia che di per sé non è illegittima, perché l’art. 95 cit. stabilisce che la ponderazione relativa a ciascuno dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica avvenga “anche prevedendo una forcella in cui lo scarto tra il minimo e il massimo deve essere adeguato”;
- nondimeno, il problema è quello di stabilire il limite all’utilizzabilità del criterio on/off che, se impiegato in modo preponderante, potrebbe rendere irrilevanti i profili qualitativi dell’offerta, contraddicendo la previsione del bando che fissa il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in luogo del minor prezzo;
- nel caso di specie, il bando articola i criteri di valutazione dell’offerta tecnica in subcriteri, prevedendo nel complesso l’attribuzione di 70 punti;
- nell’ambito dell’articolazione in subcriteri solo 15 punti complessivi sono assegnabili sulla base di un’alternativa secca di tipo on/off;
- gli ulteriori 55 punti sono distribuiti sulla base di una articolata graduazione dei punteggi tra un minimo e un massimo, con previsione di valori intermedi, correlati a specifici profili tecnici;
- tale modus procedendi non contrasta con la scelta effettuata per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto non si sostanza nella previsione di criteri rigidi di tipo quantitativo, ma nell’articolazione di subpunteggi predeterminati, che valorizzano i diversi profili tecnici delle offerte e consentono di premiare quelle che presentano un maggior pregio tecnico;
- del resto la giurisprudenza ha precisato che “il metodo di attribuzione si/no, pur ridimensionando in parte il margine di apprezzamento del merito tecnico dell’offerta, non lo esclude, anticipando, piuttosto, la valutazione dei requisiti tecnici che devono essere offerti, con la conseguenza che si ha poi un controllo finalizzato a comprovarne il possesso. Ciò significa che comunque la valutazione dell’offerta ha tenuto conto della componente tecnica” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2020, n. 2094);
- non solo, in relazione a taluni dei criteri previsti, il bando prevede la produzione di una descrizione esaustiva a corredo dell’offerta tecnica, correlando ad essa e al suo contenuto il punteggio attribuibile;
- si tratta di un profilo che valorizza la discrezionalità tecnica della stazione appaltante, cui è attribuito il compito di valutare le offerte a partire dal contenuto delle descrizioni richieste, apprezzandone la completezza;
- ne deriva che i criteri e i sub criteri previsti dal bando e le connesse modalità di attribuzione del punteggio non contraddicono la scelta effettuata per il parametro dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma introducono graduazioni di punteggi compatibili con tale scelta e riservano espressamente spazi valutativi adeguati alla stazione appaltante.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 364 del 10 febbraio 2023.


Sono disponibili le slide dell'incontro di formazione tenuto dalla Camera Amministrativa dell'Insubria il 24 febbraio 2023 dal titolo “Linguaggio e tecniche di scrittura alla luce del principio di chiarezza e sinteticità degli atti difensivi”, relatore: prof. Giovanni Acerboni.

Le slide sono scaricabili in formato .pdf a questo indirizzo.


Il TAR Bescia precisa che la VIA è un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull'ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo consiste nel proteggere la salute, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile Ne consegue che, in linea generale, poiché l’oggetto della valutazione è il progetto di un’opera o di una sua modifica ancora da attuare, valutare ciò che è già stato realizzato ed edificato vanificherebbe gli obiettivi che il legislatore euro-unitario e nazionale si sono prefissati, ovverosia analizzare ex ante se la localizzazione e la realizzazione di una determinata opera, per come progettata, sia conciliabile con il determinato contesto geografico prescelto per la sua costruzione e, ove questo interrogativo sortisca una risposta favorevole, quale sia la soluzione progettuale che permetta di ottimizzare l’edificazione dell’opera con i preminenti valori presidiati mediante l’istituto in esame. Poiché, quindi, l’intera procedura ha come postulato la modificabilità del progetto, non avrebbe senso effettuare la valutazione dopo la realizzazione dell’opera.
A tale regola generale per cui la VIA deve precedere e non seguire la realizzazione dell’opera può derogarsi eccezionalmente, solo qualora l’esperimento postumo della procedura di valutazione consenta di ottenere “un effetto utile”. Il che presuppone due condizioni, ovverosia che si tratti di modifiche ancora da eseguire (con la conseguenza che la VIA sarà limitata solo a esse) e che si tratti di modifiche idonee a determinare una variazione negli impatti che l’attività svolta nell’impianto potrebbe avere sull’ambiente.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 141 del 17 febbraio 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che, ai sensi dell’art. 18, comma 1, della l.r. n. 12/2005 “Le valutazioni di compatibilità rispetto al PTCP, sia per gli atti della stessa Provincia sia per quelli degli enti locali o di altri enti, concernono l’accertamento dell’idoneità dell’atto, oggetto della valutazione, ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati nel piano, salvaguardandone i limiti di sostenibilità previsti”, osserva che:
<<2.2. Come già chiarito dalla giurisprudenza di questo Tribunale, “la valutazione di compatibilità del PGT rispetto al PTCP non può essere intesa come limitata ad un mero riscontro della conformità estrinseca del piano comunale alle previsioni ad efficacia prescrittiva e prevalente del piano provinciale.
Inteso in tal modo, infatti non soltanto il rapporto di collaborazione istituzionale fra i due enti verrebbe del tutto svilito, ma neppure si comprenderebbe il senso della previsione contenuta nel comma di apertura dell'art. 18 della legge regionale n. 12/2005. Detta prescrizione, infatti, pone in luce la portata teleologicamente orientata della valutazione che fa capo alla Provincia, nel senso di valorizzare l'accertamento dell'idoneità dell'atto comunale al raggiungimento degli obiettivi del piano di coordinamento” (cfr. T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza n. 1440 del 25.5.2012).>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 229 del 25 gennaio 2023.


Il TAR Milano esamina un ricorso contro una nota con cui un Comune lombardo dichiara l’inefficacia della comunicazione inviata ex art. 87 ter, del d.lgs. 259/03 relativa alla modifica di stazione radio base esistente in quanto la potenza complessiva dell’impianto al connettore di antenna risulta pari a 534,07 W, potenza che si porrebbe in contrasto con la DGR della Regione Lombardia n. VII/7351 dell’11.12.2001 dalla quale si evince che entro il limite di 100 metri dal perimetro di proprietà di asili, scuole, ospedali, case di cura e residenze per anziani non è possibile installare impianti con potenza al connettore di antenna superiore a 300 W.
Il punto in contestazione riguarda l’interpretazione della disposizione normativa regionale richiamata e in particolare se il limite di 300 Watt deve riferirsi alla potenza di ogni singola antenna, come sostenuto dalla ricorrente, ovvero alla sommatoria della potenza complessiva di tutte le antenne che compongono un impianto, come sostenuto dal Comune.
Il TAR ritiene condivisibile la tesi interpretativa avanzata dalla ricorrente che, ad avviso del TAR, trova diretto collegamento con il dato normativo applicabile alla fattispecie e segnatamente con l'art. 4, comma 7, della L.R. della Regione Lombardia n. 11/2001, ai sensi del quale: «7. Viste le caratteristiche tecniche delle reti per la telefonia mobile e la natura di pubblico servizio dell'attività svolta, che motivano una diffusione capillare delle stazioni impiegate a tale scopo, gli impianti radiobase per la telefonia mobile di potenza totale ai connettori di antenna non superiore a 300 W non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica».
Precisa, quindi, il TAR:
<<In accordo con i limiti che si impongono al legislatore regionale in tema di installazione di impianti di telecomunicazione, e alla luce della competenza del legislatore statale ad assumere le scelte di principio che concernono la tutela della salute dalle relative emissioni, la norma appena citata si fa carico di esigenze prettamente urbanistiche, vale a dire attinenti al governo del territorio, in ciò seguita dalla DGR del 2001.
Da tale premessa si evince che un’interpretazione volta, invece, a imporre un limite di potenza commisurato non all’impatto urbanistico del singolo impianto, ma alla sommatoria delle emissioni di tutti gli impianti connessi, tradirebbe la ratio della norma, torcendola verso finalità di tutela della salute, alle quali, invece, già risponde l’intervento dell’ARPA. Del resto, dalla lettera delle norme già si evince che si fa riferimento ai connettori di antenna lasciando presumere una pluralità che non depone per la considerazione della potenza dell’impianto nel suo complesso>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 463 del 22 febbraio 2023.



Il TAR Milano, con riferimento alla nozione di grave illecito professionale di cui all'art. 80, comma 5, lett. c, del d.lgs. n. 50/2016, osserva che:
<<Va premesso che il grave illecito professionale di cui all'art. 80, comma 5, lett. c, del D.lgs. n. 50/2016 costituisce un concetto giuridico indeterminato, sicché la norma rimette alla valutazione discrezionale della stazione appaltante l'individuazione delle condotte idonee a minare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra le parti. L'amministrazione deve valutare, in concreto, se e per quali motivi gli elementi che siano stati raccolti depongano per un illecito professionale tanto grave da incidere sull'affidabilità morale o professionale dell'operatore (Consiglio di Stato sez. III, 10 gennaio 2022, n.164).
Il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte dell'Amministrazione, cui il legislatore ha voluto riconoscere un rilevante margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell'affidabilità dell'appaltatore. Ne consegue che il sindacato che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta (nella specie, la non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto) e non può pervenire ad evidenziare una mera “non condivisibilità” della valutazione stessa (Consiglio di Stato sez. V, 27 ottobre 2021, n.7223; idem 3 giugno 2021, n. 4248).
Tale interpretazione è conforme al diritto europeo, nella sua declinazione operata dalla Corte di Giustizia, secondo cui il potere della stazione appaltante non può essere limitato da preclusioni poste dal diritto nazionale, ma si deve basare sull'accertamento in concreto dei fatti, rimesso esclusivamente al vaglio della stazione appaltante medesima (cfr. sentenza della Corte di Giustizia UE del 19 giugno 2021, adottata a definizione della causa n. 41/2018: “l'art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un'amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all'amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d'appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull'affidabilità dell'operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce”).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 342 del 9 febbraio 2023.


Il TAR Milano ricorda l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “Nel caso in cui la P.A. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, al fine di sentire negare la demanialità ed accertare il proprio diritto di proprietà, la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario in quanto … è rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo. Nè assume rilievo che la causa verta anche sulla natura demaniale o meno del bene o sulla sua estensione, trattandosi di carattere che consegue direttamente dalla legge e non postula l'emanazione di atti amministrativi" (cfr., tra le altre, Cass. SS.UU., 28 gennaio 2021, n.1915; 9 settembre 2013, n. 20596; 15 marzo 2012, n. 4127).
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, in sintesi, nel caso in cui l'Amministrazione emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, e il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, contestando la demanialità del bene e, dunque, sostanzialmente invocando il proprio pieno diritto di proprietà (cfr., ex multis, in termini, T.A.R. Lazio, Sez. II bis, 18 giugno 2014, n. 64229).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 355 del 9 febbraio 2023.


Il TAR Brescia richiama la propria giurisprudenza in materia di legittimazione ad agire del Comune secondo la quale «La legittimazione ad agire dell’ente locale in materia ambientale, in quanto titolare di un interesse collettivo, è riconosciuta dalla giurisprudenza fin da T.a.r. Lazio 1064/90 (secondo cui “il comune, quale ente territoriale esponenziale di una determinata collettività di cittadini della quale cura istituzionalmente gli interessi a promuovere lo sviluppo, è pienamente legittimato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo i provvedimenti ritenuti lesivi dell’ambiente). Sarebbe d’altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilità di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno all’ambiente (come fa l’art. 18, co. 3, l. 349/86), e negargli invece la possibilità di agire (in via preventiva) per impedire la produzione di quello stesso danno. Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarità di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall’abuso è talora costituito soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell’ente istituzionalmente esponenziale della comunità di riferimento» (così la sentenza n. 1568/2011; nello stesso senso recentemente T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, sentenza n. 840/2021; C.G.A., Sez. giurisd., sentenza n. 533/2019).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 141 del 17 febbraio 2023.


Il TAR Milano osserva che la notificazione del provvedimento amministrativo non è un requisito di giuridica esistenza dell’atto, ma una condizione integrativa della sua efficacia, con la conseguenza che il principio di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., per il quale il conseguimento dello scopo al quale l’atto è preordinato ne sana la nullità, trova applicazione anche per la notifica dei provvedimenti amministrativi, per cui in una prospettiva di funzionalità del sistema, la non corretta notifica dell’atto lesivo non incide sulla legittimità dello stesso, ma solo sulla decorrenza del termine per impugnare.
Un eventuale vizio della notificazione del provvedimento lesivo si traduce, quindi, in una mera irregolarità, sanata con il tempestivo esercizio del diritto di difesa da parte dell’interessato, il quale dimostra di aver raggiunto quella condizione di piena conoscenza dell’atto che è l’unico elemento di rilievo ai fini della decorrenza del termine per impugnare (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 597/2022).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 396 del 14 febbraio 2023.


Il TAR Milano, in relazione a un ricorso principale e i successivi motivi aggiunti diretti a contestare la mancata esclusione dell’aggiudicataria e a un ricorso incidentale avente portata escludente, poiché diretto a censurare l’ammissione alla procedura del ricorrente, osserva:
<<Resta ferma l’esigenza di esaminare, in linea di principio, entrambi i ricorsi reciprocamente escludenti, indipendentemente dal numero di operatori partecipanti alla procedura (cfr. Corte di Giustizia UE, 5 settembre 2019 C-333/18, Lombardi), poiché, in primo luogo, l’esclusione di un offerente può far sì che l’altro ottenga l’appalto direttamente nell’ambito della stessa procedura, inoltre, nell’ipotesi di esclusione di tutti gli offerenti e dell’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e quindi ottenere indirettamente l’appalto (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 3 marzo 2022, n. 1536).
Nondimeno, il ricorso incidentale non deve essere esaminato per primo quando anche il ricorso principale deduca vizi escludenti avverso l’offerta aggiudicataria, perché in tale contesto le parti vantano un interesse “equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare” (cfr. giur. cit.).
Viceversa - ma tale ipotesi non si configura nel caso di specie - se con il ricorso incidentale si contesti la legittimazione ad agire del ricorrente principale, che, dal proprio canto, si limiti alla contestazione nel merito dell’esito della gara, riemerge la regola della necessaria trattazione preliminare del ricorso incidentale (cfr. ex multis Tar Campania sez. I, 3 gennaio 2022, n. 42).
Va, inoltre, precisato che mentre l’eventuale fondatezza del ricorso incidentale escludente non potrebbe in ogni caso comportare l’improcedibilità del ricorso principale parimenti escludente, viceversa l’eventuale infondatezza di quest’ultimo potrebbe determinare l’improcedibilità del primo, proposto dall’aggiudicatario.
Infatti, ove fosse respinto il ricorso principale, con conseguente formazione del giudicato sulla legittimità (rectius: sulla non illegittimità sulla base dei motivi dedotti) dell’aggiudicazione controversa, il controinteressato, vale a dire l’aggiudicatario, avendo reso intangibile la soddisfazione del proprio interesse, non potrebbe nutrire alcun ulteriore interesse all’accoglimento del ricorso incidentale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2020, n. 4431).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 397 del 15 febbraio 2023.


Il TAR Milano, preso atto che sebbene per mezzo delle osservazioni la ricorrente abbia segnalato la peculiare conformazione del proprio compendio immobiliare, il Comune in sede di controdeduzioni non ha evidenziato le puntuali ragioni che hanno determinato la scelta di mantenere la zona come bosco, limitandosi ad affermare “non luogo a procedere" in quanto la tavola di azzonamento del PGT può anche essere letta attraverso altro allegato del PGT sui vincoli esistenti, osserva che dalla motivazione non si deducono le ragioni del rigetto, né si comprende a quali vincoli si faccia rinvio.
Secondo il TAR:
<<Tale condotta si pone in contrasto con un condivisibile orientamento giurisprudenziale che, attribuendo un rilievo sostanziale e non meramente formale alla partecipazione procedimentale, sottolinea come le osservazioni e in generale tutti gli apporti partecipativi presentati dai privati nei confronti di un piano urbanistico in itinere sono finalizzati a consentire che il punto di vista del soggetto potenzialmente leso assuma rilevanza e venga adeguatamente considerato, in modo che l'Amministrazione si determini correttamente e compiutamente in omaggio ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.) che devono presiedere all'esercizio dell'azione amministrativa. Ne deriva che il rigetto delle osservazioni, benché connotato da rilevante e ampia discrezionalità e pur non richiedendo particolari formalità, deve essere assistito da una motivazione che sia congrua rispetto agli elementi di fatto e di diritto posti alla base delle osservazioni stesse e che abbia tenuto presente il loro apporto critico e collaborativo in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti in vista dell'adozione di soluzioni urbanistiche, oltre che legittime, anche opportune e razionali (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 13 aprile 2021, n. 925; 3 luglio 2020, n. 1279; 29 giugno 2020, n. 1237; anche T.A.R. Sicilia, Catania, I, 27 maggio 2011, n. 1332; T.A.R. Campania, Napoli, V, 11 gennaio 2011, n. 50; 17 dicembre 2010, n. 27621). Nel caso in esame tale valutazione dell’osservazione presentata, nonché della documentazione relativa allo stato di fatto dell’area, è stata omessa.>>.
In accoglimento del ricorso, la delibera impugnata è stata annullata nella parte in cui respinge l’osservazione presentata dalla ricorrente.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 317 in data 8 febbraio 2023.


Il TAR Milano, dopo aver richiamato la giurisprudenza amministrativa che, nel ricondurre la responsabilità dell’Amministrazione nell’alveo della responsabilità aquiliana, ha precisato come l’elemento centrale nella fattispecie di responsabilità è l’ingiustizia del danno, che deve essere dimostrata in giudizio e che implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto solo se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato che questo avrebbe avuto titolo per mantenere od ottenere (in tal senso, Ad. Pl. n. 7/2021), rigetta una domanda risarcitoria proposta, in quanto qualora l’annullamento di un provvedimento amministrativo venga disposto per vizi formali non è riconoscibile il risarcimento del danno, atteso che in tal caso non è effettuato alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto nel provvedimento oggetto di impugnazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2022, n. 4279; sez. II, n. 2153/2021).
Aggiunge il TAR che la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento, il che avviene in particolare quando, in seguito all’annullamento dell’atto impugnato, l’Amministrazione conserva intatto il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 252).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 391 del 13 febbraio 2023.