Il TAR Milano osserva che nel caso in cui un documento, peraltro meramente facoltativo, non abbia inciso in nessun modo sulla determinazione finale di affidamento della stazione appaltante, l’ipotetica falsità del medesimo non può determinare di per sé l’illegittimità dell’aggiudicazione (nella fattispecie si trattava dei giustificativi dell’offerta, la cui presentazione unitamente all’offerta era però meramente facoltativa, e che non sono stati esaminati dalla stazione appaltante in quanto nella specifica procedura negoziata la verifica di congruità o di anomalia delle offerte non era obbligatoria).


Il TAR Milano, esaminando un ricorso avente ad oggetto un provvedimento di sgombero emanato da un Comune di una casa albergo affidata in concessione, preso atto che il presupposto del provvedimento impugnato non è da ravvisarsi nell’esercizio della facoltà di recesso esercitato dall’ente locale ma nella naturale scadenza del contratto di concessione, osserva che, trattandosi di un provvedimento necessitato, in relazione ad un’occupazione di un bene pubblico che si è protratta oltre la scadenza del titolo, non sussiste alcuna violazione delle regole partecipative, degli obblighi di motivazione, né dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di sfratto, che non ha avuto luogo nel caso di specie. Per giurisprudenza pacifica, il concessionario di un bene pubblico comunale non è titolare di alcuna aspettativa alla prosecuzione del rapporto, avendo l’Ente Locale la facoltà di individuare una destinazione più adeguata e idonea alle caratteristiche del bene e alla realizzazione degli interessi generali, e ciò finanche a fronte di una pregressa considerevole durata della concessione.


Il TAR Brescia si è pronunciato sulla prova dell’avvenuta notifica a mezzo pec del ricorso (nella fattispecie risultava depositato il file “pdf” delle ricevute di avvenuta consegna del ricorso all’Amministrazione resistente e ai controinteressati). Ebbene, osserva il TAR Brescia, a tale riguardo la giurisprudenza ha chiarito che, in base all’art. 14, c. 3 e 4, Decreto 28 luglio 2021 (“Regole tecniche-operative del processo amministrativo telematico”), la prova della notifica del ricorso deve essere fornita “…non mediante deposito della scansione della ricevuta in formato PDF, ancorché munita di asseverazione ai sensi dell’art. 22 CAD (come effettuato nel caso di specie da parte ricorrente a seguito della citata ordinanza 1005/2023), ma mediante deposito del file in formato EML (sul punto, TAR Calabria – Catanzaro, Sez. I, 2 marzo 2023, n. 302, e Cass. civ., Sez. III, ord. 8 giugno 2023, n. 16189)” (Tar Sicilia – Catania, sent. n. 2019/2023, cfr. C.G.A., sent. n. 271/2023), in quanto “…solo tali forme permettono di verificare la disponibilità informatica dell'atto da parte del destinatario e di provare il raggiungimento dello scopo legale della notificazione e, cioè, la consegna tempestiva e idonea a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa e la corretta instaurazione del contraddittorio, dimostrazione che, invece, manca se l'atto notificato è depositato in diverso formato (nella specie, in formato ".pdf")” (Cass. Sez. 3, Ord. n. 16189 del 08/06/2023). In questo quadro, il TAR Brescia ha  concesso un termine perentorio per il deposito da parte del ricorrente della prova della notificazione del ricorso introduttivo secondo quanto previsto dalla normativa sul processo amministrativo telematico e dalla giurisprudenza che si è pronunciata in materia.


Il TAR Brescia precisa, in materia di giurisdizione, che spettano alla cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche le impugnazioni di tutti i provvedimenti che, per effetto della loro incidenza sulla realizzazione, sospensione o eliminazione di opere idrauliche riguardanti acque pubbliche, concorrono in concreto a disciplinare le modalità d'uso di tali acque, compresi quelli che, pur se emanati da organi dell'Amministrazione non preposti alla cura delle acque pubbliche, comunque interferiscono con le determinazioni che regolano il menzionato uso, ad esempio autorizzando, impedendo o modificando i lavori o determinando i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e alla realizzazione delle opere (Cassazione civile sez. un., 22/05/2023, n.13975; id., sez. un., 05/02/2020, n.2710; id. sez. III, 28/09/2012, n.16535). Nel caso di specie il progetto e le opere di cui agli atti impugnati sono stati valutati dal TAR idonei a incidere in maniera non occasionale, ma immediata e diretta, sul regime delle acque pubbliche e del relativo demanio, per cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.



Il TAR Milano ricorda che è stata reiteratamente affermata la non impugnabilità della comunicazione di avvio del procedimento e del c.d. preavviso di rigetto, atti che non mai possono assumere portata lesiva nei confronti delle parti private coinvolte, in quanto aventi chiara connotazione endoprocedimentale, con la funzione di iniziare il procedimento ovvero di preannunciare le ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza formulata.


Il TAR Milano dà continuità all'indirizzo giurisprudenziale (su cui cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, III, 10-05-2023, n. 4753) che, contemperando i diritti procedimentali del soggetto istante con le esigenze di celerità e snellezza dell'azione amministrativa, oltreché col divieto di aggravamento del procedimento, in omaggio al principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, esclude che l'amministrazione debba necessariamente confutare, punto per punto, le osservazioni prodotte dal privato. In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, IV, 01-08-2022, n. 6770), quanto all'obbligo dell'amministrazione di esaminare il contributo conoscitivo offerto dall'istante, né l'art. 7, né l'art. 10, né l'art. 10 bis della L. n. 241 del 7 agosto 1990 impongono di riportare, nel provvedimento finale, la puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo all’uopo sufficiente una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno della decisione assunta (cfr. Consiglio di Stato, VI, 10-01-2022, n. 158, id., IV, 21-05-2021, n. 3924; TAR Lombardia, Milano, III, 12-01-2023, n. 138). 


Precisa il TAR Brescia che sono due i parametri che devono essere valutati ai sensi dell’art. 42-bis del DPR 327/2001: il primo è quello della utilità dell’occupazione del terreno, ossia la funzionalità dell’infrastruttura realizzata sul terreno occupato (o nel sottosuolo) allo svolgimento di un servizio pubblico; il secondo è quello economico. I commi 1 e 3 dell’art. 42-bis del DPR 327/2001 prevedono, infatti, la corresponsione di un indennizzo pari al valore di mercato del bene (nella destinazione d’uso originaria), per il che è necessario stabilire se la restituzione del terreno comporti oneri inferiori. In realtà, la valutazione economica è più ampia, in quanto occorre tenere conto di tutte le voci di costo che si collegano all’infrastruttura da regolarizzare. Nel bilanciamento, assumono quindi rilievo, da un lato, le spese della ricostruzione o della traslazione dell’infrastruttura e, dall’altro, oltre all’indennizzo, il risarcimento dovuto al proprietario non solo per l’occupazione senza titolo, ma per tutti i danni ulteriori. In questo quadro, sono possibili accordi tra le parti che chiariscano le situazioni incerte definendo gli obblighi reciproci, ma è comunque necessario che l’amministrazione offra una ragionevole dimostrazione del carattere non antieconomico della scelta operata.


Il TAR Milano, esaminando un ricorso avverso un verbale di disposizione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro con il quale è stata contestata una irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale costituita dal pagamento delle retribuzioni al personale dipendente in misura inferiore ai livelli minimi previsti dalla contrattazione collettiva applicata, in violazione dell’art. 3 legge n. 142/2001 nonché dell’art. 36 Cost., ricorda che l’avvenuta sottoscrizione di un contratto collettivo da parte delle associazioni sindacali (e datoriali) maggiormente rappresentative rende siffatto accordo idoneo a fungere da parametro per l’individuazione della soglia della retribuzione da considerare idonea e proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost. e serve a scongiurare il rischio dell’applicazione dei contratti cc.dd. pirata, sottoscritti da associazioni sindacali minoritarie o non sufficientemente rappresentative delle parti sociali, con l’obiettivo di costituire una surrettizia ed elusiva alternativa ai più impegnativi e garantistici (in punto di retribuzioni minime, di numero di ferie e/o permessi et similia) contratti nazionali cc.dd. tradizionali.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2046 del 4 settembre 2023.



Il TAR Milano declina la propria giurisdizione con riferimento ad una controversia in materia di pubblico impiego e osserva che:
<<- in forza del combinato disposto degli artt. 5, comma 2, e 63 del d.lgs. n. 165/2001 (T.U. sul Pubblico Impiego), le uniche controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del medesimo T.U. (c.d. pubblico impiego privatizzato) che restano devolute alla giurisdizione amministrativa sono quelle concernenti “le procedure concorsuali” (art. 63, comma 4), ovvero quelle aventi ad oggetto comunque l’esercizio di poteri autoritativi pubblicistici preordinati all’adozione dei c.d. atti di macro-organizzazione, ossia quegli atti che “definiscono ... le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive”(art. 2, co. 1, T.U. cit.);
- ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato occorre distinguere tra gli atti di macro-organizzazione (concernenti come detto le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali, nonché le modalità di copertura del fabbisogno di personale), assoggettati a principi e regole pubblicistiche e affidati alla giurisdizione del giudice amministrativo e gli atti di micro-organizzazione, con cui si dispone l’organizzazione dei singoli uffici e la gestione in concreto dei rapporti di lavoro, regolati, invece, dalla disciplina privatistica (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 28 novembre 2013, n. 5684; Sez. V, 16 gennaio 2012, n. 138; Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705);
- per questi ultimi resta dunque ferma la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, in ragione del fatto che ogni determinazione organizzativa degli uffici e ogni misura inerente alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (cfr. art. 5, comma 2, T.U.), cui corrispondono i diritti soggettivi del lavoratore;
- con riferimento agli atti di macro organizzazione (ad esempio, l’atto di ridefinizione della pianta organica) la giurisdizione è attribuita al giudice amministrativo, nel caso in cui il provvedimento di macro organizzazione sia autonomamente lesivo della posizione giuridica fatta valere (cfr. Corte di Cass., SS.UU., 31 maggio 2016, n. 11387);
- l’individuazione della giurisdizione, pertanto, si definisce in base al petitum sostanziale, come specificato nei fatti materiali allegati dall’attore e in base alle particolari caratteristiche del rapporto dedotto in giudizio.
- compete al giudice ordinario il potere di verificare, in via incidentale, la legittimità degli atti generali di autoregolamentazione dell’ente pubblico, qualora il giudizio verta su pretese attinenti al rapporto di lavoro e riguardi, quindi, posizioni di diritto soggettivo del lavoratore, in relazione alle quali i suddetti provvedimenti di autoregolamentazione costituiscono solamente atti presupposti (Cass., SS. UU., 5 giugno 2006, n. 13169; id., 16 febbraio 2009, n. 3677).
- la giurisprudenza delle SSUU della Cassazione (ex multis SSUU n. 3052/2009 e SSUU n. 4881/2017) e del Consiglio di Stato (sentenza n. 508/2015), ha ricondotto alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63 DLGS n. 165/2001, unicamente quelle controversie nelle quali la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo, sempre che l’atto in questione incida su posizioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo (per le evenienze di giurisdizione esclusiva), ovvero di interesse legittimo.
- in altri termini la giurisdizione spetta al giudice amministrativo laddove venga dedotta e lamentata la violazione della situazione soggettiva per la non conformità a legge degli atti di macro organizzazione, ossia di quegli atti che definiscono le linee fondamentali degli uffici, ovvero per quei provvedimenti che determinano le modalità di conferimento della titolarità degli incarichi dirigenziali;
- pertanto, la contestazione della legittimità degli atti, espressione di poteri pubblicistici, previsti dal d.l.vo n. 165 del 2001 (art. 2, comma 1) deve, sempre, collegarsi direttamente ed immediatamente al pregiudizio di una posizione, in questo caso, di interesse legittimo.
- la giurisdizione si radica nel giudice amministrativo solo se la qualificata posizione soggettiva del ricorrente risulta pregiudicata direttamente dall’atto presupposto, e non è invece integralmente dipendente da vicende connesse alla gestione del rapporto di lavoro (cfr. Cass., Sez. Un., 8 novembre 2005, n. 21592; Sez. Un., 6 novembre 2006, n. 23605; Sez. Un., 1 dicembre 2009, n. 25254);
- si tratta, invero, di un’ipotesi residuale ed eccezionale in cui il pregiudizio lamentato dall’atto di indirizzo afferisce ad aspetti programmatici che coinvolgono le aspettative qualificate dei diretti interessati (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, sez. III, 12/07/2021, n. 8225);
- la giurisprudenza è ferma nel ritenere che gli atti di macro organizzazione non sono destinati ad incidere, se non in via mediata, sulle posizioni soggettive dei consociati, in quanto destinatari dell’azione amministrativa: a livello macro organizzativo, l’amministrazione non entra in relazione diretta con i titolari di situazioni giuridiche soggettive, ma crea soltanto presupposti alla instaurazione di rapporti giuridicamente rilevanti con tali soggetti. Ne risulta corrispondentemente attutito (se pur non eliso, non trattandosi propriamente di autonomia) il profilo garantistico del momento giustificativo, che legittima - come tale - un sindacato limitato al travisamento del fatto o al manifesto eccesso di potere (cfr. Cons. St., sez. V, n. 5143/2018). >>.


Il TAR Milano precisa che è configurabile il dovere delle Amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d'ufficio, ragion per cui intanto si può considerare illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di un privato in quanto questa sia vincolata a pronunciarsi entro un termine prescritto dalla legge, da un regolamento o da un atto di autolimitazione dell'Amministrazione stessa, in corrispondenza ad una situazione soggettiva protetta e qualificata come tale dall'ordinamento. Aggiunge il TAR che uguale onere di pronunciarsi incombe sulla PA ove lo impongano, in particolari fattispecie, ragioni di giustizia o di equità: in tale prospettiva l'esistenza delle condizioni che impongono in capo alla PA l'obbligo di provvedere deve essere allegata dall'istante, non essendo a tal fine sufficiente invocare il mero "fatto giuridico" della presentazione di un'istanza e l'inutile decorso del tempo senza ottenere alcun riscontro da parte dell'Amministrazione, essendo necessario altresì indicare le ragioni che consentono di considerare antigiuridico il comportamento inerte dell'Amministrazione.



Il TAR Brescia ricorda che le copie digitali delle procure alle liti devono essere necessariamente munite (ai sensi dell’art. 136, comma 2-ter, c.p.a.) dell’attestazione di conformità agli originali analogici; in caso di mancanza di tale attestazione è tuttavia possibile (arg. da C.d.S., a.p., 21 aprile 2022, n. 6 sulla mera irregolarità del ricorso privo di firma digitale) procedere alla regolarizzazione delle procure ex art. 44, comma 2, c.p.a.


Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza del TAR Milano, Sez. II, n. 601/2023, ritiene infondata una eccezione di costituzionalità sollevata con riferimento all’art. 73, 3 comma, c.p.a., che prevede che il contradditorio sulle questioni rilevate d’ufficio dopo il passaggio in decisione della causa avvenga per iscritto senza la necessità di fissare una nuova udienza di discussione, sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<10. Occorre operare una netta, analitica distinzione tra contraddittorio e oralità.
10.1. L’oralità costituisce una mera modalità di svolgimento di talune attività processuali che non appare indefettibilmente necessaria al fine di assicurare l’effettività del rito.
10.2. Sicché, l’oralità non è sempre e necessariamente coessenziale per il contraddittorio, che invece rappresenta principio supremo, di ordine costituzionale, cui è informato il processo come insieme di atti volti a pervenire al provvedimento del giudice.
10.3. Si può, dunque, dare il processo giusto in assenza di oralità, mentre certamente non sarebbe giusto il processo in assenza di contraddittorio.
10.4. L’oralità, rappresentando come detto essenzialmente una forma di interlocuzione tra parti e giudice, è dunque strumento di garanzia del contraddittorio preferibile ma non, a rigore, esclusivo e indispensabile ai fini della effettività del contraddittorio medesimo e, in definitiva, del diritto di difesa.
10.5. Rientra, pertanto, nella discrezionalità politica del legislatore, previo bilanciamento dei concorrenti interessi pubblici, sostituire, in determinate particolari circostanze, l’oralità con modalità alternative di dialettica, purché sufficienti ad assicurare un effettivo e paritario confronto di argomentazioni.
10.6. Né il modello processuale scandito nell’art. 73, comma 3, c.p.a. si pone in conflitto col patrimonio di garanzie riconosciuto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo giacché non sopprime l’oralità nel processo amministrativo bensì la sostituisce, in determinati casi limite, con un ulteriore (rispetto alla esaurita fase orale) momento dialettico in forma scritta, garanzia suprema del contraddittorio, che non rappresenta, pertanto, una menomazione insostenibile dei diritti processuali delle parti.>>.
Nel merito il Consiglio di Stato conviene con il TAR Milano in ordine al principio di diritto affermato in sentenza, secondo il quale non è possibile per il privato la reiterazione di istanze di accesso già prodotte e rigettate dall’Amministrazione, in forma espressa o tacita di diniego.


Il TAR Milano, richiamato il comma 8 dell’art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, ai sensi del quale <<Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali…>>, ritiene preferibile, in quanto più aderente al dato normativo, la tesi proposta dalla più recente giurisprudenza che esclude che la conformità alla normativa urbanistico edilizia sia elemento necessario per la formazione del silenzio-assenso; sostiene questa giurisprudenza che la conformità dell’intervento alla normativa urbanistico edilizia costituisce requisito di validità del titolo tacito formatosi con il silenzio-assenso e non requisito di perfezionamento della fattispecie: il titolo edilizio si forma quindi per il solo decorso del tempo salva la possibilità per l’amministrazione, qualora accerti che l’intervento non sia conforme, di intervenire esercitando il potere di autotutela. Ricorda quindi il TAR che, secondo invece la prevalente giurisprudenza, il mero decorso del termine non è di per sé sufficiente alla formazione del silenzio-assenso, essendo a tal fine anche necessario che l’intervento edilizio sia conforme agli strumenti urbanistici ed alle altre disposizioni di legge.


Il TAR Milano esamina un ricorso avverso il provvedimento dichiarativo d’interesse storico e storico-relazionale particolarmente importante ai sensi degli articoli 10, comma 3, lett. d), e 13, comma 1, D.Lgs. n. 42 del 2004 con riferimento a un dipinto. Osserva il TAR che sul piano letterale la lett. d), del citato art. 10, comma 3, a differenza di quanto previsto dalla lett. a), impone alla PA un iter motivazionale non già incentrato sulle intrinseche qualità dell’opera, bensì sul legame esistente tra l’opera e un particolare frangente storico-culturale. In altre parole, l’interesse particolarmente importante di cui alla lett. a) scaturisce dal bene in quanto tale; la rilevanza del bene a mente della lett. d), invece, deriva non tanto dall’opera per ciò che è, ma da ciò che essa rappresenta in virtù del legame che reca con un quid fuori da sé: insomma, essa rileva per il suo valore testimoniale. Rammenta, quindi, il TAR che la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, precisa che presupposto per poter applicare il vincolo relazionale è la sussistenza di un legame fra il bene e una alta personalità che abbia segnato la storia del Paese, oppure di un legame tra il bene e fatti storici specifici bene individuati anche se non di particolare importanza, non essendo invece sufficienti i collegamenti generici non correlati a specifici eventi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2920; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11/11/2020, nn. 2119, 2120).


Il TAR Milano precisa che l’ARPA ricopre solo il ruolo istituzionale di organo di controllo tecnico-scientifico a supporto degli altri livelli istituzionali, pertanto non ha e non avrebbe il potere di adottare atti di contenuto provvedimentale (nel caso in esame si trattava dell’impugnazione, dichiarata poi inammissibile, di atti di consulenza valutativa, di supporto al di fuori delle specifiche competenze istituzionali, su indicazione e richiesta del Ministero per l’Ambiente, al fine di risolvere una diatriba tra il ricorrente Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati - CONOU e una società consorziata in merito alla fondatezza della richiesta di riconoscimento del corrispettivo contemplato dall’art 236 Codice Ambiente per le attività di rigenerazione degli oli).


Precisa il TAR Brescia che, con riguardo ai piani attuativi, la Soprintendenza esprime un parere all’interno della procedura di consultazione prevista dall’art. 16, commi 3 e 4, della legge 1150/1942. Si tratta di un parere non vincolante (“eventuali osservazioni”). Con l’evoluzione della disciplina sulla pianificazione urbanistica questa norma è divenuta residuale e in sostanza impone un parere della Soprintendenza anche quando non sia obbligatoria una procedura di VAS per l’approvazione dei piani attuativi. Se però la Soprintendenza si è già pronunciata sullo strumento urbanistico generale in una procedura di VAS, rimane il divieto di duplicazione delle valutazioni e dunque il nuovo parere potrà riguardare solo aspetti nuovi o di maggiore dettaglio. Invece, in relazione ai permessi di costruire per singoli interventi edilizi, la Soprintendenza si esprime attraverso un parere vincolante ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesistica, ai sensi dell’art. 146, comma 5, del Dlgs. 42/2004. Qui le valutazioni paesistiche prevalgono su quelle di altre autorità e potrebbero impedire la realizzazione dell’opera voluta dai privati. Tuttavia, si tratta di valutazioni con un ambito di discrezionalità circoscritto agli aspetti puntuali dell’edificazione, in quanto non possono mettere in discussione la pianificazione urbanistica sostenuta da una VAS favorevole e, tantomeno, modificare i giudizi precedentemente esposti dalla Soprintendenza nella procedura di VAS, o rimediare al silenzio mantenuto nel corso di tale procedura. La Soprintendenza non ha, quindi, il potere di azzerare discrezionalmente i diritti edificatori (opzione zero), ma deve limitarsi a censurare le soluzioni progettuali che comportino rischi per il bene paesistico tutelato.


Il TAR Milano ricorda che, come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. per tutte, Consiglio di Stato sez. VI, 25/01/2022, n. 497), il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (Nella fattispecie il TAR accerta che le determinazioni espresse dall’amministrazione, sia al momento dell’apposizione del vincolo, sia in sede di decisione del ricorso gerarchico, sono il frutto di una indagine meramente documentale, che non ha appurato in alcun modo l’effettiva consistenza architettonica e materica degli immobili e degli interventi edilizi succedutesi nei secoli; in mancanza di queste basi, i provvedimenti in esame affermano la rilevanza storico-artistica del complesso su basi esclusivamente cartolari, senza accertare le eventuali modifiche apportate agli immobili e senza valutare se tali modifiche li abbiano privati delle caratteristiche che ne dovrebbero esprimere la valenza culturale e, di conseguenza, giustificarne la protezione).


Il TAR Milano ricorda il consolidato principio secondo il quale la censura dedotta in forma dubitativa o di illazione è inammissibile, perché trasforma il giudizio amministrativo in un sindacato ufficioso di legittimità degli atti amministrativi.



Il TAR Brescia ricorda che ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e inquinamento della stessa, occorre utilizzare il canone civilistico del "più probabile che non", con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; ne consegue che, qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l’ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento.


Il TAR Brescia, con riferimento alla problematica relativa all'ammissibilità di una valutazione d'impatto ambientale su impianti preesistenti all'entrata in vigore delle disposizioni che ne impongono la sottoposizione, osserva che, in linea generale, poiché l’oggetto della valutazione è il progetto di un’opera o di una sua modifica ancora da attuare, valutare ciò che è già stato realizzato ed edificato vanificherebbe gli obiettivi che il legislatore euro-unitario e nazionale si sono prefissati, vale a dire analizzare ex ante se la localizzazione e la realizzazione di una determinata opera, per come progettata, sia conciliabile con il determinato contesto geografico prescelto per la sua costruzione e, ove questo interrogativo sortisca una risposta favorevole, quale sia la soluzione progettuale che permetta di ottimizzare l'edificazione dell'opera con i preminenti valori presidiati mediante l'istituto in esame. Poiché, quindi, l’intera procedura ha come postulato la modificabilità del progetto, non avrebbe senso effettuare la valutazione dopo la realizzazione dell’opera. Sulla scia di tale impostazione si colloca l’art. 29 del codice dell’ambiente, che prevede l’eccezionale possibilità di effettuare una valutazione di impatto ambientale c.d. “postuma” per assicurare alla Direttiva del 1985 il c.d. “effetto utile”, il quale non deve però essere esteso sino a consentire di rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti. Ciò sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra l'interesse alla tutela ambientale e il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento - con rilevanti conseguenze economiche e sociali - sarebbe l'effetto possibile di un'applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori per tutti i progetti successivi al 3 luglio 1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva. Ne consegue che, anche in questo caso il giudizio di compatibilità ambientale riguarderà solo il progetto di modifica o di ampliamento dell'impianto, senza estendersi all'intera opera, e sempre che ricorra il presupposto delle notevoli ripercussioni negative sull'ambiente.


Il TAR Brescia ricorda che l’art. 142, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 42/2004 prevede che “Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: (…) f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”. In forza di tale disposizione, sono soggetti a vincolo paesaggistico, non solo “i parchi”, ma anche “i territori di protezione dei parchi”, vale a dire i territori normalmente confinanti con le aree dei parchi, ancorché esterni al perimetro degli stessi, che in ragione della loro natura di “aree cuscinetto”, sono sottoposte a qualche forma di tutela differenziata.