Il TAR di Milano ricorda che:
<<la giurisprudenza condivisa dal Collegio ha chiarito che le stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 95, comma 10, secondo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, prima dell’aggiudicazione hanno obbligo di controllare che i costi siano inferiori ai minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle ministeriali, senza che per tale verifica la disposizione richieda alcun contraddittorio né, men che meno, che venga attivato il procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse; la norma di rinvio è contenuta nell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, che disciplina tale procedimento, ma il rinvio è limitato al disposto di cui al comma 5, lett. d), di tale articolo, sicché non può essere interpretato nel senso che occorre attivare comunque il procedimento citato; il rinvio in questione va, invece, interpretato nel senso che prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare il rispetto, da parte dell’offerta vincitrice, dei minimi salariali indicati nelle tabelle ministeriali; laddove la verifica dia esito negativo la disposizione di cui al richiamato art. 95, comma 10, non prevede l’istituzione di alcun contraddittorio e deve quindi ritenersi che l’offerta vada irrimediabilmente esclusa, come previsto dall’art. 97, comma 5 (cui rinvia l’art. 95, comma 10), a norma del quale l’accertamento che l’anomalia dell’offerta deriva da un costo del personale inferiore ai minimi tabellari ne determina senz’altro l’esclusione (T.A.R. Toscana - Firenze, Sez. II, n. 165/2019).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 648 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Venerdì 8 aprile 2022, dalle ore 14:30 alle ore 18:00, si terrà in videoconferenza il seminario in memoria del Presidente Francesco Mariuzzo su “La tutela cautelare nel processo amministrativo: collegialità, monocraticità, remand per l’effettività della tutela”.

L’iscrizione avviene tramite il portale Sfera, sezione dell’Ordine degli Avvocati di Brescia.


Il TAR Milano condivide l’orientamento prevalente secondo il quale è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia instaurata da un privato che contesti la natura pubblica di un’area, indipendentemente dalla circostanza che la domanda sia stata formalmente articolata come annullamento di un atto di natura provvedimentale, quale l’ordinanza di sgombero (Corte di cassazione, Sezioni unite, ordinanza 10 settembre 2019, n. 22575). Il petitum sostanziale del ricorso postula infatti la corretta individuazione della natura, pubblica o privata, della strada e si risolve in via principale nell’accertamento della consistenza di diritto soggettivo della situazione soggettiva vantata dai ricorrenti (TAR Campania, Sez. VII, 10 febbraio 2020, n. 640).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 679 del 25 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano osserva che:
<< gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico, e soggetta al termine di prescrizione decennale.
Nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Inoltre, la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità, ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito. L’originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto. L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di prescrizione, che nel caso in esame non risulta decorso >>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 691 del 28 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Tar Milano osserva che:
<<Per giurisprudenza costante, dunque, la stazione appaltante che non ritenga i precedenti dichiarati dal concorrente incisivi della sua moralità professionale, non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità delle relative circostanze risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa; è la valutazione di gravità, semmai, che richiede l’assolvimento di un particolare onere motivazionale, con la conseguenza che la stazione appaltante deve motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, sez. V, n. 2580/2020; sez. VI, 6 dicembre 2021, n. 8081; n. 3198/2016; C.G.A.R.S., n. 53/2015; Cons. Stato, sez. VI, n. 2622/2014; sez. III, n. 6236/2013; sez. V, n. 3924/2011; sez. III, n. 1583/2011; sez. VI, n. 4019/2010).
La carenza di motivazione del provvedimento di ammissione a una gara pubblica di un concorrente, pertanto, non può di per sé implicare un difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla rilevanza delle circostanze dichiarate dal concorrente, né determina un ostacolo alla piena tutela giudiziale degli altri concorrenti, cui è comunque garantita la possibilità di far valere le proprie ragioni avverso l'ammissione.>>.
Il Collegio ritiene che nella fattispecie oggetto del giudizio non debba farsi eccezione a questa regola generale e che, inoltre, non sussistano le condizioni per dare applicazione a quanto affermato dal Consiglio di Stato che dopo avere ribadito la regola generale sopra richiamata ha ritenuto che essa sia destinata a subire eccezione nel caso in cui la pregressa vicenda professionale dichiarata dal concorrente presenti una pregnanza tale che la stazione appaltante non possa esimersi da rendere esplicite le ragioni per le quali abbia comunque apprezzato l’impresa come affidabile.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 668 del 24 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, con riferimento a un preavviso di rigetto ad opera della Soprintendenza adottato successivamente al decorso del termine di 45 giorni previsto dall’art. 146, comma 8, D.Lgs. n. 42/2004, verifica se sia o meno applicabile l’art. 17 bis legge n. 241/1990.

Osserva quindi al riguardo che:
<<La questione è già stata chiarita dal Consiglio di Stato nelle seguenti pronunce: Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145; 15 aprile 2021, n. 3114; 29 marzo 2021, n. 2640; 27 luglio 2020, n. 4765.
Nell’ultima delle sentenze citate, in particolare, si è affermato, relativamente all’art. 17 bis legge n. 241/1990, che “7.1. In sostanza, la disposizione in esame si pone nell'ambito dei 'rapporti orizzontali' tra amministrazioni e non con riferimento, a differenza di quello che accade rispetto al silenzio-assenso di cui all'articolo 20, ad un coinvolgimento diretto dei diritti del privato. 7.2. Pur essendo un istituto di carattere generale, non può dunque trovare applicazione nei procedimenti nei quali il rapporto intersoggettivo tra pubbliche amministrazioni si inserisce in un procedimento ad istanza di parte. 8. Le suddette conclusioni sono esplicitamente confermate nel richiamato parere del Consiglio di Stato n. 1640 del 23 giugno 2016: "Con riferimento ai procedimenti ad iniziativa di parte che si svolgono presso un'amministrazione competente a ricevere la domanda del privato, ma rispetto ai quali la competenza sostanziale è di altra amministrazione, gli argomenti sostenuti nella richiesta di quesito a favore della tesi ampliativa non appaiono convincenti. L'art. 17-bis si applica ai procedimenti con fase decisoria pluristrutturata. La disposizione richiede, quindi, che le due Amministrazioni (quella titolare del procedimento e quella interpellata) condividano la funzione decisoria, nel senso che entrambe devono essere titolari di una funzione decisoria sostanziale. Nei casi in cui un'Amministrazione ha un ruolo meramente formale (raccoglie e trasmette l'istanza all'Amministrazione unica decidente), la decisione risulta monostrutturata. In questo caso, infatti, come osserva la richiesta di parere, non essendoci un'amministrazione co-decidente, il vero beneficiario del silenzio assenso sarebbe il privato, avendosi, quindi, un'ipotesi silenzio assenso nei rapporti (non endoprocedimentali, ma) con i privati. Peraltro, considerato che il silenzio assenso nei rapporti con i privati è ormai la regola, tranne i casi espressamente sottratti in base al comma 4 dell'art. 20, la tesi sostenuta nella richiesta di quesito avrebbe come effetto pratico soltanto quello di determinare un 'implicito' silenzio assenso in quei casi in cui l'art. 20 lo esclude espressamente. Si avrebbe così, in via interpretativa, la tacita abrogazione di norme espresse (escludenti il silenzio assenso), per di più poste a tutela di interessi pubblici primari. L'argomento, invocato nella richiesta di parere, della equivalenza, tra l'art. 17-bis e l'art. 20, nella tutela riservata agli interessi pubblici primari non è convincente, perché, mentre l'art. 20, comma 4, prevede, ove vengano in rilievo interessi primari, l'esclusione del silenzio assenso, l'art. 17-bis si limita a prevedere un allungamento dei termini (o, meglio a far salvi i termini di settore), ferma restando, però, allo scadere del termine speciale o allungato, l'operatività del silenzio-assenso. Deve, quindi, escludersi che il nuovo silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni possa operare nei casi in cui l'atto di assenso sia chiesto da un'altra pubblica amministrazione non nel proprio interesse, ma nell'interesse del privato (destinatario finale dell'atto) che abbia presentato la relativa domanda tramite lo sportello unico. Non incide sull'applicabilità del nuovo istituto la circostanza, del tutto irrilevante, che l'istanza il privato la presenti direttamente o per il tramite di un'Amministrazione che si limita ad un ruolo di mera intermediazione, senza essere coinvolta, in qualità di autorità co-decidente, nel relativo procedimento". 9. Nel caso di specie, non vi è dubbio che al di là della effettiva natura pluristrutturata della procedura relativa alla autorizzazione paesaggistica, lo stesso procedimento sia stato attivato ad istanza di una parte privata”.>>.
Il Collegio, condividendo le argomentazioni innanzi richiamate, conclude, pertanto, nel senso della non applicabilità al caso di specie dell’art. 17 bis l. 241/1990.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 269 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Brescia, quantunque la disciplina dell’azione in materia di accesso sia letteralmente formulata come rimedio giurisdizionale a tutela della posizione di colui che – chiesto l’accesso – si veda opporre un diniego, totale o parziale, un differimento o un silenzio, nondimeno si può affermare che, seguendo un’interpretazione estensiva della disposizione, tale azione può essere esercitata anche da colui che si opponga al provvedimento che ha accolto la domanda di accesso presentata da terzi, da colui cioè che in sede procedimentale assume il ruolo di controinteressato; ne consegue che il ricorso deve essere depositato nel termine dimidiato di 15 giorni dal perfezionamento per il destinatario dell’ultima delle notificazioni.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 273 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che:
<<7. La giurisprudenza, richiamata anche dalla ricorrente, è costante nell’affermare che gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2019, n. 1069).
La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, quindi, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Con. Stato, Sez. V, 26 novembre 2013, n. 5603).
Inoltre, occorre sottolineare che non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.
È stato quindi affermato che il principio generale, secondo cui l'obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all'effettivo esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Cons. Stato, sentenza n. 6339 del 12 novembre 2018).>>.
Nella fattispecie, a fronte di un impegno dei proprietari a cedere gratuitamente l’area in favore dell’amministrazione, a titolo di urbanizzazione secondaria, e a conferirne al Comune il possesso anticipato, per consentire l’immediata utilizzazione della stessa, il TAR osserva che:
<<poiché, per espressa volontà delle parti, l’obbligo avente ad oggetto la cessione gratuita dell’area in questione non è stato condizionato alla futura attività edificatoria, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, deve di conseguenza ritenersi che esso non venga meno in conseguenza dello scadere del termine previsto dal piano particolareggiato per la realizzazione dei lavori di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia della villa.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 649 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano in relazione alla domanda di risarcimento del danno da ritardo e alla dedotta carenza di correttezza nell’operato del Comune osserva quanto segue:
<<12.3. Costituisce un’acquisizione dottrinale consolidata l’idea che la buona fede costituisce una norma verticale integrativa di ogni settore nell’ordinamento ivi compreso il diritto pubblico in cui la regola trova una pluralità di ipotesi applicative pur in assenza di specifiche previsioni. Si consideri, ad esempio, l’esperienza del diritto costituzionale ove il principio insorge, pur non senza incertezze ricostruttive, a parametro di legittimità della stessa attività legislativa assumendo, quindi, le vesti di principio costituzionale non scritto. Di principio non scritto che governa l’operato della Pubblica Amministrazione discorre anche parte della dottrina amministrativistica riconducendolo i vari istituti coinvolti nella ricostruzione del sistema ad epifanie normative di tale principio. Si è, quindi, anche nel settore in esame dinanzi ad una norma verticale integrativa dell’ordinamento che, come tale, permea ex se il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. Un rapporto che, al pari di quanto predicato per l’obbligazione, può definirsi complesso non esaurendosi, dal lato pubblico, in meri obblighi di prestazione (per mutuare la nomenclatura civilistica) ma connotandosi anche di precipui obblighi di protezione (i c.d. “Schuldpflichten” della dottrina tedesca), muniti di autonomia rispetto alla prestazione. Pertanto, dal canone di buona fede che governa l’azione amministrativa insorgono autonomi obblighi di protezione ed ossia obblighi di comportamento secondo lealtà e correttezza a cui fa da contraltare una posizione soggettiva che, mutuando l’espressione invalsa – in particolare – negli ordinamenti di common law, può definirsi di immunità. Agli obblighi e ai limiti in funzione protettiva si correla, infatti, l’immunità dell'altra parte rispetto alle possibili contrazioni o lesioni scorrette della propria sfera giuridica. Non sembra doversi, quindi, postulare la sussistenza di un generico contatto sociale qualificato tra il privato e la Pubblica Amministrazione al pari di quanto affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezioni unite, 28 aprile 2020, n. 8236), ben potendosi cogliere, dalla portata precettiva e dalla “vis espansiva” del canone di buona fede, i corollari logico-giuridici che ne discendono anche in ordine alla precipua natura del rapporto che si instaura tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione nel momento del contatto tra la situazione soggettiva del primo ed il potere di incidenza su questa che l’ordinamento conferisce alla seconda.
12.4. All’interno della cornice tracciata devono inquadrarsi le domande svolte da parte ricorrente. Si consideri, in primo luogo, la domanda di risarcimento del danno asseritamente derivante dal ritardo nell’adozione del provvedimento finale. Come affermato dalla giurisprudenza, simile danno non è la conseguenza del ritardo ex se ma si correla alla condotta inerte o tardiva dell'Amministrazione e causa del pregiudizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028). Inoltre, il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull'an che sul quantum (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all'adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione. In particolare, “l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)” (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sez. I, 16 maggio 2016, n. 139).
12.5. Tuttavia, simile danno non può ritenersi in re ipsa. Infatti, il concetto di danno in re ipsa (che postula la coincidenza tra danno risarcibile ed evento dannoso alla quale, in passato, si fa ricorso per giustificare la risarcibilità del danno biologico; cfr.: Corte Costituzionale, sentenza 14 luglio 1986, n. 184) risulta antitetico rispetto al sistema di responsabilità civile, fondato, all'opposto, “sulla netta distinzione, ex articoli 1223 e 2056 c.c., tra fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, produttivo del danno e il danno stesso, da identificare nelle conseguenze pregiudizievoli di quel fatto, nella loro duplice possibile fenomenologia di danno emergente (danno interno, che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e di lucro cessante (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna), come tale apprezzabile sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale” (Cassazione civile, sez. III, 14 dicembre 2018, n. 31233; Cassazione civile, sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901).
12.6. Del resto, le Sezioni unite della Corte di Cassazione evidenziano con chiarezza (seppur in riferimento al danno non patrimoniale ma con considerazioni che prescindono dalla natura di tale danno e dalla ragioni di antigiuridicità del fatto), come il sistema fornisca una struttura dell’illecito “articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza)”, essendo l'evento dannoso rappresentato dalla “lesione dell'interesse protetto”. Pertanto quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, “che deve essere allegato e provato”; non è, quindi, accettabile la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, ovvero come danno-evento, e parimenti da disattendere è la tesi che colloca il danno appunto in re ipsa, perché così “snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo” (Cassazione, sezioni unite, 11 novembre 2008 n. 26972).
12.7. Pertanto, il danno da ritardo nella conclusione del procedimento potrà ristorarsi solo se puntualmente provato dal danneggiato.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 651 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Secondo il TAR Milano, per evitare di incorrere in una interpretazione sostanzialmente abrogante di parte del comma 2 dell’art. 33 del DPR 380/2001, è giocoforza ritenere che la “data di esecuzione dell’abuso”, cui è riferito l’aggiornamento ISTAT, non è quella della mera ultimazione dei lavori, bensì quella in cui l’abuso viene per così dire fiscalizzato, essendo l’abuso edilizio un illecito permanente, che resta in “esecuzione” finché non viene determinata la sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria nei confronti del responsabile.

Aggiunge il TAR che:
<<1.3 Una simile interpretazione, oltre a consentire l’applicazione dell’aggiornamento ISTAT preteso dalla norma di legge, appare corretta anche da un punto di vista sistematico, ponendosi in armonia con la complessiva legislazione che consente la c.d. fiscalizzazione dell’abuso, in caso di impossibilità della riduzione in pristino.
Infatti, nell’ulteriore ipotesi dell’art. 34 del Testo Unico, relativo agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, l’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione stabilito secondo la legge n. 392/1978 e la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la fiscalizzazione degli abusi edilizi deve tenere conto dei valori vigenti al momento di presentazione della relativa domanda, per evitare che l’autore dell’abuso possa lucrare sul tempo intercorrente fra la conclusione dei lavori – cui fa seguito il godimento dell’immobile abusivo – e la determinazione della sanzione, considerato sempre che l’illecito edilizio ha carattere permanente, per cui continua nel tempo fino al ripristino della situazione originaria oppure sino al verificarsi degli altri casi di cessazione espressamente previsti dall’ordinamento (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sezione II, sentenza n. 44/2019 e la sentenza di questa Sezione n. 568/2018).
Sempre con riguardo all’art. 34 succitato, lo stesso attiene a condotte (difformità parziale dal titolo edilizio) oggettivamente meno gravi di quelle dell’art. 33 (difformità totale o assenza di titolo) per cui sarebbe paradossale che la sanzione pecuniaria per il caso dell’art. 33 fosse più lieve di quella invece prevista per la fattispecie dell’art. 34.
Sempre con riguardo all’art. 33 comma 2, per i casi di abusi su immobili ad uso diverso da quello abitativo (si veda l’ultimo periodo del comma 2) è prevista una sanzione pari al doppio dell’aumento del valore venale, determinato dall’Agenzia del territorio e non si tratta certo del valore venale al momento di completamento dei lavori bensì di quello al momento della domanda di fiscalizzazione, sempre per evitare che il responsabile tragga un vantaggio ingiustificato dal decorso del tempo, durante il quale ha comunque goduto del bene ancorché abusivo.>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 630 del 18 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che:
<<in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, solo la rielaborazione complessiva di uno strumento di pianificazione territoriale, avvenuta in sede di approvazione definitiva dello stesso, comporta la necessità della sua ripubblicazione.
Va però osservato che può parlarsi di rielaborazione complessiva quando “fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione” (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 12 agosto 2020 n. 1568; id., 26 novembre 2018, n. 2677; id., 23 settembre 2016, n. 1696).
Con riferimento ai piani urbanistici dei Comuni, la giurisprudenza esclude che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano quando in sede di approvazione vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484; id., 4 dicembre 2013, n. 5769; 30 luglio 2012, n. 4321; 27 dicembre 2011, n. 6865); in altri termini, “l'obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l'impianto originario, quand'anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree” (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 12 agosto 2020 n. 1568)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 220 del 1 febbraio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva che
<<4.2.1. ... le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea hanno il valore di fonte del diritto comunitario nella interpretazione delle norme comunitarie e nella individuazione degli ambiti di applicazione delle stesse, con efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento.
4.2.2. Ciò, anzitutto, comporta che la non applicazione della disposizione interna, contrastante con l'ordinamento comunitario, costituisce un potere-dovere anzitutto per il giudice (conf. C.d.S. VI, 11 novembre 2019, n.7874; conf. ex multis, id. 3 maggio 2019, n. 2890; V, 28 febbraio 2018, n. 1219), così da realizzare la piena applicazione delle norme comunitarie, di rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri: “la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia crea l'obbligo del giudice nazionale di uniformarsi ad essa e l'eventuale violazione di tale obbligo vizierebbe la sentenza secondo la disciplina dell'ordinamento interno e, al contempo, darebbe luogo a una procedura di infrazione nei confronti dello stato di cui quel giudice è organo” (C.d.S. VI, 7874/2019 cit.).
4.2.3. Inoltre, sempre la condivisibile giurisprudenza maggioritaria stabilisce che non è solo l'autorità giudiziaria a dover così operare, poiché la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario, in particolare qualora tale conflitto sia stabilito da una fonte univoca, quale appunto le sentenze della Corte (si tratta di una conclusione risalente, in sede europea, già a Corte di Giustizia delle Comunità europee, 22 giugno 1989, C-103/88 e poi a Corte di Giustizia dell'Unione europea 24 maggio 2012, C-97/11; per la Corte costituzionale alla sentenza 21 aprile 1989 n. 232, e, quanto alla giurisprudenza amministrativa, sino almeno a C.d.S., VI, 23 maggio 2006 n. 3072; tra le ultime, C.d.S. VI, 7874/2019 cit.; id. V, 5 marzo 2018, n. 1342) >>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 112 del 8 febbraio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Secondo il TAR Milano, la domanda volta ad accertare l’insussistenza dei presupposti per l’escussione della polizza fideiussoria che la stazione appaltante intende effettuare, stante la mancata stipula del contratto conseguente al rifiuto della stessa ricorrente alla conclusione del negozio in ragione delle mutate condizioni del mercato e della conseguente eccessiva onerosità della prestazione promessa con l’offerta formulata in gara, risulta aliena alla giurisdizione del Giudice amministrativo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 598 del 14 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, l’amministrazione comunale non può legittimamente porre quale condizione ostativa all’installazione di una stazione radio base la previa presentazione di piani di sviluppo da parte di tutti gli operatori di telefonia.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 600 del 14 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano richiama e fa proprio l’orientamento secondo il quale in caso di intervento edilizio comportante il mutamento di destinazione d'uso, al fine della determinazione degli spazi a standard deve rivalutarsi la complessiva situazione esistente, e conseguentemente è ammissibile il reperimento della sola quota differenziale degli spazi a standard ove già sussista la quota richiesta per il precedente uso, mentre, solo in assenza di questa, le aree devono essere reperite per l'intero (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 1586).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 572 del 10 marzo 2022.
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Il TAR Milano, con riferimento alle gare svolte con modalità telematica e agli eventuali problemi legati all’invio delle domande di partecipazione, ricorda che la giurisprudenza amministrativa è giunta alle seguenti conclusioni:
<< «"non può essere escluso dalla gara un concorrente che abbia curato il caricamento della documentazione di gara sulla piattaforma telematica entro l'orario fissato per tale operazione, ma non è riuscito a finalizzare l'invio a causa di un malfunzionamento del sistema, imputabile al gestore" (Cons. Stato, sez. V, n. 7922/2019 e Cons. Stato, sez. III, n. 86/2020; 4811/2020)» (così espressamente, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 7352/2020).
Sulla stessa questione si vedano altresì:
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 3329/2014, per cui in capo alle imprese è configurabile «una peculiare diligenza nella trasmissione degli atti di gara, compensata dalla possibilità di uso diretto della loro postazione informatica», sicché appare necessaria una «idonea diligenza nell’uso di un meccanismo rischioso, nel funzionamento del quale ogni soggetto coinvolto svolge attività e compiti distinti»;
TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sentenza n. 1865/2016, per la quale: «In tema di gare svolte con modalità telematiche – con conseguente trasmissione dell’offerta esclusivamente in via elettronica – la giurisprudenza (…) è giunta alla conclusione che la sempre maggiore diffusione delle gare svolte con modalità informatiche (che nella Regione Lombardia assurge talora a vero e proprio obbligo per le stazioni appaltanti, cfr. l’art. 1, comma 6-ter della legge regionale 33/2007), pone in capo agli operatori una “peculiare diligenza nella trasmissione degli atti di gara” (così testualmente Consiglio di Stato, sez. III, 2.7.2014, n. 3329), con conseguente impossibilità di addossare alla stazione appaltante ogni tipo di anomalia nel meccanismo di invio e ricezione, salva la prova del malfunzionamento del sistema “pubblico” per la trasmissione delle offerte (nel caso di specie il sistema regionale Sintel), con la specificazione che spetta al concorrente offrire un principio di prova del suddetto malfunzionamento»;
TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sentenza n. 3882/2020, secondo cui: «E’ fuor di dubbio che la gestione telematica della gara offre il vantaggio di una maggiore sicurezza nella conservazione dell'integrità delle offerte in quanto permette automaticamente l'apertura delle buste in esito alla conclusione della fase precedente e garantisce l'immodificabilità delle stesse, nonché la tracciabilità di ogni operazione compiuta; inoltre nessuno degli addetti alla gestione della gara può accedere ai documenti dei partecipanti, fino alla data e all'ora di seduta della gara, specificata in fase di creazione della procedura, dal momento che le stesse caratteristiche della gara telematica escludono in radice ed oggettivamente la possibilità di modifica delle offerte (Cons. Stato, III, 25.11.2016, n. 4990)», oltre a TAR Lombardia, Milano, Sezione IV, sentenza n. 448/2021. >>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 571 del 10 marzo 2022.
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Il TAR Brescia osserva che l’art. 119, co. 13 ter, del d.l. n. 34/2020 stabilisce che “Gli interventi di cui al presente articolo [ossia quelli di isolamento termico che interessano l’involucro dell’edificio] che riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)”.
Aggiunge il TAR  che la norma in questione, per il principio di gerarchia delle fonti, si sovrappone e oblitera ogni diversa disposizione contenuta nelle norme comunali di pianificazione e regolamentazione dell’assetto del territorio, seguendone che gli interventi di realizzazione del c.d. cappotto termico sono ope legis classificati come “manutenzione straordinaria” e, corrispondendo a un interesse pubblico connesso al risparmio energetico, devono ritenersi compatibili anche con una disciplina comunale che ne assegni una differente qualificazione.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 215 del 3 marzo 2022.
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Il TAR Milano richiama l’Adunanza Plenaria n. 2 del 2017 e afferma che in caso di illegittima aggiudicazione di un appalto il concorrente che ottenga dal giudice amministrativo, a titolo di risarcimento in forma specifica, il subentro nel contratto, senza che la sentenza possa essere integralmente eseguita, l’obbligazione dell’Amministrazione non viene estinta ma convertita in una diversa, di natura risarcitoria e compensatoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato, in parziale sostituzione della esecuzione in forma specifica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 531 del 7 marzo 2022.
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Il TAR Milano ricorda che l’art. 23 comma 01 lettera a) del DPR n. 380/2001 consente la SCIA alternativa per gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10 comma 1 lettera c) dello stesso DPR e tale ultima norma, nell’indicare le ipotesi di rilascio del permesso di costruire, richiama gli interventi di ristrutturazione che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino modifiche della volumetria complessiva.
Precisa quindi il TAR che la ristrutturazione edilizia con aumento di volume rientra nella c.d. ristrutturazione pesante e necessita di un permesso di costruire oppure di una SCIA alternativa secondo l’art. 23 citato e non può di conseguenza realizzarsi con una semplice SCIA (cfr. sul punto, fra le più recenti decisioni, il parere della Sezione I del Consiglio di Stato su ricorso straordinario del 15.2.2022, Affare n. 544/2021, per cui «…emerge chiaramente come non rientrino nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti quegli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici»).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 538 del 7 marzo 2022.
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Il TAR Milano ricorda che la cauzione prevista nelle procedure selettive del contraente della P.A. non ha natura di clausola penale (che avrebbe comportato la non risarcibilità del maggior danno, in difetto di specifica previsione, ex art. 1382 c.c.), bensì di caparra confirmatoria, con conseguente diritto della parte pregiudicata ad ottenere il risarcimento del maggior danno subito.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 325 del 11 febbraio 2022.
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Il TAR Milano richiama la sua giurisprudenza sulla nozione di cessione compensativa e di perequazione e ricorda che:
<<Come chiarito dalla giurisprudenza (da ultimo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2020 n. 1234), infatti “L’istituto della cessione compensativa di cui all’art. 11, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005, a differenza della perequazione, si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’Amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree.
In queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione, con la possibilità di ristorare il proprietario mediante attribuzione di “crediti compensativi” od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario.
Ancor più esplicitamente, “l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa (…), ai proprietari delle aree destinate all’edificazione”>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 481 del 26 febbraio 2022.
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Il TAR Milano, con riguardo agli interventi rilevanti in termini di volume, superficie e sagoma, osserva che 
<<2.1 Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza la chiusura di un portico aperto su tre lati determina la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria.
Ciò vale anche nell'ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili, perché l'intervento va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (in tal senso, Cons. Stato, Sez. II, 27 giugno 2019 n. 4437; Sez. VI, 26 marzo 2018 n. 1893 e Sez. V, 5 maggio 2016 n. 1822).
L’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo. La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo (questa Sezione, 28 luglio 2017, n. 1705).
Rispetto ai porticati è stato precisato che la “la posa in opera di infissi in alluminio e vetro, scorrevoli e richiudibili “a libro”, assume inequivocabilmente le caratteristiche di una veranda, determinando la chiusura totale o parziale di un elemento edilizio aperto verso l'esterno, quale un terrazzo, un balcone o un portico, e dando così luogo a un elemento diverso, che comporta una trasformazione in termini di volume, superficie e sagoma dell'edificio cui appartiene, e pertanto richiede il rilascio di idoneo titolo abilitativo. Né in contrario rileva l’uso che di tale struttura avviene solo in via di mero di fatto, perché ai fini edilizi deve aversi riguardo alle caratteristiche oggettive dell'opera e all'idoneità degli infissi a realizzare un locale stabilmente chiuso, con conseguente estensione delle possibilità di godimento dell'immobile, ivi compresa quella di mantenere gli infissi aperti all'occorrenza o comunque secondo necessità (T.A.R. Toscana, sez. III, 11/01/2019 n. 64; vedi anche Cons. St., sez. VI, 25/01/2017 n. 306).
In sintesi si può concludere che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che una veranda determina una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale è realizzata e, quindi, è soggetta al previo rilascio di permesso di costruire.
Non rileva la natura dei materiali utilizzati, perché la chiusura, pur dove realizzata con pannelli in alluminio o altro materiale leggero, costituisce comunque un aumento volumetrico e, quindi, non può esser intesa qual “pertinenza” in senso urbanistico, poiché la veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, il quale viene ad aggregarsi a un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.9.2020, n. 5446)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 406 del 18 febbraio 2022.
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Il TAR Milano osserva che nel caso in cui il bene della vita finale non sia effettivamente conseguibile mediante una pronuncia di accoglimento non può escludersi che la sentenza possa, comunque, avere una propria utilità; infatti, in vicende come quella posta all’attenzione del Collegio, la pronuncia di annullamento non consente necessariamente alla parte di raggiungere immediatamente il risultato finale ma non per questo risulta inutile nella misura in cui verifica la conformità del concreto diniego al quadro di riferimento e fissa principi e regole dell’azione amministrativa successiva.
Aggiunge quindi il TAR che:
<<Si tratta, per certi aspetti, di un aspetto fisiologico correlato alle vicende sostanziali dell’interesse legittimo che, come notato dalla dottrina, costituisce, talora, una fattispecie a formazione progressiva. In tali casi la pronuncia di annullamento realizza, quindi, la tutela di un “bene intermedio”, costituito dalla “sola possibilità di vedere realizzato il risultato sperato” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25.2.2019, n. 1321). L’agire progressivo della tutela giurisdizionale è, quindi, il precipitato della gradualità del processo di formazione dell’interesse legittimo sostanziale. Un progredire verso un’utilità finale che un’autorevole dottrina accosta alla nota metafora della tartaruga di Achille per rappresentare le difficoltà nell’afferrarla a causa del peculiare atteggiarsi del potere>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 468 del 25 febbraio 2022.
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Il TAR Milano, con riferimento a una fattispecie di avvio di procedimento di possibile esclusione da una gara d’appalto, a seguito del quale la stazione appaltante poneva in essere attività istruttoria e successivamente proseguiva nella gara, senza adottare alcun provvedimento conclusivo, ricorda che:
<<Nel campo del diritto amministrativo, è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l'Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell'organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà» (Consiglio di Stato, VI, 2 novembre 2020 n. 6732; cfr: 27 novembre 2014 n. 5887; V, 19 aprile 2019 n. 2543); ancora: «E' possibile configurare un provvedimento amministrativo implicito quando l'Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali […]. Inoltre, la presenza di un provvedimento amministrativo implicito può desumersi indirettamente, ma univocamente, da un altro provvedimento» (TAR Trentino Alto-Adige, Trento, I, 22 novembre 2021 n. 184)>>.
Il TAR osserva quindi che non può ritenersi che il procedimento non sia concluso, o che la procedura di gara risulti viziata, per il solo fatto che non sia stato adottato un provvedimento finale espresso nel senso della non esclusione dei concorrenti (Omissis); può infatti ritenersi sufficiente la statuizione implicita della non esclusione in un caso, come quello oggetto di causa, nel quale la p.a. teneva un comportamento, e adottava successivi provvedimenti (inter alia: proposta di aggiudicazione e successiva aggiudicazione), del tutto coerenti con la determinazione di non esclusione, e affatto incompatibili con una volontà diversa da quella di mantenere in gara le società sopra indicate.


TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 482 del 26 febbraio 2022.
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