Il TAR Brescia, con riferimento all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, precisa che: “la giurisprudenza amministrativa è pressochè concorde nel ritenere che nell' art. 167, comma 4, d. lgs. n. 42 del 2004 il legislatore ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva “o”, con la conseguenza che l'espressione “superfici utili o volumi” non rappresenta una endiadi e include invece quegli interventi che, pur senza creare un aumento di cubatura, con la realizzazione di nuove superfici utili, determinano comunque un impatto significativo sull'assetto del territorio, modificandone in maniera stabile e duratura la conformazione; questa lettura trova giustificazione, oltre che dal punto di vista letterale, anche per la ratio della disposizione, volta a stabilire una soglia elevata di tutela del paesaggio che comporta la possibilità di rilascio ex post dell'autorizzazione paesaggistica al fine di sanare interventi già realizzati soltanto per gli abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di causare un effettivo pregiudizio al bene tutelato (T.A.R. Milano, sez. II, 8 maggio 2019, n. 1033; T.A.R. Genova, sez. I, 14 marzo 2015, n. 281; T.A.R. Napoli, sez. III, 2 ottobre 2019, n. 4706)”.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 227 del 16 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ritiene rituale la notificazione eseguita dal ricorrente effettuata a mezzo posta elettronica certificata e diretto all’indirizzo:
- tratto dall’indice PA, in assenza di altro indirizzo PEC della amministrazione resistente inserito nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia;
- indicato peraltro nello stesso bando di gara e sul sito web della amministrazione.
Osserva al riguardo che:
«2.2.3. Come già affermato da questo TAR (TAR Lombardia, I, 8 agosto 2019, n. 1868) la notificazione a mezzo posta elettronica certificata effettuata all’indirizzo tratto dall’elenco presso l’Indice PA “è pienamente valida ed efficace; l’Indice PA è, infatti, un pubblico elenco e in via generale è utilizzabile ancora per le notificazioni alle P.A., soprattutto se l’amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica è rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia” (CdS, III, 27 febbraio 2019, n. 1379; Id., V, 12 dicembre 2018, n. 7026).
2.2.4. E’ evidente alla luce dei generali canoni di autoresponsabilità e di legittimo affidamento che nessuna conseguenza perniciosa può aver a soffrire il notificante –men che meno in punto di lesione e/o compressione delle indefettibili guarentigie difensive presidiate dai principi supremi dell’ordinamento, nazionale e sopranazionale (art. 6 CEDU; art. 47 Carta di Nizza; artt. 24 e 113 Cost.)- a cagione del colpevole contegno inadempiente della Amministrazione che, mancando di comunicare l’indirizzo PEC da inserire nel ReGIndE, in concreto svuota di significanza e di effettività il precetto che impone l’utilizzo di quell’elenco per le notifiche in via telematica (TAR Lombardia, I, 1868/19, cit.).
2.2.5. Di guisa che - rilevato che “l’Indice PA è un pubblico elenco in via generale e, come tale, utilizzabile ancora per le notificazioni alle P.A.” (CdS, III, 70216/18), e che la stessa Amministrazione ha pacificamente reso noto alle imprese concorrenti, nelle prescrizioni che governano la procedura di gara, e a tutti consociati, anche sul proprio sito web, l’indirizzo pec cui effettuare le comunicazioni e le notificazioni – nulla quaestio:
- sulla piena validità del procedimento notificatorio seguito dal ricorrente, in quanto indirizzato proprio all’unico indirizzo che la stessa Amministrazione ha reso noto;
- sulla rituale evocazione in giudizio dell’Autorità anche in tale forma elettronica, oltre che con la tempestiva notificazione avvenuta a mezzo del servizio postale, siccome sopra esposto».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 545 del 24 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



La Corte UE statuisce:
«1) I considerando 25 e 27 della direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici, l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66, l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66, l’articolo 83, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, e l’articolo 99, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, devono essere interpretati nel senso che non impongono né vietano agli Stati membri di adottare una normativa in forza della quale un’autorità di controllo può avviare, per motivi di tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, un procedimento di riesame d’ufficio al fine di controllare le violazioni della normativa in materia di appalti pubblici. Tuttavia, quando un siffatto procedimento è previsto, esso rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione nei limiti in cui gli appalti pubblici oggetto di un siffatto riesame rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae delle direttive sugli appalti pubblici e deve, quindi, rispettare tale diritto, ivi compresi i suoi principi generali, di cui fa parte il principio generale di certezza del diritto.
2) Il principio generale di certezza del diritto osta a che, nell’ambito di un procedimento di riesame avviato d’ufficio da un’autorità di controllo per motivi di tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, una nuova normativa nazionale preveda, al fine di controllare la legittimità di modifiche di contratti di appalto pubblico, l’avvio di un siffatto procedimento nel termine di decadenza da essa fissato, sebbene il termine di decadenza previsto dalla normativa precedente, applicabile alla data di tali modifiche, sia scaduto».

Corte di Giustizia UE, Sez. IV, del 26 marzo 2020 (C‑496/18 e C‑497/18).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.


 

Sul BURL, supplemento n. 13 del 27 marzo 2020, è pubblicato il regolamento regionale 25 marzo 2020 n. 2 “Disciplina delle modalità di attuazione e applicazione delle disposizioni in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi della l.r. 5/2010 e delle relative modifiche e integrazioni. Abrogazione del r.r. 5/2011”


Il TAR Milano con riferimento agli istituti della compensazione e della perequazione precisa:
«come l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica ma mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa (articolo 11, commi 3 e 4 della L.r. n. 12 del 2005). Come osservato dalla Sezione, i modelli configurati dal legislatore regionale non hanno carattere stringente ma possono essere, per determinati aspetti, adattati dai Comuni al fine di assecondarli alle specifiche esigenze di pianificazione (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 11 giugno 2014, n. 1542). Infatti, “gli istituti della perequazione e della compensazione urbanistica trovano fondamento in due pilastri fondamentali del nostro ordinamento, che travalicano le previsioni contenute nelle diverse leggi regionali, e precisamente nella potestà conformativa del diritto proprietà di cui è titolare l'Amministrazione nell'esercizio della propria attività di pianificazione, ai sensi dell’art. 42, comma primo, Cost., e, al contempo, nella possibilità di utilizzare modelli consensuali per il perseguimento di finalità di interesse pubblico, secondo quanto previsto dagli artt. 1, comma 1bis e 11 della legge n. 241 del 1990 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 luglio 2010 n. 4545; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 5 luglio 2002 n. 670, T.A.R. Veneto sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504)” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 11 giugno 2014, n. 1542).
9.3. In ragione di quanto esposto, la Sezione correttamente ritiene possibili adattamenti dei modelli previsti dalla legislazione regionale al fine di soddisfare le esigenze delle Amministrazioni locali e di realizzare l’interesse pubblico. Interpretazione che, come riconosciuto dalla Sezione, “si pone in linea con i rilievi espressi da una parte della dottrina” che auspica “l’astensione dei legislatori regionali dal dettare normative stringenti in materia […] al fine di evitare che in tal modo si imbrigliassero eccessivamente le scelte compiute in sede di pianificazione” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 11 giugno 2014, n. 1542, che richiama, sul punto, la delibera di Giunta Regionale n. VIII/1681 del 29 dicembre 2005, la quale, al punto 2.1.3, chiarisce che, con la previsione di cui all’articolo 11, il legislatore individua solo dei modelli di riferimento “che lasciano comunque grande spazio ad una vasta gamma di soluzioni soprattutto di tipo intermedio”)» (nella fattispecie, come sintetizzato da TAR «i ricorrenti deducono la violazione della previsione di cui all’articolo 11, comma 3, della L.r. n. 12 del 2005. Osservano i ricorrenti come, nel caso di specie, “aree pubbliche destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico sono trasferite non al Comune ma al privato”, per il tramite di un piano attuativo. Si realizza, quindi, la permuta di un’area privata edificabile, che viene, in tutto o in parte destinata a interventi di interesse pubblico mentre l’area, già comunale, destinata ad interventi di interesse pubblico viene trasferita al privato»).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 444 del 5 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa in materia di false o fuorvianti dichiarazioni rese in procedure di gara che “l’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti pubblici non è riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi, ma, al contrario, si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso: ne consegue che il rilievo ostativo alla partecipazione non deriva certo dall’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare”, ma dal rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero dall’omettere dichiarazioni dovute (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 6490/2019; id., n. 6576/2018)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 428 del 5 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano afferma che i doveri di correttezza, lealtà e buona fede hanno un ampio campo applicativo, anche rispetto all’attività procedimentalizzata dell’Amministrazione, operando pure nei procedimenti non finalizzati alla conclusione di un contratto con un privato, e afferendo sia ad atti e comportamenti “espressi” sia a contegni silenti, omissivi, ovvero reticenti.
Al riguardo precisa che:
- nello svolgimento della propria azione autoritativa, è in primis la Amministrazione ad essere tenuta al puntuale rispetto delle norme che ne conformano e ne governano la azione, con la pregnante soglia di diligenza e di professionalità che per certo è esigibile proprio in capo a soggetti esplicanti potestates pubbliche, istituzionalmente preordinate al perseguimento di interessi metaindividuali di natura pubblica (CdS, a.p., 4 maggio 2018, n. 5; Cass., I, 12 luglio 2016, n. 14188; TAR Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501);
- l’azione amministrativa, ordinariamente regolata dalla normazione di diritto pubblico, non può non sfuggire ai generali doveri di correttezza e di lealtà che, gravando su tutti i consociati anche in funzione solidaristica (art. 2 Cost.), massimamente devono informare l’agere dei pubblici poteri, istituzionalmente funzionali al soddisfacimento di interessi generali;
- il diritto positivo domestico, recependo principi sovranazionali per vero già direttamente applicabili, ovvero in ogni caso conformanti l’attività esegetica degli organi statuali chiamati ad applicare l’ordinamento nazionale, ha espressamente introdotte regole quali, ad esempio: i) art. 1 l. 241/90 che espressamente assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo (a far data da CGUE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer); da ultimo, sulla valenza di regola generale, fondante il diritto dell’Unione, da attribuire al principio della tutela dell’affidamento, CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet; cfr., CGUE 14 marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle (TAR Lombardia, I, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) artt. 21-nonies e 21-quinquies l. 241/90 sui presupposti del potere di autotutela, che deve sempre considerare l’affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e sul quale basa una precisa strategia imprenditoriale; iii) art. 2-bis, comma 1, l. 241/90, sul danno da ritardo;
- assai significativa della evoluzione del quadro normativo nel senso di assegnare sempre più rilevanza al valore del “tempo” nello svolgimento dei contatti e/o dei rapporti tra Amministrazione e consociati, e dell’affidamento che in tal guisa può ingenerarsi nella parte “debole” del rapporto (id est nell’amministrato), è altresì la norma di cui all’art. 19, comma 4, l. 241/90 in tema di segnalazione certificata di inizio attività (siccome introdotta, nella sua attuale versione, dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. 124/15) a mente della quale il potere inibitorio è esercitabile, una volta decorso il termine “fisiologicamente assegnato”, soltanto in presenza dei presupposti previsti dell’art. 21-nonies; il decorso del tempo, con la mancata attivazione da parte dell’Amministrazione, è fatto ex se idoneo ad ingenerare un affidamento nel privato, suscettibile di tutela nelle medesime forme, procedimentali e sostanziali, contemplate per il caso di riesame in autotutela di situazioni in cui vi è stata una positiva manifestazione di volontà provvedimentale (favorevole);
- non revocabile in dubbio, indi, è lo status “professionalmente qualificato” che per definizione riveste il soggetto pubblico nei rapporti con i consociati, ciò che vale a: i) gravare l’Autorità di pregnanti obblighi di diligenza, correttezza e clare loqui (TAR Lombardia, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) conformare l’esercizio del potere amministrativo in funzione della tutela dell’affidamento legittimamente riposto dal privato in costanza di un rapporto ovvero a seguito di un contatto qualificato con la P.A. (Tar Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501; Id., id., 1637/18, cit.)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 515 del 17 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il Consiglio di Stato ritiene che, pur in mancanza di una norma di legge nazionale di modifica del codice dell’ambiente, la pubblica amministrazione è tenuta a dare esecuzione ad una pronuncia della Corte di Giustizia che ha accertato la violazione da parte della normativa interna di una direttiva comunitaria, affermandone peraltro la portata self executing, sia adeguando la propria condotta nei procedimenti amministrativi da avviare o in corso, sia annullando in autotutela i provvedimenti amministravi già adottati in violazione della direttiva (fattispecie in materia di valutazione di impatto ambientale).

Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1004 del 10 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Sul BURL n. 12 del 22 marzo 2020 è pubblicata una nuova ordinanza del Presidente Giunta regionale 22 marzo 2020 - n. 515 che integra e modifica la precedente ordinanza n. 514 del 21 marzo 2020.

Sulla GU n. 76 del 22 marzo 2020 è pubblicato il nuovo d.P.C.m. 22 marzo 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale".




Sul BURL n. 12 del 21 marzo 2020 è pubblicata l’ordinanza del Presidente Giunta regionale 21 marzo 2020 - n. 514, recante “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: limitazione degli spostamenti su tuttoil territorio regionale”.


Il Consiglio di Stato, in materia di rinnovazione dell'attività notificatoria non andata a buon fine e relativa ad un ricorso in appello, precisa che il termine ragionevole entro il quale l'appellante notificante deve riattivare l'attività notificatoria ove la prima notificazione, proposta nel termine decadenziale, non sia andata a buon fine per causa non imputabile al notificante stesso (nella specie per irreperibilità del destinatario) è da individuarsi nella metà del termine concesso dall'art. 92, comma 1, c.p.a. per la proposizione dell'impugnazione; in questo caso la successiva rinotificazione retroagisce e impedisce ogni decadenza.

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1690 del 9 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si allegano le prime note esplicative del Presidente del Consiglio di Stato sulle disposizioni introdotte dall'art. 84 del D.L. 18/2020 e riferite alla giustizia amministrativa.

Link alle note pubblicate sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Si allega il nuovo decreto del Presidente del TAR Lombardia emesso il 19 marzo 2020 in relazione all'emergenza epidemiologica da COVID-19 che dà attuazione alle misure disposte dal decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020.




Il TAR Milano precisa che da un’esegesi letterale del comma 6 dell’art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005, che dispone che “il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40 (…), calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa”, si ricava che per il calcolo dell’altezza media ponderale, che deve essere pari a 2,40 m, può essere considerata e computata unicamente la parte di sottotetto con un’altezza non inferiore a 1,50 m., essendo soltanto tale porzione idonea a concorrere alla realizzazione del requisito imposto dalla legge; la citata norma tuttavia non esclude affatto che il sottotetto possa possedere delle parti di altezza inferire a 1,50 m., ma si limita a considerarle del tutto neutre ai predetti fini, escludendole dal calcolo del volume necessario per raggiungere l’altezza media ponderale.
Aggiunge, poi, il TAR che la volumetria generata da un abbaino deve essere computata ai fini della verifica del raggiungimento degli indici richiesti dalla normativa per considerare il sottotetto abitabile, tenuto conto che lo stesso non soltanto è in grado di garantire il rispetto dei rapporti aeroilluminanti, ma assicura anche il rispetto dell’altezza media ponderale che può rendere un locale idoneo ad essere utilizzato quale residenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 476 del 12 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il Consiglio di Stato, a fronte di un ricorso in appello che supera i limiti dimensionali stabiliti nel dPCS 22.12.2016, “rileva che non possono essere presi in considerazione i rilievi svolti nell’atto di appello nelle pagine successive alla 35^ per violazione dei limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016 (cfr. in particolare, gli articoli 3 e 8): ne consegue la radicale non esaminabilità della parte di appello con cui si reiterano i motivi aggiunti formulati in primo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190; v. anche, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2020, n. 803)”.

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1686 del 9 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano statuisce che l'art. 25-bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005  è chiaro nello stabilire che la mancata adozione del PGT nel termine del 31 dicembre 2013 comporta conseguenze esclusivamente nel senso dell’esclusione del Comune dall’accesso al patto di stabilità territoriale per l’anno 2014 e degli ulteriori effetti indicati al comma 2, mentre la decorrenza del termine del 30 giugno 2014 contenuta nel medesimo articolo per l'approvazione non ha l'effetto di trasferire di per sé il potere di provvedere in capo alla Regione, privandone definitivamente il Comune, perchè, se è vero che il sistema è preordinato a rimediare al più presto all’inerzia comunale, fino a quando il Commissario regionale non viene nominato e investito della funzione di intervenire in via sostitutiva, l’Amministrazione locale resta titolare del potere di provvedere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12 marzo 2020 n. 477
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si informa che il Consiglio Nazionale Forense ha disposto la sospensione dell'obbligo di acquisizione dei crediti relativi alla formazione continua sino al 5 aprile 2020; pertanto, su indicazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Como, l’incontro formativo su “Burocrazia difensiva e attività contrattuale della P.A.” (relatore: prof. Maurizio Cafagno), fissato per il 3 aprile 2020, è rinviato a data da destinarsi.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 64 dell'11 marzo 2020 è pubblicato il nuovo dpcm "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale"

Sito Gazzetta Ufficiale

Scansione del testo estratto dalla Gazzetta Ufficiale




La Commissione speciale del Consiglio di Stato ha reso un parere sulla sospensione dei termini processuali disposta dall’articolo 3, comma 1, d.l. 8 marzo 2020 n. 11, recante «Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria».
Si riporta il passo rilevante del parere sull'argomento:
«4. Passando al quesito formulato, giova ricordare che l’articolo 3, comma 1, del decreto testualmente stabilisce:«1. Le disposizioni di cui all'articolo 54, commi 2 e 3, del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si applicano altresì dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 22 marzo 2020. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020, le udienze pubbliche e camerali dei procedimenti pendenti presso gli uffici della giustizia amministrativa sono rinviate d'ufficio a data successiva al 22 marzo 2020. I procedimenti cautelari, promossi o pendenti nel medesimo lasso di tempo, sono decisi, su richiesta anche di una sola delle parti, con il rito di cui all'articolo 56 del medesimo codice del processo amministrativo e la relativa trattazione collegiale è fissata in data immediatamente successiva al 22 marzo 2020».
 Come rilevato dal Segretario generale, «il decreto legge affronta l’emergenza in due fasi: una prima fase, di immediata applicazione, che va dall’8 marzo (giorno della pubblicazione nella G.U.R.I.) al 22 marzo 2020, in cui trovano applicazione misure rigorose previste direttamente in sede di decretazione d’urgenza, quali il rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali; e una seconda fase che giunge sino al 31 maggio in cui si applicano misure derogatorie del codice del processo amministrativo, quali la decisione della causa, di norma, sulla base dei soli scritti difensivi».
 La disposizione di legge è chiara nella parte concernente l’obbligo di rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali a data successiva al 22 marzo 2020.
 È altresì chiaro che i procedimenti cautelari, promossi o pendenti tra l’8 e il 22 marzo, sono decisi, su richiesta anche di una sola delle parti, col rito monocratico e la relativa trattazione collegiale dovrà avvenire in data successiva al 22 marzo 2020.
 Risulta invece di più complessa interpretazione la disposizione in relazione ai termini per il deposito di atti defensionali diversi dal ricorso introduttivo, quali, a titolo esemplificativo, il deposito di documenti, memorie e repliche stabilito dall’articolo 73, comma 1, c.p.a. La norma, come letteralmente interpretata, sembra sospendere i termini sia con riferimento agli atti introduttivi del giudizio sia in relazione agli atti di parte inerenti alla trattazione dei giudizi già incardinati. In tal senso milita il richiamo compiuto dall’articolo 3, comma 1, del decreto ai commi 2 e 3 dell’articolo 54 c.p.a.: il comma 2, infatti, sospende dal 1 al 31 agosto di ciascun anno i termini feriali mentre il comma 3 precisa che tale sospensione non si applica al procedimento cautelare. Tale interpretazione avrebbe come conseguenza la sospensione, nel periodo che va dall’8 al 22 marzo 2020, dei termini anche per il deposito di documenti, memorie e repliche relativi a procedimenti giurisdizionali da trattare in data successiva al 22 marzo 2020, con conseguente dilatazione dei termini previsti dall’articolo 73, comma 1, c.p.a. di un numero di giorni pari alla sospensione feriale decretata d’urgenza. Se così fosse, però, le udienze pubbliche e camerali, già fissate in data immediatamente successiva al periodo di sospensione in cui vige l’obbligo di rinvio, dovrebbero essere rinviate per garantire alle parti (che, nel frattempo, non abbiano espressamente rinunciato alla facoltà di depositare memorie e documenti) un “termine a ritroso” che consenta di “recuperare” i giorni della sospensione, in modo che esso non risulti inferiore a quello previsto dalla legge, con conseguenti evidenti pregiudizi alla normale ed efficiente attività giudiziaria per come programmata, pregiudizi che ricadrebbero ben oltre le due settimane previste dal decreto.
 L’interpretazione letterale sembra stridere con lo spirito e la ratio del provvedimento legislativo urgente, atteso che con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art. 45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità di recarsi presso l’ufficio giudiziario. Non appare esservi, dunque, alcun pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di contatto sociale e dunque le possibilità di contagio.
 In sintesi, se la rapida diffusione dell’epidemia giustifica pienamente il rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali, disposto dal decreto nel periodo che va dall’8 al 22 marzo 2020, allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, lo spostamento delle persone per la celebrazione delle predette udienze, nonché la trattazione monocratica delle domande cautelari (salva successiva trattazione collegiale), sempre allo scopo di evitare lo spostamento delle persone e la riunione delle stesse all’interno degli uffici giudiziari, non sembra reperirsi adeguata giustificazione, invece, per la dilatazione dei termini endoprocessuali.
 Appare, pertanto, sicuramente più in linea con la ratio del decreto legge un’altra interpretazione della norma nel senso che il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.) e non anche i citati termini endoprocessuali.
 Per tale diversa opzione esegetica è vivo l’auspicio della Commissione che si intervenga prontamente ed urgentemente, alla prima occasione utile, a livello normativo, con provvedimento chiarificatore di carattere interpretativo e quindi di portata retroattiva, in modo da assicurare la certezza nella materia dei termini processuali a beneficio di tutte le parti dei giudizi.
 La Commissione, ben consapevole in ogni caso delle difficoltà connesse ad un’interpretazione meramente letterale della disposizione, ritiene, per tale ragione, che spetti al Collegio incaricato della trattazione della causa valutare attentamente, di volta in volta, la possibilità di accordare la rimessione in termini, per errore scusabile, alla parte che non ha potuto provvedere agli adempimenti e ai depositi nei termini di legge, possibilità questa prevista in via generale dall’articolo 37 c.p.a. e, con specifico riferimento all’emergenza nazionale, anche dall’articolo 3, comma 7, del decreto (tale ultima norma, pur richiamando solo i commi 2 e 3 del già citato art. 3, non fa venir meno, ad avviso della Commissione, la portata generale dell’istituto di cui all’art. 37 c.p.a. e, dunque, la possibilità di applicarla in via generale). Come è noto, infatti, il giudice, in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto (circostanze entrambe che potrebbero ben ricorrere in casi del genere), può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile».

Consiglio di Stato, commissione speciale, n. 571 del 10 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 9 marzo 2020 il decreto legge n. 14 del 9 marzo 2020 e il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020 in relazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19.


Si allega il nuovo decreto del Presidente del TAR Lombardia emesso il 9 marzo 2020 in relazione all'emergenza epidemiologica da COVID-19 che dà attuazione alle misure disposte dal decreto legge n. 11 dell'8 marzo 2020.


Si allega il comunicato dell'ufficio stampa e comunicazione istituzionale della Giustizia Amministrativa sul Decreto-Legge 8 marzo 2020, n. 11, recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.

Comunicato


Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 dell'8 marzo 2020 il decreto legge n. 11 dell'8 marzo 2020 ,recante misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria e per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale.
L'art. 3 del decreto legge reca misure urgenti in materia di giustizia amministrativa.


Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emesso oggi un dpcm recante misure urgenti di contenimento del contagio da COVID 19 nella Regione Lombardia e in altre province del Nord Italia nonché per il contenimento del contagio nel territorio nazionale.

Testo del dpcm estratto dal sito del Governo

Testo in Gazzetta Ufficiale


In un ricorso promosso in sede giurisdizionale al fine di sentire accertare la violazione dei doveri di correttezza e buona fede ex articoli 1337 e 1338 c.c., e per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata stipula della convenzione di cui al permesso di costruire in deroga a suo tempo approvato in sede consiliare, il TAR Milano - pur rigettando il ricorso per non avere l'operatore privato positivamente riscontrato le richieste svolte dagli uffici in sede istruttoria - sottolinea che la favorevole deliberazione del Consiglio comunale impone la stipula della relativa convenzione e il rilascio del titolo edilizio pur residuando in capo all’organo tecnico comunale il necessario potere/dovere di verifica dei relativi presupposti del titolo edilizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 416 del 4 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano con riferimento al caso di omessa dichiarazione di condanne precisa che:
«- la giurisprudenza condivisa dalla Sezione ha anche recentemente ribadito che nel caso di omessa dichiarazione di condanne è legittimo il provvedimento di esclusione, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa in modo completo ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 1527/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);
- la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine al possesso dei requisiti morali in capo all’operatore economico (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 1527/2019, cit.);
- del resto, la presentazione di una dichiarazione non veritiera da parte di un soggetto che interloquisce con una stazione appaltante non può che minare alla radice, secondo l’id quod plerumque accidit, il rapporto fiduciario con l’Amministrazione;»

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 234 del 3 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Cassazione precisa in materia di immissioni acustiche «Come è stato affermato da questa Corte (Cass. n. 1069 del 2017), in materia di immissioni sonore, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla normativa rilevante in materia, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c. Invero, se le emissioni acustiche superano, per la lor particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela dei interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 cc e, pertanto, illecite, anche sotto il profilo civilistico. L’eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può, tuttavia, fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo). Spetta, peraltro, al giudice di merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità (Cass. n. 887 del 2011)».

Corte di Cassazione, Sez. VI, n. 2757 del 6 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il TAR Brescia, in linea con la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato relativa al momento in cui è rilevante il possesso del marchio CE (sentenza n. 5145/2019), afferma che i requisiti del prodotto richiesti dalla lex specialis conseguenti a una certificazione (marchio CE, piuttosto che registrazione come dispositivo medico, come nella fattispecie) debbono essere posseduti al momento della presentazione dell’offerta, per garantire la par condicio tra i concorrenti.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 141 del 19 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, in materia di limiti all’insediamento di attività commerciali, precisa che:
«pur dovendosi prendere atto che la disciplina, nazionale e sovranazionale, relativa all’insediamento delle attività commerciali esplica un rilevante impatto anche sugli atti di programmazione territoriale, va, comunque, considerato che questi ultimi, adottati nell’esercizio del differente potere in materia di pianificazione urbanistica, sono da considerarsi legittimi ove perseguano, come nel caso di specie, finalità di tutela dell’ambiente urbano e siano riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio (cfr. T.A.R. per l’Emilia-Romagna – sede di Parma, Sez. I, 17 marzo 2016, n. 110; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271; Id., Sez. II, 10 dicembre 2019, n. 2636). La previsione di cui all’articolo 11 del D. Lgs. n. 59 del 2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) stabilisce, difatti, che l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio può essere subordinato al rispetto dei requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale (cfr.: comma 1, lettera e). Ugualmente le disposizioni di cui agli articoli 31 e 34 del decreto legge n. 201 del 2011 prevedono la possibilità di porre limitazioni all’insediamento di attività produttive e commerciali in determinate aree allorquando emerga la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali, trattandosi di esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione, nel rispetto del principio di proporzionalità, di atti limitativi della libera iniziativa privata (Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016). In tal modo si cerca di contemperare il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche con le dovute necessarie limitazioni alla libera iniziativa economica, laddove queste trovino puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il legislatore ha individuato (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 200 del 12 luglio 2012; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3419; Id., 1° giugno 2018, n. 3314; Id., Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 603).
19.3. In definitiva, deve considerarsi legittima la scelta comunale che, nel perseguimento di interessi attinenti alla tutela dell’ambiente, della vivibilità e dell’ordinato assetto del territorio, impone dei limiti all’insediamento di attività commerciali (cfr.: Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016; cfr., altresì, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 25 maggio 2017, n. 1166)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 375 del 26 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.