La Commissione speciale del Consiglio
di Stato ha reso un parere sulla sospensione dei termini processuali disposta dall’articolo
3, comma 1, d.l. 8 marzo 2020 n. 11, recante «Misure straordinarie ed urgenti
per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti
negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria».
Si riporta il passo rilevante del parere sull'argomento:
«4. Passando al quesito formulato,
giova ricordare che l’articolo 3, comma 1, del decreto testualmente
stabilisce:«1. Le disposizioni di cui all'articolo 54, commi 2 e 3, del codice
del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104, si applicano altresì dalla data di entrata in vigore del presente decreto
e fino al 22 marzo 2020. A decorrere dalla data di entrata in vigore del
presente decreto e sino al 22 marzo 2020, le udienze pubbliche e camerali dei
procedimenti pendenti presso gli uffici della giustizia amministrativa sono
rinviate d'ufficio a data successiva al 22 marzo 2020. I procedimenti
cautelari, promossi o pendenti nel medesimo lasso di tempo, sono decisi, su
richiesta anche di una sola delle parti, con il rito di cui all'articolo 56 del
medesimo codice del processo amministrativo e la relativa trattazione
collegiale è fissata in data immediatamente successiva al 22 marzo 2020».
Come rilevato dal Segretario generale,
«il decreto legge affronta l’emergenza in due fasi: una prima fase, di
immediata applicazione, che va dall’8 marzo (giorno della pubblicazione nella
G.U.R.I.) al 22 marzo 2020, in cui trovano applicazione misure rigorose
previste direttamente in sede di decretazione d’urgenza, quali il rinvio
d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali; e una seconda fase che giunge
sino al 31 maggio in cui si applicano misure derogatorie del codice del
processo amministrativo, quali la decisione della causa, di norma, sulla base
dei soli scritti difensivi».
La disposizione di legge è chiara
nella parte concernente l’obbligo di rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e
camerali a data successiva al 22 marzo 2020.
È altresì chiaro che i procedimenti
cautelari, promossi o pendenti tra l’8 e il 22 marzo, sono decisi, su richiesta
anche di una sola delle parti, col rito monocratico e la relativa trattazione
collegiale dovrà avvenire in data successiva al 22 marzo 2020.
Risulta invece di più complessa
interpretazione la disposizione in relazione ai termini per il deposito di atti
defensionali diversi dal ricorso introduttivo, quali, a titolo esemplificativo,
il deposito di documenti, memorie e repliche stabilito dall’articolo 73, comma 1,
c.p.a. La norma, come letteralmente interpretata, sembra sospendere i termini
sia con riferimento agli atti introduttivi del giudizio sia in relazione agli
atti di parte inerenti alla trattazione dei giudizi già incardinati. In tal
senso milita il richiamo compiuto dall’articolo 3, comma 1, del decreto ai
commi 2 e 3 dell’articolo 54 c.p.a.: il comma 2, infatti, sospende dal 1 al 31
agosto di ciascun anno i termini feriali mentre il comma 3 precisa che tale
sospensione non si applica al procedimento cautelare. Tale interpretazione
avrebbe come conseguenza la sospensione, nel periodo che va dall’8 al 22 marzo
2020, dei termini anche per il deposito di documenti, memorie e repliche
relativi a procedimenti giurisdizionali da trattare in data successiva al 22 marzo
2020, con conseguente dilatazione dei termini previsti dall’articolo 73, comma
1, c.p.a. di un numero di giorni pari alla sospensione feriale decretata
d’urgenza. Se così fosse, però, le udienze pubbliche e camerali, già fissate in
data immediatamente successiva al periodo di sospensione in cui vige l’obbligo
di rinvio, dovrebbero essere rinviate per garantire alle parti (che, nel
frattempo, non abbiano espressamente rinunciato alla facoltà di depositare
memorie e documenti) un “termine a ritroso” che consenta di “recuperare” i
giorni della sospensione, in modo che esso non risulti inferiore a quello
previsto dalla legge, con conseguenti evidenti pregiudizi alla normale ed
efficiente attività giudiziaria per come programmata, pregiudizi che ricadrebbero
ben oltre le due settimane previste dal decreto.
L’interpretazione letterale sembra
stridere con lo spirito e la ratio del provvedimento legislativo urgente,
atteso che con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art.
45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato
art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno
giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi
di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità
di recarsi presso l’ufficio giudiziario. Non appare esservi, dunque, alcun
pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di
contatto sociale e dunque le possibilità di contagio.
In sintesi, se la rapida diffusione
dell’epidemia giustifica pienamente il rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche
e camerali, disposto dal decreto nel periodo che va dall’8 al 22 marzo 2020,
allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, lo spostamento delle persone
per la celebrazione delle predette udienze, nonché la trattazione monocratica
delle domande cautelari (salva successiva trattazione collegiale), sempre allo
scopo di evitare lo spostamento delle persone e la riunione delle stesse
all’interno degli uffici giudiziari, non sembra reperirsi adeguata
giustificazione, invece, per la dilatazione dei termini endoprocessuali.
Appare, pertanto, sicuramente più in
linea con la ratio del decreto legge un’altra interpretazione della norma nel
senso che il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine
decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41
c.p.a.) e non anche i citati termini endoprocessuali.
Per tale diversa opzione esegetica è
vivo l’auspicio della Commissione che si intervenga prontamente ed
urgentemente, alla prima occasione utile, a livello normativo, con
provvedimento chiarificatore di carattere interpretativo e quindi di portata
retroattiva, in modo da assicurare la certezza nella materia dei termini
processuali a beneficio di tutte le parti dei giudizi.
La Commissione, ben consapevole in
ogni caso delle difficoltà connesse ad un’interpretazione meramente letterale
della disposizione, ritiene, per tale ragione, che spetti al Collegio
incaricato della trattazione della causa valutare attentamente, di volta in
volta, la possibilità di accordare la rimessione in termini, per errore
scusabile, alla parte che non ha potuto provvedere agli adempimenti e ai
depositi nei termini di legge, possibilità questa prevista in via generale
dall’articolo 37 c.p.a. e, con specifico riferimento all’emergenza nazionale,
anche dall’articolo 3, comma 7, del decreto (tale ultima norma, pur richiamando
solo i commi 2 e 3 del già citato art. 3, non fa venir meno, ad avviso della
Commissione, la portata generale dell’istituto di cui all’art. 37 c.p.a. e,
dunque, la possibilità di applicarla in via generale). Come è noto, infatti, il
giudice, in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto
o di gravi impedimenti di fatto (circostanze entrambe che potrebbero ben
ricorrere in casi del genere), può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in
termini per errore scusabile».