La Corte di cassazione civile precisa che la c.d. cessione di cubatura presuppone il perfezionamento di un accordo con il quale una parte (il proprietario cedente) si impegna a prestare il proprio consenso affinchè la cubatura (o una parte di essa) che gli compete in base agli strumenti urbanistici venga attribuita dalla P.A. al proprietario del fondo vicino (cessionario), compreso nella stessa zona urbanistica, cosi consentendogli di chiedere e ottenere una concessione per la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello cui avrebbe avuto altrimenti diritto; il trasferimento di cubatura tra le parti e nei confronti dei terzi consegue, tuttavia, esclusivamente al provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario; tale accordo ha un'efficacia meramente obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e non è, quindi, configurabile come un contratto traslativo (e, tanto meno, costitutivo) di un diritto reale opponibile ai terzi.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Seconda civile n. 24948 del 10 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb, al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, in ordine alla possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara da parte di operatori economici che non abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, statuisce quanto segue:
«Sia l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, sia l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente agli operatori economici di proporre un ricorso contro le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice relative a una procedura d’appalto alla quale essi hanno deciso di non partecipare poiché la normativa applicabile a tale procedura rendeva molto improbabile che fosse loro aggiudicato l’appalto in questione».

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, del 28 novembre 2018 (causa C-328/17)  è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che se in sede giurisdizionale il concorrente classificatosi al secondo posto deduce l’inattendibilità dell’offerta anomala per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale e, di conseguenza, il giudice è tenuto a pronunciare anche su tali aspetti in base al principio dell’art. 112 c.p.c.; in pratica, l’introduzione di ulteriori elementi di giustificazione dell’offerta, rispetto a quelli oggetto della richiesta di chiarimenti della stazione appaltante – della quale l’appellante lamenta l’inammissibilità – discende proprio dalla tecnica difensiva utilizzata dalla ricorrente nel presente giudizio.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6430 del 14 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione esamina il contenuto dell’art. 879 c.c. e così statuisce:
«2.2. L'art. 879, secondo comma, c.c. prevede che “Alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano".
La sentenza impugnata ha affermato, con valutazione non censurabile (né specificamente censurata) in questa sede, che l'area sulla quale si affaccia il fabbricato dei ricorrenti ( ...) vada classificata come "via pubblica", alla stregua della presunzione di demanialità ex art. 22, all. F, legge n. 2248/1865, rimasta insuperata in giudizio. Tuttavia, nonostante tale qualificazione - che condurrebbe ad escludere l'applicazione della disciplina relativa alle distanze, in base a quanto disposto dalla prima parte del secondo comma dell'art. 879 c.c. (per il quale, come detto, "alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze") -, la Corte di merito giunge a ritenere applicabile la disciplina del D.M. n. 1444/1968 e, con essa, la previsione delle distanze, attraverso il tramite del Regolamento edilizio locale del 1983, pervenendo a tale conclusione attraverso il richiamo generale che il menzionato secondo comma dell'art. 879 c.c. fa alla regola dell'osservanza, comunque, "delle leggi e dei regolamenti che le riguardano", tra cui appunto quelle del D.M. n.1444/1968.
Con ciò - data siffatta interpretazione del secondo comma dell'art. 879 c.c. - la regolazione delle distanze relativamente all'area pubblica non sarebbe a sua volta impedita nella fattispecie dal testo dell'art. 9 del citato D.M. n. 1444/1968 che stabilisce le distanze minime tra fabbricati, anche per quelli "tra i quali siano interposte Strade destinate al traffico di veicoli", ma "con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti". Sicché, secondo la pronuncia impugnata, l'eccezione relativa alla viabilità a fondo cieco, nella specie al "vicolo", non significherebbe che le distanze tra fabbricati indicate nel citato D.M. non trovino applicazione in dette aree chiuse, bensì soltanto che non avrebbero applicazione le maggiorazioni delle distanze, poste dall'art. 9 in rapporto proporzionale con la larghezza della strada destinata al traffico veicolare, ma resterebbe pur sempre applicabile la regolazione generale della distanza minima di metri 10.
2.3. - Questo Collegio ritiene che le argomentazioni, poste dalla Corte di merito a sostegno della sentenza impugnata, non siano condivisibili.
Ciò, in primo luogo, in ragione del recupero della regolazione delle distanze tramite la enfatizzazione della formula generale dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 879 c.c. con la conseguenza che, alla stregua di questa interpretazione (contrastante con gli ordinari canoni di logica ermeneutica e, dunque, con l'art. 12 delle preleggi), si verifica un effetto palesemente distorto, per cui la medesima disposizione finisce contemporaneamente per negare (comma secondo, prima parte) e per affermare (comma secondo parte seconda) l'applicabilità delle norme sulle distanze. Laddove, si deve affermare che la parte prescrittiva che rinvia alle "leggi e regolamenti" intenda piuttosto riferirsi alla disciplina (riguardante non già le "distanze" bensì i "fabbricati") che non interferisce con la tutela del codice civile, inoperante, quanto alle distanze, rispetto alle pubbliche strade e piazze.
In merito, va richiamato il principio secondo cui l'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art. 879 c.c., comma 2, per le costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche (che va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, come nella specie, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata) attiene più che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività (Cass. n. 6006 del 2008; cfr. anche Cass. n. 5172 del 1997; Cass. n. 2463 del 1990; Cass. n. 307 del 1982).
Sicché - tale essendo la medesima esigenza di provvedere all'interesse pubblico all'assetto viario ed alla circolazione urbana che se ne serve - non si ravvisa la ratio sottesa alla diversa 11\ disciplina nella stessa materia concernente le distanze, nell'un caso derogandone la imposizione, nel secondo caso estendendone l'imposizione. Il quale effetto si verifica altresì in quanto la esclusione della viabilità a fondo cieco, presente nell'art. 9 D.M. 1444/1968, viene confinata alle sole maggiorazioni delle distanze tra fabbricati che sono poste nello stesso articolo, giacché tale interpretazione riduttiva (al di là della sua collocazione contestuale riferita alle "maggiorazioni") finisce per determinare, nuovamente, causa di frizione logica, nel predicare allo stesso tempo un esonero ed una applicazione di una regola di distanza, che possono elidersi reciprocamente».

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda civile, n. 27364 del 29 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.


Il TAR Brescia ritiene che la capacità produttiva indicata nel decreto di AIA non abbia un semplice valore descrittivo, ma, in mancanza di precisazioni in senso contrario, costituisca un vincolo per l’attività dell’impresa; più precisamente, si tratta di un dato che deve essere necessariamente inserito nella domanda di AIA e concorre, con le altre informazioni, a definire le conseguenze potenziali dell’impianto sull'ambiente e sulla salute umana; l’AIA non si limita a fissare le soglie massime delle emissioni di inquinanti, lasciando poi libero l’imprenditore di organizzare i fattori di produzione nel modo più conveniente, ma certifica che il rispetto delle suddette soglie è assicurato solo all’interno di uno specifico modello di produzione, dove sono noti a priori i quantitativi di materiale in ingresso e in uscita.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1060 del 13 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica in ordine all’intervento di demolizione determina l’illegittimità derivata di quella adottata con riferimento all’intervento di ricostruzione, nonché del permesso di costruire, in quanto rilasciato sulla base di un presupposto errato.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5945 del 17 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano dichiara inammissibile per difetto di interesse a ricorrere un ricorso avverso la classificazione ad area agricola impressa da un PGT in quanto, stante l’inserimento di detta area in un più ampio ambito destinato all’attività agricola di interesse strategico secondo le Norme Tecniche del PTCP, deve escludersi che il Comune avesse la potestà di assegnare al fondo della ricorrente una destinazione urbanistica diversa da quella assegnata dal PTCP e, di conseguenza, la ricorrente non potrebbe ottenere alcun vantaggio dall’accoglimento del ricorso.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2622 del 21 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che se è vero che la "piena conoscenza" cui fa riferimento l'art. 41, comma 2, c.p.a. non può essere intesa quale conoscenza integrale dell'atto, è altrettanto vero che la stessa, per essere idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, presuppone la consapevolezza non solo dell’esistenza dello stesso, ma altresì della sua portata illegittimamente lesiva e quindi del suo contenuto essenziale; in altre parole, è essenziale che la conoscenza effettiva dell’atto non copra solo la sua portata lesiva dell’interesse del ricorrente, ma deve includere anche quegli aspetti tali da poter valutare il provvedimento, non solo svantaggioso, ma illegittimamente sfavorevole; pertanto, la conoscenza dell’effettivo lesivo implica la conoscenza del contenuto dell’atto, così da poterne percepire gli eventuali vizi (nel caso di specie, il ricorrente attraverso un’istanza di accesso riferito a un permesso di costruire in sanatoria ha mostrato solo di conoscere l’esistenza del titolo edilizio, manifestando l’interesse a conoscerne il contenuto, in qualità di confinante, come specificato nell’istanza stessa; mentre la percezione dell’effetto lesivo e della sua supposta illegittimità si è avuta solo con la successiva cognizione del contenuto dell’atto).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 6335 del 9 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento giurisprudenziale che riconosce la vigenza nel sistema giuridico di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; orientamento che correla la tematica dell’abuso del diritto a quella della buona fede, quest’ultima intesa come criterio per stabilire un limite alle pretese e ai poteri del titolare di un diritto.
Secondo il TAR Milano, espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, qual è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium (nella fattispecie, l’aggiudicataria di un appalto, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di aderire alla richiesta della stazione appaltante di produrre il contratto di avvalimento, quale unico titolo cui correlare la disponibilità di un progettista, indispensabile ai fini della partecipazione alla gara per un appalto integrato, ha utilizzato successivamente, in modo strumentale, il potere di sollevare eccezioni, negando la necessità di utilizzare l’istituto dell’avvalimento, che pure ha impiegato nel corso della gara senza sollevare alcuna obiezione a fronte del soccorso istruttorio esercitato dalla stazione appaltante).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2603 del 19 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che il principio di alternatività fra il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale ha una valenza ampia e deve operare tra ricorsi proposti dal medesimo soggetto e oggettivamente connessi o allorquando tra i diversi provvedimenti impugnati esista un rapporto di presupposizione, pregiudizialità, dipendenza; tale principio trova applicazione non solo nei casi di identità formale dei provvedimenti impugnati in sede di ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e di ricorso straordinario al Capo dello Stato, ma anche nel caso di impugnazione di atti formalmente distinti, ma direttamente consequenziali, e comunque quando le controversie siano connotate da un’obiettiva identità di petitum e di causa petendi; la ratio delle norme che regolano il principio di alternatività non risponde, invero, alla tutela dei privati bensì della giurisdizione avendo lo scopo di evitare il rischio di due decisioni contrastanti sulla medesima controversia; tale regola deve trovare applicazione anche nel caso di due impugnative rivolte dal medesimo soggetto avverso punti diversi dello stesso atto oppure quando si tratta di atti distinti, ma legati tra loro da un nesso di presupposizione.

Il parere del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, n. 2635/2018 del 14 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Precisa il TAR Milano che è necessaria la ripubblicazione del piano solo nell’ipotesi di rielaborazione complessiva, cioè quando fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione; non si configura, invece, una rielaborazione complessiva del piano quando in sede di approvazione vengono introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2593 del 16 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che la rituale riassunzione del giudizio nel termine di tre mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della prima sentenza, benché astrattamente idonea alla conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell'originaria domanda, non impedisce al giudice amministrativo di verificare se l'originaria pretesa, azionata per errore dinanzi al giudice ordinario, sia stata proposta entro il termine di decadenza; la riassunzione del giudizio avanti il giudice titolare della giurisdizione non può che fare salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ciò però non può sostenersi con riferimento alla tempestività del ricorso.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 1064 del 14 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che l’obbligo di provvedere può discendere non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari ma anche dalla peculiarità della fattispecie, nella quale ragioni di giustizia o equità impongano l’adozione di provvedimenti espliciti, alla stregua del generale dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, ai sensi dell’art. 97 Cost., con conseguente sorgere in capo al privato di una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano.
Il TAR ritiene, quindi, fondata la domanda giudiziale del ricorrente diretta a far dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato da un comune sull’istanza volta all’adozione degli atti necessari per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e rileva che nella fattispecie, per lo stabile collegamento territoriale tra l’istante e l’area che beneficerebbe della strada, la richiesta si presenta giustificata dalla posizione differenziata del privato e dalla qualificata aspettativa dello stesso a vedere realizzate in loco le prescritte opere di urbanizzazione primaria.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2525 del 8 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Precisa il Consiglio di Stato che per aversi una pergotenda (e come tale rientrante nell’edilizia libera) occorrere che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda (nella fattispecie è stata esclusa la natura di pergotenda a un struttura con travetti lignei di una certa consistenza che sorreggono una tenda, struttura che può essere senz’altro definita solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio e da rendere elemento principale non la tenda sorretta dalla struttura in travi di legno, bensì quest’ultima).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5737 del 5 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 264 del 13 novembre 2018 la delibera del Consiglio dell’Autorità di ANAC n. 907 del 24 ottobre 2018, con la quale sono state approvate le Linee guida n. 12 sull'affidamento dei servizi legali.

Per il testo si rinvia al precedente post


Il TAR Milano dichiara inammissibile un ricorso cumulativo con cui è stata impugnata l’esclusione (con motivazioni in parte diverse) da più lotti, sollevando censure in parte diverse, e rileva che il cumulo di azioni è ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2514 del 6 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ribadisce che per la reiterazione del vincolo è necessaria una motivazione congrua che valuti l’interesse dell’amministrazione alla continuazione del vincolo unitamente a quello del privato al pieno godimento del proprio bene, alla luce anche del tempo trascorso dalla prima imposizione e quindi della durata complessiva del vincolo.
Il TAR Milano ritiene quindi illegittima una previsione di vincolo – alla quale non ha fatto peraltro seguito alcun provvedimento attuativo o esecutivo – reiterata dal Comune con un generico richiamo alla necessità di realizzare l’opera pubblica, in mancanza dell’esplicitazione delle specifiche ragioni della scelta dell’amministrazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2539 del 9 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato si pronuncia in sede consultiva sulla richiesta di parere della Regione Piemonte in merito alla possibilità per una società in house providing, costituita ai sensi dell’art. 5 della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2016, n. 14, di ricevere affidamenti diretti dall’Amministrazione regionale, pur acquisendo partecipazioni private, purché nel limite di un terzo del capitale sociale e senza riconoscimento di nessun potere di veto né di influenza dominante.

Il parere del Consiglio di Stato, Sezione Prima, numero 02583/2018 del 8 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento ad un progetto di una strada che attraversa due siti Natura 2000, esamina la domanda di pronuncia pregiudiziale che verte sull’interpretazione della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche nonché della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, e così statuisce:

«1) L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un’«opportuna valutazione» deve, da un lato, censire la totalità dei tipi di habitat e delle specie per i quali un sito è protetto, nonché, dall’altro, individuare ed esaminare tanto l’impatto del progetto proposto sulle specie presenti su detto sito, e per le quali quest’ultimo non è stato registrato, quanto quello sui tipi di habitat e le specie situati al di fuori dei confini del suddetto sito, laddove tale impatto possa pregiudicare gli obiettivi di conservazione del sito.
2) L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che esso consente all’autorità competente di autorizzare un piano o un progetto che lascia il committente libero di determinare successivamente taluni parametri relativi alla fase di costruzione, quali l’ubicazione dei cantieri e le vie di trasporto, solo se è certo che l’autorizzazione stabilisce condizioni sufficientemente rigorose che garantiscano che tali parametri non pregiudicheranno l’integrità del sito. 
3) L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che, quando l’autorità competente respinge le conclusioni di una perizia scientifica che raccomanda l’acquisizione di informazioni supplementari, l’«opportuna valutazione» deve contenere una motivazione esplicita e dettagliata, atta a dissipare ogni ragionevole dubbio scientifico in ordine agli effetti dei lavori previsti sul sito interessato. 
4) L’articolo 5, paragrafi 1 e 3, nonché l’allegato IV della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati devono essere interpretati nel senso che impongono al committente di fornire informazioni che esaminino esplicitamente l’impatto significativo del suo progetto su tutte le specie individuate nella dichiarazione fornita in applicazione di tali disposizioni. 
5) L’articolo 5, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2011/92 deve essere interpretato nel senso che il committente deve fornire informazioni relative all’impatto ambientale tanto della soluzione prescelta quanto di ciascuna delle principali alternative da lui prese in esame, nonché le ragioni della sua scelta, sotto il profilo, perlomeno, del loro impatto sull’ambiente, anche in caso di rigetto, in una fase iniziale, di tale alternativa».

La sentenza della Seconda Sezione del 7 novembre 2018 (causa C-461/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, esaminando il procedimento sanzionatorio promosso dall'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG), ritiene che non possa ritenersi necessariamente sussistente una “presunzione generale di legittimità” degli atti emessi oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento, poiché l’arco temporale in cui le attività sono svolte misura la qualità dell’azione amministrativa, in relazione allo specifico profilo dell’efficienza della stessa azione amministrativa e del principio di certezza della sanzione.
Precisa il TAR Milano che è ragionevole il tempo occorso ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo della determinazione della sanzione e al fine di garantire il diritto di difesa dell’interessato; il superamento del termine diviene, quindi, di per sé illegittimo quando il tempo non è più funzionale alle due esigenze sopra indicate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2455 del 31 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo. Cfr. anche le sentenze del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n.ri 2456 e 2458 del 31 ottobre 2018.


Il Consiglio di Stato precisa che né il codice dei contratti pubblici del 2006 né quello del 2016 consentono di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata; versandosi nello stato iniziale della procedura, l'onere di immediata impugnativa imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando sulla scorta della preconizzazione di una futura e ipotetica lesione, per tutelare un interesse (strumentale alla riedizione della gara), subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario) del quale non sarebbe certa la non realizzabilità.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6040 del 24 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l'offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (nella fattispecie si trattava di un utile annuo, dichiarato in sede di giustificazioni rese nel procedimento di verifica dell’anomalia, pari a euro 774,51).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2394 del 24 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ricorda che, in linea di principio, in presenza di atti normativi, recanti prescrizioni generali e astratte, non è dato rinvenire una diretta e immediata lesione della sfera giuridica degli interessati; la regola “astratta” è ontologicamente inidonea ad integrare una lesione personale, attuale e concreta di un interesse; un effettivo vulnus, con il correlato potere di “reazione” in sede giurisdizionale, si determinerà solo con l’atto applicativo della previsione normativa; d’altra parte, il differimento della tutela giurisdizionale al momento della emanazione del provvedimento di applicazione del regolamento sostanzia un principio di favor per il consociato, sollevandolo dall’onere di una immediata impugnazione, scongiurandosi così il rischio che il regolamento, ove non tempestivamente impugnato, finisca per diventare inoppugnabile e per consolidarsi, regolando definitivamente la situazione concreta, senza che vi sia più la possibilità per il giudice di risolvere il contrasto in favore della fonte sovraordinata.
Aggiunge il TAR Milano che diverso è il caso in cui le prescrizioni regolamentari concretino una immediata lesione di interessi sostanziali (si pensi, ad esempio, ai regolamenti in materia tributaria suscettibili di incidere sui presupposti della obbligazione tributaria) ovvero conformanti (o in diversa misura incidenti su) interessi di “categoria”: in tali casi la lesione non è potenziale e futura, ma attuale e immediata, verificandosi come subitanea e diretta conseguenza dell’introduzione nell’ordinamento (nella fattispecie, regionale) di una prescrizione che, benché in maniera generale e astratta, arreca un vulnus agli interessi indifferenziati, e quindi omogenei, della categoria.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2453 del 31 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2433 del 29 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è evento del tutto fisiologico, il che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; pertanto, la revoca (come pure l’annullamento) dell’aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell’ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo; solamente l’aggiudicazione definitiva attribuisce, in modo stabile, il bene della vita ed è, pertanto, idonea ad ingenerare un affidamento in capo all’aggiudicatario, sì da imporre l’instaurazione del contraddittorio procedimentale.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5834 del 10 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ritiene che il giudizio di compatibilità tra il P.G.T. e il P.T.C.P. spetti alla competenza della Giunta provinciale e non a quella del dirigente.
Ad avviso del TAR Milano risulterebbe poco coerente con il procedimento di approvazione di un piano urbanistico – attratto alla competenza degli organi di governo dell’ente e connotato da una rilevante dose di discrezionalità – prevedere che la verifica della compatibilità dello stesso con i Piani sovraordinati, sia a livello provinciale che regionale, possa essere affidata alla struttura burocratica, piuttosto che ad un organo di governo, qual è la Giunta, trattandosi di esercizio di una vera e propria funzione di indirizzo politico–amministrativo riguardante il corretto uso del territorio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2479 del 5 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In senso contrario: si vedano le sentenze del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 4468 del 28 luglio 2009 e n. 1440 del 25 maggio 2012.


Il TAR Milano precisa che la procedura concorsuale volta a individuare il conduttore del bene non costituisce manifestazione di potere autoritativo della Pubblica Amministrazione – a fronte del quale il partecipante alla gara vanta un interesse legittimo – bensì costituisce attività paritetica nei confronti degli operatori commerciali, i quali possono quindi vantare un diritto soggettivo “pieno” nei confronti dell’amministrazione; la circostanza che la scelta del contraente avvenga con una procedura di carattere concorrenziale, nel rispetto del RD n. 827 del 1924, garantisce il rispetto dei generali principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, ma non muta il regime della giurisdizione, non potendo far assurgere ad attività autoritativa quella che è invece un’attività paritetica di stipulazione di un contratto di diritto privato, per il godimento di un bene patrimoniale disponibile dell’Ente pubblico; ne consegue, per il TAR Milano, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2447 del 29 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato respinge un’eccezione di nullità della notifica via p.e.c. di una sentenza in formato digitale e fondata sui seguenti rilievi: a) l’attestazione di conformità sul documento informatico separato è avvenuta in violazione dell’art. 19 ter delle specifiche tecniche del Ministero di Giustizia 16 luglio 2014; b) manca l’indicazione del riferimento temporale e dell’impronta “hash” nel documento autenticato in adempimento dell’art. 23 bis, comma 2, del CAD e delle regole tecniche prescritte (art. 6, comma 3); c) è stata omessa l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata e dell’elenco da cui è stato tratto.
Al riguardo, il Consiglio di Stato osserva che l’insieme degli elementi dedotti quali sintomi di invalidità della notifica della sentenza in realtà si appalesano quali mere irregolarità che risultano sanabili nella fattispecie dal riconoscimento della conformità della sentenza di primo grado notificata a quella effettivamente pubblicata e dalla conseguente conoscenza di tutti i punti della decisione ai fini della formulazione dell’appello e dello svolgimento delle complete difese e del contraddittorio nell’introduzione del secondo grado di giudizio.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5970 del 18 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncia su un ordine di demolizione e statuisce che il provvedimento contestato dal ricorrente non ha procurato un onere sproporzionato ed eccessivo incompatibile con il diritto al rispetto della sua proprietà (fattispecie relativa alla Russia e a un ordine di demolizione emesso a seguito della realizzazione di edifici di tipo alberghiero con diversi appartamenti in difformità dal titolo edilizio che prevedeva la realizzazione di due case unifamiliari in area agricola).

La sentenza della Corte europea di diritti dell’uomo, Sezione Terza, del 18 ottobre 2018 (causa 6390/18) è consultabile (testo in francese) sul sito della CEDU al seguente indirizzo.