Il TAR Milano, esaminando un ricorso proposto contro il Regolamento per la qualità dell'aria, approvato dal Comune di Milano, nella parte in cui all'art. 9 («Fumo all'aperto»), ha previsto che:
«1. Fatto salvo quanto già disposto dalla vigente normativa in tema di divieto di fumo, a far data dal 1 gennaio 2021, è fatto divieto di fumare negli spazi di seguito indicati: - aree destinate a verde pubblico, salvo in luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone; - aree attrezzate destinate al gioco, allo sport o alle attività ricreative dei bambini, così come disciplinato all'art. 21, comma 7 del Regolamento comunale d'uso e tutela del verde pubblico e privato; - presso le fermate di attesa dei mezzi pubblici, incluse le fermate dei taxi, fino ad una distanza di 10 metri dalle relative pensiline ed infrastrutture segnaletiche; - aree cimiteriali; - aree cani; - strutture sportive di qualsiasi tipologia, ivi comprese le aree adibite al pubblico (ad esempio: spalti).
2. A far data dal 1 gennaio 2025 il divieto di fumo è esteso a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico, ivi incluse le aree stradali, salvo in luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone»,
ritiene che il divieto in questione costituisca una legittima manifestazione dell’autonomia comunale, riconosciuta e garantita dalla Costituzione, risultando altresì radicato su una specifica previsione di legge statuale, concernente l’esercizio del potere regolamentare per «superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana» (art. 50, T.U.E.L., commi 5 e 7-ter).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2631 del 29 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che «nel vigente ordinamento costituzionale non è configurabile una rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo effettuata prima della lesione di quest’ultimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione stessa, lo strumento di tutela non è ancora azionabile» (così, C.G.A.S. – Sez. giur., sentenza n. 75/2015).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 995 del 26 novembre 2021.
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Il TAR Milano osserva che:
<< è pacifico che il vigente codice dei contratti pubblici consenta l’attivazione del subappalto necessario con riferimento alle opere specialistiche (nel caso di specie la categoria OS 21); sul punto la giurisprudenza ha già precisato, in modo del tutto condivisibile, che tale tipo di subappalto, previsto in vigenza del d.l.vo n. 163/2006, è compatibile con la disciplina introdotta dal d.l.vo n. 50/2016.
Il subappalto necessario ha trovato regolamentazione nell’art. 109 del D.P.R. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione del previgente Codice dei contratti pubblici) e tale disciplina è stata abrogata e sostituita dall’art. 12, commi 1 e 2, del d.l. n. 47/2014. Lo stesso art. 12 è stato abrogato dall’art. 217 del D.Lgs. n. 50/2016, a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella, ma limitatamente ai commi 3, 5, 8, 9 e 11, sicché restano in vigore i primi due commi della norma, che disciplinano le categorie riguardanti opere speciali suscettibili di subappalto necessario in favore di imprese in possesso delle relative qualificazioni (cfr. ex multis, Tar Piemonte, sez. I, 17 gennaio 2018, n. 94; Consiglio di Stato, sez. V, 2 luglio 2018, n. 4036; Tar Calabria - Catanzaro, sez. I, 18 giugno 2020, n. 1108)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2592 del 22 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l'esercizio del particolare potere di ordinanza contingibile e urgente, delineato dall'art. 9 della L. 26 ottobre 1995, n. 447, deve ritenersi consentito allorquando gli appositi accertamenti tecnici effettuati dalle competenti agenzie Regionali di Protezione Ambientale rivelino la presenza di un fenomeno di inquinamento acustico, precisa che la norma da ultimo richiamata non può essere riduttivamente intesa come una mera (e, quindi, pleonastica) riproduzione, nell'ambito della normativa di settore in tema di tutela dall'inquinamento acustico, del generale potere di ordinanza contingibile e urgente tradizionalmente riconosciuto al Sindaco, in materia di sanità e igiene pubblica; con la conseguenza che l'utilizzo del particolare potere di ordinanza delineato dal citato art. 9 della L. n. 447 del 1995 assume carattere pressoché doveroso (in ciò decisamente differenziandosi rispetto ad altri poteri di ordinanza extra ordinem e in particolare dalle ordinanze sindacali ex artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000) in ipotesi di superamento dei valori limite accertato dalle competenti Agenzie Regionali di Protezione Ambientale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2602 del 24 novembre 2021.
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Il TAR Milano espunge dal fascicolo processuale, in quanto inammissibile, una memoria di replica del controinteressato depositata senza il previo deposito della memoria conclusionale e nella quale sono state concentrate le difese, alterando la parità processuale tra le parti e impedendo all’avversario di controdedurre per iscritto alle difese della parte.
Al riguardo il TAR osserva:
<<come evidenziato dal Consiglio di Stato, “[l]a giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. q), D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al Codice), le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della controparte ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.), atteso che la ratio legis si individua nell’impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell’evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l’espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica con la conseguente impossibilità per l’avversario di controdedurre per iscritto (Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5676). Né la memoria di replica può essere considerata prima memoria se depositata, come nel caso all’esame del Collegio, oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 73 c.p.a. (Cons. St., sez. III, 28 gennaio 2015, n. 390; 4 giugno 2014, n. 2861)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 19 novembre 2021.
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Il TAR Milano, a fronte del diniego di concludere un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 al fine di regolarizzare le difformità esistenti nell’immobile, in ragione dell’accertata carenza dei presupposti richiesti dalla legge per addivenire ad un tale accordo, osserva che il provvedimento risulta legittimo per un triplice ordine di ragioni, ovvero per l’assenza di una previsione che imponga all’Amministrazione di addivenire ad un accordo ex art. 11, sulla necessità del perseguimento di un interesse pubblico e per la mancanza di discrezionalità in capo agli Uffici comunali nell’applicazione della normativa in ambito edilizio, che di regola si presenta vincolata.

Aggiunge quindi il TAR che:
<<L’art. 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”. La predetta disposizione, in primo luogo, non impone affatto la conclusione di accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento amministrativo, ma lascia la facoltà di scelta in capo all’Amministrazione procedente (“può concludere”), che senza dubbio può determinarsi in senso negativo con riguardo alla loro stipulazione. Al di là di tale aspetto, comunque dirimente, deve poi potersi riscontrare, quale elemento necessario per poter utilizzare lo strumento convenzionale, il perseguimento dell’interesse pubblico, riferito ad attività di natura discrezionale e non vincolata, non potendosi “contrattare” con soggetti privati l’esercizio di un potere già conformato dal legislatore e quindi condizionato nella sua esplicazione (ad esempio, la potestà sanzionatoria)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2588 del 22 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, con riguardo all’ammissibilità dell’avvalimento c.d. premiale, ovvero del prestito dei requisiti oggettivi, mezzi e risorse richiesti dalla lex specialis per la valutazione dell’offerta, volto ad ottenere un punteggio maggiore, precisa che:
<<Ove pertanto il contratto di avvalimento abbia ad oggetto i requisiti di partecipazione speciali di ordine oggettivo, i mezzi, le attrezzature, le risorse ed il personale messi a disposizione dall’impresa ausiliaria devono essere considerati anche in sede di valutazione dell’offerta tecnica, ai fini dell’attribuzione dei relativi punteggi.
Ove invece il contratto di avvalimento sia utilizzato al di fuori della necessità di incrementare i requisiti richiesti dalla lex specialis per partecipare alla gara, lo strumento esula dalla fisiologica funzione pro concorrenziale per sviare verso una funzione patologica della logica ad essa sottesa, meramente incrementale della valutazione dell’offerta tecnica, senza che a ciò corrisponda “una reale ed effettiva qualificazione della proposta”.
Il contratto di avvalimento è dunque meritevole di tutela solo se l’apporto dell’impresa ausiliaria consente all’operatore economico di partecipare alla gara, mediante il prestito di requisiti oggettivi dei quali lo stesso è carente>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2439 del 5 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.








Il TAR Brescia osserva che non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’istituto della retrocessione totale ove, ancorché la richiesta di retrocessione sia fondata sulla mancata realizzazione dell’opera pubblica, non sussista a monte un procedimento espropriativo; il che accade ove le cessioni dei beni siano da qualificarsi come contratti di diritto privato e cioè siano intervenute difettando la dichiarazione di pubblica utilità e la determinazione dell’indennità di espropriazione e quindi senza l’apertura di una formale procedura espropriativa.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 965 del 17 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, al fine si deve distinguere tra roulotte e case mobili, che possono permanere nelle stesse piazzole, a campeggio chiuso, per la loro custodia, e manufatti accessori riconducibili al concetto di “preingressi”, che debbono comunque essere smontati a fine di ogni stagione, osserva che:
<<La stabilità di questi ultimi nel tempo ne determina la natura abusiva - venendo meno quella temporaneità che la norma pone come condizione essenziale per ammetterne la realizzazione in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica - e ne legittima l’ordine di rimozione.
Ciò in conformità all’ormai consolidato principio per cui “La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante” (in tal senso: Cons. Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842).
Principio che deve, naturalmente, trovare applicazione anche con riferimento alle stesse roulotte e case mobili la cui collocazione all’interno di un’area adibita a campeggio non necessita di alcun titolo edilizio solo nel caso in cui tali mezzi mobili risultino dotati di impianto rotativo funzionante. Solo ricorrendo tale presupposto oggettivo e previo smontaggio dei "preingressi", essi possono, così come affermato nel ricorso, rimanere collocati nelle piazzole anche nel corso della stagione invernale per essere ivi custoditi in forza di un apposito contratto a ciò preordinato.
Ciò che è determinante allo scopo della corretta qualificazione delle strutture adibite al campeggio (siano esse abitazioni mobili o accessori rispetto alle stesse) è, dunque, accertarne quella precarietà che è connaturale a un uso temporaneo e non permanente del manufatto adibito al pernottamento ed è garantita dalla dotazione di un impianto rotante idoneo allo spostamento, ovvero esclusa dalla sua assenza o dalla presenza di strutture adibite a “preingresso” per le loro caratteristiche non destinate alla rimozione alla fine di ogni stagione di utilizzo.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 944 del 10 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano rispetto alla contestata legittimità del riferimento – quale condizione di esecuzione dell’appalto – al rispetto di una determinata norma tecnica (nella fattispecie UNI 11799:2020), rileva come la stessa non rappresenti alcun ostacolo eccessivo alla concorrenza visto che, anche in assenza del possesso della prescritta certificazione, l’operatore avrebbe potuto fornire la dimostrazione della capacità di eseguire l’appalto secondo la richiesta metodologia. Del resto, nella individuazione dei requisiti da porre alla base della prestazione da mettere a gara è consentito all’Amministrazione di prendere a riferimento le tecniche più avanzate riguardanti il settore interessato, al fine di ottenere il prodotto migliore esistente sul mercato, e ciò può certamente avvenire attraverso il richiamo delle “buone pratiche” già sperimentate in altri contesti comparabili o da primari operatori del settore. Diversamente, nessuna innovazione sarebbe incentivata nei settori degli appalti pubblici, considerato che soltanto l’individuazione di stringenti requisiti di ammissione o esecuzione è in grado di garantire la qualità dei prodotti o dei servizi da acquisire, stante la scarsa efficacia all’opposto dell’esclusivo intervento operato nella fase di valutazione dell’offerta tecnica, a sua volta facilmente neutralizzabile dal rilievo dell’elemento prezzo con cui entra in comparazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2264 del 18 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ribadisce che, nel perseguimento degli obiettivi di tutela stabiliti dal P.T.R. e a protezione dei valori paesaggistici ivi indicati, ben possa il P.T.C.P. introdurre ulteriori disposizioni, destinate a prevalere immediatamente sugli strumenti comunali, riferite anche ad aree e a beni che non siano stati direttamente e specificamente individuati dal P.T.R. D’altra parte, il riconoscimento della possibilità per il P.T.C.P. di dettare siffatte previsioni appare del tutto rispondente alle finalità stesse dello strumento di pianificazione provinciale, cui l’articolo 15 della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce un ruolo di rilievo in tema di conservazione dei valori ambientali e paesaggistici (cfr.: T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, 8 ottobre 2014, n. 2423). L’individuazione degli ambiti destinati a far parte della Rete verde costituisce oltretutto scelta che involge interessi di carattere sovracomunale, ambientali e paesaggistici, la cui tutela è stata affidata dalla legge regionale n. 12 del 2005 – in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione – alla Regione e alle Province. Questi interessi sono dunque presi in considerazione dagli strumenti di pianificazione territoriale approvati da tali enti (P.T.R. e P.T.C.P.) e si sovrappongono agli interessi di carattere urbanistico la cui tutela è principalmente affidata ai Comuni (Consiglio di Stato, Sez. IV, 15.1.2020, n. 379; T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, 23.7.2020, n. 1433; Id., 30.6.2017, n. 1474; Id., 5.4.2017, n. 798).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2517 del 11 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riguardo al dies a quo per impugnare l’aggiudicazione qualora la stazione appaltante non abbia compiuto una comunicazione satisfattiva e completa delle informazioni della gara e dell’aggiudicazione, osserva:
<<l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2020, nel fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 120, comma 5, c.p.a. (da ultimo avallata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 28 ottobre 2021, n. 204), ha precisato che “la proposizione dell’istanza di accesso comporta la ‘dilazione temporale’ [del termine medesimo di proposizione del ricorso] quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario” senza fare alcun riferimento a meccanismi di sottrazione e aggiunta di giorni in relazione al tempo eventualmente impiegato dall’impresa ai fini della predisposizione dell’istanza di accesso. Nell’ottica della Plenaria, il dies a quo per articolare motivi di impugnazione prima non conoscibili inizia a decorrere necessariamente dall’esaudimento della pretesa ostensiva, in linea con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea circa la decorrenza del termine dalla presunta conoscenza o conoscibilità della violazione (cfr. CGUE 8 maggio 2014, C-161/13, 12 marzo 2014, C583/13, 14 febbraio 2019, C-54/18).
L’Adunanza Plenaria, interpretando l’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 (che invero si riferisce al termine per la stazione appaltante per l’ostensione dei documenti), indica poi in quindici giorni il termine entro il quale l’interessato ha l’onere di proporre istanza di accesso se si voglia giovare della dilazione temporale del termine di proposizione del ricorso.
In altre parole, qualora – come nel caso di specie – la stazione appaltante non abbia compiuto una comunicazione satisfattiva e completa delle informazioni della gara e dell’aggiudicazione e l’offerente abbia proposto una tempestiva istanza di accesso agli atti al fine di ottenere la piena conoscenza delle informazioni potenzialmente lesive, il termine per la proposizione del ricorso avverso le violazioni (conoscibili solo per mezzo di tali atti) decorre dall’ostensione dei medesimi atti>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2530 del 12 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale – formatosi già sull’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, poi sostituito dall’art. 164 del d.lgs. n. 490 del 1999 e, attualmente, dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 – la sanzione pecuniaria di cui all’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 si pone come alternativa alla sanzione di carattere reale della rimozione dell’opera realizzata senza autorizzazione paesaggistica, con scelta rimessa all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 gennaio 2020, n. 130; id., sez. IV, 31 agosto 2017, n. 4109). Si tratta pertanto di sanzione non avente carattere meramente afflittivo, ma anche riparatorio alternativo al ripristino dello status quo ante, tanto che, da un lato, essa viene ragguagliata al danno arrecato e al profitto conseguito mediante la trasgressione e, da altro lato, gli introiti da essa assicurati sono finalizzati ad interventi di salvaguardia e recupero dei valori ambientali. Partendo da queste premesse, la stessa giurisprudenza esclude che a tale sanzione siano applicabili le norme di cui alla legge n. 689 del 1981, ritenendo che essa, contrariamente da quanto previsto dall’art. 7 della legge n. 689 del 1981, sia trasmissibile agli eredi, e sia applicabile anche in assenza di dolo o colpa, contrariamente da quanto previsto dall’art. 3 della stessa legge (cfr. CGA 14 giugno 2021, n. 533; Consiglio di Stato, sez. II, 30 ottobre 2020, n. 6678).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2493 del 10 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che è principio generalmente riconosciuto quello secondo cui la richiesta di riesame di un provvedimento non ingenera alcun obbligo di provvedere in ordine alla stessa in capo all’ente destinatario, con la conseguenza che non può configurarsi nessun obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi. Tale principio è efficacemente riaffermato nella recente sentenza del Consiglio di Stato n. 3277/2020, nella quale si legge che “deve escludersi la sussistenza di un dovere generalizzato dell’amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che la richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi “una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere” (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2774 del 2012, e 767 del 2013). Invero, come noto “i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1469 del 2010 e n. 4362 del 2008).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 940 del 9 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che l'accertamento del soggetto "responsabile" dell'abbandono incontrollato dei rifiuti, attesa la gravità delle conseguenze, economiche e anche penali, che da esso possono scaturire, deve fondarsi su un'attività istruttoria approfondita e accurata che faccia emergere, se non prove inconfutabili di tale responsabilità, quanto meno una serie di indizi gravi precisi e concordanti che possano consentire di presumerla con un grado elevato di attendibilità; l’obbligo di diligenza gravante sul proprietario di un fondo va sempre valutato secondo criteri di «ragionevole esigibilità» per cui va esclusa la responsabilità per colpa anche quando sarebbe stato possibile evitare il fatto solo sopportando un sacrificio obiettivamente sproporzionato; in tale ottica, la mancata recinzione del fondo, con effetto contenitivo dubitabile, atteso che non sempre la presenza di una recinzione è di ostacolo allo sversamento dei rifiuti, non può comunque costituire di per sé prova della colpevolezza del proprietario, rappresentando la recinzione una facoltà e non un obbligo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2476 del 9 novembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che, fatte salve le ipotesi in cui la lex specialis preveda un’espressa comminatoria di esclusione, l’omesso versamento del contributo Anac non comporta di per sé l’estromissione dalla gara.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2356 del 26 ottobre 2021.
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Il TAR Brescia ricorda che l'art. 4 della l. 9 gennaio 1989 n. 13 dispone che gli interventi volti a eliminare le barriere architettoniche previsti dall'art. 2 della legge stessa, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, possono essere effettuati anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato, precisandosi al comma 5 che “il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato” (Cons. Stato, sez. II, 14/01/2020 , n. 355).
Aggiunge che, quanto all’eliminazione delle barriere architettoniche, si è precisato che l'accessibilità è una qualità essenziale degli edifici, quale conseguenza dell'affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone con disabilità; pertanto, non rimuoverle costituisce discriminazione indiretta in danno delle persone con disabilità e consente loro il ricorso alla tutela antidiscriminatoria, quando l'accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere, dall'esistenza di una norma regolamentare apposita che attribuisca la qualificazione di barriera architettonica a un determinato stato dei luoghi (Cass. civ., sez. III, 13/02/2020, n. 3691).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 903 del 2 novembre 2021.
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Il TAR Milano, con riferimento al dovere di formulazione distinta e specifica dei motivi, imposta dall’art. 40 c.p.a., ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. In argomento il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale lo scopo dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. “è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine alla prassi dei ricorsi non strutturati secondo una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Cons. Stato, V, 31 ottobre 2016, n. 4561; 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 4 gennaio 2016, n. 8). Si è altresì rilevato che l’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm., non prescrive che il ricorso sia necessariamente articolato in una parte ‘in fatto’ e in una ‘in diritto’, graficamente distinte, sicché, per quanto tale distinzione sia preferibile e auspicabile per una maggiore chiarezza espositiva dell’atto, l’articolazione di un unico motivo, senza distinzione tra ‘fatto’ e ‘diritto’, non determina la ‘indistinzione’ dell’unico motivo, inteso e proposto quale continuum nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, anche di appello, purché esso soddisfi, ovviamente, il requisito della specificità (Cons. Stato, III, 10 aprile 2019, n. 2369; 21 luglio 2017, n. 3621)” (Consiglio di Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2343).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2410 del 3 novembre 2021.
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Il TAR Milano, in materia di allegazione della cauzione provvisoria all’offerta e soccorso istruttorio, osserva che:
<<la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che già nel vigore della disciplina previgente si era consolidata la tesi per cui la mancata allegazione della cauzione provvisoria all’offerta non fosse causa di esclusione, per essere, invece, la stazione appaltante tenuta ad attivare il soccorso istruttorio, invitando il concorrente ad integrare la documentazione mancante, e che tale orientamento è stato poi ribadito con il nuovo codice dei contratti pubblici, nell’assunto che il soccorso istruttorio previsto dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 sia attivabile in quanto le ragioni di invalidità della cauzione provvisoria costituiscono altrettante ipotesi di “carenze di elementi formali della domanda” ovvero ipotesi di “mancanza, incompletezza” o di “irregolarità essenziale” della documentazione allegata alla domanda di partecipazione, con la precisazione, però, che il soccorso istruttorio va a buon fine – e l’operatore può restare in gara – solo se la cauzione provvisoria presentata in sanatoria sia di data anteriore al termine per la formulazione delle domande di partecipazione, dando luogo ad una violazione della par condicio tra i concorrenti la circostanza che si consenta ad uno di essi la presentazione di una cauzione provvisoria formata successivamente alla scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione, per potersi esso in tal caso giovare di un termine più lungo per l’acquisizione della documentazione necessaria alla partecipazione alla gara, e così, probabilmente, per la natura onerosa della garanzia, poter spuntare condizioni economiche più favorevoli (v. Cons. Stato, Sez. V, 4 dicembre 2019 n. 8296);>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2221 del 14 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, in materia di disciplina urbanistica differenziata all’interno della medesima proprietà, richiama la giurisprudenza secondo cui la pianificazione urbanistica prescinde dalla titolarità delle aree sulle quali va a incidere, così come dalla ripartizione catastale delle stesse, avendo riguardo piuttosto alle qualità di dette aree, al contesto nel quale si inseriscono e agli obiettivi di conservazione e/o di sviluppo che l’amministrazione intende perseguire. Può dunque legittimamente accadere che un’area appartenente a un unico proprietario o costituente un unico mappale catastale sia in parte assoggettata a un regime urbanistico e in parte a un altro (cfr. TAR Lombardia – Brescia, 10 marzo 2021, n. 235).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2354 del 26 ottobre 2021.
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Il TAR Milano osserva che, in virtù del dictum della Adunanza Plenaria del 2 luglio 2020, n. 12, il termine di impugnazione dell’aggiudicazione decorre, in via di principio, dalla pubblicazione integrale degli atti di gara ex art. 29 D.Lgs. 50/2016 e non piuttosto dalla comunicazione ex art. 76 D.Lgs. 50/2016; può computarsi dalla comunicazione di cui al cit. art. 76 solo ove in tale sede l’impresa interessata abbia ottenuto informazioni aggiuntive, dalle quali sia scaturita la conoscenza di ulteriori e nuovi profili di vizio da censurare.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2407 del 29 ottobre 2021.
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