Sul B.U.R.L., Serie Ordinaria, n. 30 del 29 luglio 2017 è pubblicata la delibera della Giunta regionale della Lombardia 17 luglio 2017, n. X/6894, con la quale è stata approvata la nuova modulistica edilizia unificata di Regione Lombardia, comprensiva del modello del permesso di costruire quale adeguamento della modulistica nazionale alle normative specifiche e di settore di Regione Lombardia.

Sito del B.U.R.L.


Il Consiglio di Stato precisa che i parcheggi disciplinati dall’art. 9, comma 1, della legge n. 122/1989 (c.d. legge Tognoli), che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, possono essere realizzati solamente all’interno delle aree urbane e non in zona agricola; al di fuori delle aree urbane, l’edificazione di parcheggi pertinenziali sarà comunque possibile, ma non potrà attuarsi nelle forme e nei modi di cui all’art. 9 legge n. 122/1989, rimanendo invece sottoposta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie.


La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3566 del 19 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Un comune lombardo ha annullato in via di autotutela una procedura per “AFFIDAMENTO DELL'INCARICO DI PATROCINIO LEGALE E COSTITUZIONE IN GIUDIZIO AVANTI AL TAR NEL RICORSO DI UN OPERATORE ECONOMICO NELL'AMBITO DI UNA GARA DI APPALTO”  sulla base delle seguenti motivazioni:
«- per la scelta di procedere con il criterio del prezzo più basso, non compatibile con le disposizioni dell’art. 95 del codice degli appalti (d. Lgs 50/2016 e s.m.i.), che il legislatore ha previsto solo in presenza di prestazioni ripetitive ovvero standardizzate, connotati questi che non possono ritenersi propri della attività legale che si caratterizza, invece, proprio per la peculiarità e specificità di ciascuna questione, sia essa contenziosa o stragiudiziale” ;
- in quanto l ‘importo a base del ribasso (€ 5.000) è significativamente inferiore a quello di cui al DM n. 55/2004;
- perché gli incarichi di difesa giudiziale esulano dalle procedure del Codice (art. 17), e possono essere attribuiti anche mediante affidamento diretto congruamente motivato a professionista adeguato per competenze, esperienza generale e specifica, attitudini professionali, alla miglior difesa».



Il TAR Milano, a fronte di una richiesta di risarcimento del danno per la mancata aggiudicazione di un appalto di lavori, dopo aver ricordato che la struttura dell’illecito extracontrattuale della Pubblica Amministrazione non diverge dal modello generale delineato dall’articolo 2043 del Codice Civile (i cui elementi costitutivi sono l’elemento soggettivo, il nesso di causalità, il danno e l’ingiustizia del danno medesimo), precisa che, quanto al requisito soggettivo della colpa, ai fini del risarcimento, non è necessario l'accertamento dell'elemento soggettivo là dove il risarcimento funga da strumento necessariamente sostitutivo della non più possibile tutela in forma specifica, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria, sulla base degli autonomi principi sviluppati nel tempo dalla Corte Europea.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1677 del 26 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato puntualizza, pure alla luce dei recenti approdi normativi ex legge 7 agosto 2015 n. 124,  che ha rivisto l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, le modalità di esercizio della discrezionale potestà di autotutela, con esito di annullamento, circa gli obblighi di motivazione a fronte sia dell’affidamento ingenerato nel destinatario sul consolidamento dell’efficacia dell’atto rimovendo, sia dell’incidenza del tempo trascorso tra quest’ultimo e la sua rimozione nel determinare tal affidamento, sia della qualità degli interessi coinvolti nell’autotutela.
In particolare precisa che:
-  ove si abbia un affidamento dei destinatari sulla stabilità dell’assetto degli interessi posto dall’atto rimovendo, l’atto d’autotutela deve contenere, soprattutto se adottato a distanza di un lungo tempo dal primo, una motivazione particolarmente convincente circa l'apprezzamento degli interessi dei destinatari dell'atto, in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell'interesse pubblico alla eliminazione d'ufficio del titolo illegittimo;
- l'interesse pubblico specifico alla rimozione dell'atto illegittimo va integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità e va motivato con maggior rigore a seconda non solo del tempo trascorso, ma pure dell’effetto, istantaneo o prolungato, di ampliamento della sfera giuridica soggettiva del destinatario;
- esiste un unico modello normativo (tranne talune eccezioni di settore), latamente discrezionale e salvo (parimenti discrezionale) convalida, del procedimento di secondo grado con esito di annullamento per porre rimedio ai vizi di cui all’art. 21 octies, comma 1, della legge n. 241/1990;
– tale discrezionalità non si confonde, anzi prescinde dal tipo di potere esercitato col provvedimento viziato;
 – l’esercizio della discrezionalità stessa va motivata in modo più o meno stringente e non tautologico (c.d. “in re ipsa”), poiché non pare sussistere un interesse pubblico in senso assoluto sempre e comunque tanto forte, da elidere ogni diversa soluzione e da coincidere, in pratica, nel mero ripristino della legalità violata;
 – tale motivazione sarà, quindi, più o meno doviziosa ed articolata, ma sempre su un interesse pubblico concreto, cioè a seconda sia del tipo di assetto di interessi formatosi col provvedimento viziato, sia del tempo trascorso tra esso e quello in cui la P.A. vuol intervenire per porvi rimedio, sia dell’efficacia istantanea, o no, dell’ampliamento della sfera giuridica del destinatario;
– l’affidamento di quest’ultimo alla serietà ed alla stabilità di tal assetto deve essere a sua volta serio e incolpevole, di talché l’obbligo di motivazione diminuisce sensibilmente a fronte d’un illecito del destinatario prima dell’esercizio del potere originario o se il vizio che ne colpisce la manifestazione sia stato indotto, prima o nella fase d’esecuzione del provvedimento viziato, dal destinatario e viceversa, ove l’errore sia provocato dall’agire incauto della P.A.;
– tal affidamento è presunto (oggi juris et de jure) dal lungo tempo trascorso e viceversa, onde l’intervento più rapido possibile della P.A. nell’autocorrezione dei propri errori ne esprime la capacità di buon governo dei principi costituzionali d’imparzialità e di efficacia e, se non ne elide del tutto l’obbligo di motivazione, le consente di far legittimamente emergere la preponderanza di un interesse pubblico ancora attuale alla regolazione legittima e corretta della fattispecie, quand’anche vi sia un diverso interesse del destinatario.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 3586 del 20 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano, dopo aver richiamato il principio secondo il quale l’autorità cui è rivolta l’istanza per ottenere un titolo edilizio non deve compiere indagini approfondite al fine di appurare l’effettiva sussistenza della legittimazione, ma deve limitarsi ad effettuare valutazioni sommarie, basate su prove di facile apprezzamento, e ciò in quanto, da un lato, essa non è deputata a dirimere le eventuali controversie che insorgono fra le diverse proprietà e, da altro lato, i titoli edilizi non pregiudicano comunque i diritti dei terzi, precisa che:
- è sufficiente che la pubblica amministrazione accerti perlomeno la sussistenza di un titolo di legittimazione, senza che sia poi necessario effettuare complesse ed approfondite indagini circa i limiti dei diritti che tale titolo attribuisce al richiedente e circa la validità ed efficacia del titolo stesso;
-  questa basilare attività accertativa non può ritenersi compiuta nel caso in cui, a fronte di DIA aventi ad oggetto l’ampliamento e la realizzazione di finestre che si affacciano direttamente su un fondo altrui, non è stato acquisito il titolo che consente al richiedente di incidere sui diritti appartenenti al proprietario di tale fondo; diritti sanciti dagli artt. 905 e 1067, primo comma, cod. civ., i quali vietano l’apertura di vedute poste sul confine di proprietà e l’aggravamento di servitù esistenti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1599 del 12 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, con riferimento alle aree tutelate ai fini paesaggistici per legge e segnatamente alla disposizione di cui all’art. 142, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, precisa che:
- occorre distinguere, nell’ambito dei corpi idrici, tra fiumi e torrenti da un lato e corsi d’acqua dall’altro;
- questi ultimi vanno considerati come categoria residuale, comprensiva delle acque fluenti di minore portata (p. es. ruscelli ("piccolo corso d'acqua"), fiumicelli ("piccolo fiume"), sorgenti ("punto di affioramento di una falda d'acqua"), fiumare ("corso d'acqua a carattere torrentizio");
- per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi esiste di per sé, in base all'art. 822 cod. civ., e conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dall'iscrizione in elenchi, laddove solo per le acque fluenti di minori dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d'acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro rilevanza paesaggistica, l’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche;
- gli elenchi, l’iscrizione nel quali rileva ai fini della costituzione del vincolo, non sono solo quelli cui espressamente fa rinvio la lett. c) dell’art. 142, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio (e cioè quelli “previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775”), perché a essi debbono essere considerati funzionalmente equiparabili altri elenchi pubblici, quali in concreto quelli approvati con i regi decreti 22 gennaio 1922 e 27 marzo 1927, adottati sulla base del regio decreto 14 agosto 1920, n. 1285;
- in tema di tutela del paesaggio, la norma di cui all'art. 1 sexies del decreto-legge n. 312/1985, come aggiunto dalla legge di conversione, riguarda anche i vincoli di immodificabilità relativa e, di conseguenza, si riferisce anche agli interventi in zona sottoposta a vincolo paesistico senza il prescritto nulla osta regionale; ne deriva che nelle zone ad inedificabilità relativa (coste, fiumi, ecc.) il vincolo è operante a prescindere dall'adozione dei piani paesistici regionali: è, quindi, sempre necessaria l'autorizzazione paesistica per opere che possono stabilmente alterare l'ambiente.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3230 del 30 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ha annullato alcune prescrizioni del Piano Territoriale Regionale d’Area “Media e Alta Valtellina”, relativo alla Provincia di Sondrio, approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. X/97 del 30 luglio 2013, ai sensi dell’art. 21, comma 6, della legge regionale n. 12/2005, su ricorso proposto da alcuni comuni della provincia di Sondrio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1659 del 21 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte di Cassazione penale esclude la possibilità di eseguire interventi soggetti a d.i.a. (ora s.c.i.a.) su manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, chiarendo che non è applicabile il regime della d.i.a. a lavori edilizi che interessino detti manufatti, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Terza penale, n. 30168 del 15 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb, al seguente indirizzo


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 167 del 19 luglio 2017 è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 27 giugno 2017 recante le “Modalità di versamento del contributo unificato per i ricorsi promossi dinanzi al giudice amministrativo, per i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica e per i ricorsi straordinari al Presidente della Regione siciliana”.



Il Consiglio di Stato considera irregolare un ricorso in appello redatto in forma cartacea e notificato a mezzo posta, con la sola sottoscrizione autografa, privo di firma digitale e di attestazione di conformità all’originale digitale e ne ordina la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 44, c. 2, c.p.a.

L’ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3397 in data 11 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Palermo precisa che, ai fini della notifica telematica di un atto processuale ad una amministrazione pubblica, non può utilizzarsi qualunque indirizzo p.e.c., ma solo quello inserito nell’apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012, conv. in L. n. 221/2012, richiamato dall’art. 14 del D.M. 16 febbraio 2016 n. 40, e conseguentemente, in assenza della costituzione dell’amministrazione intimata, dichiara inammissibile un ricorso notificato ad altro indirizzo p.e.c. non inserito in detto registro.

La sentenza del TAR Sicilia, Palermo, Sezione Terza, n. 1842 del 13 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




La Corte di Giustizia UE ritorna sulla responsabilità ambientale, basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale e statuisce quanto segue:

«Le disposizioni della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione.
2) L’articolo 16 della direttiva 2004/35 e l’articolo 193 TFUE devono essere interpretati nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, ai sensi della quale non solo i proprietari di fondi sui quali è stato generato un inquinamento illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di tale danno ambientale, ma nei loro confronti può anche essere inflitta un’ammenda dall’autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare».

Il diritto interno ungherese scrutinato dalla Corte prevede che, salvo prova contraria, la responsabilità ricada in solido tanto sul proprietario quanto sull’utilizzatore dell’immobile «in cui ha avuto luogo la condotta dannosa per l’ambiente o recante minaccia rischio per l’ambiente», e che la responsabilità del proprietario sia esclusa soltanto se indichi l’utilizzatore effettivo dell’immobile e dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non aver causato egli stesso il danno.
Secondo la Corte, tale previsione rafforza il regime di responsabilità previsto dalla direttiva 2004/35 e poiché, senza compromettere il principio della responsabilità ricadente in primo luogo sull’utilizzatore, ha la finalità di evitare una carenza di diligenza da parte del proprietario e di incoraggiare lo stesso ad adottare misure e a sviluppare pratiche idonee a minimizzare i rischi di danni ambientali, essa contribuisce a prevenire il danno ambientale e conseguentemente alla realizzazione degli obiettivi della direttiva 2004/35.
In particolare, nella sentenza si precisa che tale normativa nazionale comporta che i proprietari di beni immobili nello Stato membro interessato, per evitare di essere ritenuti solidalmente responsabili, debbano sorvegliare il comportamento degli utilizzatori dei loro beni e segnalarli all’autorità competente in caso di danno ambientale o minaccia di tale danno; conseguentemente il diritto interno ungherese rafforza il meccanismo previsto dalla direttiva 2004/35 identificando una categoria di persone che possono essere ritenute responsabili in solido con gli utilizzatori e trova fondamento nell’articolo 16 della direttiva 2004/35, il quale, letto congiuntamente all’articolo 193 TFUE, autorizza misure di protezione rafforzate, purché compatibili con i Trattati UE e TFUE e notificate alla Commissione europea.
Aggiunge, poi, la Corte che quando uno Stato membro, conformemente all’articolo 16 di detta direttiva e all’articolo 193 TFUE, e nel rispetto di tutte le altre disposizioni pertinenti e dei principi generali di diritto dell’Unione, identifica detti proprietari dei fondi come responsabili in solido, può prevedere sanzioni che contribuiscano all’efficacia di tale regime di protezione rafforzata; un’ammenda amministrativa inflitta al proprietario di un fondo a causa di un inquinamento illecito da lui non impedito e di cui non indica l’autore, può quindi rientrare nel regime di responsabilità facente capo al combinato disposto dell’articolo 16 della direttiva 2004/35 e dell’articolo 193 TFUE, purché la normativa che prevede un’ammenda simile, in conformità al principio di proporzionalità, sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata perseguito dalla normativa che istituisce la responsabilità solidale, e le modalità di determinazione dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo

La sentenza della Corte di Giustizia UE, seconda Sezione, del 13 luglio 2017 (causa C-129/16) è consultabile sul sito della Corte di Giustizia UE al seguente indirizzo.


Si allega il comunicato predisposto dall'Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti in relazione alle notizie di stampa diffuse a seguito del provvedimento cautelare del Consiglio di Stato, con il quale è stato sospeso lo svolgimento di un concorso a 40 posti di infermiere.


Il TAR Milano procede, in materia di disciplina del vincolo culturale indiretto, a una ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali in ordine alle modalità di esercizio del potere di vincolo e precisa:
- secondo la giurisprudenza più risalente, la disciplina del vincolo indiretto sarebbe stata rimessa ad una stretta valutazione dell’Amministrazione, potendo riguardare anche un immobile non prossimo al monumento da tutelare, purché comprensibile nel suo immediato contesto territoriale, ancorché dovesse, altresì, valutarsi tale vincolo in rapporto alla natura, alle caratteristiche ed all’ubicazione dei beni da preservare;
-  si è però precisato che tale disciplina non possa prescindere dal rispetto dei principi di adeguatezza, congruenza, ragionevolezza e proporzionalità, indipendentemente dalle possibili limitazioni invocabili in attuazione dell’esercizio del diritto di proprietà;
- dal punto di vista della ponderazione della misura, l’ampiezza della zona da preservare in via indiretta non può essere determinata aprioristicamente, dipendendo da un concreto apprezzamento sulla natura e conformazione del bene direttamente tutelato e dallo stato dei luoghi che lo circondano;
- l’estensione del vincolo indiretto potrebbe eccedere dalla corretta cura dell’interesse garantito dalla legge nel caso in cui si dimostrasse la mancata lesione non tanto (e non soltanto) dell’integrità del bene tutelato, ma anche la mancata compromissione della prospettiva o della luce (quindi la possibilità di garantire la visibilità complessiva dell’immobile vincolato), ovvero l’alterazione delle condizioni di ambiente e di decoro;
- l’interpretazione letterale dell’art. 45 del D.lgs. 42/2004 sottende il riconoscimento all’Amministrazione dei beni culturali del potere discrezionale sia nella determinazione del tipo di prescrizioni da adottare sia nella possibilità di incidere sugli strumenti urbanistici, fino, addirittura, ad imporre limiti di inedificabilità; il contenuto delle prescrizioni di tutela indiretta è, quindi, certamente caratterizzato da notevole ampiezza, suscettibile di trasfondersi nella fissazione di distanze di rispetto e di peculiari misure di compressione dello jus aedificandi, il tutto nell’ottica di garantire i valori pianamente richiamati nella citata disposizione;
- ciò, tuttavia, non esclude che il potere discrezionale sia soggetto ai principi di proporzionalità ed adeguatezza con riferimento a tutti gli interessi coinvolti e questo specialmente per la disciplina del c.d. vincolo indiretto, che non riguarda le caratteristiche intrinseche del bene oggetto di tutela (come è per il vincolo diretto), ma la preservazione – parimenti problematica – di un “contesto”;
- la giurisprudenza ha, pertanto, maturato una visione evoluta dalla disciplina in esame, affermando che soprattutto quando il vincolo comporti limitazioni delle facoltà proprietarie, occorra ponderare la misura del sacrificio imposto ai diritti dominicali secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità;
- in particolare, la proporzionalità:
1) rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all’oggetto principale da proteggere, per cui l’azione di tutela indiretta deve essere contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta: va, cioè, posta in rapporto all'esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell’oggetto materiale;
2) è, altresì, connessa alla ragionevolezza, che si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo, che, avendo connotazione atipica, va esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto, senza trasmodare in decisioni che risultino eccedenti rispetto alle finalità di tutela dell’istituto giuridico in questione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1610 del 12 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione, Sezione Seconda, aderisce al recente orientamento secondo il quale il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni acustiche illecite è risarcibile indipendentemente da un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita famigliare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della CEDU, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi; ne consegue che, considerata la natura del pregiudizio oggetto di tutela, la relativa prova può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda, n. 16408 del 4 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb, al seguente indirizzo.


Con delibera X/6825 del 30/06/2017 la Giunta regionale della Lombardia ha approvato la relazione annuale sullo stato della pianificazione territoriale in Lombardia, edizione 2016, trasmettendo la relativa deliberazione al Consiglio Regionale ai sensi dell’art. 5 comma 1 della l.r. 12/2005.

La relazione è redatta dall'Osservatorio Permanente della Programmazione territoriale L'Osservatorio Permanente della Programmazione Territoriale, previsto dall'art. 5 della l.r. n. 12/2005, cui spetta, tra l'altro

monitorare periodicamente il livello di consumo dei suoli e lo stato di inutilizzo di spazi aperti e/o edificati in tutto il territorio lombardo attraverso l'utilizzo degli strumenti conoscitivi di cui all'articolo 3 e del supporto degli enti del sistema regionale.
La relazione è scaricabile dal sito di Regione Lombardia alla pagina


Il TAR Milano aderisce all’orientamento secondo il quale nel giudizio risarcitorio che si svolge davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63, co. 1 e 64, co. 1, c.p.a. (secondo cui l’onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio; pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda; conseguentemente, in relazione ai danni da mancato tempestivo esercizio dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del pregiudizio, specie perché ha natura patrimoniale, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo in quanto surroga l’onere di allegazione dei fatti; e se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici per fornire la prova dell’esistenza del danno e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e, quando il soggetto onerato di tale allegazione non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 c.c. perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1608 del 12 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che nelle gare pubbliche, in caso di avvalimento avente a oggetto il requisito di capacità economica finanziaria, rappresentato dal fatturato sia globale che specifico, la prestazione oggetto specifico dell'obbligazione è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell'impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi materiali, ma dal suo impegno a garantire con le proprie complessive risorse economiche, il cui indice è costituito dal fatturato, l'impresa ausiliata; in sostanza, ciò che l’impresa ausiliaria mette a disposizione della impresa ausiliata è il suo valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di settore, dei quali il fatturato costituisce indice significativo; ne consegue che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad indici materiali atti ad esprimere una determinata consistenza patrimoniale e, dunque, alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare con precisione, essendo sufficiente che da essa dichiarazione emerga l'impegno contrattuale della società ausiliaria a mettere a disposizione la sua complessiva solidità finanziaria e il suo patrimonio esperienziale, garantendo con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità.
Aggiunge il Consiglio di Stato che quando invece l’avvalimento si pone al di fuori dell’ambito del c.d. avvalimento di garanzia, consistendo nella messa a disposizione da parte dell'impresa ausiliaria di una risorsa (capacità organizzativa e professionale) ben determinata, non si può comunque configurare la nullità del contratto di avvalimento nel caso in cui una parte dell'oggetto del contratto di avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata fosse tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento e ciò anche in applicazione degli artt. 1346, 1363 e 1367 cod. civ. 

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 3422 in data 11 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento si veda anche: TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1589 in data 11 luglio 2017 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione, in tema di indebito arricchimento della P.A. in materia di appalti pubblici, precisa che:

  • il tema del riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, ma l'ente pubblico può eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole e che si trattò, quindi, di "arricchimento imposto";
  • le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell'ambito del principio di diritto comune dell'arricchimento imposto, in ragione del quale l'indennizzo non è dovuto se l'arricchito ha rifiutato l'arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole dell’eventum utilitatis;
  • a detta soluzione deve ricondursi l'ipotesi delle opere aggiuntive eseguite dall'appaltatore in assenza di qualsiasi valida richiesta o autorizzazione e, quindi, in violazione di uno specifico precetto normativo;
  • all'appaltatore che abbia posto in essere varianti arbitrarie, l'indennizzo ex art. 2041 cod. civ. non compete non già per l'inammissibilità dell'actio de in rem verso nei confronti della Pubblica amministrazione, ma per l'assorbente ragione della vigenza di un precetto legislativo che lo esclude in modo espresso.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima, n. 15937 del 27 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.


Il TAR Milano, a fronte di una domanda di accesso agli atti della seconda classificata in graduatoria in una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, avente ad oggetto l’esibizione ed estrazione di copia dell’offerta tecnica presentata in gara dalla società aggiudicataria, precisa che:
  • secondo l’esplicita formulazione dell’art. 53, comma 6,del d.lgs. n. 50/2016, l’accesso a tutti gli atti della procedura selettiva deve essere garantito, anche in presenza di segreti tecnici o commerciali, al concorrente che miri a difendere in giudizio i “propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”;
  • il forte distacco conseguito nel punteggio tecnico all'esito della valutazione comparativa e la mancata proposizione di un ricorso contro l’aggiudicazione definitiva non precludono l’applicabilità della norma sopra citata, poiché la possibilità di difendere in giudizio i propri interessi “in relazione alla procedura di affidamento del contratto” è da considerarsi, nella sostanza, sussistente, in vista della proposizione concreta di una domanda di risarcimento del danno per equivalente, il cui presupposto è l’illegittimità della condotta tenuta dalla stazione appaltante proprio nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica che è sfociata nell’aggiudicazione della gara alla controinteressata.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1539 del 7 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa la seguente indirizzo.


Il TAR Toscana rigetta la tesi secondo cui il piano particolareggiato, nella sua funzione attuativa delle scelte pianificatorie a monte, risulterebbe interamente vincolato ad esse, sino al punto di dover dare integrale attuazione alla volumetria massima edificabile prevista nello strumento urbanistico generale, che non potrebbe essere in alcun modo ridimensionata e rideterminata.

Osserva al riguardo che:

  • l’Amministrazione comunale in sede di adozione del piano particolareggiato, pur all’interno degli indirizzi fissati nella pianificazione generale, conserva il potere di effettuare scelte discrezionali, poiché la pianificazione attuativa costituisce pur sempre espressione della potestà pianificatoria, seppur declinata in ottica più specifica e operativa, con la sussistenza di margini di discrezionalità che a ciò si correlano;
  • la pianificazione attuativa è innervata da valutazioni eminentemente discrezionali in ordine non solo al quomodo, ma pure al quando;
  • in sede di approvazione di un piano attuativo, al Comune spetta un'ampia discrezionalità valutativa, che non verte solo sugli aspetti tecnici della conformità o meno del piano attuativo agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma coinvolge anche l'opportunità di dare attuazione, in un certo momento e a determinate condizioni, alle previsioni dello strumento urbanistico generale, sussistendo fra quest'ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza.

La sentenza del TAR Toscana, Sezione Terza, n. 906 del 5 luglio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ritorna sulla distinzione intercorrente tra gli istituti della “cessione perequativa” e della “cessione compensativa” e precisa che:
  • la cessione perequativa è prevista dall’art. 11, comma 1 e 2, della L.R. 12/05 ed è alternativa all’espropriazione perché non prevede l’apposizione di un vincolo pre-espropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici, ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune;
  • la cessione compensativa invece si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree;
  • il primo e fondamentale tratto distintivo tra la cessione perequativa e quella compensativa attiene alla circostanza che solo la seconda presuppone l’imposizione di una destinazione del suolo al soddisfacimento di esigenze di interesse pubblico, che è invece estranea alla prima;
  • l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa, ai proprietari delle aree destinate all’edificazione;
  • in presenza di un PGT che non determina specificamente le aree di atterraggio, ma consente l’utilizzazione dei diritti edificatori su diverse porzioni del territorio comunale, consentendo agli interessati un amplio ventaglio di possibilità per spendere le volumetrie loro attribuite in caso di cessione delle aree, negoziando tale spendita con i proprietari delle aree di potenziale atterraggio, è ragionevole che siano stati previsti dei limiti specifici alla possibilità di “accogliere” i diritti eventualmente sviluppati dalla cessione delle aree dei ricorrenti, nonché dei limiti massimi alla destinazione residenziale; ciò in quanto l’Amministrazione deve pur sempre assicurare la sostenibilità complessiva dell’assetto urbanistico derivante dal piano e la rispondenza della quantità di nuove edificazioni residenziali alle concrete esigenze abitative riscontrate sul territorio, non potendo essa abdicare al governo di tali aspetti, che costituisce il proprium della funzione pianificatoria.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1468 del 30 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si ricorda che venerdì 7 luglio 2017, dalle 15:00 alle 18:00, a COMO, presso il Tribunale Ordinario, Aula Magna, si terrà l’evento con titolo: “Il contributo degli avvocati all’efficienza ed efficacia del giudizio come dovere deontologico”, con relatori l’avv. Virginia Manzi e l’avv. Vincenzo Spezziga.
Le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera, accedendo alla sezione degli eventi dell'Ordine degli Avvocati di Como.
La partecipazione è gratuita e dà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti formativi in materia obbligatoria.


Il Consiglio di Stato ritiene inammissibile il ricorso, con il quale  si censura la legittimità dell’operato dell’amministrazione nella valutazione delle offerte presentate e si contesta la posizione dei singoli concorrenti che precedono il ricorrente in graduatoria, non notificato a tutti concorrenti  la cui posizione è in contestazione; in questo caso, proprio perché il ricorrente intende conseguire l’aggiudicazione dell’affidamento in suo favore, il ricorso, pur unitariamente proposto, si articola in realtà di tante autonome domande quante sono i concorrenti che precedevano il ricorrente ed ognuna di queste parti era l’unico soggetto controinteressato al quale andava necessariamente notificato il ricorso; in altri termini, stante la scindibilità e l’autonomia delle domande introdotte col ricorso che riguardavano esclusivamente e singolarmente le imprese che precedevano il ricorrente, non può essere sufficiente a considerare validamente instaurato il rapporto processuale di primo grado la notifica dello stesso ad uno solo dei controinteressati (nel caso di specie l’aggiudicatario), atteso che trattasi in definitiva di più autonome domande cui corrispondevano diversi e distinti controinteressati.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2906 del 14 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Napoli aderisce ai più recenti sviluppi giurisprudenziali, registratisi a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, i quali hanno ampliato il ventaglio dei casi in cui può trovare ingresso l’immediata contestazione delle regole poste a base della gara, con specifico riferimento alla scelta del criterio di aggiudicazione, e reputa sussistenti i presupposti per esperire l'azione di annullamento attraverso l'immediata impugnazione della regola di gara basata sul criterio del massimo ribasso e segnatamente: a) la posizione giuridica legittimante avente a base, quale interesse sostanziale, la competizione secondo meritocratiche opzioni di qualità oltre che di prezzo; b) la lesione attuale e concreta, generata dalla previsione del massimo ribasso in difetto dei presupposti di legge; c) l'interesse a ricorrere in relazione all'utilità concretamente ritraibile da una pronuncia demolitoria che costringa la stazione appaltante all'adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ritenuto dalle norme del nuovo codice quale criterio ordinario e generale.

La sentenza del TAR Campania, Napoli, Sezione Quinta, n. 3437 del 23 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, una tensostruttura collocata sul terrazzo, costituita da una pergola in metallo corredata da tenda in PVC con movimento elettrico per una superficie coperta pari a 32, 76 metri quadri, non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità, dell’assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (retraibile a mezzo di motore elettrico); la stessa deve, invece, qualificarsi alla stregua di arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all’appartamento cui accede, in quanto tale riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 3172 del 28 giugno 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.