Il TAR Milano precisa che, in relazione alle ipotesi in cui i fatti considerati dall’amministrazione siano oggetto di un procedimento penale, deve riconoscersi alla stazione appaltante la facoltà di escludere un concorrente per ritenuti “gravi illeciti professionali” a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, ma resta ferma la necessità che il potere esercitato dall’amministrazione sottenda un’adeguata istruttoria, un compiuto contraddittorio e una congrua motivazione.
Aggiunge il TAR che è certamente vero che, mentre nel processo penale deve essere raggiunta la prova piena degli elementi del reato contestato, un’amministrazione aggiudicatrice che intenda escludere un operatore economico deve solo dimostrare i fatti che ne rendano dubbia l’integrità e affidabilità; nondimeno, il fatto in sé del rinvio a giudizio, seppure per un grave reato commesso, in ipotesi, in correità con funzionari comunali, non è espressivo dell’inaffidabilità dell’operatore, perché nella materia in esame non è configurabile alcun automatismo, ma si impone all’amministrazione, dotata di poteri discrezionali, di procedere ad un vaglio accurato degli elementi di fatto a disposizione, delle risultanze istruttorie, dei supporti probatori e delle risultanze del confronto dialettico con l’operatore interessato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1724 del 24 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato ribadisce il principio per cui le previsioni di cui all'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 — riguardanti la distanza minima da osservarsi tra edifici — essendo funzionali a garantire non tanto la riservatezza, quanto piuttosto l'igiene e la salubrità dei luoghi e la formazione di intercapedini dannose, devono considerarsi assolutamente inderogabili da parte dei Comuni, che si devono attenere ad esse in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici; inoltre, traendo le norme del succitato d.m. n. 1444 del 1968 la propria efficacia dall'art. 41 quinquies comma 8, l. 17 agosto 1942, n. 1150 — in tale parte non abrogato dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 — le relative previsioni devono considerarsi avere una efficacia immediatamente precettiva e tale da potersi sostituire alle eventuali norme di piano regolatore ad esse non conformi; pertanto, ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 3280 del 21 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, ha esaminato lo schema di decreto ministeriale che introduce modifiche alla disciplina regolamentare delle specializzazioni forensi prevista dall'articolo 9 della legge n. 247 del 2012, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5575/2017, depositata il 28 novembre 2017, con la quale sono state confermate le sentenze del T.A.R. Lazio che avevano parzialmente annullato il decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, limitatamente alle disposizioni relative all'elenco dei settori di specializzazione e alla disciplina del colloquio diretto ad accertare la comprovata esperienza necessaria per ottenere il titolo di specialista anche in assenza del compimento dei previsti percorsi formativi specialistici.
La Sezione Consultiva ha ravvisato rilevanti criticità nella scelta dei settori per i quali sono stati definiti gli ambiti e per alcune omissioni nella identificazione di tali ambiti e ha ritenuto necessario procedere alla audizione delle amministrazioni interessate (Ministero della Giustizia e Consiglio Nazionale Forense) in una apposita adunanza della Sezione.

Il parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, n. 1347 del 2 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di precisi requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo:
- i primi dei quali, rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri;
- i secondi, invece, integrati dalla identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi.
IL TAR aggiunge che, nell’ipotesi in cui il ricorso collettivo, in presenza verificata degli altri presupposti di ammissibilità innanzi indicati, preveda sia (come è necessario) motivi comuni a tutti i ricorrenti (rivolti avverso gli stessi atti e dunque riconducibili ad una medesima posizione sostanziale), sia motivi riferibili solo ad alcuni di essi, il ricorso proposto non può tuttavia essere considerato totalmente inammissibile, dovendosi invece limitare la declaratoria di inammissibilità solo ai motivi non comuni.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 699 del 15 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato ricorda che la giurisprudenza civile è concorde nell’affermazione del principio secondo cui quando, al fine di stabilire le distanze legali tra costruzioni sporgenti dal suolo, i regolamenti edilizi dettano i criteri per la misurazione delle altezze dei fabbricati frontistanti, queste devono essere determinate con riferimento al piano di posa, che è quello dell'originario piano di campagna e non la quota di terreno sistemato.
Aggiunge che lo stesso Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che la tesi di far derivare la quota del piano di campagna dalle scelte progettuali e non – come invece logico e naturale – dallo stato di fatto del terreno, tende a dare un’interpretazione capziosa della nozione di “opere di sistemazione” del terreno che sono non tutte quelle scelte dal progettista, ma quegli interventi di minima entità necessari a conformare il terreno alla futura attività edilizia (dissodamento, livellamento e interventi analoghi), ma non certo ad alterarne la caratteristiche naturali; altrimenti, si perverrebbe alla conclusione assurda che lo stacco dell’edificio dal terreno non sia ancorato a dati certi ed obiettivi, ma a scelte arbitrarie ed insindacabili del proprietario dell’immobile.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5034 del 18 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Secondo il Consiglio di Stato va annullata, con rinvio al giudice di primo grado, una sentenza resa in forma semplificata nella camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare che si fonda su un documento acquisito agli atti nonostante il superamento del termine di due giorni liberi prima della camera di consiglio (previsto dall’art. 55, comma 5, c.p.a.), e nonostante la controparte non abbia consentito il deposito tardivo, atteso che il mancato consenso della controparte al deposito tardivo di documenti si risolve in un vizio del contraddittorio e in violazione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, n. 5075 del 18 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.




Secondo il TAR Milano, la verifica dell’esistenza in un procedura di gara di un “unico centro decisionale”, recte della imputabilità delle offerte a tale unico centro deliberativo, deve essere effettuata ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l’esistenza dell’unicità soggettiva sostanziale; ciò che rileva è la significanza complessiva (e non già parcellizzata) degli elementi fattuali connotanti la azione delle imprese coinvolte, in vista della gara e nel corso delle gara: l’applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. m), d.lgs. 50/2016, si imporrà solo allorquando potrà escludersi in nuce – secondo l’id quod plerumque accidit – la “fisiologia” delle offerte formulate dai partecipanti, come costituenti il frutto non già di scelte autonomamente formulate, bensì di valutazioni “etero-guidate” e previamente stabilite tra le parti, in guisa da precostituire una posizione collettiva di superiorità informativa rispetto alla platea degli altri ignari concorrenti, sfruttandola al fine di ottenere la aggiudicazione della pubblica commessa in favore di uno dei partecipanti all’accordo.
Aggiunge il TAR che è d’altro canto indispensabile, in subiecta materia, il ricorso alla prova presuntiva, ciò che costituisce un modus operandi assolutamente necessitato nella vicenda in questione, così come in tutte le vicende in cui si tratti di far emergere, nell’interesse generale, fatti e circostanze che i protagonisti hanno l’interesse a celare; di qui l’inevitabile ricorso al ragionamento deduttivo stante la ovvia difficoltà (quando non l’impossibilità) di reperire prove dirette (c.d. smoking gun) di fatti o circostanze occulte o occultate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1688 del 19 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 78 e 79 del D.P.R. n. 380/2001, le opere dirette all’abbattimento delle barriere architettoniche possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile; non risulta, dunque, applicabile in tali casi la previsione di cui all’articolo 9 del D.M. 1444/1968, atteso che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 79 del D.P.R. n. 380/2001 porta ad estendere la deroga delle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi (dettate nel comma 1 dell’art. 79 cit.) anche agli atti di normazione primaria, con il corollario di dover limitare al dato testuale il richiamo all’articolo 873 c.c.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1659 del 17 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Si ricorda che venerdì 27 settembre 2019, dalle 15:00 alle 18:00, a Lecco, Sala don Ticozzi, via Ongania 4, si terrà l’evento formativo “Procedura fallimentare, accordi e provvedimenti amministrativi” (relatori: dott. Dario Colasanti e avv. Stefano Calvetti).

Le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera, accedendo alla sezione degli eventi dell'Ordine degli Avvocati di Lecco.

La partecipazione è gratuita e dà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti formativi.


La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia 26 maggio 2017, n. 16, recante «Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato)», nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente.
Secondo la Corte, la norma impugnata non supera, ai sensi del legittimo esercizio del principio di sussidiarietà verticale, il test di proporzionalità con riguardo all’adeguatezza e necessarietà della limitazione imposta all’autonomia comunale in merito a una funzione amministrativa che il legislatore statale ha individuato come connotato fondamentale dell’autonomia comunale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 16 luglio 2019 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.




Secondo il Consiglio di Stato non può ammettersi il soccorso istruttorio in sede di comprova dei requisiti, attesa non solo l’inesistenza della carenza di un elemento formale della domanda, ma anche la natura perentoria del relativo termine, con conseguenze immediatamente escludenti, laddove, al contrario, il soccorso istruttorio equivarrebbe ad una sostanziale rimessione in termini.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4789 del 9 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato chiarisce che la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi non discende dalla collocazione del vincolo in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma va operata in relazione agli effetti dell'atto di pianificazione; se quest’ultimo mira ad una zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell'intera area in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un'opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3190 del 17 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, con riferimento alla c.d. condotta fraudolenta o fuorviante, integrante la causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c), (oggi c-bis) ovvero lettera f-bis), D.Lgs. n. 50/2016, precisa che le precitate disposizioni, nel consentire l’espulsione dalla gara dell’operatore economico che fornisca informazioni false o fuorvianti, idonee a influire in modo notevole sul processo decisionale della stazione appaltante, in relazione al pregio tecnico delle offerte ovvero all’individuazione dell’aggiudicatario, mirano a preservare l’interesse dell’Amministrazione a non trattare con operatori economici che non diano sufficienti garanzie in ordine alla propria affidabilità morale e professionale; si tratta di preservare un interesse pubblico particolarmente delicato, ma tuttavia la sanzione espulsiva, proprio per la gravità delle conseguenze che comporta per l’operatore economico che la subisce, richiede un accertamento approfondito della situazione fattuale.
Aggiunge il TAR che affinché possa ritenersi concretizzata la condotta suscettibile di sanzione espulsiva, è necessario tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi comprese le condizioni soggettive del destinatario delle dichiarazioni false o fuorvianti; operando un parallelismo, occorre operare un’indagine non dissimile da quella che consente l’applicazione dei rimedi previsti dagli articoli 1439 e 1440 Cod. civ. per gli accordi negoziali conclusi tra privati e, dunque, come gli artifici e raggiri sono causa di annullamento del contratto (nel caso di dolo determinante) ovvero di risarcimento del danno (nel caso dolo incidente), se sono idonei a trarre in inganno un contraente di normale diligenza, avuto riguardo alle relative condizioni soggettive, così le dichiarazioni false e fuorvianti sono cause di espulsione se idonee a trarre in inganno una commissione di esperti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1575 del 9 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che le convenzioni urbanistiche (alle quali è assimilabile l’atto unilaterale d’obbligo che accede a un titolo abilitativo) sono la sede naturale per introdurre criteri diversi di compensazione tra gli oneri concessori e le opere di interesse pubblico eseguite direttamente a spese dei privati; per quanto riguarda questi ultimi, le posizioni giuridiche relative agli oneri concessori sono considerate disponibili, e dunque non vi sono ostacoli alla definizione di un sinallagma che preveda anche l’accettazione di condizioni meno vantaggiose rispetto a quelle risultanti dalla normativa regionale o comunale, purché sia salvaguardata l’utilità economica finale dell’intervento edilizio.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 624 del 3 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


In base all’interpretazione più restrittiva alla quale aderisce il TAR Piemonte se un termine calcolato a ritroso cade di sabato, il termine ultimo è il venerdì precedente (se è un giorno lavorativo).

La sentenza del TAR Piemonte, Sezione Prima, n. 354 del 28 marzo 2019 (Pres. Giordano, Est. Risso) è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il Consiglio di Stato ricorda che le concessioni di beni pubblici sono ricondotte dalla Corte di Giustizia UE alle locazioni di beni immobili (Corte di Giustizia UE, 25 ottobre 2007, in causa C-174/06), e sono espressamente escluse dall'ambito di applicabilità delle concessioni di servizi (cfr. il 15° considerando della Dir. 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione), salva l'applicazione dei princìpi generali in materia di contratti pubblici.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 4795 del 9 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato richiama i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di ricorso cumulativo e precisa quanto segue:
- nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi - motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo;
- nel processo amministrativo il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa;
- la cumulabilità delle impugnative impone che tra gli atti gravati deve potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione;
- il cumulo delle cause richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale);
- sono preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro: in questi casi, infatti, si verifica una non giustificata “confusione” tra cause che possono dare origine a fenomeni di abuso processuale, in relazione al mancato versamento del contributo unificato, ledendo nel contempo anche il principio del giusto processo di cui all’art. 2 c.p.a. rallentando la definizione della controversia;
- con specifico riferimento alle gare di appalto pubbliche, nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione può essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto;
- l’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. ha in effetti codificato un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta;
- il cumulo di azioni è quindi ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale”; in questo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti – sebbene formalmente distinti – si fondano però sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti; in pratica, in questo genere di casi, l’impugnazione congiunta di una pluralità di atti, aventi identico contenuto, fondata sulle medesime ragioni di diritto, non comporta “confusione” tra le cause, ma anzi evita il rischio di conflitto tra giudicati.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4569 del 3 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ricorda che secondo una costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dalla esistenza di tre concorrenti elementi, che sono: a) l’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis publicae da una moltitudine indistinta di persone qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1530 del 4 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che ad escludere la rilevanza paesistica dell’opera non può considerarsi sufficiente il requisito della poca visibilità dalla strada pubblica a fronte del principio, ormai consolidato, secondo cui ai fini della valutazione di compatibilità la nozione di “visibilità” dell'opera nel contesto paesaggistico tutelato non può ritenersi limitata a particolari punti di osservazione, ma deve riguardare l'apprezzamento puntuale e concreto dell'effettiva compatibilità dell'intervento e di tutti gli elementi che ne determinano l’impatto paesaggistico, con i valori ambientali propri del sito vincolato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1523 del 1 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che l’allegato IV (punto 7.b) al d.lgs. 152 del 2006 (richiamato dalla previsione di cui all’articolo 6, comma 7, del medesimo articolato normativo) impone di assoggettare a V.I.A. i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”; in tale ipotesi la competenza spetta alla Regione, come conferma la previsione di cui all’allegato C (punto 7.b.1.) della l.r. 5 del 2010.
Aggiunge il TAR che non rileva la circostanza che le aree del soggetto attuatore abbiano superficie inferiore ai 10 ettari, atteso che ciò che va verificato è la superficie dell’intero piano (fattispecie relativa a piano attuativo di riqualificazione urbanistica in ambito industriale/terziario).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda n. 933 del 26 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione richiamano la propria recente giurisprudenza (sentenza n. 8673 del 28 marzo 2019) e ribadiscono che per definire la natura di organismo di diritto pubblico di un soggetto, alla luce dei criteri enucleati all'art. 3, lett. d), D.Lgs. 50/2016, occorre avere riguardo, in primo luogo, al tipo di attività svolta dalla società e all'accertamento che tale attività sia rivolta alla realizzazione di un interesse generale, ovvero che sia necessaria affinché la pubblica amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata e, in secondo luogo, che tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche; in particolare, in merito a quest'ultimo profilo, è necessario, in primo luogo, che la società non fondi la propria attività principale su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività i quali devono ricadere sull'amministrazione controllante; in secondo luogo, il servizio d'interesse generale che ne costituisce l'oggetto non può essere rifiutato per ragioni di convenienza economica.
In conclusione, secondo la corte di Cassazione, ai fini della qualificazione di una società come organismo di diritto pubblico, per stabilire se essa agisca per un fine di interesse generale, occorrerà procedere ad una valutazione in concreto degli elementi di fatto e di diritto che connotano l'agire della stessa.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, n. 17567 del 28 giugno 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.


Il Consiglio di Stato riassume i principi in materia di contratto di avvalimento così come codificati dalla giurisprudenza prevalente e precisa:
-  nel caso di avvalimento c.d. “tecnico od operativo”, ovvero avente a oggetto requisiti diversi rispetto a quelli di capacità economico-finanziaria, sussiste sempre l’esigenza di una messa a disposizione in modo specifico di risorse determinate: onde è imposto alle parti di indicare con precisione i mezzi aziendali messi a disposizione dell’ausiliata per eseguire l’appalto (art. 88 del regolamento di esecuzione del previgente codice dei contratti pubblici, riferimento normativo ora da individuarsi nell’ultimo inciso dell’art. 89, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, aggiunto dal d.lgs. n. 56 del 2017);
- in parte diversa è invece la figura dell’avvalimento c.d. “di garanzia”, nel quale l’impresa ausiliaria si limita a mettere a disposizione il suo valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di settore e nel quale non è conseguentemente necessario, in linea di massima, che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una certa e determinata consistenza patrimoniale, ma è sufficiente che dalla ridetta dichiarazione emerga l’impegno contrattuale a prestare e a mettere a disposizione dell’ausiliata la complessiva solidità finanziaria e il patrimonio esperienziale, così garantendo una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità;
- resta, comunque, fermo in ogni caso che, anche al di là della tipologia di requisito prestato (capacità economico-finanziaria o capacità tecnico-professionale), va esclusa la validità del contratto di avvalimento che applichi formule contrattuali del tutto generiche, ovvero meramente riproduttive del dato normativo o contenenti parafrasi della clausola della lex specialis descrittiva del requisito oggetto dell’avvalimento stesso;
- l’indagine sull’efficacia del contratto allegato al fine di attestare il possesso dei relativi titoli partecipativi deve essere svolta in concreto, seguendo i criteri ermeneutici del testo contrattuale dettati dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 23 del 2016, la quale ha richiamato le regole generali dell’ermeneutica contrattuale e, segnatamente, i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali (artt. 1363 e 1367 Cod. civ.).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4024 del 14 giugno 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che il rilascio del certificato di agibilità non appare idoneo ad attestare la conformità edilizia dell’immobile, considerati i diversi ambiti di operatività dei citati titoli, fondati su presupposti diversi e non sovrapponibili: il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i diversi piani possono convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1482 del 26 giugno 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.