Il TAR Milano precisa che «secondo la giurisprudenza condivisa dal Collegio , quando un intervento edilizio consiste - come nel caso di specie - in una pluralità di interventi, l’Amministrazione deve compiere necessariamente una valutazione globale degli stessi, in quanto la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione cfr. T.A.R. Piemonte - Torino, Sez. II, n. 825/2014; T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VI, n. 4676/2013; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, n. 584/2010; T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VI, n. 1167/2016, n. 2424/2016 e n. 2433/2016)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2232 del 23 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ritiene inammissibili le contestazioni rivolte alla proroga della validità di un Documento di Piano di un PGT che non ha innovato il contenuto dello stesso, ma ne ha semplicemente ampliato l’arco di durata temporale, senza alcuna rinnovata valutazione e in esecuzione di una facoltà espressamente prevista dall’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014, come modificato con la legge regionale n. 16 del 2017. 
Osserva la riguardo che: «Del resto, a causa delle limitazioni imposte dal richiamato comma 4 del citato art. 5 – secondo il quale “fino all’adeguamento di cui al comma 3 [ovvero all’adeguamento del P.G.T. alle disposizioni della presente legge in seguito all’integrazione del P.T.R. e all’adeguamento dei P.T.C.P.] e, comunque, fino alla definizione nel PGT della soglia comunale del consumo di suolo, di cui all’articolo 8, comma 2, lettera b-ter), della l.r. 12/2005, come introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera h), della presente legge, i comuni possono approvare varianti generali o parziali del documento di piano e piani attuativi in variante al documento di piano, assicurando un bilancio ecologico del suolo non superiore a zero” – ai Comuni risultava impedita la piena esplicazione della propria potestà pianificatoria e quindi la possibilità di aggiornare liberamente il contenuto del Documento di Piano; conseguentemente, il legislatore regionale per evitare che, in attesa dell’adeguamento dei Piani regionali e provinciali alla normativa sulla riduzione del consumo di suolo, venisse meno la validità di uno degli atti fondamentali del P.G.T., ossia del Documento di Piano (avente una validità di cinque anni: art. 8, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005), ha ammesso la possibilità di prorogarne gli effetti fino all’adeguamento dei Piani di livello sovracomunale alla legge n. 31 del 2014. Tale opzione legislativa è vieppiù comprensibile se si considera che, nella versione precedente alla modifica introdotta dalla legge regionale n. 16 del 2017, il comma 4 dell’art. 5 della legge n. 31 del 2014 limitava ancora più sensibilmente il potere comunale di intervenire in sede pianificatoria (tuttavia tale disciplina è stata ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 16 luglio 2019).
Risulta evidente che una tale proroga, ammessa dalla legge entro limiti ben precisi – sia temporali che contenutistici –, sebbene non obbligatoria, non consente di riaprire i termini processuali per mettere in discussione le scelte pianificatorie a suo tempo adottate, altrimenti verrebbe frustrata la stessa finalità di garantire la continuità della disciplina recata dal Documento di Piano, attraverso la possibile invalidazione – per via giurisdizionale – di quanto nello stesso contenuto ab origine. Tale interpretazione appare coerente con l’obiettivo perseguito dal legislatore regionale e non risulta in contrasto con i principi costituzionali, visto che rappresenta un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di garantire la continuità dell’azione amministrativa in ambito pianificatorio (ammettendo la proroga dei Documenti di Piano scaduti con una procedura semplificata) e le prerogative dei Comuni (che possono scegliere se prorogare o meno tale atto), non comprimendo eccessivamente e per un tempo troppo lungo la posizione degli amministrati (la proroga è limitata nel tempo e, per le sue caratteristiche, non consente di apportare modifiche al contenuto dell’atto prorogato)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2213 del 19 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che «l’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici) richiede, per l'accesso alle procedure ad evidenza pubblica, la necessaria sussistenza di una serie di requisiti i quali, secondo una consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, (Ad. Plen. sent. n. 8 del 2015), devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva e alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo di esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2240 del 23 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, richiamando anche la previsione contenuta nell’articolo 4-bis della L.R. 2 febbraio 2010 n. 6, evidenzia come la liberalizzazione del commercio, in conformità alla direttiva 2006/123/CE, non comporti l’impossibilità per il Comune di impedire nuovi insediamenti commerciali, purché i dinieghi siano sorretti da ragioni urbanistiche e non economiche.
Al riguardo precisa che:
«8.4. Infatti, sebbene la disciplina (nazionale e sovranazionale) relativa all’insediamento delle attività commerciali esplichi un rilevante impatto anche sugli atti di programmazione territoriale, va, comunque, considerato che questi ultimi, adottati nell’esercizio del differente potere in materia di pianificazione urbanistica, sono da considerarsi legittimi ove perseguano, come nel caso di specie, finalità di tutela dell’ambiente urbano e siano riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio (cfr. T.A.R. per l’Emilia-Romagna – sede di Parma, Sez. I, 17 marzo 2016, n. 110; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271; Id., Sez. II, 10 dicembre 2019, n. 2636).
8.5. La previsione di cui all’articolo 11 del D. Lgs. n. 59 del 2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) stabilisce, difatti, che l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio può essere subordinato al rispetto dei requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale (cfr.: comma 1, lettera e). Ugualmente le disposizioni di cui agli articoli 31 e 34 del decreto legge n. 201 del 2011 prevedono la possibilità di porre limitazioni all’insediamento di attività produttive e commerciali in determinate aree allorquando emerga la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali, trattandosi di esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione, nel rispetto del principio di proporzionalità, di atti limitativi della libera iniziativa privata (Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016). In tal modo si cerca di contemperare il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche con le dovute necessarie limitazioni alla libera iniziativa economica, laddove queste trovino puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il legislatore ha individuato (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 200 del 12 luglio 2012; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3419; Id., 1° giugno 2018, n. 3314; Id., Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 603).
8.6. In definitiva, la giurisprudenza ritiene legittime scelte di pianificazione che, nel perseguimento di interessi attinenti alla tutela dell’ambiente, della vivibilità e dell’ordinato assetto del territorio, impongano dei limiti all’insediamento di attività commerciali (cfr.: Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016; cfr., altresì, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 25 maggio 2017, n. 1166)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2139 del 12 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano, con riferimento alla previsione di cui all’articolo 21-nonies della l. 241/1990 nel testo introdotto dalla legge 7 agosto 2015 n. 124, aderisce all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 2 luglio 2018, n. 7272). 
Secondo il TAR: «Va, infatti, considerato che la nuova disposizione ancora l’esercizio del potere al momento di emanazione del primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo grado rimuove. La generalizzata applicazione del termine dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela – per i provvedimenti già emessi prima del 28 agosto 2015 – necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la stessa in un termine generale di definizione di tutti i provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già adottati prima della novella. Aderendo alla tesi pur patrocinata da parte della giurisprudenza, l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal modo, però, per gli atti adottati prima della novella il termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi sulla data di emanazione del singolo atto – come espressamente disposto dalla norma – ma, al contrario, sulla data di entrata in vigore della legge. Si perviene, così, al risultato di negare la ratio della previsione che, come detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge. Conclusione che, del resto, appare confermata dalla circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido parametro temporale di riferimento ora previsto dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit) (cfr., in giurisprudenza, Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2020, n. 632, che conferma la sentenza della Sezione del 3 ottobre 2018, n. 2200; T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. VIII, 09 luglio 2020, n. 2948)»

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2181 del 16 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano «conferma l’orientamento già espresso in altre precedenti occasioni secondo il quale la proposizione di una istanza di accertamento in conformità - successivamente all’ingiunzione di demolizione delle opere abusive – “produce l’effetto di rendere definitivamente inefficace il provvedimento sanzionatorio, essendo comunque tenuta l’Amministrazione all’adozione di un nuovo provvedimento, che sia di accoglimento o di rigetto della domanda di sanatoria, e in questo secondo caso all’emanazione di un’ulteriore misura sanzionatoria, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere (v. sent. n. 2635 del 23 novembre 2018)” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 27 marzo 2019, n. 665)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2172 del 13 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.

Per un orientamento difforme vedi il precedente post


Il TAR Milano precisa che: «Nel giudizio amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale, non essendo sufficiente a consentire l’istanza di intervento la sola circostanza per cui il proponente sia o possa essere parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella posta nell’ambito del giudizio principale (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, Ad. plen., 27 febbraio 2019, n. 4; Consiglio di Stato, sez. III, 03/07/2019, n. 4566)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2071 del 6 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che all’omessa impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara consegue l’improcedibilità dell’azione di annullamento del provvedimento di esclusione, non già l’improcedibilità dell’azione risarcitoria autonoma, proposta ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del codice del processo amministrativo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2097 del 9 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva: «come la giurisprudenza della Sezione chiarisca come i contenuti del Documento di Piano attinenti alla disciplina degli ambiti di trasformazione siano stabiliti dall’articolo 8, comma 2, lettera e), della L.r. n. 12 del 2005. La disposizione prevede, in particolare, che il Documento di Piano “individua, anche con rappresentazioni grafiche in scala adeguata, gli ambiti di trasformazione, definendone gli indici urbanistico-edilizi in linea di massima, le vocazioni funzionali e i criteri di negoziazione, nonché i criteri di intervento, preordinati alla tutela ambientale, paesaggistica e storico-monumentale, ecologica, geologica, idrogeologica e sismica, laddove in tali ambiti siano comprese aree qualificate a tali fini nella documentazione conoscitiva”.
9.1. Le previsioni contenute nel Documento di Piano “non producono effetto diretto perché, trattandosi di disposizioni di massima, da sole non sono sufficienti a definire in modo compiuto le regole di carattere urbanistico-edilizio che disciplinano gli ambiti di trasformazione; a tal fine è necessario l’intervento del piano attuativo che, attraverso le regole di dettaglio, dovrà definire in maniera puntuale il quadro giuridico ad essi applicabile, con norme aventi carattere prescrittivo” (cfr. T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, Sez. II, 7.11.2019, n. 1022).
9.2. La giurisprudenza della Sezione differenzia, sulla base del quadro normativo vigente, tra il regime giuridico degli ambiti di trasformazione e quello del tessuto urbano consolidato. Per i primi la disciplina giuridica è dettata “da una duplice fonte: il documento di piano, che li individua e detta le prescrizioni di massima che non hanno però effetto diretto sul loro regime giuridico; ed i piani attuativi che dettano invece le prescrizioni di dettaglio aventi effetti diretti sul loro regime giuridico”. Conferma, inoltre, l’inidoneità delle previsioni contenute nel documento di piano a spiegare effetti diretti trattandosi di regole di massima che necessitano di previsioni puntuali rimesse alla pianificazione attuativa (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, 5.12.2014, n. 2971; Id., 6.2.2018, n. 347). Al contrario, “per gli ambiti del tessuto urbano consolidato”, “l’art. 10, commi 2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce al Piano delle Regole la definizione delle modalità di intervento e dei parametri da rispettare negli interventi di nuova edificazione; va aggiunto, inoltre, che le indicazioni contenute nel Piano delle Regole hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli e non hanno termini di validità” (T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, Sez. II, 7.11.2019, n. 1022)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2182 del 16 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano disattende una richiesta di rinvio motivata sulla intenzione di "rivisitare" una struttura alberghiera di cui era stato denegato l’accertamento di conformità e ordinata la demolizione e precisa:
«7.1. Come osservato dal Consiglio di Stato “nell’ordinamento afferente al processo amministrativo non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso o alla cancellazione della causa dal ruolo, atteso che le stesse hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell'udienza o la cancellazione della causa dal ruolo, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque al giudice”. E “ciò, in quanto la richiesta di cancellazione della causa dal ruolo ovvero di rinvio della trattazione di una causa deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo sia regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti” (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6414; Consiglio di Stato, sez. VI, 7 ottobre 2015, n. 3911). Inoltre, va considerato come risponda “all’esigenza di ordinato svolgimento della giustizia che i ricorsi, una volta fissati, siano decisi, poiché la fissazione di un ricorso preclude, con la saturazione del ruolo di udienza, la conoscenza di altra controversia” (Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 1997, n. 696).
7.2. Nel caso di specie la richiesta si fonda, inoltre, sulla possibile “rivisitazione” dell’intera struttura alberghiera che la ricorrente intende realizzare. Si tratta, tuttavia, di mere ipotesi progettuali di cui non è agevole preventivare una reale tempistica. Inoltre, l’incidenza sulla controversia è meramente eventuale e non certa. In ultimo, non può non tenersi conto degli interessi pubblici di cui i provvedimenti impugnati sono espressione e che, per parafrasare l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, non sono certamente i convitati di pietra del processo amministrativo (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27 aprile 2015, n. 5)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2172 del 13 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
«Il comma 1 dell’articolo 30 del codice del processo amministrativo, in base al quale l’azione risarcitoria per lesione dell’interesse legittimo può essere proposta anche ove non sia stata proposta l’impugnazione del provvedimento ritenuto causativo del danno, deve essere letto in combinato disposto con il comma 3 del medesimo articolo, a tenore del quale <<Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti>>.
Osserva il Collegio che la comunicazione del preavviso di ricorso ai sensi dell’articolo 243-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, deve considerarsi come comportamento necessario e sufficiente per evitare il consolidarsi degli effetti dannosi derivanti dal provvedimento di esclusione e, dunque, non può essere considerato quale concausa nella produzione del danno lamentato.
Non è infatti ragionevolmente esigibile che al concorrente illegittimamente escluso dalla gara, il quale abbia immediatamente presentato istanza di autotutela, si addossi anche l’onere di impugnazione del provvedimento di esclusione e della proposizione della relativa domanda cautelare, attesa la maggiore onerosità del rimedio giurisdizionale ed i rischi conseguenti al suo esito.
Il maggiore sforzo richiesto al concorrente escluso dall’attivazione della tutela giurisdizionale non sarebbe infatti proporzionato all’esito verosimilmente infausto della domanda cautelare, per carenza del necessario elemento del periculum in mora».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2097 del 9 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri





Il TAR Milano ribadisce che «le modificazioni in pejus delle precedenti destinazioni urbanistiche di un’area non richiedono una specifica motivazione neanche se incidono su singole aree (Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 1993, n. 642 in Cons. Stato, 1993, 1, 1261). Con ciò si intende dire che l'Amministrazione non è tenuta ad effettuare una comparazione tra gli interessi pubblici e i singoli interessi privati che vengono sacrificati in casi di modificazione in pejus del precedente assetto urbanistico. La mera aspettativa edificatoria del privato non può quindi costituire un limite alla soddisfazione degli interessi pubblici sottesi all'adozione della variante (Consiglio di Stato, sez. IV 1 ottobre 2004, n. 6401). In particolare non sussiste un affidamento tutelato neppure in caso di preesistente possibilità edificatoria, perché il mutamento di destinazione trova esauriente giustificazione, ai sensi dell’art. 10, comma 7, legge 17.8.1942, n. 1150, nelle “sopravvenute ragioni che determinino la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo” (Cons. Stato IV, 31.1.05 n. 25).
4.2 Né l’affidamento può fondarsi sul mero fatto che il lotto è stato edificato, potendosi configurare un affidamento qualificato del privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr., ex plurimis Cons. Stato IV, 9 maggio 2018, n. 2780; sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1197; sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4078; Ad. plen. n. 24 del 1999)”».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2046 del 30 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale «(cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2018, n. 4849), in tema di criteri di interpretazione dei bandi di gara, deve farsi applicazione del principio “per il quale ‘l'interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il bando ‘de quo’, soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 e ss. c.c. per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, perché gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative" (così, tra le tante, Cons. Stato, V, 13 gennaio 2014 n. 72); con la conseguenza che ‘la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori e preclude ogni un'estensione analogica intesa ad evidenziare significati inespressi e impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione; mentre invece le ragioni immanenti, di matrice eurounitaria, di garanzia della concorrenza che presiedono al settore delle commesse pubbliche vogliono favorire la massima partecipazione delle imprese alla selezione, perché attraverso la massima partecipazione è raggiungibile il miglior risultato non solo per il mercato in sé, ma per la stessa amministrazione appaltante (cfr. Cons. Stato, V, 15 luglio 2013, n. 3811)’ (così Cons. Stato, V, 12 settembre 2017, n. 4307)”».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1921 del 14 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver precisato che secondo il principio “chi inquina paga”, il soggetto tenuto ad effettuare interventi di bonifica ambientale (e connesse attività preparatorie) è il responsabile dell’inquinamento, non la proprietà dell’area, che non può essere considerata come destinataria di una fattispecie di responsabilità oggettiva (vedasi da ultimo T.A.R., Roma, sez. I , 04/05/2020 , n. 4590), anche se la matrice ambientale risulta compromessa per fatti risalenti ad epoche anteriori all’entrata in vigore del dlgs 152/2006, aggiunge:
«Tuttavia, ancora secondo la giurisprudenza (cfr. TAR Brescia, I, 25/09/2019, n.831), “l'intervento di bonifica assunto volontariamente ai sensi dell'art. 245 comma 1, nonché dell'art. 252 comma 5, del Dlgs. 152/2006, costituisce una gestione di affari altrui, che, in applicazione analogica della norma generale ex art. 2028 c.c., deve essere portata a compimento, o comunque proseguita finché l'amministrazione non sia in grado di far subentrare l'autore dell'inquinamento. Lo stesso vale se l'assunzione dell'intervento di bonifica da parte del proprietario incolpevole o di altri soggetti è avvenuta ai sensi dell'art. 9 del DM 25 ottobre 1999 n. 471.”, precisandosi altresì che “Le ragioni private per cui un soggetto non obbligato, oppure obbligato solo per una parte, assume con il proprio comportamento l'impegno a eseguire un complessivo intervento di bonifica possono essere le più varie (ad esempio, evitare l'onere reale connesso alle opere di bonifica, se realizzate dall'amministrazione; eseguire accordi transattivi stipulati con i veri responsabili dell'inquinamento; tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie). Lo schema della gestione di affari richiede esclusivamente che vi sia la consapevolezza dello stato di contaminazione dell'area e della necessità di eseguire la bonifica secondo le direttive stabilite dall'amministrazione. Poiché la bonifica viene effettuata in sostituzione dell'autore dell'inquinamento, il soggetto che si intromette potrà rivolgersi a quest'ultimo per essere indennizzato delle spese, fermi restando gli accordi tra le parti private. Dal lato dell'amministrazione, l'impegno del soggetto incolpevole, o parzialmente colpevole, che volontariamente assume gli oneri della bonifica costituisce un risultato di interesse pubblico, e produce quindi un affidamento tutelabile. La legittimità di questa posizione di vantaggio non esime però l'amministrazione dall'obbligo di far eseguire la bonifica agli autori dell'inquinamento. Se vi è accordo tra le parti private, l'obbligo evidentemente decade, essendo ininfluente che l'intervento sia realizzato da un soggetto diverso dagli autori dell'inquinamento, qualora non vi siano sostanziali differenze qualitative nel risultato. Se però tra le parti private non vi è un accordo, o è subentrata una situazione di disaccordo, l'amministrazione deve prevedere un percorso di ordinata transizione dai soggetti non responsabili dell'inquinamento a quelli responsabili. Tra i profili di interesse pubblico che possono essere presi in esame nell'impostazione di questo percorso vi è anche la stabilità degli interlocutori, ossia dei destinatari delle future direttive sulla bonifica. Questo consente all'amministrazione di attendere la conclusione delle controversie sull'individuazione degli autori dell'inquinamento e sui relativi gradi di responsabilità, in modo da operare in un quadro di certezza del diritto. Nel frattempo, rimane fermo l'obbligo di proseguire nell'attività di bonifica a carico del soggetto che ha assunto volontariamente questo impegno.”».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1820 del 7 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, dopo aver richiamato l’art. 59, comma 1, della L.R. 12/2005 che prevede: «Nelle aree destinate all’agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall’articolo 60», precisa:
«Il principio di fondo ritraibile dalla norma citata è che qualsiasi intervento non compatibile con la destinazione agricola è inammissibile, salvo che siano rispettati i parametri di cui all’eccezione dettata dal riportato comma 1 dell’art. 59.
Pertanto, il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi da quanto affermato nella sentenza del TAR Lombardia, Milano, n. 1231/2017, nella quale si legge che “La realizzazione del piazzale - deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia e urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3, D.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologie e le destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona agricola” (cfr. TAR Campania, sez. VIII, 10 marzo 2016, n. 1397; 7 novembre 2016, n. 5116)”.
Questo stesso Tribunale ha già avuto modo di affermare come debba riconoscersi rilevanza urbanistica (anche) al solo spianamento di un terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale per deposito e smistamento di autocarri" (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 18 febbraio 2019, n. 157).
Deve, dunque, escludersi che la sistemazione del terreno finalizzata alla realizzazione del piazzale, avvenuta nella fattispecie, sia qualificabile come un’opera non necessitante di titolo abilitante, mentre è vero il contrario».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 744 del 29 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che non è previsto in capo al Sindaco (a differenza della rimozione di rifiuti, che rientra nella competenza sindacale ex art. 192 del dlgs 152/2006, confermativo, sul punto, del regime di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997), un potere “tipico” rivolto ad assicurare la esecuzione di interventi di bonifica di ambienti inquinati, che spetta alla Provincia, ex art. 244 e 245 dlgs 152/2006.
Il TAR richiama in argomento: T.A.R. Bologna, sez. II, 14/12/2017, n. 831, secondo cui “deve ritenersi, in linea di principio, illegittimo l'utilizzo dello strumento dell'ordinanza contingibile e urgente per la bonifica di siti inquinati poiché il legislatore, per tali necessità, ha individuato nel c.d. codice dell'ambiente una specifica competenza di cui è titolare l'Amministrazione provinciale la quale deve provvedervi con gli strumenti che l'ordinamento di settore appronta; d'altronde, l'uso dell'ordinanza contingibile e urgente da parte del sindaco si pone, astrattamente, quale strumento di potenziale elusione della disciplina dettata dal codice dell'ambiente il quale, individuando una specifica competenza e procedura sul punto, ha inteso attribuire al livello intermedio di amministrazione locale, l'adozione di provvedimenti quale quello per cui è causa anche nelle situazioni di urgenza” e anche: T.A.R. Palermo, sez. I , 24/07/2013 , n. 1527.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1810 del 7 ottobre 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento alla legittimazione a ricorrere avverso un permesso di costruire, osserva che: «16.2. Secondo consolidata giurisprudenza amministrativa la domanda di annullamento di un titolo edilizio non costituisce un’azione di stampo popolare ma può proporsi solo da parte di soggetto a cui l’ordinamento conferisca apposita legittimazione (cfr., ex multis, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 4 settembre 2020, n. 1643).
16.3. In particolare, la verifica della sussistenza della legittimazione a ricorrere si compie per il tramite dei due criteri della qualificazione e della differenziazione.
16.4. Il primo di questi assume una dimensione eminentemente normativa e consiste, secondo una recente e condivisibile ricostruzione dottrinale, nella verifica dell’esistenza di una norma “investitiva” che assegni ad un determinato interesse riconoscimento e protezione giuridica […]
16.5. Diversa, invece, è la portata dal criterio di differenziazione che opera in base a dati materiali cui l’ordinamento riconosce efficacia selettiva. È il caso della c.d. vicinitas o, secondo una diversa ricostruzione, della distanza selezionata dalla normativa di riferimento (cfr., ad esempio, articolo 873 c.c.)».
Quanto al criterio della c.d. vicinitas il TAR aderisce «alla ricostruzione che invoca il criterio della vicinitas: nozione eminentemente relativa e non verificabile “in base al solo dato “fisico” della distanza” ma “in relazione alla entità ed alla destinazione dell’immobile […] (dovendosi, al contrario, considerare anche le modificazioni di carico urbanistico e le conseguenze sul diritto alla salute e sulle ordinarie esigenze di vita che la nuova costruzione potrà apportare sui soggetti che hanno uno stabile collegamento con la zona interessata)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2529; Id., Sez. IV, 3 maggio 2019, n. 2891; Id., 29 marzo 2019, n. 2100)». 


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2060 del 3 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ribadisce che «la tutela paesaggistica non è ancillare alla pianificazione urbanistica: all’attribuzione da parte del Comune di capacità edificatoria a una determinata area assoggetta a vincolo non corrisponde l’obbligo della Soprintendenza di consentire senz’altro l’edificazione, quasi che questa possa esprimersi solo sul quomodo, e non anche sull’an. L’assegnazione di una determinata volumetria a un ambito paesaggisticamente protetto non garantisce in automatico la possibilità di fruire di quella volumetria, dovendosi l’edificazione conformare alle esigenze di tutela del paesaggio, e dunque non genera alcuna aspettativa qualificata in capo al proprietario dell’area medesima».
Aggiunge il TAR che a conclusioni diverse non può giungersi nemmeno assumendo che il presupposto piano attuativo (nella fattispecie approvato nel 1995) abbia tenuto conto anche dei profili paesaggistici dell’intervento; e invero «Anche ove così fosse, deve, infatti, ritenersi che il lungo lasso di tempo intercorso, la trasformazione del contesto (con gli edifici nel frattempo realizzati), l’evoluzione della sensibilità paesaggistica e della normativa di settore imponevano necessariamente una nuova valutazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo: nuova valutazione che comprendeva anche in ipotesi del divieto di sfruttare la volumetria residua pure prevista dalla strumentazione urbanistica».
In conclusione e in linea generale per il TAR «di per sé la c.d. opzione zero, ovverossia l’incompatibilità della tutela paesaggistica di un determinato ambito con qualsivoglia tipo di edificazione, non è illegittima, salvo un obbligo motivazionale rafforzato, in considerazione del sacrificio imposto al privato proprietario dell’area medesima».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 738 del 27 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, a fronte di una censura con la quale si afferma che la mancata condivisione da parte di tutti i lottizzanti di modificare alcuni aspetti di una convenzione urbanistica non avrebbe potuto impedire uno stralcio del Piano attuativo, considerati il carattere minoritario e la “marginalità”, in termini geografici, delle aree dei lottizzanti dissenzienti, precisa che:
«la normativa nazionale e regionale ammette la realizzazione di un Piano attuativo per stralci funzionali o per parti in presenza dell’accordo della maggioranza dei proprietari della aree coinvolte e non richiede l’unanimità degli stessi a condizione che lo stesso non sia stato ancora approvato: sia l’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002 che l’art. 12, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005 stabiliscono che è sufficiente il concorso della maggioranza dei proprietari degli immobili interessati “al momento della presentazione del piano”, ossia prima che lo stesso venga approvato e venga poi sottoscritta la connessa convenzione. Appare evidente – e il dato normativo sopra richiamato ne rappresenta una conferma – che una volta approvato il Piano attuativo e stipulata la convenzione non si può far altro che darvi puntuale attuazione, trattandosi di atti che vincolano le parti e che solo di comune accordo possono essere modificati o risolti, in applicazione dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 23 giugno 2020, n. 1166). Una conferma di tale conclusione è rappresentata dalla necessità di prestazione – come avvenuto nella specie – di specifiche garanzie che i soggetti stipulanti devono fornire all’Ente pubblico in vista dell’adempimento degli obblighi assunti».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2009 del 28 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il principio di equivalenza di cui all’art. 68 del D.Lgs. 50/2016:
«costituisce regola generale dell’intero sistema dei contratti pubblici, di derivazione euro-unitaria ed è volto a garantire una piena attuazione del principio di concorrenza e di massima partecipazione alle gare, onde consentire alle amministrazioni di ottenere prodotti o soluzioni che siano in ogni modo rispettosi dei requisiti richiesti dalle amministrazioni medesime (cfr. l’art. 68 comma 8 citato ed in giurisprudenza, fra le più recenti sentenze: Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3808/2020; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 1386/2020 e TAR Marche, n. 518/2020).
Inoltre, il giudizio di equivalenza espresso dall’amministrazione costituisce manifestazione della discrezionalità tecnica di quest’ultima, censurabile pertanto solo in caso di evidenti errori o di manifesta illogicità, cioè in caso di palese inattendibilità della valutazione della commissione di gara (cfr. sul punto TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza n. 4315/2020 e TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sentenza n. 1145/2020).
Certamente il richiamo al principio di equivalenza, e sul punto concorda anche lo scrivente collegio, non può essere strumentalmente effettuato per fornire all’appaltante un prodotto o un servizio radicalmente differente da quello richiesto (c.d. aliud pro alio)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1894 del 13 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.