Il TAR Brescia ribadisce che «la tutela paesaggistica non è ancillare alla pianificazione urbanistica: all’attribuzione da parte del Comune di capacità edificatoria a una determinata area assoggetta a vincolo non corrisponde l’obbligo della Soprintendenza di consentire senz’altro l’edificazione, quasi che questa possa esprimersi solo sul quomodo, e non anche sull’an. L’assegnazione di una determinata volumetria a un ambito paesaggisticamente protetto non garantisce in automatico la possibilità di fruire di quella volumetria, dovendosi l’edificazione conformare alle esigenze di tutela del paesaggio, e dunque non genera alcuna aspettativa qualificata in capo al proprietario dell’area medesima».
Aggiunge il TAR che a conclusioni diverse non può giungersi nemmeno assumendo che il presupposto piano attuativo (nella fattispecie approvato nel 1995) abbia tenuto conto anche dei profili paesaggistici dell’intervento; e invero «Anche ove così fosse, deve, infatti, ritenersi che il lungo lasso di tempo intercorso, la trasformazione del contesto (con gli edifici nel frattempo realizzati), l’evoluzione della sensibilità paesaggistica e della normativa di settore imponevano necessariamente una nuova valutazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo: nuova valutazione che comprendeva anche in ipotesi del divieto di sfruttare la volumetria residua pure prevista dalla strumentazione urbanistica».
In conclusione e in linea generale per il TAR «di per sé la c.d. opzione zero, ovverossia l’incompatibilità della tutela paesaggistica di un determinato ambito con qualsivoglia tipo di edificazione, non è illegittima, salvo un obbligo motivazionale rafforzato, in considerazione del sacrificio imposto al privato proprietario dell’area medesima».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 738 del 27 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.