Il TAR Milano precisa che:
<<secondo orientamento consolidato in giurisprudenza, condiviso dal Collegio, la circostanza che l’abuso sia risalente nel tempo non esclude, in materia urbanistica ed edilizia, l’esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori del comune, poteri non soggetti a prescrizione o decadenza, in considerazione della fondamentale immanenza dell’interesse pubblico alla corretta gestione del territorio. Ne consegue che l’accertamento dell’illecito amministrativo e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, senza che siffatta distanza nell’adozione delle misure sanzionatorie possa significare forme di sanatoria o il sorgere di affidamenti per situazioni ormai di fatto consolidate (cfr. per tutte Cons. Stato nn. 1070/2017; 1774/2016; 4880/2015; 4892/2014; 5943/2013).
Ciò in quanto l’illecito edilizio ha carattere permanente, tale da conservare nel tempo la sua natura e non potendosi ammettere un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione illegale. Ne consegue che l’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico al rispetto della normativa urbanistico-edilizia, strumentale al corretto governo del territorio, leso in maniera duratura dall’abuso.
Giova altresì ricordare che, secondo giurisprudenza consolidata, in materia di provvedimenti sanzionatori degli abusi edilizi, l’amministrazione non è soggetta a particolari oneri motivazionali, posto che non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione. L’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato e del contrasto urbanistico, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la misura sanzionatoria e il diniego di sanatoria>>;
aggiunge inoltre il TAR Milano che:
<<Nessun rilievo può essere riconosciuto alla sopravvenuta modifica del piano regolatore atteso che le opere abusive possono essere sanate solo se sia provata la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda: la doppia conformità, dunque, costituisce condicio sine qua non della sanatoria ed investe entrambi i segmenti temporali, cioè il tempo della realizzazione dell’illecito ed il tempo della presentazione dell’istanza. Diversamente opinando si finirebbe per offrire un sostanziale incentivo a commettere abusi edilizi, nella speranza di una successiva modifica in senso favorevole degli strumenti di pianificazione, con il risultato di far condizionare dal fatto compiuto il potere di governo del territorio che spetta all’amministrazione, con evidente pregiudizio al buon andamento di essa (cfr. Cons. St., sez. II, 13 giugno 2019, n. 3958)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 690 del 18 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che <<In caso di inadeguatezza della verifica di congruità per carenze istruttorie non può, quindi, essere disposta l’esclusione dell’offerta sospetta di anomalia, ma solo la regressione della procedura alla fase di verifica dell’anomalia (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 marzo 2017, n. 1465; Consiglio di Stato, sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1448; Cons. St., V, n. 4323/2003).
Il giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3623) non può sostituirsi all’amministrazione nel ritenere l’offerta complessivamente inattendibile, dovendo l'amministrazione provvedere alla riedizione del vaglio di sostenibilità.
Pertanto, non può essere accolta la domanda di subentro nel contratto, atteso che ciò presuppone il positivo superamento della verifica di anomalia dell’offerta presentata dalle stesse ricorrenti e che, preliminarmente, l’accoglimento del presente ricorso comporta l’obbligo per l’amministrazione di rinnovare la procedura con riferimento alla fase di valutazione della proposta tecnica e delle giustificazioni rese dalla controinteressata (cfr. sul punto già Tar Lombardia – Brescia, sez. I, 18 marzo 2019, n. 242)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 739 del 22 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


In ordine alla natura dei vincoli imposti dallo strumento urbanistico, il TAR Milano ribadisce che <<Va attribuita ... natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli, a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all'esproprio in vista della realizzazione di un'opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da parte dei privati; ciò in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale (sent n. 179 del 20 maggio 1999), che ha sancito appunto il principio per cui non sono annoverabili tra i vincoli espropriativi quelli derivanti da scelte urbanistiche realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata o promiscua pubblico-privata (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 11/12/2020 n. 2473)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 618 del 9 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.









Il TAR Brescia osserva come <<risulti oramai superato l’orientamento tradizionale che considerava l’autoproduzione attraverso società “in house”, da un lato, e il ricorso al mercato attraverso l’aggiudicazione all’esito di una procedura di evidenza pubblica, dall’altro lato, due modelli alternativi di svolgimento del servizio, perfettamente equiparati.
Come osservato dalla giurisprudenza più recente, «L’articolo 192, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016 colloca senz’altro «gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento» (così, C.d.S., Sez. V, ordinanza n. 138/2019).
Tale preferenza riservata all’evidenza pubblica, peraltro, è stata ritenuta non contrastare né con il diritto dell’Unione europea, né con la Carta costituzionale. Invero, la Corte di Giustizia ha chiarito che, come il diritto dell’Unione Europea non obbliga gli Stati membri a esternalizzare la prestazione dei servizi, così non li obbliga a ricorrere sempre e comunque all’autoproduzione, ben potendo questa essere subordinata dal legislatore nazionale a una serie di ulteriori condizioni (v. ordinanza 6.02.2020 nelle cause riunite C-89/19, C-90/19 e C-91/19). Al contempo, la Corte costituzionale, nell’affermare l’infondatezza delle questioni di illegittimità costituzionale dell’articolo 192, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016 in relazione all’articolo 76 Cost. e all’articolo 1, comma 1, lettere a) ed eee), L. n. 11/2016, ha osservato che detta disposizione «è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali» e che essa «risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza» (v. sentenza n. 100/2020)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 281 del 23 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





In materia di opposizione di terzo il TAR Milano precisa che:
<<La legittimazione a proporre l’opposizione di terzo ordinaria, di cui all’articolo 108, comma 1, del codice del processo amministrativo, si fonda sulla mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza opposta e sul pregiudizio che tale sentenza, pronunciata inter alios, arreca ad una situazione giuridica di cui il ricorrente sia titolare (Consiglio di Stato, Sezione V, 16 aprile 2014, n. 1862).
Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, tracciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 11 gennaio 2007, n. 2, e compatibile con la sopravvenuta disciplina codicistica di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sono legittimati a proporre opposizione di terzo nei confronti di una sentenza del giudice amministrativo pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, i controinteressati pretermessi o sopravvenuti, quelli non facilmente identificabili e, in generale, i titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione, con esclusione dei titolari di un diritto dipendente ovvero dei soggetti interessati solo di riflesso (Consiglio di Stato, sezione III, 11 marzo 2019, n. 1619; 4 febbraio 2019, n. 861; sezione VI, 17 maggio 2018, n. 2994) >>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 731 del 22 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.






Il TAR Brescia,
- dopo aver premesso che: <<L’art. 21, comma 1, lett. b) della l.r. n. 86/83 prevede che “l’Ente gestore del Parco esprime parere nei casi previsti dalla legge agli organi della Regione ed agli Enti locali su provvedimenti che riguardino il territorio del parco”. Il comma 4 della stessa norma precisa che “I pareri di cui alla lettera b) del precedente primo comma sono obbligatori, a far tempo dalla data di costituzione degli organi dell'ente gestore, in ordine a: … b) piani urbanistici generali e relative varianti, nonché piani attuativi soggetti alla approvazione regionale”>>;
- conclude nel senso che: <<In forza di tali disposizioni, il parere dell’Ente Parco è pertanto “obbligatorio” nel caso di “piani urbanistici generali e relative varianti”, il che significa che esso deve necessariamente essere richiesto, a pena di illegittimità dello strumento urbanistico generale nelle parti interferenti con le previsioni pianificatorie contenute nel Piano del Parco>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 232 del 9 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che <<l’inosservanza del termine generale individuato dall’art. 2 L. 241/1990 non produce, ex se, l’illegittimità dell’atto tardivo, come da giurisprudenza ormai consolidata che il Collegio condivide: «Con riferimento ai termini, la l. n. 241/1990 detta una regola di comportamento e non di validità. L'art. 2 bis, infatti, da un lato, prevede l'obbligo di concludere il procedimento amministrativo entro un termine ragionevole, e dall'altro correla all'inosservanza del termine finale conseguenze sul piano della responsabilità dell'Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti alla stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato. Il ritardo non è, quindi, un vizio in sé dell'atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione.» (TAR Lazio, Roma, II, 21 settembre 2020 n. 9657)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 729 del 22 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale <<il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso nell’ambito dell’attività edilizia, è stato ravvisato: a) nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; b) ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) della realizzazione, nel loro completamento o grado di sviluppo tale da renderne palese la dimensione, consistenza e finalità (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 9 aprile 2020, n. 2328; id., Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075; id., 7 dicembre 2017, n. 5754; id., Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; id., 18 aprile 2012, n. 2209; id., Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107). Resta comunque ferma la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (cfr., ex plurimis, T.A.R. per la Lombardia, Milano, 5 gennaio 2021, n. 19)>>.


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 613 del 5 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che <<Secondo l’orientamento prevalente, seguito anche da questa Sezione, nel caso di sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, quantificandole in misura maggiore rispetto ai parametri minimi fissati dall'art. 3 del d.m. n. 1444 del 1968 e dall'art. 9, comma 3, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, i proprietari delle relative aree hanno un interesse ad impugnare gli atti di pianificazione. L'art. 9, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 fissa il quantitativo minimo in 18 mq per abitante; l’eventuale maggior dotazione deve essere supportata da una specifica motivazione, con l'avvertenza che la motivazione rafforzata va riferita alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, e deve chiarire perché il Comune abbia inteso superare i limiti minimi previsti dalla legge, atteso che la scelta urbanistica incide fortemente sulle facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà ricadente sulle aree destinate a standard ed è pertanto necessario, se si decide di sovradimensionare gli standard, che siano esternate le ragioni che spingono ad un sacrificio degli interessi privati superiore rispetto a quello minimo imposto, in via generale, dall’ordinamento (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 3 luglio 2020, n. 1279; id., 15 luglio 2016, n. 1429)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 618 del 9 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


A fronte di una eccezione di irricevibilità di un ricorso avverso il PGT per tardivo deposito dello stesso, fondata sul rilievo che trattandosi della contestazione di un vincolo espropriativo la controversia sarebbe riconducibile alla fattispecie dell’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a., con conseguente dimidiazione del termine di deposito, il TAR Milano ritiene:
<<L’eccezione è infondata, in quanto viene impugnato un atto di pianificazione e, anche laddove l’atto comporti l’imposizione di vincoli preespropriativi, i termini processuali sono quelli del “rito ordinario”. In simili casi la reiterazione del vincolo espropriativo non comporta modifiche alla natura, alla funzione e al contenuto dello strumento urbanistico che resta un atto pianificatorio a contenuto generale, riferendosi la norma invocata dalla difesa dell’Amministrazione ai soli giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione, ed essendo noto che le disposizioni processuali acceleratorie - nella misura in cui derogano all’ordinario regime processuale - risultano di stretta interpretazione e non possono essere applicate estensivamente al di fuori delle ipotesi individuate dal legislatore>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 618 del 9 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano esclude l’ammissibilità di una sanatoria con opere edilizie in quanto difetta la sussistenza del requisito della doppia conformità delle opere che deve essere presente a prescindere dall’effettuazione di ulteriori interventi, essendo vietata la sanatoria con opere.
Al riguardo il TAR osserva che <<Difatti, è consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo cui “il rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni, con le quali si subordina l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul piano logico, la rigida direttiva normativa poiché la previsione di condizioni o prescrizioni smentisce qualsiasi asserzione circa la doppia conformità dell’opera, dimostrando che tale conformità non sussiste se non attraverso l’esecuzione di modifiche ulteriori e postume (rispetto alla stessa presentazione della domanda di accertamento in sanatoria)” (Consiglio di Stato, VI, 13 gennaio 2021, n. 423; altresì, 24 giugno 2020, n. 4058; 14 gennaio 2019, n. 325; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 29 aprile 2020, n. 713)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 619 del 9 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la procedura di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 50/2016 sugli accordi quadro <<è una procedura bifasica, nella quale la scelta del contraente finale del singolo ente si sviluppa attraverso un articolato procedimento, in cui la fase per così dire conclusiva e relativa all’appalto specifico non può essere ritenuta totalmente avulsa da quella precedente - volta ad individuare gli operatori che saranno coinvolti nell’appalto specifico - nella quale viene già posto in essere un apprezzamento tecnico della proposta contrattuale, mediante l’assegnazione di un punteggio che sarà poi mantenuto nel successivo momento di individuazione definitiva del contraente dell’Amministrazione>>.
Sul punto, il TAR richiama la precedente sentenza dello stesso Tribunale (sez. I, n. 2132/2020) che aveva statuito che la conoscenza dei punteggi attribuiti nella prima fase da parte della Commissione, ma anche di tutti gli operatori, è fisiologicamente preordinata al funzionamento del sistema, in quanto finalizzata a consentire, nella seconda, di proporre offerte migliorative, in modo da modificare la graduatoria: la fattispecie non è quindi diversa da quanto si riscontra nelle operazioni di valutazione tecnica delle offerte nell’ambito delle procedure ordinarie, in cui la commissione giudicatrice procede via via all’assegnazione dei punteggi parziali, ed essendo pertanto a conoscenza degli stessi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 541 del 1 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ribadisce la sua adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale <<al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”; essi, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 902; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 25 marzo 2019, n. 646; Id., 2 ottobre 2020, n. 1767). Pertanto, non può operarsi una indebita scissione dei vari interventi come pretenderebbe il ricorrente. Occorre, al contrario, valutare unitariamente le opere eseguite sia dal punto di vista edilizio che dal punto di vista paesaggistico>>.


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 617 del 8 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento ad una clausola di estensione, in virtù della quale viene richiesto ai concorrenti di approntare beni, servizi o lavori ulteriori, rispetto a quelli espressamente richiesti dalla lex specialis, precisa che:
<<La giurisprudenza condivisa dal Collegio ha chiarito che una clausola estensiva, come quella in questione, intanto possa essere ammessa, in quanto soddisfi i requisiti in primis di determinatezza prescritti per i soggetti e l’oggetto della procedura cui essa accede (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 663/2014). L’appalto oggetto di estensione non viene sottratto al confronto concorrenziale a valle, ma costituisce l’oggetto, a monte, del confronto tra le imprese partecipanti alla gara, poiché queste, nel prendere parte a una gara che preveda la c.d. clausola di estensione, sanno e accettano che potrebbe esser loro richiesto di approntare beni, servizi o lavori ulteriori, rispetto a quelli espressamente richiesti dalla lex specialis, purché determinati o determinabili a priori, al momento dell’offerta, secondo requisiti né irragionevoli, né arbitrari, tanto sul piano soggettivo – per caratteristiche e numero delle amministrazioni eventualmente richiedenti - che su quello oggettivo - per natura, tipologia e quantità dei beni o delle prestazioni aggiuntive eventualmente richieste entro un limite massimo (cfr. C.d.S., Sez. III, n. 442/2016)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 545 del 1 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che <<Secondo consolidati principi giurisprudenziali, è onere del soggetto interessato alla sanatoria dell'abuso edilizio dare prova della c.d. doppia conformità urbanistica dell'opera da sanare, sia con riferimento al momento della realizzazione della stessa, che al momento della presentazione della relativa istanza di sanatoria, così come previsto dall'art. 36, d.P.R. n. 380/2001 (T.A.R. Brescia, sez. II, 07/11/2019, n. 963; T.A.R. Napoli, sez. III, 05/03/2020, n. 1018); ciò in quanto la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell'interessato e non della P.A., dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova; sull’amministrazione, in caso di accoglimento dell’istanza, incombe l’onere di fornire una puntuale motivazione circa l’esistenza del requisito della doppia conformità, e ciò allo scopo di tutelare la collettività e gli eventuali controinteressati rispetto alla determinazione di sanare un abuso edilizio (T.A.R. Napoli, sez. III, 14/03/2015, n. 1561)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 197 del 1 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano <<l’incompletezza del D.G.U.E. non comporta l’esclusione dalla gara e può essere sanata tramite soccorso istruttorio, non avendo alcun riflesso sugli elementi essenziali dell’offerta (cfr. Consiglio di Stato, V, 2 settembre 2019, n. 6066; VI, 9 aprile 2019, n. 2344). Perfino il mancato inserimento del D.G.U.E. (del progettista incaricato) nella busta contenente la documentazione amministrativa, previsto a pena di esclusione dal disciplinare di gara, è stato ritenuto non lesivo della par condicio dei concorrenti, non potendo tale omissione essere equiparata a carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa: difatti, «il soccorso istruttorio, ben al di là delle mere operazioni di formale completamento o chiarimento cui aveva riguardo l’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, può riguardare le carenze di “qualsiasi elemento formale della domanda”, ossia la mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità, quand’anche di tipo “essenziale”, purché non involgente l’offerta economica o tecnica in sé considerata (Cons. Giust. Amm. 5 novembre 2018, n. 701, Cons. Stato, III 14 gennaio 2019 n. 348). (…) Tale applicazione ha infatti consentito, in sede di soccorso istruttorio, di sanare un’omissione documentale che si è rivelata formale, in quanto relativa a requisiti di cui non è contestata l’effettiva presenza al momento di scadenza del termine per la presentazione dell’offerta» (T.A.R. Marche, 18 novembre 2019, n. 703)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 616 del 8 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano richiama i principi ribaditi dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 3 gennaio 2017, n. 4) in tema di pianificazione urbanistica di attuazione e in tema di competenza degli organi in relazione alla adozione degli atti ad essa riconducibili e in particolare l’orientamento secondo il quale “il piano di lottizzazione (o altro strumento di pianificazione attuativa) e lo schema di convenzione ad esso allegato costituiscono atti distinti ma giuridicamente connessi, la cui approvazione non può che avvenire contestualmente da parte dell'unico organo al quale, nell'ambito dell'ente locale, è attribuito l'indirizzo politico-amministrativo in relazione alla pianificazione del territorio, e cioè da parte del Consiglio comunale’ (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4027); ‘mentre piano urbanistico attuativo e schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione (di competenza del Consiglio comunale), la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce certamente … un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento - atto unilaterale di approvazione), la cui sottoscrizione deve essere effettuata dal dirigente del Comune, ex art. 107, co. 3, lett. c) T.U. enti locali’, il quale, se non ha ‘un potere di modifica e/o integrazione delle clausole, che inciderebbe sul contenuto stesso della potestà pianificatoria precedentemente esercitata dal Consiglio comunale’, tuttavia ‘laddove ritenga che le clausole contrattuali in sé considerate, ovvero lo stesso piano urbanistico attuativo contrastino con disposizioni di legge, ben può rimettere le sue osservazioni all'organo competente, onde sollecitarne una ulteriore valutazione ed, eventualmente, l'esercizio del potere di annullamento in autotutela, ai sensi dell'art. 21-nonies l. n. 241/1990" (sent. n. 4027/2016 cit.)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 612 del 5 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


In materia di demanio stradale, il TAR Brescia richiama l’orientamento giurisprudenziale <<secondo cui il riconoscimento della proprietà pubblica di una strada deve avvenire mediante un atto idoneo a trasferire il dominio e a destinare la stessa all’uso pubblico (Cons. Stato. Sez. V, 18/03/2019, n. 1727; negli stessi termini Cons. Stato. Sez. V, 02/10/2018 n. 5643), non essendo peraltro sufficiente a tal fine che la strada stessa sia eventualmente destinata all’uso pubblico. “È poi elemento ormai acquisito (ex multis, Cons. Stato, V, 7 dicembre 2010, n. 8624) che la semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada” (Cons. Stato, Sez. V, 31/08/2017, n. 4141)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 136 del 8 febbraio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


In materia di collegamento sostanziale tra imprese e di unico centro decisionale, il TAR Milano osserva che <<per giurisprudenza pacifica, ai fini dell'individuazione del collegamento sostanziale tra imprese di cui all'art. 80, c. 5, lett. m), D.Lgs. n. 50/2016, i relativi indizi devono essere valutati nel loro insieme per riscontrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza idonei a legittimare la sanzione, e che la valutazione operata dalla stazione appaltante, circa l'unicità del centro decisionale, postula semplicemente l'astratta idoneità a determinare un concordamento delle offerte, non essendo necessario che l'alterazione del confronto concorrenziale si sia effettivamente realizzata nel caso concreto, essendo quella delineata dal legislatore una fattispecie di pericolo (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 21.5.2020, n. 5398, C.S., Sez. V, 15.4.2020 n. 2426)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 517 del 25 febbraio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che <<la giurisprudenza amministrativa ha ormai da tempo chiarito che, ai sensi dell'art. 73, comma 1, c.p.a., nel testo introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. q), del d. lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al Codice), le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della controparte ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.), atteso che la ratio legis si individua nell'impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell'evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l'espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica con la conseguente impossibilità per l'avversario di controdedurre per iscritto (cfr. in tal senso, la sentenza del Consiglio di Stato n. 5676/2017)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 188 del 26 febbraio 2021.
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Il TAR Milano precisa che:
<<Come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, lo scrutinio circa la doppia conformità delle opere richiesto dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 non può che essere complessivo nel caso in cui – come quello in esame – siano realizzate abusivamente più opere tutte funzionalmente collegate tra loro all’esercizio dell’attività imprenditoriale. “L’art. 36 d.P.R. n. 380/01, del resto, regola la sanatoria avuto riguardo all’intervento abusivo e non alla singola opera abusiva; sicché, risultando l’intervento, anche alla stregua delle tipologie di intervento definite dall’art. 3 DPR n. 380/01, il risultato edilizio di una singola opera o di plurime opere funzionalmente connesse, la sanatoria dell’intervento non può non avere ad oggetto il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2020, n. 1848; id., 4 febbraio 2019, n. 843)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 528 del 26 febbraio 2021.
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Secondo il TAR Milano:
<<6.1 Va infatti ricordato che la concessione di servizi è il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo consiste nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio od in tale diritto accompagnato da un prezzo; la distinzione attiene dunque alla struttura del rapporto, che nell'appalto di servizi intercorre tra due soggetti, essendo la prestazione a favore dell'amministrazione, mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta agli utenti. Diversamente che nell’appalto, nella concessione è a carico del concessionario l’assunzione del rischio, in quanto collegato alla gestione dell’opera o del servizio, nonché in ragione del rapporto trilaterale che include l’utenza.
Le differenze tra i due istituti dunque attengono non tanto alla fase di scelta del soggetto privato, quanto alla dinamica della fase negoziale vera e propria e alle sue caratteristiche.
Non sussiste quindi neppure alcuna ragione sistematica per ipotizzare una disciplina differente tra concessione e appalto quanto alle procedure di affidamento. Per entrambi gli istituti infatti la procedura deve rispondere al principio della concorrenza e ai relativi corollari della massima partecipazione e della par condicio.
6.2. Deve quindi concludersi che la previsione di un vincolo di aggiudicazione contenuta nel bando, ai sensi dell’art. 51 comma 3 del D.lgs. n. 50/2016, è compatibile con la natura concessoria dell’affidamento (cfr. in tal senso Consiglio di Stato sez. III, 22 novembre 2018, n.6611)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 511 del 25 febbraio 2021.
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Il TAR Brescia,
  • dopo aver premesso che: <<L’art. 16 comma 3 della legge 1150/1942 prevede che sui piani particolareggiati riguardanti zone sottoposte a vincolo paesistico sia acquisito il parere della Soprintendenza. Essendo identico l’interesse pubblico tutelato, la norma è applicabile a qualsiasi piano attuativo, indipendentemente dalla qualificazione formale e dall’autorità competente all’approvazione>>;
  • precisa che: <<In ogni caso, il potere della Soprintendenza può essere consumato solo dalla Soprintendenza, rendendo oppure omettendo di rendere il parere richiesto. Se il parere non viene richiesto, non si determina automaticamente l’illegittimità del piano attuativo, ma più semplicemente la concentrazione dell’intera funzione di controllo sui provvedimenti a valle, ossia sui titoli edilizi. Se dunque la Soprintendenza non è stata coinvolta in precedenza, può svolgere, in relazione ai singoli titoli edilizi, anche le valutazioni sulle scelte pianificatorie che non sia stata messa in condizione di formulare nei confronti del piano attuativo. Per questa ragione, non è necessario annullare il piano attuativo allo scopo di recuperare il parere della Soprintendenza. Il mancato coinvolgimento della Soprintendenza rende infatti inopponibile alla stessa il piano attuativo, e impedisce il consolidamento delle aspettative dei lottizzanti (v. TAR Brescia Sez. II 8 maggio 2013 n. 443)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 150 del 12 febbraio 2021.
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Il TAR Milano rammenta che <<l’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Cons. di Stato, Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079). Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 5 marzo 2018, n. 1337; Consiglio di Stato, Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; in termini: Consiglio di Stato, Sez. III, 19 luglio 2011, n. 4362; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2010 n. 3019; Consiglio di Stato, Sez. V, 26 agosto 2010 n. 5954; Consiglio di Stato, Sez. V, 6 settembre 2007, n. 4679).
5.1. Il riferimento normativo alla clausola revisionale, avente carattere di norma imperativa cui si applicano gli artt. 1339 e 1419 c.c., non attribuisce alle parti ampi margini di libertà negoziale, ma impone di tradurre sul piano contrattuale l'obbligo legale, definendo anche i criteri e gli essenziali momenti procedimentali per il corretto adeguamento del corrispettivo (Tar Lecce sez. I 11 dicembre 2013 n. 2423; Cons. Stato sez. III 9 maggio 2012 n. 2648; Cons. Stato, Sez. III, 1° febbraio 2012, n. 504; T.A.R. Bari sez. II 11 luglio 2013 n. 1141).
5.2. Va osservato che l'istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, al quale è sotteso l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale nei confronti del privato contraente. Di conseguenza, la posizione di quest'ultimo si articola nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all'an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa stessa, una volta risolto in senso positivo il riconoscimento della spettanza del compenso revisionale (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; sez. V, 3 agosto 2012, n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067; 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).
5.3. L’istruttoria condotta nell’ambito del procedimento con riferimento all’an della revisione è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l'interesse dell'appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n.6275 e 24 gennaio 2013 n. 465).
5.4. In definitiva può ritenersi che la previsione di cui all’art. 115 D.lgs. n. 163/2006 ponga ex lege un rimedio manutentivo dell’equilibrio economico del contratto, per la gestione di sopravvenienze giuridicamente rilevanti intervenute nel corso dell'esecuzione del rapporto contrattuale (cfr. Corte Cost. n. 447/2006)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 435 del 18 febbraio 2021.
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Il TAR Milano ricorda che <<La destinazione agricola, inoltre, non può esclusivamente riservarsi a zone interessate da tale attività ma è volta a perseguire finalità paesaggistiche o ambientali che trovano albergo negli strumenti urbanistici. Osserva, sul punto, la Corte costituzionale come la pianificazione sia diretta, “al di là di letture minimalistiche”, “non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli, ma anche allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonché a realizzare finalità economico-sociali della comunità locale, in attuazione di valori costituzionalmente tutelati (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 9 maggio 2018, n. 2780, 22 febbraio 2017, n. 821 e 10 maggio 2012, n. 2710)” (Corte Costituzionale, 16 luglio 2019, n. 179). La Corte Costituzionale ricorda, quindi, come la pianificazione serva a realizzare lo sviluppo complessivo ed armonico nel rispetto dei valori costituzionali tra i quali vi sono certamente, in linea generale, le esigenze di tutela di valori ambientali e paesaggistici come esposto da una copiosa giurisprudenza della Sezione (cfr., ex multis, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 29 maggio 2020, n. 960; Id., 14 dicembre 2020, n. 2491). Difatti, secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale, all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (Consiglio di Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6656; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309). E ciò in quanto, come affermato dalla Sezione, “l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, IV, 10 maggio 2012, n. 2710; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 giugno 2018, n. 1534). Argomentazioni condivise dal Collegio che ritiene di rilievo l’ulteriore notazione compiuta dalla sentenza in esame secondo cui “la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano” (cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 830; T.A.R. Lombardia – Sede di Milano, Sez. II, 22 gennaio 2019, n. 122). Al contrario, anche laddove si sia al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, “non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale” (v., ancora, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 5 novembre 2018, n. 2479)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 459 del 18 febbraio 2021.
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