L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato enuncia i seguenti principi di diritto in materia di obblighi dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c e b-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 e false dichiarazioni:

«- la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

- in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

- alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;

- la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione».

Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 16 del 28 agosto 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con riferimento all’individuazione dei soggetti destinatari dell’ordine di demolizione e delle misure sanzionatorie previste dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001, il TAR Milano richiama l’orientamento secondo il quale «la norma, nell'individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell'abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l'abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta, in quanto il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non coincide con l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma è correlato all'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico-edilizia, e all'individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l'ordine ripristinatorio, ossia il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1562 del 11 agosto 2020.

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Il TAR Brescia ribadisce il principio secondo cui «“Nulla osta a che il privato proponente un piano attuativo, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, assuma in sede di convenzione urbanistica obblighi di fare e/o di dare ulteriori ed eccedenti rispetto a quelli discendenti dalla legge.” (TAR. Brescia sez. I, 03/07/2019, n.624). Tanto più che “le posizioni giuridiche relative agli oneri concessori sono considerate disponibili, e dunque non vi sono ostacoli alla definizione di un sinallagma che preveda anche l’accettazione di condizioni meno vantaggiose rispetto a quelle risultanti dalla normativa regionale o comunale, purché sia salvaguardata l’utilità economica finale dell’intervento edilizio” (T.A.R. Lombardia, sez. I, 22/02/2018, n.198)».

 

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 538 del 13 luglio 2020.

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Il TAR Milano «ritiene rilevante ai fini del decidere, e non manifestamente infondata, la questione d’illegittimità costituzionale sollevata d’ufficio con riferimento ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 15 del codice del processo amministrativo (allegato 1 al d.lgs. n. 104 del 2010), nella parte in cui precludono al Giudice di esaminare e pronunciare sulla proposta eccezione di parte del difetto di competenza territoriale anche nella fase di merito, qualora nella fase cautelare, come avvenuto nel caso di specie, sia stata trattenuta implicitamente la competenza».

 

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1374 del 20 luglio 2020.

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Il TAR Milano con riferimento all’art. 8 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive che per le Zone B) l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con l'eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7, precisa che «il dato letterale della norma indica chiaramente che si debba far riferimento a una serie ristretta di edifici, identificabili in quelli circostanti, vale a dire immediatamente limitrofi. Non vi è alcuna ragione, testuale o logica, per estendere, invece, l’ambito dell’area di raffronto a tutto il “contesto urbanistico”, ... Anzi, una simile lata interpretazione finirebbe per svuotare di senso la previsione, rendendo, in sostanza, comparabili tra loro edifici anche posti in isolati stradali diversi e dunque, aventi differenti ubicazioni di riferimento».


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1576 del 14 agosto 2020.

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Il TAR Milano precisa che «L’art. 103, comma 1-bis, L.R. n. 12/2005, lungi dallo stabilire una disapplicazione in via generale del D.M. n. 1444/1968, si limita invero a consentire ai Comuni di redigere i propri Piani di governo del territorio senza rispettare le disposizioni dettate dal D.M. n. 1444/1968. È solo in sede di redazione dei nuovi PGT sostitutivi dei precedenti PRG che, quindi, “ai fini dell'adeguamento, ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti”, i Comuni potevano derogare a determinati limiti posti dal decreto ministeriale.

Questa interpretazione, già affermata dalla Sezione (cfr. sentenza n. 1413 del 22 luglio 2020), rinviene un autorevole avallo nella Corte Costituzionale che, con la recente sentenza n. 13 del 7 febbraio 2020, evidenzia come si tratti di “una disciplina volta a regolare la sola fase transitoria di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti, modulata secondo precise scansioni temporali, e non la revisione dei piani di governo del territorio già approvati”. Tale disposizione, “pur posteriore alla «Legge per il governo del territorio» del 2005, si colloca in un orizzonte temporale definito, legato all’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti e alla successiva transizione ai piani di governo del territorio, che si configurano come i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica previsti dalla legislazione regionale”. In tal senso, depone “l’univoco dettato letterale, che richiama l’adeguamento, secondo le cadenze predeterminate dall’art. 26, commi 2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005, e postula un nesso di strumentalità della disapplicazione rispetto all’adeguamento stesso”».


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1576 del 14 agosto 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano in materia di dia ribadisce quanto osservato in una fattispecie analoga (sentenza 10 maggio 2018, n. 1242): «il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’). A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 novembre 2017, n. 2173). Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo – art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’] –, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13 maggio 2013, n. 2593; 4 settembre 2012, n. 4669; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 marzo 2018, n. 730; 4 marzo 2016, n. 434)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1561 del 11 agosto 2020.

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Il TAR Milano con riferimento alla adeguatezza della dichiarazione ex art. 89, comma 1, del d.lgs. 50/2016 rilasciata dalla ausiliaria in ordine al requisito prestato e alle risorse messe a disposizione, osserva che:
«- l’istituto dell’avvalimento è finalizzato a garantire la massima partecipazione alle gare pubbliche, consentendo alle imprese non munite dei requisiti partecipativi, di giovarsi delle capacità tecniche ed economico-finanziarie di altre imprese;
- il principio generale che permea l’istituto è quello secondo cui, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, il concorrente, per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche, nonché il possesso dei mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto e richiesti dal relativo bando, è abilitato a fare riferimento alla capacità e ai mezzi di uno o più soggetti diversi, ai quali può ricorrere tramite la stipulazione di un apposito contratto di avvalimento (tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, 19 maggio 2015, n. 2547; Consiglio di Stato, sez. V,13 marzo 2014, n. 1251);
- di tale ratio occorre tenere conto, laddove si tratti di interpretare il contenuto delle complessive dichiarazioni negoziali che compongono l’avvalimento;
- l’art. 89 del d.l.vo 2016 n. 50, in sostanziale continuità con la disciplina dettata dal d.l.vo 2006 n. 163, prevede che l’operatore economico, singolo o in raggruppamento, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi;
- la norma precisa, da un lato, che l’operatore economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre all’eventuale attestazione SOA dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento, dall’altro, che l’operatore stesso dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente;
- e ancora, il concorrente deve allegare alla domanda di partecipazione il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto; “a tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria”;
- in ordine al contenuto dei contratti di avvalimento, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere indispensabile la specificazione delle risorse e dei mezzi aziendali messi a disposizione dell’impresa concorrente, al precipuo fine di rendere concreto e verificabile dalla stazione appaltante la natura e la consistenza degli elementi messi a disposizione, poiché l’avvalimento non consiste nel “prestito” di un mero valore astratto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2365);
- l’avvalimento non deve risolversi nel prestito di un valore teorico o astratto, ma è necessario che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare specifiche risorse, sicché risulta “insufficiente allo scopo la sola e tautologica riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente", o espressioni equivalenti” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 25 febbraio 2014, n. 887; Consiglio di Stato, sez. III,7 aprile 2014, n. 1636; Consiglio di Stato, sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 135; Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2015, n. 2063);
- è dunque necessario che il contratto descriva, a seconda dei casi, i mezzi, il personale, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali che concernono la qualità o la capacità messa a disposizione, in dipendenza dell’oggetto dell’appalto (giur cit.);
- l’esigenza di specificità non sottende un vuoto formalismo, ma è funzionale a consentire all’amministrazione di verificare che la sinergia aziendale, realizzata con l’avvalimento, sia effettiva ed idonea a consentire la regolare esecuzione del contratto d’appalto, e non già limitata ad un mero impegno cartolare, che in alcuni casi potrebbe essere preordinato ad eludere le norme generali o di lex specialis sui requisiti di partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici (Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5244);
- del resto, il regime di responsabilità, che riguarda anche la ditta avvalsa e non solo il concorrente, può operare in concreto soltanto se viene specificamente indicata la prestazione cui tale responsabilità si riferisce. Non è possibile postulare un inadempimento contrattuale e la conseguente responsabilità di un soggetto il cui obbligo è stato genericamente dedotto in contratto. In altri termini, la genericità dell’impegno assunto impedisce, come affermato dalla giurisprudenza ricordata, alla stazione appaltante di far valere in via immediata la responsabilità dell’ausiliaria, la quale, per andare esente da responsabilità, potrebbe limitarsi ad indicare proprio la mancanza di una specifica violazione contrattuale (sul punto testualmente Consiglio di Stato, sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2365);
- in tale contesto, resta ferma l’indispensabilità della dichiarazione resa dall’ausiliario alla stazione appaltante, con la quale si obbliga a mettere a disposizione del concorrente i requisiti e le risorse di cui quest’ultimo è carente;
- invero, il contratto di avvalimento è fonte per l’ausiliario di obblighi nei confronti del solo concorrente e non della stazione appaltante (in questi termini, con riguardo al previgente codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante una disciplina in continuità normativa con quella del codice oggi in vigore: Cons. Stato, V, 1 agosto 2018, n. 4765);
- emerge così la rilevanza sul piano sostanziale della dichiarazione di impegno previsto dall’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che, anche a voler ragionare in termini di contratto a favore di terzo, di cui agli artt. 1411 – 1413 c.c., resta fermo che, seppure l’effetto tipico della stipulazione a favore del terzo è l’acquisto immediato da parte di quest’ultimo del diritto nascente dal contratto, nondimeno la medesima stipulazione può “essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente di volerne profittare”, ex art. 1411, comma 2, c.c.;
- inoltre, in base all’art. 1413 c.c. il promittente, rectius nel caso di avvalimento il concorrente ausiliato “può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto”;
- ne consegue che lo specifico impegno assunto dall’ausiliario nell’ambito del contratto di avvalimento a favore della stazione appaltante non è equivalente ad una dichiarazione diretta a quest’ultima, la quale ai sensi dell’art. 1334 c.c. produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata e diviene così irretrattabile, oltre che insuscettibile di essere paralizzata da eccezioni legate a rapporti con altri soggetti (cfr. in argomento di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2019, n. 7188; Consiglio di Stato sez. V, 4 giugno 2020, n. 3506);
- del resto, la genericità dei contratti di avvalimento o la radicale mancanza delle dichiarazioni obbligatorie non è superabile invocando il c.d. soccorso istruttorio, poiché non si tratta di una mera irregolarità formale o documentale, ma di una lacuna relativa ad un elemento essenziale concernente la dimostrazione di un requisito di capacità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 19 giugno 2017, n. 2985; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 157)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1527 del 4 agosto 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano, circa la natura prescrittiva del PTCP, ribadisce il suo orientamento secondo il quale «le previsioni riguardanti la tutela del paesaggio provinciale possiedono una efficacia prescrittiva e prevalente in quanto appaiono certamente riconducibili al novero delle ‘previsioni in materia di tutela dei beni ambientali e paesaggistici in attuazione dell’articolo 77’, di cui alla lett. a dell’art. 18, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005; anche in relazione alla difesa del territorio, e in particolare per gli aspetti relativi alla componente idrogeologica, è riconosciuta efficacia prevalente alle linee di intervento, nonché alle opere prioritarie di sistemazione e consolidamento stabilite attraverso il P.T.C.P. (art. 56, comma 1, lett. d, della legge regionale n. 12 del 2005, che richiama il precedente art. 18, comma 2, lett. d). D’altra parte, il riconoscimento della possibilità per il P.T.C.P. di dettare siffatte previsioni appare del tutto rispondente alle finalità stesse dello strumento di pianificazione provinciale, cui l’art. 15 della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce un ruolo di rilievo in tema di conservazione dei valori ambientali e paesaggistici e di rispetto dell’assetto idrogeologico del territorio (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 8 ottobre 2014, n. 2423). L’individuazione degli ambiti di rilievo paesaggistico e le linee di intervento in relazione all’assetto idrogeologico costituiscono oltretutto scelte che involgono interessi di carattere sovracomunale, ambientali, paesaggistici e di difesa del territorio, la cui tutela è stata affidata dalla legge regionale n. 12 del 2005 – in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma primo, della Costituzione – alla Regione e alle Province. Questi interessi sono dunque presi in considerazione dagli strumenti di pianificazione territoriale approvati da tali enti (P.T.R. e P.T.C.P.) e si sovrappongono agli interessi di carattere urbanistico la cui tutela è principalmente affidata ai Comuni (Consiglio di Stato, IV, 15 gennaio 2020, n. 379; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 16 marzo 2020, n. 489; 5 aprile 2017, n. 798)».


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1568 del 12 agosto 2020.

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Il TAR Milano precisa che nelle gare pubbliche l'offerta non conforme alle specifiche tecniche fissate nel bando di gara concretizza un'ipotesi di aliud pro alio, la quale non può che determinare l'esclusione dalla gara dell’offerente anche in assenza di un'espressa previsione in tal senso nella medesima legge di gara.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1512 del 3 agosto 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che «le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, così come le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue. Ne deriva che le stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene. È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi causa” (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 15 maggio 2019, n. 3141; altresì, C.G.A., 30 settembre 2019, n. 848; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 12 luglio 2017, n. 1604; T.A.R. Veneto, 11 ottobre 2019, n. 1083; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 19 ottobre 2017, n. 2402). Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 1 aprile 2011, n. 2037)».


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1573 del 13 agosto 2020.

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Il TAR Milano osserva in ordine ai rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale:
«- la Corte di Giustizia con la sentenza indicata ha affermato il principio secondo cui il diritto europeo relativo alle procedure di ricorso in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici “osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto (...) ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi”;
- il principio di diritto sopra richiamato è stato espresso in una controversia relativa ad una procedura di gara alla quale “abbiano partecipato più imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio (e comunque avverso le offerte di talune di queste non sia stata proposta impugnazione)” (cfr. paragrafo 19 della sentenza della Corte di Giustizia; in cui è riportata la questione pregiudiziale sollevata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza dell’11 maggio 2018, n. 6);
- la Corte precisa che “anche quando, come nella controversia di cui al procedimento principale, altri offerenti abbiano presentato offerte nell’ambito della procedura di affidamento e i ricorsi intesi alla reciproca esclusione non riguardino offerte siffatte classificate alle spalle delle offerte costituenti l’oggetto dei suddetti ricorsi per esclusione” (paragrafo 26), nondimeno, in base al principio dell’efficacia dei ricorsi in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, deve comunque essere esaminato nel merito il ricorso di ogni concorrente che “può far valere un legittimo interesse equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare” (paragrafo 24);
- in tal senso, viene configurato come risultato utile comunque conseguibile e meritevole di tutela, quello consistente nello stimolo indotto dalla pronuncia giurisdizionale di annullamento al potere di autotutela della stazione appaltante, la quale, vistasi invalidare le offerte oggetto delle contrapposte impugnazioni, tra cui quella dell’aggiudicataria, “potrebbe prendere la decisione di annullare la procedura e di avviare una nuova procedura di affidamento a motivo del fatto che le restanti offerte regolari non corrispondono sufficientemente alle attese dell’amministrazione stessa” (paragrafo 28);
- nell’affermare il principio sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale così sintetizzato, la Corte di giustizia ha dato continuità alla propria precedente giurisprudenza, espressa nelle sentenze del 4 luglio 2013, C-100/12 (Fastweb) e 5 aprile 2016, C-689/13 (Puligienica Facility Esco s.p.a. - PFE), che già avevano chiarito che “il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi, come pure il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi nonché la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti, non sono rilevanti” ai fini dell’applicazione del principio sopra enunciato (paragrafo 30):
- la Corte di giustizia ha precisato che il medesimo principio non incontra ostacolo nell’apparente contraria regola affermata in propri precedenti, ed in particolare nella sentenza 21 dicembre 2016, C-355/15, Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung und Caverion Österreich). Ciò in ragione del fatto che in quel caso l’esclusione dalla gara del ricorrente si era ormai consolidata, e precisamente: “era stata confermata da una decisione che aveva acquistato forza di giudicato prima che il giudice investito del ricorso contro la decisione di affidamento dell’appalto si pronunciasse, sicché il suddetto offerente doveva essere considerato come definitivamente escluso dalla procedura di affidamento dell’appalto pubblico in questione” (paragrafo 31);
- i principi fissati dalla Corte di giustizia conducono a ritenere che nei giudizi di impugnazione di atti di procedure di affidamento di contratti pubblici l’interesse ad agire in giudizio può avere sostanza in un’utilità non immediatamente ritraibile dalla decisione di accoglimento del ricorso, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza nazionale in relazione all’art. 100 cpc, ma può essere anche intermediato dall’esercizio di un potere amministrativo di cui sia paradigmatico il carattere discrezionale, quale quello di autotutela;
- resta preclusa al giudice davanti al quale i contrapposti ricorsi siano stati proposti la possibilità di alterare la parità delle parti, che nel processo amministrativo ha peraltro valore di principio generale (ex art. 2 cpa), per effetto della diversa posizione in graduatoria di due concorrenti portatori di un uguale e contrapposto interesse legittimo all’altrui esclusione dalla gara;
- fino a che un’esclusione non si sia consolidata, per effetto di un provvedimento dell’amministrazione non impugnato o la cui impugnazione sia stata respinta con sentenza definitiva, non è possibile pregiudicare il diritto ad un ricorso efficace, secondo il diritto europeo sugli appalti pubblici, sulla base della posizione in gara del concorrente e dell’ordine con cui in sede giurisdizionale i ricorsi sono trattati, perché deve comunque essere considerato il suo interesse strumentale alla rinnovazione della gara, ancorché condizionato dal potere di autotutela della stazione appaltante (cfr. per tali considerazioni si veda di recente Consiglio di Stato, sez. V, 9 aprile 2020, n. 2330)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1527 del 4 agosto 2020.
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Secondo il TAR Brescia: «la connessione apprezzabile al fine di consentire la proposizione dei motivi aggiunti in luogo dell'autonomo ricorso va interpretata in senso lato, dovendosi valutare i profili di connessione alla luce dell'oggetto del processo e, pertanto, i motivi aggiunti sono ammissibili non soltanto se riguardanti atti connessi agli atti precedentemente impugnati, ma anche se concernenti atti connessi all'oggetto del giudizio già instaurato. Con i motivi aggiunti è, pertanto, possibile ampliare il petitum del ricorso estendendolo ad altri diversi provvedimenti, purché l'atto sopravvenuto costituisca episodio della medesima lesione nei confronti dell'interesse della parte (cfr. Cons., Sez. IV, 18 aprile 2012 n. 2289; id., Sez. V, 19 marzo 2007 n. 1307)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 587 del 29 luglio 2020.
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Secondo il TAR Milano «Soltanto l’impresa già ammessa al concordato non ha bisogno di avvalimento (così il comma 5 dell’art. 110), che invece appare necessario non solo in caso di deposito dell’istanza di concordato prima della partecipazione, ma anche qualora l’istanza sia presentata nel corso della procedura di gara e financo dopo l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le citate situazioni tali da giustificare la possibilità di non utilizzare nel caso di specie l’avvalimento, che risponde invece ad esigenze di tutela della serietà dell’offerta e quindi di garanzia dell’affidabilità del contraente della pubblica amministrazione».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1462 del 29 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



 

Osserva il TAR Milano che:

  • «la previsione di un distacco minimo tra edifici confinanti costituisce una innovazione del codice civile sardo, poi ripresa dal codice del 1895 e dal vigente codice civile. Si tratta di previsione il cui fondamento è ravvisato nella necessità di salvaguardare, oltre agli interessi dei proprietari frontisti, l’igiene pubblica, evitando che gli edifici vengano ad essere privati di aria e di luce e che si abbia scolo e ristagno di acque tra una costruzione e l’altra. Lo conferma una costante giurisprudenza di legittimità, risoluta nell’affermare come la ratio della previsione sia quella di evitare possibili pregiudizi per l’igiene e la salubrità, aggiungendo, inoltre, come la tutela di tali beni sia immediatamente realizzata dal legislatore che presume foriere di insalubrità distanze inferiori a quella imposta. Ne consegue l’impossibilità per il Giudice di procedere ad ogni indagine sull’idoneità dell'intercapedine ad arrecare il pregiudizio per l'igiene e la salubrità dell'ambiente (cfr., ex multis, Cassazione civile, Sez. II, 28 settembre 2018, n. 23543). Si evidenzia, inoltre, come la previsione operi anche nel caso in cui, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edificata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose (Cassazione civile, Sez. II, 23 maggio 2019, n. 14084). In sostanza, la previsione opera ogniqualvolta in cui si realizzi una costruzione (nomen actionis che ricomprende, tra l’altro, anche le sopraelevazioni o gli avancorpi a costruzione esistente, che comportino un aumento di volumetria) che crei una intercapedine c.d. dannosa.
  • … Individuate ratio e finalità della previsione è agevole comprendere la portata del sintagma eccettuativo che ne esclude l’operatività in caso di costruzioni unite o aderenti. L’unione deve, infatti, ritenersi come l’integrale congiunzione degli edifici che in radice esclude la possibilità di formazione dell’intercapedine. Stessa constatazione vale per l’aderenza che comporta la costruzione lungo il primo edificio ma senza alcun appoggio allo stesso».

 

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1485 del 31 luglio 2020.

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Il TAR Milano, a fronte di una contestazione volta a censurare l’ammissione della aggiudicataria per essersi avvalsa dei requisiti di altro soggetto dichiarato fallito prima del termine di scadenza della presentazione delle offerte, osserva:
«che, secondo un orientamento giurisprudenziale, poiché l’affittuario subentra nei rapporti attivi e passivi dell’impresa concedente, la responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo a cui soggiace il concorrente, trova risposta nel principio ubi commoda, ibi incommoda.
Conseguentemente, chi si avvale dei requisiti di terzi sul piano della partecipazione a gare pubbliche, risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità (C.S., Sez. V, 5.11.2014, n. 5470, Sez. III, 12.12.2018, n. 7022).
Altro orientamento tende invece a valorizzare la disciplina del Codice dei Contratti pubblici (artt. 110 c .3 e 4 161) e della legge fallimentare (186 bis R.D. 16.3.1942, n. 267), nella parte in cui prevedono, a determinate condizioni, la possibilità che anche l’impresa soggetta a fallimento partecipi alle gare, ritenendo che, in mancanza di un’espressa disposizione, non sia possibile adottare un’interpretazione che estenda l’operatività dell’esclusione ad ipotesi non espressamente previste, in aderenza al principio di tassatività di cui all’art. 83 c. 8 del Codice dei Contratti (T.A.R. Campania, Sez. IV, 26.11.2019 n. 5585).
Anche quest’ultimo orientamento, richiede tuttavia che il concorrente fornisca la prova di una cesura tra le due gestioni, tale da dimostrare la sua completa disponibilità del compendio aziendale».
Il TAR ha quindi annullato l’ammissione della controinteressata alla procedura, atteso che nel caso di specie, la stazione appaltante non aveva proceduto ad effettuare alcuna verifica in merito, ciò che sarebbe stato invece necessario, considerato tra l’altro che le due società esercitavano attività identiche, i relativi amministratori avevano il medesimo cognome, e che la sentenza di fallimento ha evidenziato “reiterati inadempimenti al pagamento dei tributi”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1416 del 22 luglio 2020.
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Il TAR Milano osserva che:
«il contributo di costruzione – previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione – gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio» (Consiglio di Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; altresì Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 maggio 2020, n. 828). Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore (ex multis, Consiglio di Stato, II, 9 dicembre 2019, n. 8377; V, 21 novembre 2018, n. 6592).
Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10 aprile 2020), e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; IV, 7 novembre 2017, n. 5133).
La debenza del contributo di costruzione, di conseguenza, è direttamente correlata all’effettiva trasformazione urbanistica ed edilizia e quindi al concreto impatto che la stessa determina sul territorio. Pertanto, “qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’amministrazione, ex art. 2033 cod. civ., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente” (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 7 gennaio 2016, n. 12; altresì, T.A.R. Lombardia, Brescia, II, 2 maggio 2019, n. 426; T.A.R. Puglia, Bari, III, 3 aprile 2018, n. 488; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 1° marzo 2017; n. 496; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 27 gennaio 2017, n. 189)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1418 del 23 luglio 2020.
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Il TAR Milano dichiara tardive e quindi non utilizzabili delle note di udienza depositate dalle parti private nei due giorni che precedono l’udienza di merito, in quanto l’udienza si è svolta senza discussione orale ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito in legge n. 27/2020), con la conseguenza che le note di udienza avrebbero dovuto essere presentate almeno due giorni liberi prima dell’udienza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1489 del 3 agosto 2020.
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Secondo il TAR Brescia un RTI composto un’impresa italiana e da una società di un paese terzo che, pur avendo aderito nel 2001 al W.T.O., non ha perfezionato l’adesione all’allegato Accordo sugli Appalti Pubblici AAP o GPA (General Procurement Agreement) non può essere ammessa a partecipare ad una procedura di gara
Precisa il TAR che:
«5.2. L’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 50/2016 è definito, infatti, dagli articoli 45 e 49 del codice degli appalti.
5.3. La prima disposizione, che reca la regola generale relativa ai soggetti legittimati a partecipare agli appalti pubblici, recita: “Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici gli operatori economici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera p) nonché gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi. Gli operatori economici, i raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione oggetto della procedura di affidamento, possono partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche nel caso in cui essi avrebbero dovuto configurarsi come persone fisiche o persone giuridiche, ai sensi del presente codice.”
5.4. Tale norma individua, quindi, i soggetti legittimati alla partecipazione agli appalti regolati dal codice negli operatori economici italiani e in quelli degli Stati membri, costituiti in conformità al rispettivo ordinamento.
5.5. Con una circoscritta estensione di tale previsione il successivo articolo 49 consente, poi, alle imprese di Paesi terzi che abbiano sottoscritto specifici accordi con la UE di partecipare alle medesime procedure a condizione di reciprocità. Prevede, infatti, che: “Nella misura in cui sono contemplati dagli allegati 1, 2, 4 e 5 e dalle note generali dell'appendice 1 dell'Unione europea dell'AAP e dagli altri accordi internazionali a cui l'Unione è vincolata, le amministrazioni aggiudicatrici applicano ai lavori, alle forniture, ai servizi e agli operatori economici dei Paesi terzi, firmatari di tali accordi, un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai sensi del presente codice.”
5.6. I Paesi terzi sono quindi ammessi alle procedure di appalto nei limiti in cui abbiano sottoscritto detti accordi e nei soli termini ivi previsti.
5.7. Né la mancanza, nel codice, di un espresso divieto per le imprese dei restanti Paesi può essere interpretata come possibilità di una loro partecipazione, stante il chiaro dispositivo delle norme richiamate, che delineano il campo di applicazione della normativa de qua».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 552 del 20 luglio 2020.
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Il TAR Milano, dopo aver preso atto che nella fattispecie in esame sussistono i presupposti di cui all’articolo 60 c.p.a. che consente al Giudice amministrativo, adito in sede cautelare, di definire il giudizio con “sentenza in forma semplificata”, aggiunge con riferimento alla nuova normativa processuale emergenziale:

  • 6.1. Va, inoltre, notato come, nel caso di specie, operino le previsioni di cui agli articoli 84, comma 5, del d.l. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27/2020 ed il peculiare regime previsto dall’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazione, dalla L. n. 70/2020, che consente alle parti di richiedere la discussione orale da remoto, in alternativa al solo contraddittorio cartolare. Ora, la prima delle previsioni richiamate consente di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata “omesso ogni avviso”. Una deroga che, come osservato dalla Sezione, “non pare potersi ritenere di generale ed automatica applicazione dovendosi, comunque, valutare in relazione alla specifica vicenda processuale se la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata possa determinare una compromissione delle prerogative difensive delle parti” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 13 maggio 2020, n. 805). E ciò in base all’assunto che, secondo l’incisiva definizione della Corte di Cassazione, il contraddittorio costituisce, “il pilastro del processo” (Cassazione civile, Sez. VI, 12 marzo 2020, n. 7055) e, in quanto tale, impone al Giudice di ricercare nella panoplia degli strumenti processuali i mezzi per la sua realizzazione anche laddove ciò non sia espressamente previsto ma sia, comunque, ritenuto opportuno in ragione della concreta vicenda processuale (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, ordinanza 22 aprile 2020, n. 670). Osserva, inoltre, la Sezione che, come affermato in termini generali dalla Corte di Cassazione, il canone del contraddittorio non è formale, bensì elastico proprio “perché plasmato sulla vicenda processuale concreta” (cfr., ancora, Cassazione civile, Sez. VI, 12 marzo 2020, n. 7055; cfr., inoltre, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 23 aprile 2020, n. 677; T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. VI, 29 aprile 2020, n. 1593).
  • 6.1.1. Nella presente controversia nessuna delle parti evidenzia elementi ostativi alla definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata negli scritti. Né le parti lo fanno avvalendosi della previsione di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazione, dalla L. n. 70/2020, che consente di chiedere la discussione da remoto della controversia. L’ordinamento consente, quindi, alle parti di interloquire dando ad esse una facoltà ulteriore rispetto al mero contraddittorio cartolare. Facoltà di cui le parti non si avvalgono non segnalando circostanze ostative a simile definizione del giudizio. Né il Collegio le intravvede d’ufficio; al contrario, la definizione della controversia con sentenza in forma semplificata non può, nel caso di specie, ritenersi lesiva delle prerogative difensive delle parti che espongono compiutamente le loro difese sulla “res litigiosa”. Inoltre, la materia del contendere risulta circoscritta a pochi aspetti di censura e privi di peculiari profili di complessità.
  • 6.2. Quanto esposto al precedente punto si salda e si avvalora, poi, in ragione della previsione di cui all’articolo 120, comma 6, primo periodo, c.p.a. nel testo modificato dall’articolo 4, comma 4, lettera a), del d.l. 16 luglio 2020, n. 76. Tale disposizione prevede: “Il giudizio è di norma definito, anche in deroga al comma 1, primo periodo dell'articolo 74, in esito all'udienza cautelare ai sensi dell'articolo 60, ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”. Come osservato dal Servizio Studi del Senato della Repubblica (presso cui è in esame, al momento di decisione della causa, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 76/2020), tale disposizione “modifica il primo periodo del comma 6, prevedendo come “regola” la definizione del giudizio in esito all'udienza cautelare (ex art. 60 c.p.a) anche in deroga al primo periodo del comma 1 dell'articolo 74 (che prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata)”. La scelta di far definire il giudizio con sentenza in forma semplificata è, come visto, la regola “ordinaria” introdotta dal nuovo regime. E’, quindi, lo stesso precetto legale che “informa” le parti di simile modalità di definizione del giudizio invertendo il normale meccanismo della previsione di cui all’articolo 60 c.p.a. che rimette integralmente al Collegio tale scelta. Di conseguenza, nella fattispecie in esame non possono ritenersi sussistenti quelle ragioni che sono, invece, a fondamento delle ordinanze con le quali si dà avviso alle parti, nonostante la previsione di cui all’articolo 84, comma 5, del d.l. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27/2020, della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata. Diversamente opinando, del resto, l’avviso del Collegio non finirebbe che risultare l’annuncio dell’applicazione della regola di cui all’articolo 120, comma 6, c.p.a. che, come evidente, non può condizionarsi in parte qua all’emissione di un preventivo avviso».

 TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1487 del 31 luglio 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.