L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 21 del 25 settembre 2013, ha rimesso all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:
Se i principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
Il testo dell’ordinanza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte europea dei diritti dell’uomo, con due sentenze depositate in data 24 settembre 2013 nei giudizi n. 43870/04 e n. 43892/04, ha stabilito che le eccezionali circostanze che hanno portato allo stato di dissesto economico un ente locale (nella fattispecie un comune italiano) non possono giustificare il mancato pagamento integrale dei debiti di quello stesso ente accertati con sentenza definitiva. Inoltre, la Corte ha affermato che l’impossibilità di azionare una sentenza definitiva risalente al 2003 comporta una violazione del diritto di accesso alla giustizia per un periodo eccessivamente lungo.
In particolare, secondo la Corte:
- l’art. 1, protocollo n. 1 (protezione della proprietà), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non consente a un ente locale di fare riferimento a difficoltà economiche quale giustificazione per non adempiere integralmente agli obblighi derivanti da una sentenza definitiva;
- il diritto di accesso alla giustizia, garantito dall’art. 6, protocollo n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sarebbe illusorio se il sistema giudiziario di uno Stato contraente consentisse ad una sentenza definitiva di rimanere inoperante a danno di una delle parti;
- il diritto di accesso alla giustizia può subire limitazioni, ma tali limitazioni si conciliano con l’art. 6 protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo solo se perseguono uno scopo legittimo e se vi è proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito. 
Il testo delle sentenze (in lingua francese) è consultabile sul sito della Corte europea dei diritti dell’uomo ai seguenti indirizzi: giudizio n. 43870/04giudizio 43892/04.


Il recente decreto legge 31 agosto 2013 n. 102 (in G.U. n. 204 del 31 agosto 2013 - Supplemento Ordinario n. 66), recante “Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici” contiene anche una disposizione (l’art. 14) in materia di definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile pendenti avanti alla Corte dei conti.
In base a detta norma, le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 231 a 233, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 e successive modificazioni, si applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo in parte anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge, indipendentemente dalla data dell'evento dannoso nonché a quelli inerenti danni erariali verificatisi entro la data di entrata in vigore dello stesso decreto, a condizione che la richiesta di definizione sia presentata nei venti giorni precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013.
La somma da indicare nell’istanza di definizione non può essere inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; in tali casi, la sezione d'appello delibera in camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai sensi del comma 233 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decreto da comunicare immediatamente alle parti determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013.
Il comma 232 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 dispone, a sua volta, che la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento.
Ai sensi, poi, del comma 233 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello.
Il testo del decreto legge 31 agosto 2013 n. 102 è consultabile sul sito “Normattiva” al seguente indirizzo.


Con la decisione n. 19 del 6 agosto 2013, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato il seguente principio in ordine al contenuto dell’art. 30 del decreto legislativo n. 163 del 2006:
È  ben vero che il terzo comma dell’art. 30 prescrive che la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità; e tuttavia, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 13 del 2013, non potrebbe sostenersi, a norma del ricordato comma 1, l’applicabilità di tutte le disposizioni del codice, in quanto tutte le norme di dettaglio costituiscono una più o meno immediata applicazione di principi generali.
L’applicabilità delle disposizioni legislative specifiche, di per sé estranee alla concessione di servizi, è predicabile quando esse trovino la propria ratio immediata nei suddetti principi, sia pure modulati al servizio di esigenze più particolari, ma sempre configurandosi come estrinsecazioni essenziali dei principi medesimi
”.
La sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.