Con riguardo ai poteri di pianificazione urbanistica e di verifica di compatibilità ambientale, il TAR Brescia osserva che: «I due poteri, pianificatorio e di verifica della compatibilità ambientale, oltre ad essere esercitati da due soggetti diversi, si fondano su diversi presupposti e incontrano limiti diversi. La pianificazione dell’uso del territorio, rimessa al Comune, è la sede nella quale esigenze di tipo conservativo del paesaggio possono trovare compensazione, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio e, quindi, alle aspettative dei proprietari dei terreni (Consiglio di Stato, sentenza n. 7839/2019). Per converso, come chiarito nella stessa sentenza ora citata, <<l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio; vicendevolmente, il potere di pianificazione urbanistica, via via evoluto in senso propulsivo di miglioramento della vivibilità del suolo (si pensi alla tutela dei centri storici e, più settorialmente ma in maniera egualmente incisiva, a tutte le disposizioni di legge speciale che hanno valorizzato il potere di limitare in senso qualitativo gli insediamenti, anche commerciali, per migliorare il “decoro” e la vivibilità delle città) può rafforzare i limiti, anche conservativi, ampliando la soglia della tutela, ma mai prescinderne, condizionandola.>>».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 683 del 5 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 269 del 28 ottobre 2020 il decreto legge 28 ottobre 2020 n. 137 che reca, all’art. 25, la disciplina sulle udienze da remoto nel processo amministrativo per il periodo temporale dal 9 novembre 2020 al 31 gennaio 2021.
Questo il testo:
Art. 25. 
(Misure urgenti relative allo svolgimento del processo amministrativo) 
1. Le disposizioni dei periodi quarto e seguenti del comma 1 dell'articolo 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 25 giugno 2020, n. 70, si applicano altresì alle udienze pubbliche e alle camere di consiglio del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e dei tribunali amministrativi regionali che si svolgono dal 9 novembre 2020 al 31 gennaio 2021 e, fino a tale ultima data, il decreto di cui al comma 1 dell'articolo 13 dell'allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, prescinde dai pareri previsti dallo stesso articolo 13.
2. Durante tale periodo, salvo quanto previsto dal comma 1, gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Restano fermi i poteri presidenziali di rinvio degli affari e di modifica della composizione del collegio. 
3. Per le udienze pubbliche e le camere di consiglio che si svolgono tra il 9 e il 20 novembre 2020, l'istanza di discussione orale, di cui al quarto periodo dell'articolo 4 del decreto-legge n. 28 del 2020, può essere presentata fino a cinque giorni liberi prima dell'udienza pubblica o camerale.


Secondo il TAR Brescia «Il riconoscimento della natura di diritto pubblico degli accordi di programma comporta che l’iter di formazione e costituzione dell’accordo di programma sia riconducibile all’idealtipo del procedimento amministrativo (pur se speciale e fortemente tipizzato), la cui rigidità è parzialmente attenuata dalle previsioni della legge regionale della Lombardia n. 55/1986, secondo cui l’accordo risulta finalizzato alla “attuazione di piani e progetti di intervento che richiedono l’iniziativa integrata e coordinata delle Regioni, degli enti locali, di altre amministrazioni e soggetti anche privati”.
Ciò, però, non può significare che il legislatore regionale (prevedendo la partecipazione di soggetti privati nella fase di formazione degli accordi in questione) abbia voluto adombrare la natura eminentemente pubblicistica di fonti normative subprimarie degli accordi in parola. Anche alla luce di tale normativa locale, infatti, i privati legittimati all’intervento non assumono la qualifica di “parti” del procedimento organizzatorio riservata, invece, esclusivamente, ai soggetti pubblici.
Questi ultimi rimangono, anche nel corso delle trattative e dopo la conclusione dell’accordo, titolari della potestà pubblica e del connesso potere di adottare tutti gli atti ritenuti idonei a soddisfare l’interesse pubblico perseguito. La funzione pubblica dell’ente sottoscrittore rimane, dunque, preminente e consente allo stesso di rivalutare le proprie scelte, anche, in ipotesi, dopo la conclusione dell’accordo di programma».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 700 del 14 ottobre 2020.
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Secondo il TAR Milano:
«la portata dell’obbligo dichiarativo, in ordine a fatti non tipizzati di errore professionale, dipende dal contenuto della diligenza richiesta nell’adempimento dell’obbligo stesso, diligenza che deve essere costruita, ex art. 1176, comma 2, c.c., facendo riferimento a quella qualificata, che l’ordinamento pretende da chi svolge un’attività in modo professionale.
Il professionista deve commisurare la propria condotta non al criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, ma a quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c. (cfr. tra le tante, Cassazione civile, sez. III, 10 giugno 2016, n. 11906), quale modello astratto di condotta che si estrinseca, tanto se l’interessato è un professionista, quanto se è un imprenditore, nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse della controparte, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante giurisprudenza, la diligenza “si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità” (cfr. Cassazione civile, 31 maggio 2006, n. 12995) e deve valutarsi in concreto avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso, in coerenza con il richiamato art. 1176, comma 2, c.c. (cfr. per tutte, Cassazione civile, sez. III, 15 giugno 2018, n. 15732)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1879 del 12 ottobre 2020.
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Secondo il Consiglio di Stato: «7. Il sistema della pianificazione territoriale urbanistica successivo alla riforma costituzionale del 2001, caratterizzato dalle leggi regionali c.d. di “seconda generazione” si presenta in maniera ben diversa da quello riveniente dalla legge urbanistica del 1942. Esso risponde, cioè, ad una visione meno “gerarchica” e più armonica, che vede nella leale collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici principi ispiratori delle scelte. La pianificazione sovracomunale, affermatasi sia sul livello regionale sia provinciale, si connota pertanto per una natura “mista” relativamente a contenuti -prescrittivi, di indirizzo e di direttiva- e ad efficacia, nonché per la flessibilità nei rapporti con gli strumenti sottordinati. La pianificazione comunale a sua volta non si esaurisce più nel solo tradizionale piano regolatore generale, ma presenta un’articolazione in atti o parti tendenzialmente distinti tra il profilo strutturale e quello operativo, e si connota per l’intersecarsi di disposizioni volte ad una programmazione generale che abbia come obiettivo lo sviluppo socio-economico dell’intero contesto. L’atto rimesso alla competenza dell’Ente sovraordinato (tipicamente, la Provincia), in quanto rivolto ad un ambito territoriale più ampio, non può che essere destinato ad indirizzare per linee generali le scelte degli enti territoriali, nel pieno rispetto dell’allocazione delle stesse, secondo il richiamato principio di sussidiarietà, al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce, rispondendo all’obiettivo di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme assicurare il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa. Nell’impostazione articolata e flessibile del sistema della pianificazione territoriale, cioè, tipicamente strutturata su vari livelli, esso si colloca “a monte”, quale inquadramento degli elementi strutturali, delle reti e delle strategie, dalle quali è evidente che il Comune non può prescindere».

Aggiunge quindi il Consiglio di Stato che «In sintesi, il fatto che resti attuale, anche dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, l’affermazione in forza della quale il governo del territorio è «articolato su una pluralità di poteri, di sicura valenza politica, insediati nelle rispettive comunità di riferimento e caratterizzati, peraltro, dal principio di sussidiarietà (art. 4 c. 3, lettera a della legge 15 marzo 1997, n. 59) che stabilisce la sostanziale riconducibilità dell’intero complesso di scelte e di compiti relativi a una dimensione territoriale all’ente esponenziale della relativa comunità» (cfr. Cons. St., IV, 20 marzo 2000 n. 1493), implica che la pluralità di poteri insediati presso i diversi, ma concorrenti livelli di governo coinvolti presuppone la necessità che i Comuni interessati facciano valere le esigenze di gestione del proprio territorio. L’affermata sovraordinazione tra due discipline, pertanto, non può risolversi … nella sostanziale neutralizzazione dei contenuti degli atti comunali, stante che la illegittimità … porta alla caducazione dell’atto solo a seguito di azione demolitoria».

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 6263 del 15 ottobre 2020.
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Il TAR Milano accoglie una censura con la quale si è contestato che l’intera gestione della procedura e il procedimento di valutazione delle offerte si è svolto in modo contrastante con i principi di concentrazione, di continuità e di valutazione comparativa delle offerte sulla base del seguente percorso motivazionale:
«- per consolidata giurisprudenza, in materia di appalti pubblici il principio di concentrazione e di continuità delle operazioni di gara è di portata tendenziale, perché derogabile in presenza di ragioni oggettive, quali la complessità delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri della Commissione, la correlata necessità di nominare sostituti etc., che giustifichino il ritardo anche in relazione al preminente interesse all’effettuazione di scelte ponderate, derogabilità cui fa da sponda, ovviamente, la garanzia di conservazione dei plichi (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 29 maggio 2017, n. 2542; T.A.R. Lazio, sez. III, 19 marzo 2018, n. 3082);
- ne consegue che le sedute di una Commissione di gara devono inspirarsi al principio di concentrazione e continuità e che, conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire senza soluzione di continuità, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione stessa;
- parimenti, è pacifico che la previsione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, implica l’effettuazione di una valutazione comparativa delle offerte presentate (cfr. ex multis T.A.R. Toscana, sez. III, 26 luglio 2018, n. 1103; T.A.R. Campania, sez. V, 1 agosto 2018, n. 5153; Consiglio di Stato, sez. III, 22 gennaio 2014, n. 290), con la precisazione che, in caso di appalto articolato in più lotti, ciascuno di essi risulta autonomo, ai fini dello svolgimento delle operazioni di gara, sicché in relazione ad ogni lotto deve essere eseguita la valutazione comparativa delle offerte (cfr. in argomento TAR Lazio, sez. I quater, 25 giugno 2019 n. 8274);
- diversamente, le valutazioni rese dalla Commissione si pongono all’esito di un modus procedendi abnorme, non coerente con il criterio di selezione prescelto, in palese violazione dei canoni di trasparenza che presiedono l’azione della stazione appaltante durante l’intero sviluppo della procedura;
- nel caso di specie, la Commissione giudicatrice, in primo luogo, ha valutato il parametro “Personale messo a disposizione nella commessa” delle offerte -OMISSIS---OMISSIS- rispetto a tutti i lotti cui partecipava tale operatore, quindi ha proseguito con l’esame delle medesime offerte di -OMISSIS---OMISSIS- rispetto ai restanti criteri di valutazione (cfr. verbali in atti), introducendo però, in una successiva seduta, l’analisi, per tutti gli operatori economici e per tutti i lotti, dei parametri lineari e di quelli on/off, per poi abbandonare il metodo della valutazione del singolo concorrente rispetto a tutti i criteri di valutazione e procedere con l’analisi, per i vari operatori, dello stesso parametro;
- ne è derivata una dilatazione dei tempi di valutazione delle offerte, protrattasi dal 12 dicembre 2018 al 7 giugno 2019, senza che l’amministrazione abbia fornito concrete giustificazioni sul punto;
- insomma, la valutazione delle offerte è stata condotta in modo tutt’altro che lineare e coerente con le esigenze di concentrazione, atteso che si è passati da una valutazione di tipo orizzontale ad una verticale, con ingiustificato incremento dei tempi della procedura e con evidente alterazione della prescritta valutazione comparativa delle offerte;
- tutto ciò senza apprezzabili motivi, atteso che non integrano un’idonea spiegazione le generiche e tautologiche ragioni di efficienza riferite, con estrema laconicità, dai verbali di gara, fermo restando che neppure in sede processuale sono state fornite concrete delucidazioni su tale modo di procedere della stazione appaltante;
- in tale contesto, oltre ad emergere, in modo irragionevole, un deficit di trasparenza e di linearità nella valutazione delle offerte presentate e la non coerenza del procedimento seguito con l’articolazione della gara in Lotti, resta fermo che non sono state rispettate le esigenze di concentrazione e di continuità delle operazioni di gara, con conseguente fondatezza delle censure proposte».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1879, 1880 e 1881 del 12 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ritiene inammissibile il motivo con il quale parte ricorrente omette di indicare quali specifici argomenti o elementi istruttori sarebbero stati pretermessi dall’amministrazione, limitandosi a fare riferimento per relationem al materiale documentale prodotto in sede procedimentale e nel giudizio e affidando al giudice il compito di individuarli nel confronto tra quanto dedotto dalla proponente in sede procedimentale e quanto replicato (o non replicato) dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato.
Al riguardo osserva che: «La giurisprudenza amministrativa considera siffatta modalità di esposizione dei motivi di ricorso, definita per relationem (per il rinvio ad altro documento allo scopo di integrazione delle ragioni di critica ai provvedimenti impugnati), in contrasto con il principio di specificità dei motivi imposto dall'art. 40, comma 1, lett. d) cod. proc. amm. con conseguente inammissibilità del motivo proposto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.02.2020 n. 1323; Cons. Stato, IV, 25 ottobre 2019, n. 7275; IV, 12 luglio 2019, n. 4903; V, 20 luglio 2016, n. 3280). E’ stato affermato, a questo riguardo, che “L'inammissibilità non è esclusa dal fatto che la ricorrente abbia rinviato anche alla documentazione versata in giudizio comprendente gli atti della procedura poiché, altrimenti, sarebbe imposto al giudice di ricostruire le tesi di parte, supplendo al mancato assolvimento dell'onere di specificazione, con esiti comunque incerti non potendo certo ricavarsi dal solo tenore dei documenti depositati in via induttiva le ragioni fondanti la censura articolata in ricorso” (Cons. Stato, sez. V, 21.02.2020 n. 1323)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 718 del 22 ottobre 2020.
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Ricorda il TAR Milano che «La giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 18.5.2018, n. 8; da ultimo TAR Trento, 29/09/2020 n. 166) ha chiarito che ai sensi dell’art. 41 comma 2, c.p.a., in caso di impugnazione di una gara di appalto svolta in forma aggregata da un soggetto per conto e nell’interesse anche di altri enti, il ricorso deve essere notificato esclusivamente alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1972 del 21 ottobre 2020.
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Il TAR Milano precisa che:
«Ai sensi dell’art. 120 comma 11 bis c.p.a.: “11-bis. Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”.
Le condizioni poste dalla norma de qua per l’ammissibilità di un unico ricorso cumulativo, in caso di impugnazione dell’aggiudicazione di più lotti della medesima gara, sono dunque due. Da un lato, è necessario che l’aggiudicazione sia contenuta per tutti i lotti in un medesimo provvedimento (contestualità). In secondo luogo, occorre che detto unico atto venga gravato, con riferimento a tutti i lotti, per motivi identici (identità delle censure).».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1784 del 12 ottobre 2020.
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Il TAR Milano precisa che «circa il regime di pubblicazione dei regolamenti degli Enti Locali (e conseguente disciplina del decorso dei termini di impugnazione), recente giurisprudenza ha chiarito che nell’ambito dell’Ordinamento degli Enti locali e della disciplina del relativo potere regolamentare di cui al Dlgs 267/2000, se lo Statuto dell’Ente locale non prevede diversamente, vanno tenuti distinti il regime di pubblicazione della delibera di approvazione del regolamento che è regolata dagli artt. 124 e 134 ed il regime di entrata in vigore del regolamento, che è disciplinato dall’art. 10 delle preleggi (cfr. TAR Lazio, Roma, 11 marzo 2020, nr. 3179). Nella stessa pronuncia si precisa che i termini di impugnazione della delibera che approva il Regolamento decorrono dalla pubblicazione all’Albo (T.A.R., Potenza, sez. I , 10/07/2014 , n. 452; T.A.R. , Lecce , sez. I , 29/04/2014 , n. 1128)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1947 del 16 ottobre 2020.
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Il Tar Milano osserva che
«l’art. 51, comma 1, del d.l.vo 2016 n. 50 stabilisce che, al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all’articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in lotti prestazionali di cui all’articolo 3, comma 1, lettera ggggg), in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture;
- la norma impone uno specifico onere motivazionale, poiché le stazioni appaltanti devono motivare la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139;
- inoltre, si stabilisce che, nel caso di suddivisione in lotti, il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese, con la precisazione che “è fatto divieto alle stazioni appaltanti di suddividere in lotti al solo fine di eludere l’applicazione delle disposizioni del presente codice, nonché di aggiudicare tramite l’aggregazione artificiosa degli appalti”;
- la norma richiama il concetto di lotto funzionale, compiutamente definito dall’art. 3, comma 1 lett. qq), cit. come “uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti”;
- si tratta di una definizione che, in coerenza con la giurisprudenza amministrativa, impone che l’articolazione dell’appalto in più porzioni garantisca, comunque, che ogni singola frazione abbia una funzionalità che ne consenta l’utilizzazione compiuta, mentre è precluso il frazionamento quando tali parti siano inserite in una prestazione che può assumere valore e utilità solo se unitariamente considerata;
- la giurisprudenza ha avuto modo di precisare più volte (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1138) che la tendenziale preferenza dell’ordinamento per una ragionevole divisione in lotti è fondata non solo sulla notoria esigenza di favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese, ex art. 51 del d.l.vo n. 50/2016 (ed in precedenza l’art. 2, comma 1 bis, dell’abrogato D.lgs. n. 163/2006), ma anche e soprattutto nella esigenza di assicurare realmente la libera concorrenza e la non discriminazione tra i contendenti, cioè finalità di eminente interesse pubblico, che, trascendendo le vicende della singola gara, attengono all’ordinato ed equilibrato sviluppo economico della società intera;
- lo strumento della suddivisione in lotti, effettuabile su base quantitativa o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni esistenti, risulta peraltro suscettibile di deroga, purché la stazione appaltante esterni le ragioni della scelta e tal fine la giurisprudenza richiede una motivazione rigorosa, che individui i vantaggi economici e/o tecnico-organizzativi derivanti dall’opzione del lotto unico ed espliciti le ragioni per cui detti obiettivi siano prevalenti sull’esigenza di garantire l’accesso alle pubbliche gare ad un numero quanto più ampio di imprese, ed in particolare alle imprese di minore dimensioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 settembre 2014, n. 4669; Consiglio di Stato, sez. V, 16 marzo 2016, n. 1081);
- insomma, in sede di individuazione dei lotti, possono essere giustificate delle compressioni della concorrenza tra le imprese solo in presenza di motivate esigenze organizzative o economiche, che non possano trovare adeguato soddisfacimento in altro modo;
- ne consegue che ogni deroga al principio della necessaria suddivisione in lotti, che è presidio di tutela per il favor partecipationis delle imprese che non siano in grado di soddisfare le richieste del bando proprio a causa della predetta mancata ripartizione in lotti funzionali, deve essere misurata con il parametro dell’equilibrato bilanciamento dei valori che la norma sottende, sicché, tanto più elevato è il sacrificio che si richiede alle esigenze partecipative delle imprese, tanto più rigorosa dovrà essere la motivazione della deroga, da giustificarsi in ragione dell’elevato valore delle esigenze tecnico-organizzative o economiche rappresentate dall’amministrazione;
- sotto il profilo processuale, la scelta relativa alla suddivisione in lotti di un contratto pubblico “si presta ad essere sindacata in sede giurisdizionale amministrativa: e ciò ancorché l’incontestabile ampiezza del margine di valutazione attribuito all’amministrazione in questo ambito conduca per converso a confinare questo sindacato nei noti limiti rappresentati dai canoni generali dell’agire amministrativo, ovvero della ragionevolezza e della proporzionalità, oltre che dell’adeguatezza dell’istruttoria” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4 marzo 2019, n. 1491; Consiglio di Stato, sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038);
- in ogni caso, la decisione della stazione appaltante deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e resta delimitata, oltre che dalle specifiche norme sopra ricordate del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza e non deve dar luogo a violazioni sostanziali dei principi di libera concorrenza, di par condicio, di non-discriminazione e di trasparenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 13 novembre 2017, n. 5224)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1879, 1880 e 1881 del 12 ottobre 2020.
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Il Consiglio di Stato, a fronte di una censura rivolta alla sentenza di primo grado nella parte in cui non ha esaminato l’atto difensionale oltre il limite dimensionale prescritto, ha così statuito: 
«12.8. Si può convenire con l’appellante quando afferma che il primo giudice abbia seguito una interpretazione eccessivamente rigoristica e formalistica dell’art. 13-ter, comma 5, delle Norme di attuazione, di cui all’allegato II al c.p.a., nonché dell’art. 3, comma 1, lett. b), del decreto n. 167 del 22 dicembre 2016 del Presidente del Consiglio di Stato circa il superamento del numero di pagine, in quanto lo sforamento dei limiti dimensionali deve essere correlato prevalentemente al numero dei caratteri, il solo che abbia carattere vincolante, anziché al numero delle pagine (che ha natura orientativa), e deve essere comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l’obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine.
12.9. Infatti, fermo il limite massimo tassativo dei caratteri, la scelta di illustrare e spiegare complesse censure tecniche con immagini, nel corpo dell’atto, e di “sforare” perciò di poche e non eccessive pagine il limite, puramente indicativo, di 35 pagine non può costituire valida ragione per non esaminare le ultime tre o quattro pagine del ricorso senza considerare, irragionevolmente, che tale esiguo sforamento non dipende da prolissità grafica del difensore, ma dall’esigenza, ragionevole e meritevole di tutela, di offrire una rappresentazione il più possibile chiara, e intellegibile, delle medesime censure tecniche non solo per verba, ma anche per imagines et signa in un contenzioso, come quello degli appalti, contraddistinto da un’elevata complessità tecnica e in un processo, come il presente, che richiede peculiari competenze specialistiche.
12.10. Questa strategia difensiva non può ritenersi in sé, e comunque in modo automatico, irrispettosa del principio di sinteticità e dei ridetti limiti dimensionali perché, va qui ricordato, il dovere di sinteticità non è un valore in sé, un fine ultimo, ma è funzionale alla intelligibilità dell’atto, sul presupposto che ciò che è complesso, ridondante, superfluo nuoce alla comprensione delle censure e, di fatto, rende il processo amministrativo meno efficace nella tutela degli interessi legittimi o, in talune ipotesi, dei diritti soggettivi.
12.11. Ritiene quindi il Collegio di dovere esaminare anche i motivi, non esaminati dal primo giudice, per non avere l’odierna appellante violato l’obbligo di sinteticità così declinato, per le ragioni e nei limiti di cui si è detto».

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6043 del 13 ottobre 2020.
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Il TAR Milano osserva che. 
«- in forza di un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1, di recente confermato da Consiglio di Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4) la regola generale è quella per cui le clausole del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione e dunque, di norma, unitamente all’esclusione del concorrente, che censura anche la lex specialis, o all’aggiudicazione a terzi;
- resta fermo, inoltre, che la partecipazione alla gara da parte di un operatore non implica alcuna acquiescenza alle regole della gara prive di immediata lesività (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 4 del 26 aprile 2018);
- a fronte di una clausola illegittima della lex specialis, ma non immediatamente lesiva, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta o potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale e, quindi, in un’effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare;
- tale principio trova delle eccezioni, nel senso che in taluni casi, secondo l’indirizzo dell’Adunanza plenaria, il bando di gara va immediatamente impugnato e ciò accade allorché: a) si contesti in radice l’indizione della gara; b) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione proceduto all’affidamento diretto; c) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti;
- le clausole escludenti sono tali se pregiudicano l’utile partecipazione alla procedura, perché precludono ab origine la possibilità di conseguire l’aggiudicazione, indipendentemente dallo svolgimento delle operazioni di gara;
- le clausole escludenti, la cui elencazione resta suscettibile di elaborazione ispirata a criteri necessariamente restrittivi, avuto riguardo al carattere eccezionale dell’onere di reazione immediata, comprendono: a) le clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; b) le regole che valgano a rendere la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; e) le clausole impositive di obblighi contra jus; f) i bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta, ovvero presentino formule matematiche del tutto errate; g) gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione di voci di costo necessarie, come quella relativa ai costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (per tali considerazioni si vedano anche: Consiglio di Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5789; Consiglio di Stato sez. V, 24 ottobre 2018, n. 6040);
- va ribadito che l’impugnazione immediata del bando rappresenta l’eccezione, visto che al momento dell’avvio della procedura, di regola, la lesione per il soggetto concorrente è potenziale, assumendo la stessa i caratteri della concretezza e dell’attualità, di norma, soltanto a conclusione della gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4 marzo 2019, n. 1491; Consiglio di Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1350);
- non solo, quando si assume che la lex specialis precluda la possibilità di formulare un’offerta economicamente sostenibile, è necessario che si tratti di un impedimento certo e attuale e non meramente eventuale (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 245 del 22 novembre 2016), poiché solo in tale caso si giustifica l’onere di immediata impugnazione;
- per contro, laddove permanga almeno una chance di aggiudicazione non può ritenersi preclusa ab initio l’utile partecipazione alla procedura, con la precisazione che la chance si configura quale utilità intermedia autonomamente tutelata (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019, che richiama anche Corte di giustizia, IV, ord. 14 febbraio 2019, causa C-54/18; in argomento anche T.A.R. Lombardia, sez. II, 29 aprile 2020, n. 710);».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1879, 1880 e 1881 del 12 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano respinge un’eccezione con la quale si deduce l’inammissibilità delle impugnazioni incidentali avverso l’ammissione alla gara della ricorrente principale per mancato rispetto dei termini e delle modalità previste dall’art. 120, commi 2 bis e 6 bis, c.p.a. e osserva sul punto quanto segue:
«- l’art. 1, comma 22 lett. a), del d.l. 18 aprile 2019 – introdotto in sede di conversione dalla legge 2019 n. 55, pubblicata nella Gazz. Uff. 17 giugno 2019, n. 140 ed entrata in vigore il 18 giugno 2019 – ha disposto l’abrogazione dei citati commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 cpa, stabilendo, al successivo comma 23, che “le disposizioni di cui al comma 22 si applicano ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”;
- nel caso di specie, il ricorso principale è stato depositato in data 31 luglio 2019 e, pertanto, dopo l’entrata in vigore della norma recante l’abrogazione dell’art. 120, commi 2 bis e 6 bis, le cui disposizioni, di conseguenza, non sono applicabili al giudizio in esame;
- sul punto non è condivisibile la tesi secondo la quale la norma di abrogazione dovrebbe essere interpretata nel senso di tenere ferme le decadenze già maturate, ossia quelle relative ai provvedimenti di esclusione e di ammissione adottati prima dell’entrata in vigore della novella e per i quali sarebbero, in ipotesi, già decorsi i termini di impugnazione previsti dall’abrogato art. 120, comma 2 bis, cpa;
- invero, la norma in esame non reca alcuna indicazione di salvezza delle decadenze già maturate e ciò non può essere oggetto di integrazione interpretativa, poiché il legislatore, nel dettare una norma processuale, ha effettuato una precisa scelta normativa, individuando espressamente la decorrenza dell’abrogazione e, di conseguenza, i giudizi sui quali essa incide e ai quali, pertanto, non sono riferibili le norme dell’abrogato art. 120, commi 2 bis e 6 bis;
- il legislatore non ha preso in esame il tempo di adozione o quello di comunicazione dei provvedimenti di ammissione o di esclusione, ma, per evidenti ragioni di certezza giuridica, il momento in cui ha inizio il giudizio, stabilendo che, se tale momento è anteriore alla data in vigore della legge 2019 n. 55, continuano a trovare applicazione le norme dell’art. 120, commi 2 bis e 6 bis; viceversa, se il giudizio è iniziato dopo, le norme abrogate non trovano applicazione;
- la pendenza della domanda di annullamento e, quindi, l’inizio del processo – secondo la formula utilizzata dal comma 23 dell’art. 1 del d.l. 18 aprile 2019, come modificato in sede di conversione – si verifica, stante la struttura impugnatoria del giudizio di cui si tratta, nel momento in cui il ricorso è depositato, poiché solo in questo momento la domanda risulta proposta davanti al giudice;
- viceversa, non rileva la semplice notificazione del ricorso, che non vale ad incardinare il giudizio dinanzi al giudice amministrativo;
- ne deriva che nel caso in esame non trovano applicazione le disposizioni dell’abrogato art. 120, commi 2 bis e 6 bis, con conseguente infondatezza dell’eccezione in esame».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1879, 1880 e 1881 del 12 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, il principio del ne bis in idem è pienamente applicabile al processo dinanzi al Giudice Amministrativo in virtù del rinvio esterno contenuto nell'art. 39, comma 1, c.p.a. e non osta all’operatività dell’effetto preclusivo la circostanza che la prima decisione non sia passata in giudicato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1784 del 12 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.






Il Consiglio di Stato ribadisce il consolidato indirizzo giurisprudenziale per la quale «occorre “il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze” in quanto “la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica” (Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4693; cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2348; Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615)».

Consiglio di Stato, Sez. II, n. 6020 del 9 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si informa che l’evento sospeso precedentemente intitolato: “REGIME GIURIDICO DEL DEMANIO STRADALE: GESTIONE E RESPONSABILITA’" previsto per il 06/03/20 si svolgerà in data 23/11/20 dalle ore 15.00 alle 17.00 con il nuovo titolo “REGIME GIURIDICO DEL DEMANIO: RECENTI EVOLUZIONI DEI BENI PUBBLICI” (relatore Prof. Emanuele Boscolo) e si terrà in modalità online con piattaforma ZOOM. Le modalità di accesso verranno inviate agli iscritti all’evento.


Il Consiglio di Stato precisa che:
«... il proprietario ‘non responsabile’ dell'inquinamento – nell’accezione prima chiarita - è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i) (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.
9.4. A tale regime fa tuttavia eccezione, come visto, l’ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile, abbia attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale.
In questo caso, il proprietario, seppur non obbligato, assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie.
Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute (pur se si tratta del dante causa), “a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà” (Cass. civ., Sez. III, ord., 22 gennaio 2019, n. 1573).».

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5372 del 7 settembre 2020.
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Il TAR Milano afferma che «Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale dal quale il Collegio non ha motivo per discostarsi, la produzione dell'avviso di ricevimento della raccomandata, nelle notifiche effettuate a mezzo posta, è richiesta dalla legge in funzione della prova dell'intervenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell'avvenuta instaurazione del contraddittorio; l'avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all'udienza di discussione. In difetto di produzione e in mancanza di costituzione della parte intimata, il ricorso è inammissibile non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ. (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2016, n. 1678; id, sez. IV, 22 dicembre 2009, n. 8627; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 19 maggio 2020, n. 906; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 21 giugno 2019, n. 1669).
La stessa giurisprudenza ha peraltro chiarito che, nell'ipotesi di omessa produzione, all'udienza di discussione, dell'avviso di ricevimento idoneo a comprovare il perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale ai sensi dell'art. 149 cod. proc. civ., non può essere accolta l'istanza di mero rinvio, formulata dalla parte ricorrente al fine di provvedere a tale deposito, poiché il differimento d'udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo stabilito dall'art. 111 Cost., salva la possibilità di concedere la rimessione in termini alla parte che ne faccia richiesta purché questa dimostri “che l'omessa produzione dell'avviso di ricevimento non gli è addebitabile in alcun modo e che è conseguenza di un fatto incolpevole al di fuori della sua sfera di controllo, in tal modo correttamente temperandosi le esigenze del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.) e del giusto processo (ex art. 111 Cost.)”. (cfr. Cass. Civ., S.U., 14 gennaio 2008, n. 627; id., sez. III, 28 aprile 2011, n. 95453; T.A.R. Calabria Catanzaro, sent. n. 906 del 2020 cit.)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1781 del 2 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato precisa che «L'ordine di demolizione è un atto vincolato che poggia sull'atto presupposto che accerta la presenza di un abuso edilizio, con la conseguenza che l'efficacia dell'ordine di demolizione resta sospesa all'indomani della presentazione della domanda di sanatoria, ma al momento in cui la stessa venga respinta, l'ordine di demolizione torna a spiegare i suoi effetti, né appare necessario che l'amministrazione adotti un ulteriore ordine di demolizione, poiché la domanda di sanatoria non caduca l'ordine di demolizione, ma ne sospende gli effetti, che ricominciano a decorrere a far data dall'adozione del diniego di sanatoria».

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5632 del 25 settembre 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano che «è inammissibile il ricorso per cassazione, proposto ai sensi degli artt. 362 c.p.c. e 111 Cost., con il quale si censura la valutazione delle condizioni di ammissibilità dell'istanza di revocazione da parte del Consiglio di Stato, giacché con esso non viene posta una questione di sussistenza o meno del potere giurisdizionale di operare detta valutazione e, dunque, dedotta una violazione dei limiti esterni alla giurisdizione del giudice amministrativo, rispetto alla quale soltanto è consentito ricorrere in sede di legittimità in base alle anzidette norme».

Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, n. 19669 del 21 settembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il Consiglio di Stato precisa che l’art. 83, comma 8, del codice degli appalti si riferisce alle “prescrizioni” a pena di esclusione che le stazioni appaltanti possono inserire nei bandi di gara, ma che non possono essere ulteriori a quelle previste dal codice e dalle altre leggi a pena di nullità, ma che sono ben diverse dai “requisiti” della fornitura; pertanto, deve essere esclusa dalla gara un’impresa che abbia offerto un prodotto privo dei requisiti minimi di carattere tecnico richiesti per la partecipazione alla gara.

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5464 del 15 settembre 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, dopo aver accertato che il ricorso è stato notificato all’amministrazione statale nella sede propria e non presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato e che la notifica nulla non è stata sanata, non essendosi costituita in giudizio l’amministrazione intimata, dichiara l’inammissibilità del ricorso e precisa quanto segue:
«l’art. 44, comma quarto, c.p.a. attualmente vigente consente di disporre la rinnovazione della notifica nulla soltanto qualora “l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”;
detto presupposto certamente non si verifica nel caso in esame, tenuto conto dell’errore in cui è incorsa la parte ricorrente (cfr. TAR Lazio, sez. III, 3 novembre 2010 n. 33139);
il Collegio non ignora che la quinta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 20 aprile 2020, n. 2489, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 4, del codice del processo amministrativo, limitatamente alle parole “se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”, in relazione agli articoli 3, 24, 76, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione, con riferimento all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
il Collegio ritiene tuttavia di non dover sospendere il presente giudizio in attesa della conclusione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, in quanto giudica manifestamene infondata la questione;
la specialità della disciplina contenuta nell’articolo 44, comma 4, del codice del processo amministrativo preclude, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, l’applicazione al giudizio amministrativo della disciplina di segno contrario che l’articolo 291, comma 1, del codice di procedura civile prevede per la sanatoria della notificazione nulla nel processo civile;
la Corte costituzionale, con la sentenza del 31 gennaio 2014, n. 18, ha già affermato che l’articolo 291, comma 1, del codice di procedura civile, in base al quale il giudice è in ogni caso tenuto a fissare all’attore un termine perentorio per la rinnovazione della citazione, la quale, ove successivamente perfezionatasi per il destinatario, determina la sanatoria con efficacia ex tunc della notificazione nulla, non è espressione di un principio generale del processo civile e non è ontologicamente compatibile con la peculiare struttura del processo amministrativo, la cui snellezza giustifica in capo al ricorrente la previsione di un onere di diligenza più elevato nella notificazione dell’atto introduttivo (Consiglio di Stato, sez. III, 28 novembre 2018, n. 6744; 24 settembre 2018, n. 5503);
il Collegio ritiene che l’articolo 11 del r.d. 1611 del 1933 non sanzioni con la nullità una violazione meramente formale, in quanto l’effettività della tutela delle situazioni soggettive dedotte in giudizio, che si concretizza nella possibilità di accedere al merito senza filtri preventivi, deve essere contemperata con le esigenze di speditezza, di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa, le quali trovano un ragionevole punto di equilibrio nell’autoresponsabilità del soggetto che invoca tutela;
anche il rimedio della rimessione in termini, ora disciplinato dall’art. 37 c.p.a., presuppone il riconoscimento di un errore scusabile, cui è equiparabile l’esistenza di gravi impedimenti di fatto, da considerare applicazione settoriale processuale del generale principio giuridico ad impossibilia nemo tenetur (cfr., Consiglio di Stato sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 5342);
ai fini della configurabilità dell’errore scusabile, che consente la remissione in termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale, è tuttavia necessario che l’errore abbia origine da incertezze o difficoltà di interpretazione delle norme ovvero della novità della questione da decidere, ovvero ancora da oscillazioni giurisprudenziali, presupposti questi non ricorrenti nella fattispecie, stante la chiarezza del quadro normativo di riferimento che risulta di agevole comprensione ed interpretazione;
nel processo amministrativo, in base al combinato disposto degli articoli 39, comma 2, e 41, comma 3, del codice del processo amministrativo e dell’articolo 11, commi 1 e 3, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, così come modificato dall’articolo 1, comma 1, della legge 25 marzo 1958, n. 260, tutti gli atti devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato, a pena di nullità, presso l’ufficio ovvero all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’Avvocatura dello Stato del distretto in cui ha sede l’Autorità giudiziaria adita».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1728 del 30 settembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri