Il Consiglio di Stato, a fronte di una censura rivolta alla sentenza di primo grado nella parte in cui non ha esaminato l’atto difensionale oltre il limite dimensionale prescritto, ha così statuito: 
«12.8. Si può convenire con l’appellante quando afferma che il primo giudice abbia seguito una interpretazione eccessivamente rigoristica e formalistica dell’art. 13-ter, comma 5, delle Norme di attuazione, di cui all’allegato II al c.p.a., nonché dell’art. 3, comma 1, lett. b), del decreto n. 167 del 22 dicembre 2016 del Presidente del Consiglio di Stato circa il superamento del numero di pagine, in quanto lo sforamento dei limiti dimensionali deve essere correlato prevalentemente al numero dei caratteri, il solo che abbia carattere vincolante, anziché al numero delle pagine (che ha natura orientativa), e deve essere comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l’obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine.
12.9. Infatti, fermo il limite massimo tassativo dei caratteri, la scelta di illustrare e spiegare complesse censure tecniche con immagini, nel corpo dell’atto, e di “sforare” perciò di poche e non eccessive pagine il limite, puramente indicativo, di 35 pagine non può costituire valida ragione per non esaminare le ultime tre o quattro pagine del ricorso senza considerare, irragionevolmente, che tale esiguo sforamento non dipende da prolissità grafica del difensore, ma dall’esigenza, ragionevole e meritevole di tutela, di offrire una rappresentazione il più possibile chiara, e intellegibile, delle medesime censure tecniche non solo per verba, ma anche per imagines et signa in un contenzioso, come quello degli appalti, contraddistinto da un’elevata complessità tecnica e in un processo, come il presente, che richiede peculiari competenze specialistiche.
12.10. Questa strategia difensiva non può ritenersi in sé, e comunque in modo automatico, irrispettosa del principio di sinteticità e dei ridetti limiti dimensionali perché, va qui ricordato, il dovere di sinteticità non è un valore in sé, un fine ultimo, ma è funzionale alla intelligibilità dell’atto, sul presupposto che ciò che è complesso, ridondante, superfluo nuoce alla comprensione delle censure e, di fatto, rende il processo amministrativo meno efficace nella tutela degli interessi legittimi o, in talune ipotesi, dei diritti soggettivi.
12.11. Ritiene quindi il Collegio di dovere esaminare anche i motivi, non esaminati dal primo giudice, per non avere l’odierna appellante violato l’obbligo di sinteticità così declinato, per le ragioni e nei limiti di cui si è detto».

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6043 del 13 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.