Il TAR Brescia, pur evidenziando di non ignorare un diverso orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2018, n. 2063), per il quale non vi è onere di segnalazione relativamente ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice e non avente dunque i connotati della definitività, per espressa previsione di legge non può costituire elemento idoneo a mettere in dubbio, nemmeno astrattamente, l’integrità o affidabilità dell’impresa concorrente, ritiene di fare proprio l’orientamento opposto, secondo il quale il pregresso inadempimento rileva a fini escludenti, qualora assurga al rango di “grave illecito professionale”, tale da rendere dubbia l'integrità e l'affidabilità dell'operatore economico, anche se non abbia prodotto gli effetti risolutivi, risarcitori o sanzionatori tipizzati; pertanto, è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione della portata di pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto questi effetti specifici; in tale eventualità, però, i correlati oneri di prova e di motivazione sono ben più rigorosi ed impegnativi rispetto alle ipotesi esemplificate nel testo di legge e nelle linee guida.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda n. 1025 del 27 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento secondo il quale il giudice amministrativo non può valutare l’eventuale illegittimità dell’atto a fini risarcitori, ex art. 34 c.p.a., in assenza di domanda di risarcimento dei danni ritualmente proposta in giudizio, non essendo sufficiente la mera dichiarazione resa durante la trattazione della causa, che manifesta soltanto un interesse generico e non sufficientemente attendibile.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2423 del 29 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato aderisce all’orientamento giurisprudenziale che ha interpretato l’art. 77, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 in continuità con l’indirizzo formatosi sul codice previgente, giungendo così a concludere che, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6082 del 26 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, il modello delineato dalla legislazione regionale prevede che i piani collocati al livello superiore non siano gerarchicamente sovraordinati agli altri, ma dettino una disciplina di orientamento, indirizzo e coordinamento, che non può essere stravolta ma, in particolari casi, derogata dalla disciplina puntuale dettata dallo strumento di pianificazione contenente disposizioni di maggior dettaglio; pertanto, nel perseguimento degli obiettivi di tutela stabiliti dal PTR e dunque dal Piano paesaggistico regionale, ben può il PTCP introdurre ulteriori disposizioni destinate a prevalere anche per aree che non siano state direttamente e specificamente individuate dal P.T.R.; sussiste quindi, in relazione agli atti di pianificazione del territorio della Regione Lombardia, una disciplina positiva del c.d. principio di maggior dettaglio o di maggior definizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2377 del 23 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato, nel respinge un motivo con cui si è lamentata in parte qua la discrasia fra la legge di gara e le prescrizioni di cui alle linee guida dell’ANAC n. 2 del 21 settembre 2016 (in tema di offerta economicamente più vantaggiosa), osserva che, trattandosi pacificamente di linee guida non vincolanti (le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del nuovo codice dei contratti), esse non risultano idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara; il testo in questione, quindi, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggia soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti”; il testo in parola risulta ricognitivo di principi di carattere generale, ivi compreso quello della lata discrezionalità che caratterizza le scelte dell’amministrazione in punto di individuazione degli elementi di valutazione delle offerte.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6026 del 22 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano ricorda che è stato ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione che l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto che agisce nei confronti della pubblica amministrazione sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che ha impugnato; ne consegue che la domanda risarcitoria proposta in via riconvenzionale dall’Amministrazione, facendo valere la responsabilità precontrattuale del privato per i danni da essa sofferti in conseguenza del coinvolgimento in trattative rivelatesi inutili, si colloca al di fuori della giurisdizione del giudice adito, rientrando in quella dell’A.G.O.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2267 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si segnala il convegno che si terrà a Brescia il 23 novembre 2018, presso il Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia, sul tema: “Crescita economica, normativa antimafia e anticorruzione. Coniugare le ragioni dello sviluppo e l’esigenza della legalità”.

Le iscrizioni possono essere inviate all’indirizzo e-mail: Segreteria@cadlo.it entro il giorno 15 novembre 2018. 




Il TAR Milano rammenta che la giurisprudenza, sia civile sia amministrativa, ha in più occasioni affermato come, anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione sia tenuta a rispettare, non soltanto, le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza; la violazione di queste ultime, quindi, può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2267 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento cfr. anche  la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima n. 2501 del 6 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia precisa che quando i lottizzanti ritengano di aver subito una perdita economica non giustificata dalla convenzione urbanistica, e di avere in questo modo arricchito l’amministrazione oltre i limiti previsti originariamente, appare corretta la proposizione di un ricorso qualificato come azione di arricchimento ex art. 2041 c.c., in quanto la finalità perseguita dalla parte ricorrente è precisamente quella di cancellare gli squilibri economici verificatisi nel corso del rapporto, previo accertamento della reale volontà dei contraenti; il TAR aggiunge, tuttavia, che non costituisce arricchimento indebito qualsiasi scostamento rispetto alle previsioni economiche contenute nella convenzione urbanistica; vi sono due parametri da utilizzare in questo tipo di valutazioni: da un lato, occorre esaminare la volontà dei contraenti, per stabilire se la quantificazione dei costi costituisca un elemento essenziale ai fini del consenso, dall’altro, si deve esaminare la natura dei costi aggiuntivi, per stabilire il grado di connessione degli stessi con l’oggetto della convenzione urbanistica.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 999 del 19 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ricorda che, per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa il giudizio sull'anomalia dell'offerta postula un apprezzamento globale sulla sua affidabilità e, nel contraddittorio procedimentale afferente al relativo segmento procedurale, sono consentite compensazioni tra sottostime e sovrastime di talune voci dell'offerta economica, ferma restando la sua strutturale immodificabilità; tuttavia l'applicazione di tali principi incontra il duplice limite, in generale, del divieto di una radicale modificazione della composizione dell'offerta, che ne alteri l'equilibrio economico, allocando diversamente rilevanti voci di costo nella sola fase delle giustificazioni; diversamente opinando, si perverrebbe all'inaccettabile conseguenza di consentire un'indiscriminata e arbitraria modifica postuma della composizione dell'offerta economica (nella fase del controllo dell'anomalia), con il solo limite del rispetto del saldo complessivo, in tal modo snaturando completamente la funzione e i caratteri del subprocedimento di anomalia.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2278 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento vedi anche sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2305 del 15 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo


Secondo il TAR Brescia, la conformità prevista dall’art. 36 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 per la regolarizzazione degli abusi edilizi può essere ottenuta anche individuando volumetria residenziale non sfruttata in precedenti edificazioni o ristrutturazioni, o acquistando la volumetria mancante da altri soggetti che ne siano titolari; si tratta di residui di diritti edificatori che rimangono latenti finché non si presenta l’opportunità di impiegarli per integrare la volumetria già insediata.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 970 del 10 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il Consiglio di Stato, la domanda dell’impresa di ammissione alla procedura concorsuale costituisce una diretta e inequivocabile ammissione del suo stato di crisi e dunque costituisce una procedura “in corso” a norma dell'art. 38 D.lgs. n. 163/2006, che inibisce la partecipazione alla gara, fatta salva la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’art. 186-bis della Legge Fallimentare; quest’ultima disposizione consente, in via di eccezione, in mantenimento dei requisiti di capacità di cui all’art. 38 lett. a) del d.lgs. 163 cit., alle imprese che o sono già state ammesse al concordato con continuità aziendale ovvero alle società che abbiano presentato l’istanza di ammissione al concordato preventivo "in bianco" o "con riserva" ex art. 161 comma 6 L.F. condizionatamente però all’assolvimento di determinati oneri .

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5966 del 18 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato conferma il recente orientamento secondo cui la presentazione della domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001, non comporta alcuna paralisi dei poteri sanzionatori già esercitati dal Comune e, dunque, non determina l'inefficacia sopravvenuta dell'ingiunzione di demolizione emessa; la presentazione dell'istanza di sanatoria non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d'interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria; dal diniego di sanatoria, quindi, non consegue la necessità di innescare un nuovo iter procedimentale, inteso alla riedizione del potere sanzionatorio.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5124 del 31 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In senso conforme cfr. la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 6233 del 5 novembre 2018 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che il termine fissato per l’espletamento del soccorso istruttorio è perentorio, e ciò non tanto perché così (nella fattispecie) lo aveva autoqualificato la stazione appaltante nella missiva di richiesta dei documenti, quanto piuttosto perché solo ritenendolo perentorio si attua un ragionevole bilanciamento fra l’interesse a evitare esclusioni dovute a mere carenze documentali e dunque a garantire la massima partecipazione al confronto concorrenziale e l’interesse a una celere conclusione della procedura di gara; ne consegue che il mancato rispetto di un termine perentorio non può avere altra conseguenza che l’esclusione dalla gara, senza che assuma rilevanza né il possesso dei requisiti di cui si era chiesta la dimostrazione in sede di soccorso istruttorio, né che i documenti formati a tale fine siano stati formati in data antecedente alla scadenza del suddetto termine.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2323 del 17 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato ricorda che secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale nel sistema attualmente vigente il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita ed è subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse; ciò in quanto l’entrata in vigore dell’art. 2-bis della legge n 241 del 1990 non ha elevato a bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; il riconoscimento della responsabilità dell’Amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede poi, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato sia conseguenza diretta e immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5834 del 10 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che sulla base del quadro normativo vigente emerge che non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata; in proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5781 del 9 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che il principio di legalità in materia sanzionatoria - immanente allo Stato di diritto - trova base nell’art. 1, primo comma, della l. 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione», in applicazione dell’art. 25 Cost., per il quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»; ne deriva che le fattispecie soggette a sanzione amministrativa si caratterizzano per tipicità e determinatezza, sicché resta esclusa l’integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l’applicazione a ipotesi ivi non contemplate; ciò posto, le indicazioni dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - AVCP (oggi, Autorità nazionale anticorruzione - ANAC) hanno la funzione di definire canoni oggettivi di comportamento per gli operatori del settore, la cui violazione può essere senz’altro presunta come un'ipotesi di negligenza per gli specifici effetti dell'art. 70, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 207 del 2010, nondimeno, in rispetto del rammentato principio di legalità in materia sanzionatoria e di ragioni generali di sicurezza giuridica, occorre che siffatte indicazioni non tengano luogo di fattispecie illecite per legge inesistenti e che specifichino con chiarezza e precisione la condotta che si arriva dover presumere contra-legem (fattispecie in materia di adempimenti informativi da parte della SOA).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5883 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, sul principio secondo il quale le procedure giurisdizionali in materia ambientale non devono essere eccessivamente onerose, statuisce i seguenti principi:

«L’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo, in esso sancito, secondo cui determinate procedure giurisdizionali in materia ambientale non devono essere eccessivamente onerose è privo di efficacia diretta. In caso di mancato recepimento di tale articolo da parte di uno Stato membro, i giudici nazionali di quest’ultimo sono comunque tenuti, quanto più possibile, ad interpretare il diritto interno, a decorrere dalla scadenza del termine previsto per il recepimento di detto articolo, in modo tale che ai soggetti dell’ordinamento non venga impedito di proporre o proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell’ambito di applicazione dello stesso articolo a causa dell’onere finanziario che potrebbe derivarne.
2) L’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di interpretazione conforme si impone ai giudici di uno Stato membro, quando decidono sulla ripartizione delle spese nei procedimenti giurisdizionali che erano pendenti alla data di scadenza del termine di recepimento dell’obbligo, secondo cui determinate procedure giurisdizionali in materia ambientale non devono essere eccessivamente onerose, previsto dal citato articolo 10 bis, quinto comma, a prescindere dalla data in cui tali spese sono state sostenute nel corso del procedimento di cui trattasi. 
3) L’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, deve essere interpretato nel senso che, in una controversia come quella in esame nel procedimento principale, l’obbligo di interpretazione conforme grava sul giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’importo delle spese, nei limiti in cui l’autorità di cosa giudicata inerente alla decisione, divenuta definitiva, relativa alla ripartizione delle spese non vi osti, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare»

La sentenza della Prima Sezione del 17 ottobre 2018 (causa C-167/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento alla nozione di contratti a titolo oneroso e all’assoggettamento delle strutture convenzionate con il SSN alla disciplina in materia di appalti pubblici, statuisce i seguenti principi:

«1) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «contratti a titolo oneroso» ricomprende la decisione mediante la quale un’amministrazione aggiudicatrice attribuisce ad un determinato operatore economico direttamente, e dunque senza previo esperimento di una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, un finanziamento interamente finalizzato alla fabbricazione di prodotti destinati ad essere forniti gratuitamente da detto operatore a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di qualsiasi corrispettivo a favore dell’operatore stesso, ad eccezione del versamento, a titolo di spese di trasporto, di un importo forfettario di EUR 180 per ciascun invio.
2) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), e l’articolo 2 della direttiva 2004/18 devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale, equiparando gli ospedali privati «classificati» a quelli pubblici, attraverso il loro inserimento nel sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale, regolata da speciali convenzioni, distinte dagli ordinari rapporti di accreditamento con gli altri soggetti privati partecipanti al sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie, li sottrae alla disciplina nazionale e a quella dell’Unione in materia di appalti pubblici, anche nei casi in cui tali soggetti siano incaricati di fabbricare e fornire gratuitamente alle strutture sanitarie pubbliche specifici prodotti necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, quale corrispettivo per la percezione di un finanziamento pubblico funzionale alla realizzazione e alla fornitura di tali prodotti».

La sentenza della Ottava Sezione del 18 ottobre 2018 (causa C-606/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.



Il TAR Milano ribadisce che la controversia che ha per oggetto la determinazione dell’importo spettante al Comune in conseguenza dell’esercizio del diritto di recesso da un Consorzio, unitamente alla correlata pretesa risarcitoria, attiene a diritti soggettivi non incisi dall’esercizio di poteri imperativi e, pertanto, non appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma a quella del giudice ordinario; nella sentenza si precisa che, quand’anche si voglia considerare l’attività di servizio pubblico svolta dal Consorzio, resta fermo che la giurisdizione esclusiva del giudice amministravo non si estende alle liti aventi ad oggetto “indennità, canoni o altri corrispettivi”.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2284 del 15 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che il fatto che un comune non si sia ancora dotato del piano per le attrezzature religiose, o non abbia preso in considerazione le richieste formulate dagli enti esponenziali di comunità religiose presenti sul territorio, non autorizza i privati a procedere autonomamente all’individuazione di immobili adatti e alla trasformazione degli stessi in luoghi di culto; l’ostacolo costituito dalla zonizzazione non aggiornata è superabile solo contestando in via giudiziaria l’atteggiamento omissivo o dilatorio dell’amministrazione, eventualmente chiedendo la fissazione di un termine per l’esame dei progetti di modifica degli strumenti urbanistici.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 977 del 15 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 241 del 16 ottobre 2018 il Regolamento sull'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, approvato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con delibera n. 803 del 4 luglio 2018, che sostituisce il precedente regolamento del 15 febbraio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2017.




Il TAR Milano reputa che, pur non essendovi preclusioni in rito in ordine all’ammissibilità dell’azione risarcitoria per lesione dell’interesse legittimo non accompagnata dall’impugnazione del provvedimento asseritamente causativo dei danni, nondimeno, occorre fare applicazione dell’art. 30, co. 3 c.p.a., a tenore del quale “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”; la disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227, comma 2, cod. civ., afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza; la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa (secondo il criterio del "più probabilmente che non") recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili; di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell'omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2267 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che la nozione di superficie e volume utile è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici; mentre nelle valutazioni di natura urbanistica attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell’insieme paesistico; un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, e dunque sarebbe utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico; reciprocamente, un volume utile ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio e dunque, in assenza di danno per l’ambiente, non potrebbe costituire il presupposto ragionevole per l’applicazione di una misura ripristinatoria.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 972 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano precisa che il termine massimo di dieci anni di validità del piano di lottizzazione, stabilito dall’art. 16, quinto comma, della L. 17 agosto 1942 n. 1150 per i piani particolareggiati, non è suscettibile di deroga neppure sull’accordo delle parti e decorre non dalla data di sottoscrizione della convenzione attuativa ma da quella di approvazione del piano attuativo. La convenzione, atto accessorio deputato alla regolazione dei rapporti tra il soggetto esecutore delle opere e il Comune con riferimento agli adempimenti derivanti dal piano medesimo, non può infatti incidere sulla validità massima, prevista in legge, del sovrastante strumento di pianificazione secondaria. Conseguentemente, una volta che il piano di lottizzazione abbia perso efficacia, è illegittimo il provvedimento che ne dispone una proroga.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2265 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che, configurandosi l’articolo 120 c.p.a. come norma di stretta interpretazione, nell’ambito di applicazione della precitata disposizione non rientra la fattispecie della concessione di bene pubblico e, conseguentemente, torna a valere la regola generale, per cui gli atti endoprocedimentali (quali le esclusioni e le ammissioni alla gara) vanno impugnati unitamente al provvedimento conclusivo del procedimento, ovverosia l’aggiudicazione definitiva del contratto; in questa ottica, nemmeno l’aggiudicazione provvisoria deve essere impugnata, atteso che ad essere lesivo dell’interesse di cui la stessa è portatrice e solamente l’atto di aggiudicazione definitiva.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2257 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, con riferimento alla nozione legislativa di bosco, come risultante dai parametri normativi nazionali e regionali applicabili alla fattispecie in esame (articolo 2 del d.lgs. 227/2001 e articolo 42 della L.R. 31/2008), ritiene coerente l’accertamento effettuato dall’Amministrazione Provinciale che ha specificato il parametro normativo e tecnico di riferimento alla luce delle risultanze istruttorie e, in particolare, dei parametri dimensionali e qualitativi della vegetazione presente nell’area, riferiti non alla sola area di proprietà dei ricorrenti ma, al contrario, tenendo conto dell’intero ambito delle aree contigue non interrotto dalla viabilità pubblica in considerazione del contatto tra le chiome degli alberi; pertanto, sempre per il TAR,  il requisito dimensionale risulta, nel caso di specie, correttamente verificato da parte dell’Amministrazione provinciale, tenuto anche conto che la qualificazione di un’area come boschiva non può riservarsi esclusivamente alle zone caratterizzate da vegetazione ad alto fusto, ma deve, al contrario, considerare la sussistenza di un contesto con la preponderanza di vegetazione anche di tipo arbustivo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2228 dell'8 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


In relazione alla questione relativa all’applicabilità del termine di diciotto mesi per l’esercizio dell’autotutela, introdotto dalla legge n. 124 del 2015, in presenza di un provvedimento di annullamento in autotutela adottato nella vigenza della nuova disposizione, ma riferito a permesso di costruire emesso nella vigenza della precedente disposizione, il TAR Milano ritiene di aderire all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2200 del 3 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si ricorda che venerdì 19 ottobre 2018, dalle 15:00 alle 18:00, a Como, Aula Magna del Palazzo di Giustizia, si terrà l’evento formativo “La difesa della P.A. nelle cause di lavoro” con relatori l’avv. Rocco Mangia e l’avv. Mirella Mogavero.

Le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera, accedendo alla sezione degli eventi dell'Ordine degli Avvocati di Como.

La partecipazione è gratuita e dà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti formativi.


Il TAR Milano precisa che l’altezza di m. 2,40 indicata dall’art. 63 della l.r. 12/2005 - ai sensi del quale il recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40, ulteriormente ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a quote superiori a seicento metri di altitudine sul livello del mare, calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa - costituisce quella minima e non massima che i sottotetti debbono avere per poter essere utilizzati a fini abitativi (nella fattispecie è stato ritenuto conforme alla disciplina regionale un sottotetto di tre metri d’altezza).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2220 del 5 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il TAR Brescia la ventilazione forzata del CDR (combustibile ottenuto dalla lavorazione e trattamento dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi) incide sulle emissioni prodotte in atmosfera e sui gas e gli odori che il rifiuto produce ed è quindi una attività che svolge un suo ruolo importante nel processo fisico di recupero del rifiuto; attiene pertanto al trattamento del rifiuto e non alla fase di stoccaggio e mantenimento, sicché deve essere specificamente autorizzata e non può effettuarsi sulla base della sola autorizzazione relativa alla fase di stoccaggio e mantenimento.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 885 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia, con riferimento alle limitazioni negoziali del diritto di costruire, aderisce alla più recente giurisprudenza che è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 924 del 28 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia, dopo aver premesso che l’interpretazione circa la portata applicativa dell’art. 80, comma 5, lettera c), del D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 abbia dato luogo a discordanti approdi giurisprudenziali, aderisce all’orientamento secondo il quale viene in considerazione, nel disposto della norma all’esame, una portata “meramente esemplificativa” delle ipotesi di grave illecito professionale, per come contemplate nel secondo periodo della disposizione citata; con conseguente piena autonomia della fattispecie contemplata nel periodo precedente che, nell’assumere una portata generale, si affranca dai requisiti specifici richiamati nei predicati casi esemplificativi.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 955 del 5 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 72, comma 5, della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 3 febbraio 2015, n. 2, in materia di installazione di nuove attrezzature religiose, per contrasto con l’art. 2 Cost., con l’art. 3 Cost., con l’art. 5 Cost., con l’art. 19 Cost., con l’art. 114 Cost., con l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., con l’art. 117 comma 6 terzo periodo Cost. e con l’art. 118 Cost.

Si ricorda che in precedenza, con la sentenza della Sezione Seconda, n. 1939 del 3 agosto 2018 (qui pubblicata), il TAR Milano aveva rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 72, commi 1 e 2, della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 3 febbraio 2015, n. 2, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2227 dell'8 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 233 del 6 ottobre 2018 è pubblicato il decreto legge 5 ottobre 2018 n. 115, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia amministrativa, di difesa erariale e per il regolare svolgimento delle competizioni sportive”.



Il TAR Milano ritiene che un ampliamento di un balcone nella misura di una maggiore larghezza di 50 centimetri, per l’intera lunghezza di 4 metri del balcone, con la conseguente realizzazione di una maggiore superficie di 2 metri quadrati, non può qualificarsi come una mera manutenzione straordinaria, atteso che in tale categoria rientrano – secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 – i lavori necessari per “rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici...”; l’ampliamento del balcone non è invece diretto a una mera finalità conservativa, perché non consiste nel ripristino o rinnovamento di elementi dell’edificio, ma comporta la formazione di ulteriore superficie utile non residenziale, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dal titolo; tale incremento è, inoltre, di entità non trascurabile in rapporto alle dimensioni del balcone originariamente progettate e determina una modifica del prospetto dell’edificio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2049 del 6 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione, con riferimento agli obblighi di fatturazione in presenza di una convenzione di lottizzazione che prevede la realizzazione di opere a scomputo oneri, enuncia il seguente principio «nella ipotesi di convenzione di lottizzazione, nella quale la realizzazione di un 'opera pubblica a scomputo degli oneri di urbanizzazione è assoggettata ad Iva qualora l'opera non rientri tra quelle destinate ad esigenze di urbanizzazione primaria e secondaria, l'obbligo di fatturazione non insorge alla data di sottoscrizione della convenzione urbanistica, ma al compimento delle opere concordate con l'ente territoriale, ed al loro collaudo».

La sentenza della Corte di Cassazione, Quinta Sezione Civile, n. 16533 del 22 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.



Si ricorda che venerdì 12 ottobre 2018, dalle 14:30 alle 17:30, a Lecco, Sala don Ticozzi, via Ongania 4, si terrà l’evento formativo “Il demanio lacuale in Lombardia: normativa e modalità di gestione”, con relatori il dott. Daniele Cairati e il dott. Alessandro Falanga.

Le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera, accedendo alla sezione degli eventi dell'Ordine degli Avvocati di Lecco.

La partecipazione è gratuita e dà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti formativi.



Il TAR Brescia precisa che la trasposizione del principio di precauzione alla materia urbanistica consente di affermare che le previsioni di sviluppo tenute in considerazione in sede di pianificazione, laddove assunte nel quadro di una nozione “larga” del “governo del territorio” (preordinata alla valutazione di una serie di posizioni giuridiche e interessi non esclusivamente sussumibili nel concetto di “insediamento edilizio”), ben possono promuovere scelte di carattere previsionale (va maggior ragione ove si tenga presente la vocazione pluriennale dello strumento generale di pianificazione), in atto non suffragate da obiettivi e dimostrati presupposti fattuali; tuttavia, laddove la procedente Amministrazione intenda, “prudenzialmente”, conformare le linee di sviluppo degli insediamenti all’esigenza di scongiurare situazioni (anche solo potenzialmente) pregiudizievoli per un ordinato assetto del territorio e per gli interessi da esso coinvolti, allora diviene necessaria la dimostrazione, a mezzo di adeguato conforto motivazionale, del presupposto (rectius: dell’esistenza e della obiettiva consistenza del presupposto) tenuto in considerazione e dell’attitudine dello stesso – anche alla luce di valutazioni di “normalità causale”, verificabili attraverso la dimostrabilità della logicità del percorso logico-inferenziale – a produrre conseguenze “indesiderate”.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 925 del 28 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento ancora all’interpretazione dell’art. 105, comma 1, c.p.a. e all’esatta individuazione dei casi di annullamento con rinvio, enuncia i seguenti principi di diritto:
«a) l’art. 105, co. 1, c.p.a. indica talune specifiche categorie inderogabili di casi d’annullamento con rinvio, ognuna delle quali è implementabile nel suo specifico ambito dalla giurisprudenza attraverso una rigorosa interpretazione sistematica del testo vigente del Codice, senza possibilità alcuna di pervenire o di tendere alla creazione surrettizia d’una nuova categoria (e, dunque, d’una nuova norma processuale) o, peggio, all’arbitraria interpretazione motivata senza passare al previo vaglio del Giudice delle leggi, dalla prevalenza del solo principio del doppio grado di giudizio rispetto ad altri parametri costituzionali;
b) la nuova nomenclatura contenuta nel vigente art. 105 c.p.a. non ammette tout court l’erronea declaratoria d’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse quale sussumibile nella categoria della lesione dei diritti della difesa, sol perché su talune questioni di merito non si attua il doppio grado di giudizio. Per contro, l’annullamento della sentenza con rinvio al primo Giudice può conseguire, nel caso indicato dalla Sezione remittente, solo a fronte di evidenti ed irrimediabili patologie del complesso della motivazione e non di singole distonie tra il chiesto e il pronunciato, ossia a fronte di quei, per vero, marginali casi in cui è inutilizzabile il decisum (che ridonda quindi nella nullità della sentenza) e sono stati conculcati i diritti di difesa di tutte le parti (P.A. inclusa);
c) è sempre possibile, in linea di principio, riconoscere al Giudice d’appello il potere di sindacare il contenuto della motivazione dell’impugnata sentenza, affinché si possa riqualificare il dispositivo delle sentenze in rito ex art. 35, co. 1, c.p.a., ove s’accerti la patologica eversione del Giudice di prime cure dall’obbligo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) o dall’obbligo di motivazione (artt. 74 e 88 c.p.a.) –trattandosi, com’è noto, di vicende che impingono sulla struttura inderogabile ed essenziale della sentenza, rispetto all’oggetto del processo–, a condizione, però, che tal patologia, foss’anche per evidenti errori sui fatti di causa tali da alterare la stessa possibilità di difesa delle parti, investa il complesso della motivazione stessa e non una sola sua parte (invece emendabile nei modi ordinari) o, peggio, il punto di diritto affermato (specie se questo, al di là della precisione semantica o d’una buona forma espositiva, sia fedele agli indirizzi consolidati o prevalenti della giurisprudenza di questo Consiglio);
b.3) è evidente che dette ultime ipotesi costituiscano, ovviamente alle condizioni testé evidenziate, tanto una lesione dei diritti della difesa sostanziale delle parti nel grado di riferimento, quanto una vicenda di nullità della sentenza ed implicano, per forza di cose, l’annullamento con rinvio ex art. 105, co. 1, c.p.a

La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 15 del 28 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il TAR Brescia non può negarsi il potere della Commissione di gara di riesaminare, nell’esercizio del potere di autotutela, il procedimento di gara già espletato, riaprendolo per emendarlo da errori commessi o da illegittimità verificatesi, in relazione all’eventuale illegittima ammissione o esclusione dalla gara di un’impresa concorrente; potere il cui esercizio richiede la previa revoca dell’aggiudicazione definitiva, proprio per creare le condizioni necessarie alla rinnovazione della fase del procedimento riconducibile alla specifica competenza della Commissione tecnica.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 906 del 25 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano ricorda he la più recente evoluzione giurisprudenziale ha evidenziato che all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi; e ciò in quanto l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2121 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Sul B.U.R.L., Supplemento n. 40 del 2 ottobre 2018, è pubblicata la legge regionale 28 settembre 2018 n. 13 che istituisce l’Organismo regionale per le attività di controllo, al fine di verificare il corretto funzionamento delle strutture organizzative della Giunta regionale e degli enti del sistema regionale, di cui agli allegati A1 e A2 della legge regionale 27 dicembre 2006 n. 30, di vigilare sulla trasparenza e regolarità degli appalti e sulla fase esecutiva dei contratti stipulati dalla Giunta regionale e dagli enti del sistema regionale, di valutare l’efficacia del sistema dei controlli interni della Giunta regionale e degli enti del sistema regionale, nonché di supportare l’attività della Giunta regionale e degli enti del sistema regionale nell’attuazione e nell’aggiornamento dei rispettivi piani di prevenzione della corruzione.



Il TAR Milano precisa che nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica in cui vi è un’unica modalità di presentazione dell’offerta, predeterminata dalla stazione appaltante, senza margine di scelta per il concorrente, e il cui controllo è sottratto al concorrente stesso, il malfunzionamento del sistema di presentazione dell’offerta non può andare a danno dell’offerente; nella logica di leale collaborazione che informa i rapporti tra Amministrazione e amministrato, il concorrente deve farsi parte diligente nel presentare correttamente e tempestivamente la propria offerta e la stazione appaltante deve mettere l’operatore economico in condizione di partecipare alla gara; pertanto, a fronte di un malfunzionamento del sistema telematico di gestione della gara, deve essere data la possibilità all’operatore economico di presentare la propria offerta di modo da garantire la par condicio competitorum.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2109 del 19 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Brescia ritiene illegittima una prescrizione di un regolamento comunale recante la disciplina della localizzazione degli impianti per la telefonia mobile che ammette l’installazione di detti impianti negli ambiti soggetti a trasformazione urbanistica mediante pianificazione attuativa, purché venga sottoscritto un atto impegnativo da allegare all’istanza con il quale il gestore dell’impianto assume l’obbligo di procedere, a seguito di semplice richiesta del Comune, all’integrale rimozione dell’impianto al fine di consentire la trasformazione prevista dallo strumento urbanistico, e stabilisce che l’amministrazione può prescrivere la prestazione di fideiussione per un importo pari al presumibile costo di rimozione del manufatto e di remissione in pristino dell’area; ad avviso del TAR, nella sostanza, la statuizione persegue proprio l’obiettivo vietato dal legislatore, ossia l’introduzione di un divieto generalizzato – seppur temporalmente differito – di ubicazione delle strutture in aree estese del Comune, con un forte potere di dissuasione, atteso che l’operazione di allocazione dell’impianto risulterebbe del tutto aleatoria, esposta a tempo indefinito al rischio di uno spostamento coatto susseguente alle scelte discrezionali degli organi comunali, del tutto imprevedibili e del tutto scevre da limiti predefiniti (anche di carattere motivazionale).

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 879 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ricorda che la stipulazione di una convenzione urbanistica attribuisce al privato una posizione di affidamento qualificato che deve essere adeguatamente ponderata dall’Amministrazione laddove questa intenda modificare la disciplina urbanistica dell’area; la modificazione della pianificazione richiede, in questo caso particolare, una motivazione specifica, ordinariamente non richiesta per le scelte di piano, che sono di regola adeguatamente sorrette dai soli criteri generali di impostazione dello strumento.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2047 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.