Il TAR Brescia chiarisce che l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis legge n. 241/1990 si applica anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve essere ritenuto illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento, in quanto in mancanza di tale preavviso al soggetto interessato risulta preclusa la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 434 del 4 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che i chiarimenti resi dalla stazione appaltante in corso di gara non possono modificare o integrare bando, disciplinare e capitolato, quanto invece limitarsi a fornire un'interpretazione autentica, in nome della massima partecipazione e del principio di economicità dell'azione amministrativa


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1219 del 28 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, in ordine alla possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito, preso atto che l’interpretazione dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al c.p.a. non è univoca nella giurisprudenza, ritiene di aderire all’orientamento secondo il quale la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell’ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo; questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3419 del 24 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia richiama e fa proprio l’orientamento secondo il quale l'astratta ammissibilità del provvedimento implicito non può essere negata, qualora l'Amministrazione, pur non adottando formalmente la propria determinazione, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un contegno conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato: le quante volte, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l'atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest'ultima sia l'unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 508 del 24 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, dopo aver ribadito che l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, in materia di distanze tra edifici, fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere unicamente le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci, precisa che non possono essere considerate “vedute” alla stregua dell'articolo 900 codice civile aperture munite di grate di ferro e collocate ad un’altezza tale dal pavimento del luogo al quale si vuole dare luce ed aria che non consentono le funzioni della veduta in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza e non sono  raggiungibili normalmente senza l’ausilio di strumenti appositi, non permettendo cioè né di affacciarsi sul fondo del vicino (prospectio) né di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente (inspectio)

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1168 del 23 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia chiarisce che se per gli accordi di programma ex art. 34 il principio della necessaria unanimità consensuale trova fondamento – e, prima ancora, logica giustificazione – nelle peculiarità che assistono la configurazione di tale istituto (nonché la prefigurazione funzionale dello stesso all’attuazione delle finalità per esso previste), non assimilabile ratio assiste gli accordi – ex art. 15 della legge 241, piuttosto che ex art. 30 del T.U.E.L. – diversamente preordinati ad esigenze di carattere organizzativo-funzionale, con ricadute anche di carattere finanziario, che consentono alle Amministrazioni di imprimere ai servizi e alle attività alle medesime facenti capo modalità attuative e di svolgimento coinvolgenti una pluralità di attori istituzionali.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 497 del 20 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in relazione gli artt. 167 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, chiarisce che il legislatore ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva “o”, con la conseguenza che l’espressione "superfici utili o volumi" non rappresenta una endiadi e include invece quegli interventi che, pur senza creare un aumento di cubatura, con la realizzazione di nuove superfici utili determinano comunque un impatto significativo sull’assetto del territorio, modificandone in maniera stabile e duratura la conformazione; questa lettura trova giustificazione, oltre che dal punto di vista letterale, anche per la ratio della disposizione, volta a stabilire una soglia elevata di tutela del paesaggio che comporta la possibilità di rilascio ex post dell’autorizzazione paesaggistica al fine di sanare interventi già realizzati soltanto per gli abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di causare un effettivo pregiudizio al bene tutelato; pertanto, la norma in esame comporta che vige sempre la preclusione al conseguimento della sanatoria postuma per effetto della sola creazione di superfici utili, anche a prescindere da un incremento di volumetria.
Il TAR aggiunge poi che in ambito paesaggistico la nozione di “superficie utile” deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto del territorio e, quindi, l’idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio, sicché di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1033 del 8 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione “atomistica” dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; pertanto, i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati in maniera “frazionata” e, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato, solo così potendosi comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l'effettiva portata dell'operazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1033 del 8 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che la necessità di rinnovazione della VIA o della verifica di assoggettabilità a VIA sorge solo nel caso di modifiche che comportino la realizzazione di un'opera radicalmente diversa da quella già esaminata, che comporti il peggioramento dell'impatto dell'opera stessa sull'ambiente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 861 del 17 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia chiarisce che in ordine al rapporto tra la tutela paesistica e la tutela monumentale che il vincolo monumentale su uno specifico immobile non opera automaticamente come un vincolo paesistico a beneficio della vista che dal suddetto immobile si rivolge verso il paesaggio circostante; l’estensione del vincolo monumentale alle aree esterne deve essere espressamente disposta da un provvedimento che crei un vincolo indiretto ex art. 45 del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42; al di fuori di questa ipotesi, non esiste alcun diritto di prevenzione sul paesaggio a favore di chi ha edificato per primo, neppure quando l’edificazione abbia prodotto un bene di interesse culturale; un simile diritto di prevenzione privatizzerebbe di fatto una parte della fruizione del paesaggio, trasformandosi in un divieto di edificazione a carico di tutti coloro che chiedono un titolo edilizio in un momento successivo.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 467 del 14 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano approfondisce i rapporti tra il provvedimento di approvazione del progetto di gestione produttiva di una cava, il provvedimento concernente la VIA e l’autorizzazione paesaggistica nella disciplina precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017 al c.d. codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2016) e precisa che l’approvazione da parte della provincia del progetto di gestione produttiva della cava non sostituisce l’autorizzazione paesaggistica né impedisce all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico di esprimersi negativamente una volta che l’autorizzazione venga richiesta, posto che l’interesse paesaggistico non viene preso in specifica considerazione in sede di approvazione del progetto di gestione produttiva della cava.
Aggiunge il TAR che analogo discorso può essere svolto con riferimento ai rapporti fra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione paesaggistica; a questo proposito osserva il TAR che, in base all’art. 4, quarto comma, lett. b), del d.lgs. n. 152 del 2006, la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita; si tratta pertanto di finalità del tutto diversa rispetto a quella perseguita dall’autorizzazione paesaggistica il cui specifico scopo è assicurare che l’attività svolta sul bene sottoposto a vincolo non incida sul valore paesaggistico che quest’ultimo esprime.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 820 del 12 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che le sanzioni ripristinatorie (o reali), qual è l’ordine di demolizione di un edificio abusivo, colpendo l’oggetto dell’illecito, riportano la situazione allo stato quo ante e sono quindi correttamente disposte nei confronti di chi ha la disponibilità dell’immobile e ciò nonostante si sia astenuto dal rimuovere l’abuso, oltre che nei confronti dell’autore stesso dell’abuso; ne consegue che le spese per l’esecuzione materiale della demolizione sono poste correttamente anche in capo a chi, pur avendone la possibilità, non ha provveduto alla demolizione spontaneamente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 506 dell'8 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, la disposizione transitoria di cui all’art. 77, comma 12 (e all’art. 216, comma 12) in forza della quale, “fino all’adozione della disciplina in materia di iscrizione all’Albo”, la commissione “continua ad essere nominata (…) secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate”, non implica la inapplicabilità tout court delle nuove disposizioni contenute nell’art. 77 e, segnatamente, di quelle in tema di incompatibilità dei commissari (e del presidente), di cui ai commi 4 , 5 e 6, stante la loro ontologica autonomia, l’una afferente in abstracto alla capacità giuridica della persona fisica (di acquisire la qualitas di commissario), l’altra incidente in concreto sulle modalità attraversi cui pervenire alla nomina di soggetti (dotati della necessaria “capacità giuridica”, siccome non versanti in una situazione di incompatibilità).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1064 del 13 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che l’art. 11 del DPR 380/01 stabilisce che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo; tale legittimazione, che vale anche per gli altri titoli edilizi previsti dalla normativa nazionale e regionale, non trova limite nel fatto che le opere edilizie siano finalizzate alla gestione di un servizio che la legge riserva solo a determinati soggetti in quanto lo jus aedificandi non si confonde con lo jus utendi, fruendi et abutendi del bene realizzato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 519 dell’11 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato chiarisce che la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono perciò esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 2101 del 29 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato chiarisce che l’ipotesi tipizzata di falsa informazione suscettibile di influenzare le decisioni della stazione appaltante può essere riferita solo alla stessa gara nell’ambito della quale la falsa informazione si verifica e non ad una precedente procedura concorsuale, a maggior ragione quando la stessa non risulta neppure annotata nel casellario informatico dell’ANAC.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2553 del 19 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’esclusione dell’operatività del vincolo paesaggistico imposto per legge (c.d. vincolo Galasso) prevista dall’art. 1 del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge con modificazioni, con l’art.1 della l. n. 431 del 1985 - secondo il quale «Il vincolo di cui al precedente comma non si applica alle zone A, B e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865» (disposizione poi riprodotta nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999 e quindi nell’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004, così come sostituito dall'art. 12, comma 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, successivamente integrato e modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008) - riguarda solo le opere avviate o previste alla data del 6 settembre 1985 e non i lavori autonomamente e abusivamente realizzati successivamente, non intendendo la norma introdurre un’eccezione all’applicazione dei vincoli per i centri storici, quanto quello di non bloccare l’esecuzione di piani urbanistici approvati prima dell’introduzione del vincolo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 979 del 2 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che  la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano; aggiunge il TAR che all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi e ciò in quanto l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’art. 9 della Costituzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 751 del 4 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento alla qualifica degli impianti di incenerimento come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale” ha statuito:
"1) Il principio della «gerarchia dei rifiuti», quale espresso all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, e letto alla luce dell’articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.
2) L’articolo 2, lettera a), l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di «piani e programmi», ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull’ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva".

La sentenza della Sesta Sezione dell’8 maggio 2019 (causa C-305/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che è irrilevante che il reato non dichiarato non rientri tra quelli che ai sensi del comma 1 dell’articolo 80 del D.Lgs. n. 50/2016 sono preclusivi della partecipazione alla gara, estendendosi l’obbligo dichiarativo anche a quelle fattispecie astrattamente idonee a porre in dubbio l’affidabilità o l’integrità del concorrente, e tale è sicuramente una condanna per bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che l’omissione della dichiarazione è essa stessa idonea ad incidere sull’affidabilità del concorrente; è poi irrilevante che la condanna, per effetto dell’accordato beneficio della non menzione, non risulti dai certificati del casellario giudiziario, posto che colui nei cui confronti la sentenza di condanna è stata pronunciata non può non esserne a conoscenza; sempre per il TAR, ancorché l’effetto estintivo del reato sia automatico al concretizzarsi dei presupposti di cui all’articolo 445 Cod. proc. pen., è pur sempre necessaria, affinché venga meno l’obbligo dichiarativo in gara, una pronuncia giudiziale che accerti il verificarsi della fattispecie estintiva, non potendosi gravare la stazione appaltante di controlli che non le competono.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 766 dell’8 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano chiarisce che la giurisprudenza amministrativa distingue tra diffide “in senso stretto” e atti che, ancorché formalmente qualificati come diffide, sono tuttavia costitutivi di effetti giuridici sfavorevoli per i destinatari (come, ad esempio, gli “ordini”); le diffide in senso stretto consistono nel formale avvertimento – indirizzato ad un soggetto (pubblico o privato), tenuto all’osservanza di un obbligo in base ad un preesistente titolo (legge, sentenza, atto amministrativo, contratto) - di ottemperare all’obbligo stesso; esse, dunque, non hanno carattere novativo di tale obbligo e usualmente il loro effetto consiste nel far decorrere un termine dilatorio per l’adozione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti dei soggetti destinatari, i quali, nonostante l’intimazione, siano rimasti inosservanti del proprio obbligo; ne consegue che, proprio per il loro carattere ricognitivo di obblighi che l’amministrazione assume come preesistenti e per il fatto di non vincolare la successiva azione amministrativa, le diffide in senso stretto non sono immediatamente lesive della sfera giuridica del destinatario, a differenza dei successivi provvedimenti sfavorevoli, e - come tali - non sono ritenute atti immediatamente impugnabili.
Secondo sempre il TAR Milano, a diverse conclusioni si deve pervenire quando l’atto, comunque denominato, sia idoneo a produrre direttamente (immediatamente) effetti giuridici, facendo sorgere un obbligo prima non sussistente o assegnando in modo definitivo ad un bene o ad una condotta una nuova qualificazione giuridica o vincolando (anche solo per alcuni profili) l’amministrazione alla successiva adozione di atti sfavorevoli; tale è, ad esempio, la diffida a demolire opere abusive.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 984 del 2 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che la monetizzazione sostitutiva della realizzazione di opere a standard, come la monetizzazione della cessione delle aree a standard, costituisce il contenuto di un potere discrezionale del Comune il quale deve in primo luogo soddisfare l’interesse pubblico a rendere effettivamente edificabile l’area su cui sorgerà l’intervento edilizio, dotandola dei manufatti e dei servizi indispensabili per l’agibilità e la fruibilità del fabbricato secondo la destinazione d’uso; per tali ragioni non sussiste l’obbligo del Comune di aderire alla proposta del privato di corresponsione degli oneri di urbanizzazione, rimanendo l’Amministrazione titolare di una facoltà di scelta tra la monetizzazione e la cessione delle aree.
Ne consegue, sempre per il TAR, che qualora la monetizzazione sia stata concessa e non sia stata ritirata dall’amministrazione o annullata dal giudice essa osta all’accoglimento di richieste che si pongano in contrasto con essa; a ciò si aggiunge che qualora la proposta di monetizzazione delle opere provenga dal privato spetta, comunque, all'amministrazione, in base all'obbligazione unilateralmente assunta dalla parte, accettare o meno la proposta e subordinarla a condizioni o prescrizioni specifiche; con la conseguenza che la parte promittente non può mutare unilateralmente, in un momento successivo, le condizioni sulle quali è intervenuto il consenso comunale, altrimenti venendosi ad alterare ingiustificatamente, mediante l'iniziativa unilaterale del medesimo obbligato principale, le basi stesse del consenso espresso nella convenzione o in un successivo atto di accettazione della monetizzazione che integri la suddetta convenzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 882 del 18 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il TAR Milano, un ricorso firmato in formato CAdES non può considerarsi nel processo amministrativo come mancante di sottoscrizione, e dunque nullo, ma soltanto irregolare e dunque rinnovabile entro un termine a tal fine fissato, ex art. 44, secondo comma, c.p.a.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 970 del 30 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.

Vedi anche i precedenti post del 20 luglio 2018 e 6 luglio 2018


Si ricorda che venerdì 10 maggio 2019, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso il Tribunale Ordinario di Como, Aula Magna, si terrà l’incontro formativo su “La responsabilità erariale: profili sostanziali e processuali” (relatori: dott. Antonino Grasso e avv. Angela Sarli).

La partecipazione è gratuita e le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera.


La Corte di Giustizia UE in ordine alle conseguenze della mancata indicazione separata dei costi della manodopera in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico statuisce che:
I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.

La sentenza della Nona Sezione del 2 maggio 2019 (causa C-309/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, con riguardo alla necessità di una ripubblicazione del PGT, legata ad un asserito stravolgimento di quest’ultimo in fase di approvazione, sottolinea che, sebbene, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, la rielaborazione complessiva di uno strumento di pianificazione territoriale, avvenuta in sede di approvazione definitiva dello stesso, comporti la necessità della sua ripubblicazione, va tuttavia osservato che ricorre una tale ipotesi allorquando fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione; con riferimento ai piani urbanistici dei Comuni, si esclude che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree; in tali casi trova applicazione la norma dell’art. 13, comma 9, della legge regionale n. 12 del 2005 che esclude la necessità di nuova pubblicazione in caso di approvazione di “… controdeduzioni alle osservazioni e di recepimento delle prescrizioni provinciali e regionali …”; tale disposizione appare del tutto ragionevole alla luce della interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza, avendone limitato l’operatività alle situazioni in cui non risulta essersi prodotto uno stravolgimento del piano o delle sue linee portanti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 868 del 17 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il TAR Milano, una richiesta di rinvio a giudizio non è certamente ostativa all’adozione di un provvedimento di esclusione da una gara d’appalto, non essendo infatti a tal fine necessario che il procedimento penale avviato a carico di un concorrente si sia concluso con una sentenza di condanna a suo carico; tuttavia, una richiesta di rinvio a giudizio, sebbene per gravi reati, in assenza di un autonomo accertamento dei fatti idonei a configurare un grave illecito professionale da parte della stazione appaltante, e di una congrua motivazione sul punto, non può di per sé essere sufficiente a giustificare un provvedimento amministrativo di esclusione, spesso suscettibile di arrecare gravissimi pregiudizi all’operatore economico e, in taluni casi, la cessazione della sua attività.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 897 del 18 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.