Il TAR Milano osserva che sia l’articolo 119 sia l’articolo 120 c.p.a. si riferiscono a tutte le procedure di affidamento di appalti pubblici, intese in senso ampio, senza distinguere se esse rientrino nell’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici o nel regime speciale degli affidamenti in house, di cui all’articolo 192 del codice dei contratti pubblici.
Tutta l’attività autoritativa che precede la stipulazione del contratto deve infatti essere ricondotta nell’ambito della <<procedura di affidamento>>, indipendentemente dallo specifico regime che la caratterizza, per cui anche le impugnazioni degli affidamenti in house dei contratti pubblici sono soggette al rito speciale degli appalti e, dunque, al termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla loro effettiva conoscenza (Consiglio di Stato, sezione V, 29 maggio 2017, n. 2553).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 700 del 20 marzo 2023.


Il TAR Milano ricorda che, secondo una consolidata giurisprudenza è inammissibile l’intervento ad adiuvandum proposto nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l’interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che però deve essere azionato mediante la proposizione di un ricorso principale nel termine di decadenza fissato dalla legge.
Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità dell’intervento adesivo proposto da parte di un soggetto che risulta legittimato alla proposizione di un ricorso autonomo: l’intervento ad adiuvandum può essere invece proposto nel processo amministrativo da chi sia titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (cfr. Consiglio di Stato, IV, 15 luglio 2021, n. 5339; V, 26 marzo 2020, n. 2126; VI, 13 agosto 2018, n. 4939; IV, 29 novembre 2017, n. 5596; IV, 29 febbraio 2016, 853; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 25 gennaio 2021, n. 224).
Nella fattispecie la parte interveniente si era classificata al terzo posto nella graduatoria della gara la cui aggiudicazione era stata impugnata dalla seconda classificata; l’intervento è stato dichiarato inammissibile in quanto l’interveniente ha interesse a contestare l’aggiudicazione in favore del primo operatore classificato, potendo trarre un vantaggio dall’annullamento della predetta aggiudicazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 770 del 28 marzo 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021 ha mutato prospettiva in merito alla responsabilità della Curatela fallimentare statuendo che il presupposto per la sua responsabilità non sia più costituito dalla “detenzione dei rifiuti”, ma unicamente dalla “detenzione dell’area” su cui i rifiuti insistono e che tale particolare rapporto di disponibilità del sito non sussiste se la Curatela non ha inserito l’area in questione nell’inventario dei beni del fallito ai sensi degli artt. 87 e seguenti della Legge Fallimentare, applica alla fattispecie in esame i suddetti principi, traendo le seguenti conclusioni:
<<- la ricorrente Curatela non può essere ritenuta responsabile dell’abbandono dei rifiuti né come successore del fallito (giacché essa non è qualificabile in tali termini), né come co-autore o agevolatore dell’abbandono dei rifiuti perché i cumuli sono stati prodotti unicamente dal fallito prima della dichiarazione del Fallimento e la Curatela non ha continuato l’esercizio dell’impresa fallita;
- la Curatela non può neppure essere ritenuta responsabile della rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del D.lgs n. 152/06 perché essa non ha mai acquisito la “detenzione” dell’area su cui sono situati tali rifiuti perché detta area (peraltro neppure di proprietà del fallito) al momento della dichiarazione di fallimento non è stata inserita nell’inventario dei beni dell’impresa fallita ai sensi degli articoli 87 e seguenti della Legge Fallimentare e la mancanza di “detenzione” dell’area su cui insistono i rifiuti, comporta l’estraneità della Curatela agli obblighi di smaltimento dei rifiuti medesimi perché abbandonati da altri e situati su un’area detenuta da terzi.>>
TAR Lombardia, Milano, IV, n. 733 del 24 marzo 2023


Un comune lombardo ha ingiunto la demolizione di interventi edilizi realizzati senza titolo dai ricorrenti in una zona che, per un errore nella redazione del P.G.T., risulta priva di qualsivoglia classificazione urbanistica.
Il TAR Milano osserva che in tal modo viene impedito ai soggetti interessati di poter ottenere la sanatoria delle opere realizzate, attraverso l’avvio del procedimento di accertamento di conformità disciplinato dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001. Tale situazione non risulta legittima, poiché in tal modo si preclude ai destinatari di un provvedimento sanzionatorio edilizio di poter beneficiare di una facoltà prevista dalla legge; in presenza di un procedimento di sanatoria ordinaria e a regime puntualmente disciplinato dalla normativa primaria (cfr., in argomento, Corte costituzionale, sentenza n. 42 del 16 marzo 2023) non può essere consentito all’Autorità amministrativa di impedirne l’attuazione con comportamenti omissivi, che peraltro si pongono in contrasto con il dovere dell’Ente comunale di provvedere alla pianificazione urbanistica di tutto il territorio comunale. Difatti, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1150 del 1942, grava sul Comune il dovere di pianificare tutto il proprio territorio, poiché, secondo una condivisibile giurisprudenza, “non può derogarsi al principio per cui la programmazione urbanistica deve tendere ad una cura integrale del territorio comunale attraverso previsioni che favoriscano una sistemazione omogenea del territorio, unita a uno sviluppo ordinato ed armonico di questo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, n. 4599; Cons. Stato, sez. IV, 9 giugno 2006, n. 3466; cfr. anche T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 20 marzo 2021, n. 84)” (T.A.R. Sicilia, Catania, I, 14 febbraio 2022, n. 425; cfr. anche C.G.A.R.S., 3 marzo 2021, n. 176).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 736 del 27 marzo 2023.







La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 9 (Legge di semplificazione 2022).
La Corte era stata investita della questione dal Presidente del Consiglio dei ministri che ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022, nella parte in cui, con la lettera a) del comma 1, ha sostituito il secondo periodo del comma 12 dell’art. 21 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003.
Il citato comma 12, dopo aver previsto, al primo periodo, che le «discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati» non sono soggetti ai comuni criteri di localizzazione delle discariche di rifiuti stabiliti a livello regionale, disponeva, al secondo periodo: «[t]ale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata secondo i criteri e le modalità previste dal D.Lgs. 36/2003».
A seguito della novella legislativa impugnata, quest’ultima disposizione risulta così riformulata: «[t]ale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale, fissati dal D.Lgs. 36/2003».
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la nuova formulazione della disposizione regionale, nella sua maggiore genericità, non assicura più l’applicazione automatica dei criteri e delle modalità previsti dal citato d.lgs. n. 36 del 2003, ponendosi così in contrasto con l’art. 3 dello stesso decreto, che definisce l’ambito applicativo della relativa disciplina in termini comprensivi degli interventi oggetto della normativa regionale; la disposizione impugnata viola, di conseguenza, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», entro la quale si colloca la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati.
La Corte ha ritenuta fondata la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e, per l'effetto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 9.

Corte costituzionale n. 50 del 24 marzo 2023


Il TAR Brescia osserva, in linea generale, che nel processo amministrativo, che è di tipo impugnatorio, il dominus del giudizio resta il ricorrente (cfr. T.A.R. Lazio – Latina, n. 273/2021); il controinteressato non ha titolo per opporsi alla declaratoria di improcedibilità del ricorso. L’interesse del controinteressato è quello alla conservazione del provvedimento impugnato (cfr. T.A.R. Abruzzo – Pescara, n. 291/2022): in un sistema ancorato a un termine decadenziale di esercizio dell’azione di annullamento, una pronuncia di merito reiettiva non apporterebbe al controinteressato un’utilità maggiore di una pronuncia di rito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 258 del 21 marzo 2023.


Il TAR Milano osserva che, secondo un diffuso indirizzo esegetico, condiviso dalla Sezione, l’obbligazione di pagamento del contributo, conseguente al rilascio del titolo in sanatoria, ha carattere di obbligazione propter rem o “ambulatoria”, vale a dire un’obbligazione intimamente connessa alla proprietà del bene oggetto dell’abuso, sicché tutti coloro che hanno avuto la proprietà del bene stesso e ne hanno tratto godimento sono obbligati solidalmente alla corresponsione del contributo.
Quanto sopra prescinde dalla responsabilità nella realizzazione dell’illecito edilizio ma si fonda sulla circostanza oggettiva che i proprietari hanno avuto la disponibilità e il godimento dell’immobile, compresa la parte oggetto dell’attività edilizia abusiva, sicché gli stessi devono partecipare degli oneri urbanizzativi e del costo di costruzione derivanti dall’attività costruttiva svolta nel bene (cfr. sul punto, fra le tante, TAR Lombardia, Milano, Sezione II, sentenze n. 1080/2016 e n. 1573/2020, con la giurisprudenza in esse richiamata).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 708 del 20 marzo 2023.


Il TAR Milano ricorda che nel diritto amministrativo si ammette la sussistenza del provvedimento implicito quando la P.A., “pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà” (C.d.S., A.P. 20 gennaio 2020, n. 3; Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6732; id., 27 novembre 2014, n. 5887; Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589; id., 19 febbraio 2018, n. 1034; Sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2456).
Aggiunge il TAR che la presenza di un atto implicito può “desumersi indirettamente ma univocamente da altro provvedimento o dal comportamento esecutivo dell’amministrazione, di modo che esso se ne possa dire l’antecedente dal punto di vista logico – giuridico” (C.d.S., Sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543) e come si abbia un atto implicito “le quante volte (….) emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà” (C.d.S., Sez. V, n. 589/2019, cit.).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 658 del 15 marzo 2023.


Il TAR Brescia, con riferimento alla nozione di sottoprodotto, precisa che:
<<la qualificazione di un materiale come sottoprodotto non attiene alle caratteristiche intrinseche di quel materiale, ma al soddisfacimento di una serie di condizioni giuridiche. Uno stesso materiale può costituire rifiuto o sottoprodotto a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni stabilite dall’articolo 184 bis D.L.gs. n. 152/2006.
Nello specifico, è necessario al contempo:
a) che il materiale in questione origini da un processo di produzione, di cui costituisca parte integrante, ancorché lo scopo primario del processo produttivo non sia la produzione di tale materiale;
b) che sia certo che detto materiale sia utilizzato nel corso del medesimo processo produttivo o in altro processo produttivo, da parte del produttore o di un terzo;
c) che tale materiale possa essere utilizzato direttamente, senza necessità di alcun trattamento che in qualche modo lo modifichi;
d) che l’utilizzo di detto materiale sia legale e non abbia impatti negativi sull’ambiente o sulla salute umana.>>
TAR Lombardia, Brescia, I, n. 211 del 8 marzo 2023


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d), decreto legislativo n. 380 del 2001 prevede che rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia «gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza», osserva che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che perché si possa ritenere sussistente una fattispecie di ristrutturazione edilizia è necessario che la parte interessata provi, in sede procedimentale, la preesistenza del fabbricato e la sua esatta consistenza al fine di consentire la individuazione precisa dei suoi «connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione»; in particolare, «la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze (…) – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura petrimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può (…) prescindere» (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106; Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 657 del 15 marzo 2023.


Si informa che sul sito di Giustizia Ammnistrativa, nella pagina relativa al TAR Lombardia - Milano, è pubblicato il decreto n. 6 del 13 marzo 2023, con il quale il Presidente del TAR Lombardia ha differito al 1 giugno 2023, l’entrata in vigore della nuova ripartizione delle materie contenziose tra le cinque sezioni disposta dal precedente decreto 9 dicembre 2022 n. 25.


Il TAR Milano osserva che ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lett. d), c.p.a., l’atto di impugnazione deve contenere “i motivi specifici su cui si fonda il ricorso”. Secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale, infatti, nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l'inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell'obbligo ex art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. di specificità delle censure consegue, dunque, l'inammissibilità del motivo proposto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2019, n. 4491; Cons. Stato, sez. VI, 1 settembre 2017, n. 4158).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 661 del 15 marzo 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che è ammessa la partecipazione dei raggruppamenti di tipo verticale a una determinata procedura se la Stazione appaltante lo prevede specificatamente tramite l’indicazione delle prestazioni prevalenti o principali e di quelle scorporabili o secondarie, ritiene che, in presenza di una prestazione principale e di una secondaria, la prescrizione della lex specialis secondo la quale “i requisiti di idoneità professionale devono essere posseduti da ciascun operatore economico facente parte del raggruppamento” non può che applicarsi ai soli raggruppamenti di tipo orizzontale, stante l’identità delle prestazioni riferibili alle imprese componenti il predetto raggruppamento. Al contrario, in presenza di prestazioni aventi oggetto e natura differenti, non può ragionevolmente richiedersi a tutti i componenti del raggruppamento il possesso dei medesimi requisiti professionali specifici.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 635 del 14 marzo 2023.


Secondo il TAR Milano, una villa utilizzata in forma continuativa per accogliere l’organizzazione professionale di attività ludico ricreative, quali matrimoni, feste, compleanni ecc., rientra tra le infrastrutture adibite ad attività ricreative e, per l’effetto, soggetta ai controlli comunali del rispetto della normativa per la tutela dell’inquinamento acustico di cui all’art. 6, co. 1, lett. d) e g), della legge n. 447 del 1995 in qualità di sorgente sonora fissa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 634 del 14 marzo 2023.





Il TAR Milano precisa che la successione prevista dalla normativa civilistica nell’obbligo sorto a seguito della stipula di una convenzione collegata a un provvedimento di autorizzazione allo svolgimento di attività estrattiva opera anche in assenza di voltura dell’autorizzazione.
Il successore a titolo particolare o a titolo universale del soggetto che (avendo esercitato attività di coltivazione di una cava) si era obbligato al ripristino ambientale è, pertanto, tenuto ad adempire a tale obbligo e ciò anche nel caso in cui egli non abbia chiesto od ottenuto la voltura dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività estrattiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 495 del 27 febbraio 2023.


Il TAR Milano esamina un motivo di ricorso con il quale si contesta che un consorzio aggiudicatario di una gara a procedura aperta telematica per l’affidamento del servizio di facility management per stabili, stazioni, parcheggi e rotabili ha dichiarato, ai sensi dell’art. 47, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici di soddisfare i requisiti richiesti in ragione di quelli esistenti “in capo alle proprie consorziate, sulla base del principio del c.d. cumulo alla rinfusa”.
La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 47, comma 1, del d.l.vo n. 50/2016, in quanto l’aggiudicatario ha dimostrato il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria, previsti dal disciplinare, utilizzando il cumulo alla rinfusa al di fuori delle ipotesi consentite dalla norma citata.
Il TAR accoglie la censura in esame, sulla base del seguente percorso argomentativo:
<<L’art. 47 del d.l.vo 2016 n. 50 disciplina i “requisiti per la partecipazione dei consorzi alle gare”.
Nella versione vigente – conseguente alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 20, lett. l), n. 1, del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, c.d. “decreto sblocca-cantieri” e applicabile ratione temporis alla procedura in esame - il primo comma della norma stabilisce che i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b) e c), devono essere “posseduti e comprovati dagli stessi” con le modalità previste dal codice, “salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio, ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
La norma prosegue prevedendo al comma 2 che i consorzi stabili eseguono le prestazioni o “con la propria struttura” o “tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto, ferma la responsabilità solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante”
La stessa disposizione aggiunge che “per i lavori”, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni saranno stabiliti “con il regolamento di cui all’articolo 216, comma 27-octies”.
Il successivo comma 2 bis aggiunge, per quanto di interesse nel presente giudizio, che “la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati”.
E’ noto al Tribunale che, con riferimento ai consorzi stabili, sono presenti due diversi orientamenti interpretativi a livello giurisprudenziale in ordine ai limiti entro i quali è legittimo il cumulo alla rinfusa, al fine della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione.
Il primo orientamento è favorevole alla permanente operatività del cumulo, nonostante la novella introdotta dal d.l. 2019 n. 32.
Si sostiene, in sintesi, che la praticabilità del cumulo alla rinfusa sarebbe ancora possibile per gli appalti di servizi e forniture in ragione del comma 2 bis del citato art. 47, che, proprio in relazione a questi due settori, avrebbe introdotto una disciplina ad hoc, tesa ad escludere il limite posto dal comma 1, che legittima il cumulo alla rinfusa solo per le attrezzature, i mezzi d’opera e l’organico medio annuo.
Tale interpretazione sarebbe coerente con la ratio proconcorrenziale che sottende la disciplina dei consorzi stabili e con la relazione illustrativa della legge di conversione del D.L. n. 32/2019, la quale, in tesi, confermerebbe “che la volontà del legislatore era quella di mantenere, anzi, potenziare l’operatività del meccanismo del cumulo alla rinfusa”, nella dichiarata prospettiva della “operatività e sopravvivenza di tale strumento pro-concorrenziale” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2021, n. 2588; T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 7 aprile 2022, n. 4082).
Il Tribunale ritiene maggiormente aderente al dato letterale e coerente con il quadro sistematico la tesi opposta, che, anche in relazione ai servizi e alle forniture, limita il cumulo alla rinfusa ai soli requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo.
L’orientamento interpretativo da ultimo richiamato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 agosto 2022, n 7360; Tar Lazio, sez. III, 3 marzo 2022, n. 2571; Tar Lazio, sez. I, 7 dicembre 2020, n. 13049) evidenzia che, sul piano letterale, il primo comma dell’art. 47 è chiaro nel consentire il cumulo solo con riferimento a determinati requisiti, ossia attrezzature, mezzi e organico medio, stabilendo che, al di fuori di questo ambito, i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere posseduti direttamente dal consorzio stabile e non per il tramite delle imprese consorziate (vale precisare che tale orientamento è espresso, seppure in obiter dictum, anche da Consiglio di Stato, ad. pl. 18 marzo 2021, n. 5).
La norma non delimita il suo ambito di applicazione ai lavori, ma è di carattere generale, perché non reca alcuna delimitazione applicativa, sicché va riferita anche ai servizi e alle forniture.
Non solo, è stata espunta la previsione di cui al previgente art. 36, comma 7, in forza della quale “il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.
Questa norma non prevedeva alcuna distinzione tra imprese designate e non designate per l’esecuzione delle prestazioni, sicché aveva legittimato un’interpretazione ampia e generalizzata del cumulo dei requisiti c.d. “alla rinfusa”.
La soppressione della disposizione richiamata, unitamente al tenore letterale dell’art. 47, conducono a superare l’orientamento ampliativo e a restringere la praticabilità del cumulo ai soli requisiti menzionati nel comma 1 dell’art. 47.
Anche l’argomento della finalità proconcorrenziale, che giustificherebbe l’interpretazione estensiva, non è dirimente.
Invero, come rilevato dalla citata giurisprudenza, la finalità di favorire la concorrenza è insita nella possibilità di utilizzare la forma del consorzio stabile, indipendentemente dall’operatività del cumulo alla rinfusa.
Anche il secondo comma dell’art. 47 supporta l’interpretazione restrittiva.
In primo luogo va osservato che anche questa disposizione, come il primo comma, non ha un ambito di applicazione riservato al settore dei lavori, sicché è di portata generale e va riferita anche ai servizi e alle forniture.
La norma stabilisce che i consorzi stabili eseguono le prestazioni o con la propria struttura o tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto; la disposizione non prevede più la possibilità di ricorrere all’avvalimento ai fini dell’utilizzazione dei requisiti posseduti dalle imprese consorziate non designate come esecutrici.
Pertanto, dal coordinamento tra il primo e il secondo comma deriva che (cfr. giur cit.): a) i consorzi stabili che intendano eseguire le prestazioni “con la propria struttura” devono dimostrare (e comprovare con le modalità ordinarie) il possesso, in proprio, dei “requisiti di idoneità tecnica e finanziaria” per l’ammissione alle procedure di affidamento, salva la facoltà di “computare cumulativamente” i soli requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera e all’organico medio annuo, quand’anche posseduti “dalle singole imprese consorziate”, ancorché non designate all’esecuzione; b) essi possano, alternativamente, affidarsi (senza che ciò costituisca subappalto) alle imprese consorziate, all’uopo indicate in sede di gara, che ne risultano corresponsabili.
Quanto alla portata del comma 2 bis dell’art. 47, la tesi estensiva ritiene che la norma abbia un ruolo centrale nella soluzione del problema, in quanto si tratterebbe di una disciplina speciale, relativa ai servizi e alle forniture, che legittimerebbe il cumulo alla rinfusa oltre i limiti posti dal primo comma, perché prevede che la sussistenza dei requisiti possa essere verificata in capo ai singoli consorziati.
Quella prospettata non è l’unica interpretazione possibile, perché la norma può essere collocata nel contesto del complessivo art. 47 senza derogare ai primi due commi, che, come già evidenziato, presentano un ambito applicativo generale.
In particolare, fermi restando sia la praticabilità del cumulo solo per attrezzature, mezzi d’opera ed organico medio annuo, sia il fatto che il consorzio stabile possa eseguire le prestazioni in proprio o per il tramite delle consorziate designate, la norma si limita a precisare, in relazione ai servizi e alle forniture, che, qualora il consorzio individui una consorziata come esecutrice, quest’ultima dovrà essere autonomamente in possesso del requisito di qualificazione, così come, in caso di esecuzione in proprio ad opera del consorzio, quest’ultimo dovrà possedere autonomamente il requisito.
Come precisato dalla giurisprudenza citata e qui condivisa (cfr. in particolare Consiglio di Stato, sez. V, n. 7360/2022) il quadro normativo complessivo evidenzia che:
a) la possibilità di “qualificazione cumulativa”, nell’ambito dei consorzi stabili, è limitata ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi d’opera e all’organico medio annuo (cfr. art. 47, comma 1);
b) i consorzi stabili possono, per tal via, partecipare alle gare qualificandosi in proprio (art. 47, comma 2, prima ipotesi) e comprovando i propri requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, potendo, a tal fine, cumulare attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo di tutte le consorziate (con il limite, non codificato ma implicito, del divieto di cumulo in caso di autonoma partecipazione, alla medesima gara, dell’impresa consorziata, che autorizzerebbe – di là dalla paradossale vicenda del concorso competitivo con cooperazione qualificatoria – un’implausibile valorizzazione moltiplicativa dei medesimi requisiti: cfr., per la relativa vicenda, Corte di Giustizia UE, C-376/08, 23 dicembre 2009);
c) i consorzi stabili, anche quando partecipino e si qualifichino in proprio, possono eseguire la prestazione, oltreché con la propria struttura, anche per il tramite delle consorziate, ancorché non indicate come esecutrici in sede di gara (onde, in chiara – seppur circostanziata – prospettiva proconcorrenziale, il ricorso alla struttura consortile consente ad imprese non qualificate di partecipare, sia pure indirettamente, alle procedure di affidamento): si tratterebbe – nella ricostruzione di Consiglio di Stato, ad. plen. n. 5/2021, che argomenta dal confronto con la previgente formulazione dell’art. 47, comma 2 - di “una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità”, espressione non puntuale sul piano tecnico ma che esprime e sintetizza un condivisibile corollario di sistema;
d) in alternativa, il consorzio può designare per l’esecuzione del contratto una o più delle imprese consorziate, che, in tal caso, partecipano direttamente alla gara, concorrendo alla sostanziale formulazione dei tratti, anche soggettivi, dell’offerta ed assumendo, in via solidale, la responsabilità per l’esatta esecuzione, ancorché la formalizzazione del contratto sia rimessa al consorzio, che è parte formale (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., n. 5/2021 cit.);
e) in tale ultimo caso è necessario che le imprese designate possiedano e comprovino (con la ribadita salvezza dei, limitati e specifici, casi di qualificazione cumulativa) i requisiti, tecnici e professionali, di partecipazione.
Vale ribadire che tale impostazione conserva anche la finalità proconcorrenziale, che è insita nella struttura stessa del consorzio stabile e che risulta realizzata anche in ragione del fatto che le consorziate, non indicate come esecutrici, possono eseguire le prestazioni allorché il consorzio, che partecipa e si qualifica in proprio, si “avvalga” di esse in sede di esecuzione.
Ne deriva che la qualificazione del Consorzio aggiudicatario, basata sul cumulo alla rinfusa, è illegittima per violazione dell’art. 47 del d.l.vo 2016 n. 50, con conseguente fondatezza della censura in esame.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 397 del 15 febbraio 2023.


Rispetto a un ricorso contro un PGT proposto da due soggetti, il TAR Milano rileva che solo talune delle censure sono comuni ai ricorrenti; altre sono invece esclusive di un ricorrente e pertanto di esse va dichiarata l’inammissibilità.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 604 del 8 marzo 2023.


Parte ricorrente si duole di una clausola di una convenzione accessiva a un piano di recupero che pone a capo di un condominio un obbligo “in perpetuo” alla manutenzione ordinaria dei parcheggi e del verde pubblico e che deve reputarsi, secondo la tesi di parte ricorrente, nulla o comunque non più giuridicamente efficace.

Il TAR Milano osserva che:
<< Come evidenziato dai ricorrenti a conclusione della loro esposizione (cfr. pag. 19 dell’atto introduttivo) il nostro ordinamento non consente vincoli contrattuali perpetui; in altri termini un obbligo di carattere personale e continuativo – come è, nel caso di specie, quello di manutenzione del parco pubblico – non può vincolare un soggetto senza alcun limite di tempo.
L’ordinamento civile prevede, infatti, durate diverse e massime per i singoli contratti; si pensi, a mero titolo di esempio, alla locazione che non può avere durata superiore a trent’anni (art. 1573 del codice civile) o all’affitto di fondi destinati al rimboschimento per il quale è previsto il termine massimo di novantanove anni (art. 1629 del codice civile).
Per i contratti tipici a tempo indeterminato è poi praticamente sempre ammessa la facoltà di recesso, proprio per evitare vincoli personali perpetui; si abbia riguardo – sempre a mero titolo esemplificativo – all’affitto senza determinazione di tempo (art. 1616 del codice civile); alla somministrazione a tempo indeterminato (art. 1569 del codice civile) oppure al conto corrente a tempo indeterminato (art. 1833 del codice civile).
Anche nell’ipotesi di rendita perpetua (art. 1861 del codice civile) è sempre concesso al debitore il diritto di riscatto, nonostante qualunque patto contrario (art. 1865 del codice civile).
Può quindi affermarsi, in conformità alla giurisprudenza e alla dottrina dominanti, che esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo cui in ogni rapporto contrattuale a tempo indeterminato il recesso unilaterale (ex art. 1373 del codice civile) costituisce una ordinaria causa estintiva, considerato che la perpetuità di un vincolo obbligatorio contrasta anche con il principio di buona fede nell’esecuzione contrattuale (ex art. 1375 del codice civile).
In giurisprudenza sia consentito il rinvio a Cassazione Civile, Sezione lavoro, sentenza n. 6427/1998, secondo cui: «…per quanto attiene in particolare ai contratti privi di termine finale, ossia a tempo indeterminato, deve essere riconosciuta la possibilità di farne cessare l'efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una espressa previsione legale, così come ha già da tempo riconosciuto autorevole dottrina. Trattasi di un principio, che appare in sintonia con quello di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), e che è coerente con la particolare struttura del rapporto, che non può vincolare le parti senza limiti, in contrasto con la naturale temporaneità della obbligazione».
L’ordinamento civile conosce vincoli perpetui in tema di servitù prediali ma in tale caso il vincolo non hai mai carattere personale ma è imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo (così l’art. 1027 del codice civile sulla definizione di “servitù prediale”).
A conferma di quanto sopra, è noto che il proprietario del fondo servente può essere tenuto ad un obbligo di non fare oppure di sopportare (“pati”) l’attività altrui ma non ad un obbligo di “facere” di carattere personale (cfr. l’art. 1030 del codice civile).
Ne deriva altresì il divieto di servitù atipiche e che, anche nel caso in cui fosse posta convenzionalmente a carico del proprietario del fondo servente una prestazione accessoria, tale prestazione sarebbe necessariamente temporanea.
Infatti: «Il complesso di argomentazioni che precedono - dal quale discende l'incasellamento dell'istituto della "servitù irregolare" nell'ambito dei rapporti obbligatori atipici con esclusione di ogni connotato di realità - conduce, ad avviso del collegio, a riconoscere necessariamente allo stesso un carattere temporaneo, dovendosi considerare estranea al nostro ordinamento ed incompatibile con l'altrui diritto di proprietà la concezione di un'obbligazione personale di natura perpetua (che - se conclusa - sarebbe nulla), in quanto "disintegrerebbe" in modo temporalmente indefinito il diritto di proprietà dal suo contenuto economico» (così espressamente Cassazione Civile, Sezione II, sentenza n. 25195/2021).
Da ultimo e per completezza si evidenzia che anche l’abrogato codice civile del 1865 vietava ogni forma di c.d. servitù personale ed in genere gli obblighi di fare perpetui (si veda ad esempio l’art. 1628 del codice civile del 1865, per il quale: “Nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”).>>
Ciò posto, il TAR afferma che la clausola convenzionale scrutinata, nella parte in cui pone un obbligo manutentivo perpetuo in capo al Condominio, non può reputarsi legittima; detta clausola deve, pertanto, reputarsi inefficace, con conseguente liberazione del Condominio dall’obbligo manutentivo a far tempo dalla notificazione al Comune del testo integrale della sentenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 603 del 8 marzo 2023.


Il TAR Milano, a fronte di un affidamento sottosoglia di un servizio di manutenzione e gestione in house providing di un centro sportivo che non si pone all’esito di una procedura aperta al mercato, sicché sottoposto al principio di rotazione ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016, osserva:
<<- vale ribadire che il principio di rotazione - che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da consultare e da invitare a presentare le offerte - trova fondamento nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato. Pertanto, al fine di ostacolare le pratiche di affidamenti senza gara ripetuti nel tempo che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di favorire la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio di rotazione comporta in linea generale che l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale e deve essere adeguatamente motivato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 05/04/2022, n. 2525), avuto riguardo al numero ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto e alle caratteristiche del mercato di riferimento (Consiglio di Stato, sez. V, 17/01/2019 n. 435);
- il principio ha una chiara valenza sostanziale perché è diretto ad evitare la creazione dì rendite di posizione ovvero evitare che la stazione appaltante affidi la commessa sempre allo stesso affidatario o, in relazione ad un procedimento ad inviti, rivolga-la propria attenzione sempre alla stessa platea di concorrenti (cfr. T.A.R. Campania, sez. IV, 31/05/2018, n. 3627);
- non solo, il principio di rotazione degli affidamenti e degli inviti, con riferimento all’affidamento immediatamente precedente a quello di cui si tratti, si applica nei casi in cui i due affidamenti, quello precedente e quello attuale, abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, ovvero nella stessa categoria di opere, ovvero ancora nello stesso settore di servizi (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. I, 11/03/2021, n. 531 che richiama anche la line guida Anac n. 4);>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 500 del 27 febbraio 2023.





Il TAR Brescia osserva che
<<Sebbene, infatti, non operi nel processo amministrativo la regola di stampo processual-civilista per cui la statuizione del Giudice copre il dedotto ed il deducibile, il rigido sistema di termini decadenziali che governa il D. Lgs 104/2010, in piena armonia con i principi di certezza del diritto nonché della ragionevole durata del processo, non consente di far valere i motivi di ricorso che avrebbero potuto essere sollevati avverso l’atto presupposto in occasione dell’impugnazione dell’atto presupponente; l’atto presupponente, pur adottato sulla base di quanto statuito da un pregresso provvedimento, non eredita i vizi di quest’ultimo dovendosi ritenere gli stessi, qualora all’epoca non impugnati, non più contestabili.
La conseguenza in diritto è l’inammissibilità del motivo di ricorso che pretende di far valere un vizio del presupposto provvedimento in occasione dell’impugnazione del consequenziale atto presupponente, non potendosi rimettere in discussione all’infinito le situazioni ormai consolidate.>>
(fattispecie relativa all’impugnazione di una ingiunzione di pagamento quale atto autonomo e distinto, ancorché collegato, rispetto al presupposto ordine di demolizione e rimessa in pristino)

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 103 del 3 febbraio 2023.





Il, TAR Milano ricorda che la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che “chi lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte pianificatorie lesive del proprio interesse. L’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 15 novembre 2016 n. 2140).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 215 del 24 gennaio 2023.


Con riguardo ad una procedura per la concessione di beni e servizi, e più nello specifico la concessione d’uso e la gestione di un servizio interno di bar, caffetteria e ristorazione ubicata all’interno di un Conservatorio di Musica, parte ricorrente aveva contestato l’Avviso esplorativo nella parte in cui consente la partecipazione alla gara soltanto a coloro che dimostrino “di non avere debiti o morosità e neppure liti pendenti nei confronti di Amministrazioni Pubbliche a qualsiasi titolo o comunque di provvedere a sanare la propria posizione debitoria entro il termine di scadenza del bando”, ritenendolo nullo per violazione dell’art. 83, comma 8, del D.Lgs. n. 50 del 2016, rientrando tale prescrizione nella categoria dei requisiti di ordine generale non previsti dalla legge e la cui introduzione in sede di lex specialis non risulterebbe ammessa.

Tale conclusione non è condivisa dal TAR Milano il quale ritiene di aderire all’orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale «il principio di tassatività delle cause di esclusione si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal Codice dei contratti pubblici in via diretta ovvero per autovincolo dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, V, 9 giugno 2015, n. 2839); allo stato, il vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 stabilisce all’art. 164 comma 2 che “Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”; la norma di attuale riferimento della questione individua dunque la normativa applicabile alle procedure di aggiudicazione delle concessioni tramite un rinvio per “temi” e non per articoli, e postula altresì l’espressione di un giudizio di compatibilità della relativa disciplina con l’oggetto di regolazione tramite rinvio» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).

Di conseguenza, secondo il TAR:
<<non è possibile applicare, de plano, alle concessioni di beni pubblici o di servizi l’art. 83, comma 8, considerato che si è al cospetto di una figura peculiare attraverso la quale si determina «l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione [art. 3 comma 1 lettera zz) e art. 165 comma 1 Codice contratti; Cons. Stato, III, 3 agosto 2020, n. 4910; 18 giugno 2020, n. 3905; VI, ordinanza 6 dicembre 2019, n. 6073; V, 28 marzo 2019, n. 2065; III, 11 gennaio 2018, n. 127; VI, 16 luglio 2015, n. 3571; 14 ottobre 2014, n. 5065], nell’ambito dell’equilibrio economico finanziario proprio dell’istituto [art. 3 comma 1 lett. fff) e art. 165 comma 2 Codice contratti].
Agli espressi fini del raggiungimento di tale equilibrio, l’art. 165 comma 2 del Codice contratti prevede, tra altro, che l’amministrazione aggiudicatrice possa stabilire in sede di gara “un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. Il contributo, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell’amministrazione aggiudicatrice la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione”.
Indi, accanto all’affidamento del servizio, l’amministrazione può concedere l’utilizzo dei beni necessari all’esercizio dell’attività, così integrando anche una concessione di bene pubblico (C.G.A.R.S., 24 marzo 2021, n. 247).
A sua volta, l’art. 172 comma 1 del Codice contratti, nel disporre in linea generale le regole di selezione e valutazione qualitativa degli aspiranti concessionari, prevede che le stazioni appaltanti verifichino le condizioni di partecipazione anche sotto il profilo della loro “capacità finanziaria ed economica” e ciò “sulla base di certificazioni, autocertificazioni o attestati che devono essere presentati come prova”.
Si tratta di una potestà non illimitata: l’art. 172 comma 1, con una disposizione non dissimile a quella dettata dal precedente art. 83 comma 2 per i contratti di appalto, stabilisce che “Le condizioni di partecipazione sono correlate e proporzionali alla necessità di garantire la capacità del concessionario di eseguire la concessione, tenendo conto dell’oggetto della concessione e dell’obiettivo di assicurare la concorrenza effettiva”» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).
Tenuto conto che la prescrizione di cui al punto 5.5 dell’Avviso pubblico è inserita nell’ambito di una lex specialis che non si è vincolata in linea generale all’applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici, e avendo la Stazione appaltante ritenuto di procedere alla verifica dell’affidabilità dei partecipanti alla gara non solo da un punto di vista formale, ma anche sostanziale, attraverso un accertamento della capacità finanziaria ed economica dei partecipanti alla procedura, ne risulta un diretto collegamento con l’oggetto dell’affidamento, costituito dalla cessione (anche) di un bene pubblico, a fronte del pagamento di un canone predeterminato. Ciò risulta coerente con la previsione di cui all’art. 172, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, secondo la quale è assolutamente proporzionato pertinente all’oggetto della concessione procedere a una verifica delle capacità dell’operatore economico di gestire la predetta concessione, unitamente alla sua affidabilità e integrità.
Ne risulta l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 83, comma 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016 alla procedura de qua.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 538 del 2 marzo 2023.


Il TAR Milano, con riferimento alla nozione di rifiuto riferita a dei cumuli di materiale inerte frantumato da demolizione, osserva che:
<<viene in rilievo l’art. 183, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi. La giurisprudenza ha chiarito che la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 20 gennaio 2015, n. 29069; id, 23 aprile 2008, n. 22245). La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C‑241/12 e C‑242/12, par 38).
Si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 477 del 23 febbraio 2023.



Il TAR Milano, con riferimento all’attribuzione del punteggio tecnico con criteri on/off, osserva quanto segue:
<<- l’art. 95 del d.l.vo 2016 n. 50 affronta il rapporto tra il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e il criterio del prezzo più basso, evidenziando la residualità di quest’ultimo – in particolare commi 3 e 4 – nonché prevedendo un tetto massimo alla rilevanza attribuibile al criterio economico, che non può eccedere il 30%, in base al comma 10 bis (cfr. in argomento T.A.R. Liguria, sez. II, 27 dicembre 2019, n. 1024);
- ne deriva, in generale, che, quando sia prescelto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la concreta articolazione dei criteri e dei relativi punteggi deve essere tale da conservare la discrezionalità tecnica dell’amministrazione, senza neutralizzarla con parametri esclusivamente tabellari;
- in tale contesto si inseriscono i criteri c.d. on/off, che introducono un’alternativa secca tra attribuzione del punteggio pieno, in caso di offerta di un particolare elemento e punteggio pari a zero in caso di mancanza di detto elemento;
- il criterio on/off si caratterizza, quindi, per il fatto di escludere qualunque graduazione del punteggio tra il minimo e il massimo;
- si tratta di una metodologia che di per sé non è illegittima, perché l’art. 95 cit. stabilisce che la ponderazione relativa a ciascuno dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica avvenga “anche prevedendo una forcella in cui lo scarto tra il minimo e il massimo deve essere adeguato”;
- nondimeno, il problema è quello di stabilire il limite all’utilizzabilità del criterio on/off che, se impiegato in modo preponderante, potrebbe rendere irrilevanti i profili qualitativi dell’offerta, contraddicendo la previsione del bando che fissa il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in luogo del minor prezzo;
- nel caso di specie, il bando articola i criteri di valutazione dell’offerta tecnica in subcriteri, prevedendo nel complesso l’attribuzione di 70 punti;
- nell’ambito dell’articolazione in subcriteri solo 15 punti complessivi sono assegnabili sulla base di un’alternativa secca di tipo on/off;
- gli ulteriori 55 punti sono distribuiti sulla base di una articolata graduazione dei punteggi tra un minimo e un massimo, con previsione di valori intermedi, correlati a specifici profili tecnici;
- tale modus procedendi non contrasta con la scelta effettuata per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto non si sostanza nella previsione di criteri rigidi di tipo quantitativo, ma nell’articolazione di subpunteggi predeterminati, che valorizzano i diversi profili tecnici delle offerte e consentono di premiare quelle che presentano un maggior pregio tecnico;
- del resto la giurisprudenza ha precisato che “il metodo di attribuzione si/no, pur ridimensionando in parte il margine di apprezzamento del merito tecnico dell’offerta, non lo esclude, anticipando, piuttosto, la valutazione dei requisiti tecnici che devono essere offerti, con la conseguenza che si ha poi un controllo finalizzato a comprovarne il possesso. Ciò significa che comunque la valutazione dell’offerta ha tenuto conto della componente tecnica” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2020, n. 2094);
- non solo, in relazione a taluni dei criteri previsti, il bando prevede la produzione di una descrizione esaustiva a corredo dell’offerta tecnica, correlando ad essa e al suo contenuto il punteggio attribuibile;
- si tratta di un profilo che valorizza la discrezionalità tecnica della stazione appaltante, cui è attribuito il compito di valutare le offerte a partire dal contenuto delle descrizioni richieste, apprezzandone la completezza;
- ne deriva che i criteri e i sub criteri previsti dal bando e le connesse modalità di attribuzione del punteggio non contraddicono la scelta effettuata per il parametro dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma introducono graduazioni di punteggi compatibili con tale scelta e riservano espressamente spazi valutativi adeguati alla stazione appaltante.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 364 del 10 febbraio 2023.