Parte ricorrente si duole di una clausola di una convenzione accessiva a un piano di recupero che pone a capo di un condominio un obbligo “in perpetuo” alla manutenzione ordinaria dei parcheggi e del verde pubblico e che deve reputarsi, secondo la tesi di parte ricorrente, nulla o comunque non più giuridicamente efficace.

Il TAR Milano osserva che:
<< Come evidenziato dai ricorrenti a conclusione della loro esposizione (cfr. pag. 19 dell’atto introduttivo) il nostro ordinamento non consente vincoli contrattuali perpetui; in altri termini un obbligo di carattere personale e continuativo – come è, nel caso di specie, quello di manutenzione del parco pubblico – non può vincolare un soggetto senza alcun limite di tempo.
L’ordinamento civile prevede, infatti, durate diverse e massime per i singoli contratti; si pensi, a mero titolo di esempio, alla locazione che non può avere durata superiore a trent’anni (art. 1573 del codice civile) o all’affitto di fondi destinati al rimboschimento per il quale è previsto il termine massimo di novantanove anni (art. 1629 del codice civile).
Per i contratti tipici a tempo indeterminato è poi praticamente sempre ammessa la facoltà di recesso, proprio per evitare vincoli personali perpetui; si abbia riguardo – sempre a mero titolo esemplificativo – all’affitto senza determinazione di tempo (art. 1616 del codice civile); alla somministrazione a tempo indeterminato (art. 1569 del codice civile) oppure al conto corrente a tempo indeterminato (art. 1833 del codice civile).
Anche nell’ipotesi di rendita perpetua (art. 1861 del codice civile) è sempre concesso al debitore il diritto di riscatto, nonostante qualunque patto contrario (art. 1865 del codice civile).
Può quindi affermarsi, in conformità alla giurisprudenza e alla dottrina dominanti, che esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo cui in ogni rapporto contrattuale a tempo indeterminato il recesso unilaterale (ex art. 1373 del codice civile) costituisce una ordinaria causa estintiva, considerato che la perpetuità di un vincolo obbligatorio contrasta anche con il principio di buona fede nell’esecuzione contrattuale (ex art. 1375 del codice civile).
In giurisprudenza sia consentito il rinvio a Cassazione Civile, Sezione lavoro, sentenza n. 6427/1998, secondo cui: «…per quanto attiene in particolare ai contratti privi di termine finale, ossia a tempo indeterminato, deve essere riconosciuta la possibilità di farne cessare l'efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una espressa previsione legale, così come ha già da tempo riconosciuto autorevole dottrina. Trattasi di un principio, che appare in sintonia con quello di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), e che è coerente con la particolare struttura del rapporto, che non può vincolare le parti senza limiti, in contrasto con la naturale temporaneità della obbligazione».
L’ordinamento civile conosce vincoli perpetui in tema di servitù prediali ma in tale caso il vincolo non hai mai carattere personale ma è imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo (così l’art. 1027 del codice civile sulla definizione di “servitù prediale”).
A conferma di quanto sopra, è noto che il proprietario del fondo servente può essere tenuto ad un obbligo di non fare oppure di sopportare (“pati”) l’attività altrui ma non ad un obbligo di “facere” di carattere personale (cfr. l’art. 1030 del codice civile).
Ne deriva altresì il divieto di servitù atipiche e che, anche nel caso in cui fosse posta convenzionalmente a carico del proprietario del fondo servente una prestazione accessoria, tale prestazione sarebbe necessariamente temporanea.
Infatti: «Il complesso di argomentazioni che precedono - dal quale discende l'incasellamento dell'istituto della "servitù irregolare" nell'ambito dei rapporti obbligatori atipici con esclusione di ogni connotato di realità - conduce, ad avviso del collegio, a riconoscere necessariamente allo stesso un carattere temporaneo, dovendosi considerare estranea al nostro ordinamento ed incompatibile con l'altrui diritto di proprietà la concezione di un'obbligazione personale di natura perpetua (che - se conclusa - sarebbe nulla), in quanto "disintegrerebbe" in modo temporalmente indefinito il diritto di proprietà dal suo contenuto economico» (così espressamente Cassazione Civile, Sezione II, sentenza n. 25195/2021).
Da ultimo e per completezza si evidenzia che anche l’abrogato codice civile del 1865 vietava ogni forma di c.d. servitù personale ed in genere gli obblighi di fare perpetui (si veda ad esempio l’art. 1628 del codice civile del 1865, per il quale: “Nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”).>>
Ciò posto, il TAR afferma che la clausola convenzionale scrutinata, nella parte in cui pone un obbligo manutentivo perpetuo in capo al Condominio, non può reputarsi legittima; detta clausola deve, pertanto, reputarsi inefficace, con conseguente liberazione del Condominio dall’obbligo manutentivo a far tempo dalla notificazione al Comune del testo integrale della sentenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 603 del 8 marzo 2023.