La Corte di Giustizia UE con riferimento all’art. 105 del d.lgs. n. 50 del 2016 statuisce che:
La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.

La sentenza della Quinta Sezione del 26 settembre 2019 (causa C-63/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia.



Il TAR Milano chiarisce che l’accesso da parte di terzi al fascicolo processuale è calibrato in modo strumentale alla proposizione dell’atto di intervento volontario in giudizio ed è da accordarsi in presenza di quella posizione soggettiva che ne fonderebbe la legittimazione ai sensi dell’art. 28, secondo comma, c.p.a.; sicché il soggetto istante è tenuto a rappresentare il proprio interesse all’ostensione e a preannunciare la propria intenzione di intervenire volontariamente nella causa e non deve essere decaduto dall’esercizio della relativa azione.
Aggiunge il TAR che, in applicazione di siffatta disposizione, è stato correttamente affermato come nel processo amministrativo l’intervento in giudizio non sia litisconsortile autonomo, bensì adesivo dipendente, ossia a sostegno delle ragioni altrui, ed è consentito a condizione che il soggetto, se legittimato, non sia decaduto dal diritto di impugnare il provvedimento: sarebbe quindi inammissibile l'intervento ad opera del soggetto che sia comunque legittimato a proporre direttamente ricorso in via principale avverso il medesimo atto impugnato da terzi nel processo in cui ritiene di intervenire, eludendosi altrimenti il rispetto dei termini decadenziali imposti dalla legge; l’art. 28, comma secondo, cit. prevede, altresì, che l’interveniente accetta lo stato e il grado in cui il giudizio si trova, a conferma che va negato a chi, possedendo legittimazione attiva e avendovi interesse, decaduto dal gravame, possa surrettiziamente eludere il termine di decadenza mediante l’intervento in giudizio.
Ciò considerato, il TAR, accertato che nel caso di specie gli istanti sarebbero stati legittimati a gravare gli atti impugnati nel procedimento al cui fascicolo processuale hanno chiesto l’accesso (nella fattispecie, in quanto destinatari dell’impugnata ingiunzione di demolizione, unitamente ai ricorrenti, in qualità di comproprietari dell’immobile di cui trattasi), ritiene precluso loro l’intervento in giudizio e conseguentemente rigetta l’istanza di accesso al fascicolo processuale.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2015 del 25 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la previsione di un’esclusiva iniziativa comunale nell’attuazione delle misure per realizzare i servizi pubblici (parcheggi), conferendo natura espropriativa e non conformativa al vincolo, rende necessaria una specifica motivazione in ordine alla reiterazione del predetto vincolo, oltre alla previsione di una forma di indennizzo a ristoro del sacrificio imposto alla proprietà privata.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1896 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato, con riferimento alla questione dell’individuazione del momento dal quale decorre il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione conclusivo di una procedura di appalto pubblico qualora il soggetto leso dichiari di aver avuto conoscenza degli atti della procedura e dei relativi vizi solamente a seguito di accesso ai documenti, ritiene che restano validi i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa nella vigenza del vecchio codice dei contratti pubblici:
a) in caso di comunicazione dell’aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell’offerta dell’aggiudicataria (o non sia accompagnata dall’allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l’impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura;
b) alla luce dell’insegnamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione;
c) la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l’accesso informale ai documenti di gara dall’art. 79, comma 5 quater d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell’art. 76 d.lgs. n. 50 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato;
d) qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l’accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l’immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall’interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si “consuma”; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura;
e) la comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione imposta dall’art. 76, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all’albo pretorio della stazione appaltante per l’espresso riferimento dell’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente;
f) anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell’art. 76, comma 5, d.lgs. n. 50 cit., per la regola generale di cui all’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito “piena conoscenza” dell’aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non sia accompagnata dall’acquisizione di tutti gli atti del procedimento.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6251 del 20 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in sede di interpretazione dell’art. 80, comma 5, lett. m), del D. Lgs. 50/2016, ove si prevede che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: “m) l'operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”, ricorda che la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale, ha precisato che:
- l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale costituisce motivo in sé sufficiente a giustificare l’esclusione delle imprese dalla procedura selettiva, non essendo necessario verificare che la comunanza a livello strutturale delle imprese partecipanti alla gara abbia concretamente influito sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, determinando la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale;
- ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e svincolato da valutazioni a posteriori di tipo qualitativo, rappresentato dall’esistenza di un collegamento sostanziale tra le imprese, con la necessaria precisazione che lo stesso debba essere dedotto da indizi gravi, precisi e concordanti;
- tale interpretazione garantisce la giusta tutela ai principi di segretezza delle offerte e di trasparenza delle gare pubbliche nonché della parità di trattamento delle imprese concorrenti, principi che verrebbero irrimediabilmente violati qualora si ritenesse di correlare l’esclusione dalla gara di imprese in collegamento sostanziale ad una posteriore valutazione sul contenuto delle offerte;
- è ravvisabile un centro decisionale unitario laddove tra imprese concorrenti vi sia intreccio parentale tra organi rappresentativi o tra soci o direttori tecnici, vi sia contiguità di sede, vi siano utenze in comune (indici soggettivi), oppure, anche in aggiunta, vi siano identiche modalità formali di redazione delle offerte, vi siano strette relazioni temporali e locali nelle modalità di spedizione dei plichi, vi siano significative vicinanze cronologiche tra gli attestati SOA o tra le polizze assicurative a garanzia delle offerte; la ricorrenza di questi indici, in numero sufficiente e legati da nesso oggettivo di gravità, precisione e concordanza tale da giustificare la correttezza dello strumento presuntivo, è sufficiente a giustificare l’esclusione dalla gara dei concorrenti che si trovino in questa situazione;
- il semplice collegamento può quindi dar luogo all’esclusione da una gara d’appalto solo all’esito di puntuali verifiche compiute con riferimento al caso concreto da parte dell’Amministrazione che deve accertare se la situazione rappresenta anche solo un pericolo che le condizioni di gara vengano alterate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1981 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si ricorda che venerdì 27 settembre 2019, dalle 15:00 alle 18:00, a Lecco, Sala don Ticozzi, via Ongania 4, si terrà l’evento formativo “Procedura fallimentare, accordi e provvedimenti amministrativi” (relatori: dott. Dario Colasanti e avv. Stefano Calvetti).

Le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera, accedendo alla sezione degli eventi dell'Ordine degli Avvocati di Lecco.

La partecipazione è gratuita e dà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti formativi.

Locandina


Il TAR Milano precisa che l’elemento decisivo a favore dell’inammissibilità del ricorso per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato su un’istanza diretta al consiglio comunale di interpretazione autentica di una norma delle NTA di un PGT è che non sussiste l’obbligo di provvedere richiesto dall’art. 31 del c.p.a., secondo il quale “Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere”; infatti, l’art. 13, c. 14-bis, della L.R. 12/05 stabilisce che “I comuni, con deliberazione del consiglio comunale analiticamente motivata, possono procedere alla correzione di errori materiali, a rettifiche e a interpretazioni autentiche degli atti di PGT non costituenti variante agli stessi”; la norma evidentemente considera facoltativo questo strumento, come d’altronde lo è sempre il potere di interpretazione autentica di atti normativi da parte dell’organo che ha posto in essere le norme da interpretare; il titolare della potestà normativa ha piena discrezionalità sia nello stabilire se i dubbi in merito all’applicabilità della norma siano oggettivi o soggettivi, sia nella scelta tra l’atto interpretativo e quello modificativo delle norme.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 197 del 19 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, la ripubblicazione integrale degli atti contenenti la disciplina di gara e non solamente delle parti modificate determina un effetto sostitutivo dei nuovi atti ai corrispondenti adottati in precedenza; al contempo, la riapertura dei termini per la presentazione dell’offerta rinnova l’interesse del potenziale concorrente a censurare la lex specialis nella sua interezza; ne consegue che, in questo caso, il termine decadenziale per impugnare i nuovi atti contenenti la disciplina di gara, anche nella parte non oggetto di modifica, riprende a decorrere dalla pubblicazione degli stessi.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1958 del 10 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, dopo aver precisato che la DGR n. 9976/2002, al punto 2.1. indica che, quanto alle infrastrutture stradali, “La presenza di strade di quartiere o locali (strade di tipo E ed F di cui al D.lgs. 285/1992) ai fini della classificazione acustica è senz’altro da ritenere come un importante parametro da valutare per attribuire sulla strada la stessa classe di appartenenza delle aree prossime alla stessa . Le strade di quartiere o locali vanno pertanto considerate parte integrante dell’area di appartenenza ai fini della classificazione acustica, ovvero, per esse non si ha fascia di pertinenza ed assumono la classe delle aree circostanti, che in situazioni di particolare esigenza di tutela dall’inquinamento acustico può anche essere la classe I”, prende atto che il Comune di Milano ha compiuto una scelta diversa; invero, nel Documento di Classificazione Acustica del Comune di Milano, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 9 settembre 2013, nell’allegata relazione tecnica viene espressamente indicato, come criterio adottato per la predisposizione del Documento stesso, che “Le strade, i sedimi ferroviari, i fiumi ed i Navigli non sono stati classificati”.
Ne consegue, secondo il TAR, che l’area esterna in concessione (plateatico), ove viene esercitata l’attività di bar e ristorante nella zona dei Navigli a Milano, in quanto parte della strada, in base al Documento di classificazione acustica del Comune di Milano, non è classificata a tale fine e ad essa non possono applicarsi i valori di emissione sonora della zona, ma solo quelli di immissione da rilevarsi ai recettori.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1963 del 12 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ritiene che, in relazione ai consolidati orientamenti giurisprudenziali formatisi sul previgente art. 3, comma 27, L. n. 244/2007 e alla luce del chiaro tenore letterale degli artt. 5 e 24 D.Lgs. n. 175/16, al fine di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali, anche in violazione dei principi del diritto comunitario, in base a quanto disposto nell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 9.8.2016 n. 175, le Amministrazioni Pubbliche debbano comprovare a fronte dell’acquisto di partecipazioni in società pubbliche la sussistenza dei presupposti per la sua applicazione, come in particolare indicati nell’art. 2, comma 1, lett. h), mediante una congrua motivazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1935 del 2 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Brescia precisa che le sentenze di merito dei giudici ordinari e dei giudici amministrativi – le quali abbiano statuito sui profili sostanziali della controversia – una volta divenute irrevocabili sono suscettibili di acquisire autorità di giudicato esterno, con la conseguente incontestabilità (“efficacia pan-processuale”) negli altri giudizi tra le stesse parti che abbiano ad oggetto questioni identiche rispetto a quelle già esaminate: così il giudicato esterno di merito, rilevabile pure d’ufficio, spiega la sua efficacia nella stessa causa intentata davanti a un altro giudice, di ordine diverso.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 747 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia affronta il tema dell’ampiezza del potere del giudice amministrativo e ricorda che la giurisprudenza ha chiarito che rientra nella giurisdizione del G.A., ai sensi dell’art. 8 c.p.a. (secondo cui il G.A. stesso può conoscere, seppur solo in via incidentale e senza efficacia di giudicato tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale), l’esame dell’eccezione (di tipo riconvenzionale), avanzata in via incidentale dalla P.A., tendente a far valere l’usucapione su un bene oggetto di una procedura espropriativa, al fine di pervenire ad un’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di interesse.
Aggiunge il TAR che è stato anche osservato, sotto altro profilo, che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico passaggio su una strada privata compete all’autorità giudiziaria ordinaria, mentre il giudice amministrativo può esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale, senza poter fare stato con la propria decisione sulla questione, e al solo e limitato fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione che forma specifico oggetto di ricorso: quindi il giudice amministrativo può accertare incidenter tantum, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., l’esistenza di un uso pubblico consolidato su aree di proprietà privata, laddove tale accertamento sia indispensabile al fine di delibare la legittimità di un provvedimento (come, ad esempio, l’atto di rigetto di un’istanza di rilascio di un titolo edilizio motivato sull’esistenza di un diritto di uso pubblico sull’area su cui ricade l’intervento).

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 784 del 27 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la sanzione pecuniaria contenuta nel comma 4-bis dell’art. 31 del DPR 380/2001 (introdotta con la legge n. 164 del 2014) è finalizzata a sanzionare la mancata rimozione dell’abuso – il presupposto è rappresentato dalla constatata inottemperanza all’ordine di demolizione – e non la sua realizzazione, trattandosi di una misura avente natura anche indirettamente ripristinatoria, oltre che sanzionatoria, e perciò diretta a indurre i soggetti, che pure potrebbero non avere responsabilità nella realizzazione dell’abuso, a rimuovere lo stesso, laddove ne abbiano la possibilità materiale e giuridica; ne deriva che la mancata esecuzione dell’ordinanza di demolizione, proseguita dopo l’entrata in vigore della menzionato comma 4-bis, impone l’applicazione della sanzione da quest’ultimo prevista, senza che ciò implichi violazione del principio di irretroattività delle norme che introducono misure sanzionatorie.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1909 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che principio generale regolatore delle gare pubbliche è quello che vieta la commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell’offerta ai fini dell’aggiudicazione; detto principio si correla all’esigenza di aprire il mercato, premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio, che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo; la composizione dei due principi trova supporto logico e giuridico proprio nella necessaria distinzione tra i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, che attengono all’operatore, e i criteri di valutazione, che invece attengono all’offerta e all’aggiudicazione; non solo, il principio si pone anche a tutela delle capacità competitive delle piccole e medie imprese che presentano un profilo esperienziale meno marcato ed è la stessa esigenza cui tende il legislatore laddove prevede – nell’art. 95, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016 - tra i criteri di selezione utilizzabili, “l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale effettivamente utilizzato nell’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello di esecuzione dell’appalto”.
Aggiunge il TAR Milano che il problema della commistione tra i due parametri sorge perché la distinzione tra canone oggettivo di valutazione dell’offerta e requisito soggettivo del competitore, seppure chiara sul piano teorico, può diventare ardua sul piano concreto, stante la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull’affidabilità e sull’efficienza dell’offerta, ossia sulle modalità di esecuzione della prestazione contrattualmente dovuta; al riguardo, la giurisprudenza precisa che il divieto di commistione fra criteri soggettivi e oggettivi, afferenti alla valutazione dell’offerta, non è eluso solo quando gli aspetti organizzativi o le professionalità risultanti dal curriculum dell’operatore sono destinati ad essere apprezzati quale garanzia della migliore esecuzione della specifica prestazione richiesta, sicché integrano dei parametri afferenti alle caratteristiche oggettive dell'offerta; il parametro cui ancorare la valutazione della sussistenza di tale diretto riflesso di un requisito soggettivo sul contenuto della prestazione è l’oggetto del contratto da aggiudicare, proprio perché la norma di riferimento individua quali validi criteri di valutazione dell’offerta solo quelli pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1928 del 28 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che secondo il D.P.R. 13/02/2017 n. 31, allegato A, punto A.17, è esclusa l'autorizzazione paesaggistica per "installazioni esterne poste a corredo di attività economica quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo"; la norma in questione chiarisce pertanto che gli aspetti funzionali e strutturali sono strettamente connessi perché l’installazione esterna non deve solo essere per sua natura facilmente amovibile, ma anche priva di strutture stabilmente ancorate al suolo e di parti in muratura che si saldano in una unità indivisibile di carattere funzionale; ne consegue, per il TAR, che una “pergotenda” ancorata a due muri, quello dell’edificio, al quale è attaccato il meccanismo di azionamento della tenda retrattile, e il muro di confine, al quale sono fissati i serramenti di tipo vasistas, con l’ambiente chiuso sugli altri due lati in modo stabile da moduli a vetro a scorrimento che permettono la chiusura completa del locale, non può ritenersi priva di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo, come invece richiesto dal D.P.R. 13/02/2017, n. 31 allegato A, punto A.17, in quanto utilizza come parte inscindibile le murature esistenti ed è accompagnata da pareti laterali stabilmente ancorate al suolo; deve, quindi, ritenersi che l’opera rientri tra quelle soggette ad autorizzazione paesistica, indipendentemente dalla facile amovibilità; aggiunge poi il TAR che a tal fine non è rilevante stabilire se le cc.dd. “pergotende” possano essere considerate “opere precarie” ex art. 3, comma 1, lett. e), del T.U. dell’Edilizia, stante l’autonoma nozione paesistica di opere escluse dalla necessità di richiedere un titolo paesistico.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1921 del 26 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, con riguardo alle condizioni cui è subordinato il potere c.d. di polizia demaniale, chiarisce che il potere di autotutela esecutiva, previsto all’art. 823, comma 2, c.c., presuppone il previo accertamento della natura di bene patrimoniale indisponibile del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria pubblicistica; di converso, il bene pubblico ricompreso nel patrimonio disponibile dell'ente non è affatto recuperabile autoritativamente sebbene mediante l’esercizio della tutela privatistica, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica; la res pubblica, non appartenente al demanio necessario, assume il regime giuridico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio a due concorrenti condizioni: la presenza della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico, desumibile da un espresso atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, nonché (congiuntamente) l'effettiva e attuale destinazione del bene a pubblico servizio; discende a corollario che, in assenza dell'effettiva e attuale utilizzazione in conformità della destinazione ad esso impressa, la determinazione amministrativa di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio non è sufficiente per l’esercizio del potere previsto all’art. 823, comma 2, c.c.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5934 del 29 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ritiene inammissibile un ricorso di un operatore commerciale contro un permesso di costruire in sanatoria rilasciato a terzi con oggetto un intervento residenziale, in quanto nel caso di specie il confronto è tra interessi disomogenei e la lesione dell’interesse commerciale della ricorrente è puramente teorico, proprio in considerazione dell’astratta possibilità di scontro tra l’interesse economico e quello residenziale dipendente dal paventato rischio di contenziosi promossi dal vicino in conseguenza delle immissioni acustiche o di altra natura provenienti dal fondo in cui viene svolta l’attività economica, conflitto che ha carattere del tutto eventuale e ipotetico.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1914 del 21 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE ritorna sul problema dell'ordine di esame del ricorso principiale e di quello incidentale e statuisce che:
«L’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, e paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono quest’ultimo, ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi».

La sentenza della Decima Sezione del 5 settembre 2019 (causa C-333/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia.



Il TAR Milano precisa che l’assenza di un dovere di confutazione analitica e puntuale delle singole osservazioni consente all’Amministrazione di procedere, discrezionalmente, al loro accorpamento per gruppi omogenei (non tuttavia in un unico blocco), in modo da agevolare il lavoro degli Uffici e di razionalizzare l’iter di approvazione dello strumento pianificatorio, soprattutto laddove ci si trovi al cospetto di un rilevante numero di osservazioni e le stesse siano estremamente parcellizzate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1897 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo



Il TAR Milano, con riguardo al lasso di tempo trascorso tra la presentazione dei titoli edilizi e l’intervento comunale in autotutela, ritiene di aderire all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni introdotte dalla legge n. 124 del 2015 all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 trovano applicazione solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Al riguardo, il TAR considera che la nuova disposizione ancora l’esercizio del potere al momento di emanazione del primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo grado rimuove; la generalizzata applicazione del termine dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela – per i provvedimenti già emessi prima del 28 agosto 2015 – necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data; in tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la stessa in un termine generale di definizione di tutti i provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già adottati prima della novella; sempre secondo il TAR, aderendo al diverso orientamento la P.A. risulterebbe, in sostanza, onerata di una verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi precludere la possibilità di successiva rimozione; in tal modo, però, per gli atti adottati prima della novella il termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi sulla data di emanazione del singolo atto ma, al contrario, sulla data di entrata in vigore della legge; si perviene, così, al risultato di negare la ratio della previsione che intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio del potere sul provvedimento da rimuovere.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1907 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato precisa che, in ragione della natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell'aggiudicazione provvisoria, e della non tutelabilità processuale di quest'ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara; aggiunge il Consiglio di Stato che nelle gare pubbliche la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell'aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell'aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l'aggiudicatario provvisorio vanta solo un'aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l'assenza di una posizione di affidamento in capo all'aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l'onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell'aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell'interesse pubblico giustificativo dell'atto di ritiro; è poi evidente che, rimanendo immutata la consistenza della posizione soggettiva con la quale interferisce l’esercizio del potere di ritiro della P.A., alle medesime conclusioni deve giungersi nel caso in cui il potere di revoca abbia ad oggetto l’intera procedura di gara.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5597 del 6 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia ricorda che l’azione generale di accertamento, inizialmente prevista nel progetto di codice del processo amministrativo elaborato dalla Commissione presso il Consiglio di Stato, è stata successivamente stralciata in sede di approvazione governativa, ragion per cui attualmente il sistema codicistico prevede esclusivamente singole e tipiche ipotesi di azioni di accertamento; peraltro, fin da subito, la giurisprudenza ha manifestato una certa apertura verso la configurabilità di un’azione di accertamento “atipica”, ritenuta però esperibile solo in via residuale.
In particolare, evidenzia il TAR, che:
- già l’Adunanza Plenaria 29 luglio 2011, n. 15 aveva precisato che la mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità, ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all'adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni; ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l'azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009;
- a fronte di tali aperture e, quindi, della possibilità di ammettere, in casi particolari, azioni di accertamento, è stato però osservato che tale ammissibilità è condizionata al rispetto dei limiti generali che il codice del processo pone ai poteri decisori del giudice, i quali sono costituiti dal divieto di pronunciarsi su questioni afferenti poteri non ancora esercitati, dal divieto di accertare la fondatezza della pretesa al di fuori dei casi in cui si tratti di attività vincolata o non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e dal divieto di adottare sentenze costitutive che pongano in essere un nuovo atto, modifichino o riformino quello impugnato al di fuori dei casi di giurisdizione di merito;
- dunque, l’azione di accertamento, per essere esperibile in concreto, deve essere supportata da un interesse giuridicamente rilevante di chi agisce in giudizio diverso da quello consistente nella eliminazione degli effetti del provvedimento, occorrendo altrimenti esperire l’azione di annullamento, che è correlata al rispetto del termine decadenziale; invero, il comma 2 dell’art. 34 c.p.a. dispone che, salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’art. 30, comma 3, il giudice non può conoscere della illegittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento, in tal modo sancendo una non dissociabilità della mera azione di accertamento, quando volta nella sostanza alla eliminazione dell’atto, funzionale ad evitare la elusione del termine decadenziale di impugnazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 762 del 20 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.