Il TAR Milano precisa che il canone della buona fede rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all’evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto; gli obblighi di buona fede e correttezza, che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico, si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes; di talchè, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti.
Aggiunge il TAR Milano che la giurisprudenza da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale; espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1929 del 28 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




Il TAR Milano precisa che la mancata disponibilità materiale del bene in capo al proprietario rappresenta un elemento ostativo all’adozione dell’atto repressivo nei suoi confronti; l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando, difetta di una condizione costituiva dell’ordine e cioè l’imposizione di un dovere eseguibile.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1007 del 3 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia precisa che le preclusioni di diritto interno devono essere valutate dalla prospettiva del diritto comunitario; è possibile, infatti, che la mancanza di rimedi giurisdizionali costituisca essa stessa un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa comunitaria, e debba quindi essere superata mediante la disapplicazione delle norme interne che impediscono la proposizione di nuovi ricorsi; ricorda il TAR che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che il diritto comunitario, pur consentendo agli Stati di fissare un termine per le impugnazioni dei provvedimenti in materia di VIA, non tollera che i progetti la cui autorizzazione non è più esposta a un ricorso giurisdizionale diretto, data la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, siano puramente e semplicemente considerati autorizzati sotto il profilo dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale; in particolare, non è possibile impedire la proposizione di un’azione di risarcimento basata sulla violazione dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale; aggiunge quindi il TAR che poiché il risarcimento in forma specifica può consistere, prima dell’esecuzione dei lavori, nell’apertura di una procedura di VIA, si deve ritenere che i soggetti interessati, compresi i comitati di cittadini che risentono delle conseguenze dell’opera, possano chiedere l’accertamento dell’obbligo di sottoposizione del progetto alla valutazione di compatibilità ambientale.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 739 del 13 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che tra gli “interventi di nuova costruzione”, per cui è necessario il permesso di costruire, vi sono quelli relativi all'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, che siano utilizzati quali ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; rientrano infatti nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo, e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale; ne consegue che l’installazione di un chiosco, malgrado la sua precarietà strutturale, la sua rimovibilità, e l’assenza di opere murarie, in quanto manufatto non deputato ad un uso per fini contingenti, ma invece ad un utilizzo reiterato nel tempo, è da ritenersi come nuova costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1851 del 5 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la retrocessione parziale del bene espropriato presuppone un provvedimento dell'Amministrazione volto a dichiarare l'inservibilità del bene per lo scopo che ne ha determinato l'espropriazione, o comunque la manifestazione di tale volontà, anche a mezzo di acta concludentia, con valenza costitutiva del diritto alla restituzione del bene già espropriato, ma non utilizzato; in altri termini, la dichiarazione di inservibilità dei beni all'opera pubblica è il frutto di una valutazione discrezionale dell'amministrazione, di fronte alla quale il privato vanta una posizione di interesse legittimo; il diritto soggettivo alla retrocessione parziale dei beni nasce soltanto se la stessa amministrazione abbia dichiarato, appunto, che quei beni non servono più all'opera pubblica.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1812 in data 1 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.




La Corte di Cassazione afferma che, nell'accogliere la domanda volta a far cessare le immissioni, il giudice del merito, pur avendo la facoltà di scegliere tra le diverse misure consentite dalla norma, ha tuttavia l'obbligo di precisare le ragioni della scelta dell'una o dell'altra e di indicare con sufficiente determinazione le misure in concreto adottate, soprattutto quando ritenga impossibile adottare misure meno invasive ed indispensabile condannare il convenuto alla cessazione delle immissioni e quindi anche dell'attività che ad esse dà luogo.
Aggiunge poi la Corte che il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore superiore alla normale tollerabilità non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto (nella specie quello al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane) ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008), secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalersi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari (da allegare e provare da parte del preteso danneggiato) diversi dal fatto in sé dell'esistenza di immissioni di rumore superiori alla normale tollerabilità.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Sesta, n. 19434 del 18 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il TAR Milano precisa che, ai sensi all’articolo 95, comma 10, D.Lgs. n. 50/2016, non vi è obbligo di indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l'adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nel caso delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lettera a); la fornitura con posa in opera presuppone, per il TAR, che per fruire del bene fornito sia necessaria un’attività ulteriore, accessoria e strumentale rispetto alla prestazione principale della consegna del bene, finalizzata alla messa in funzione dello stesso, mentre nella fornitura senza posa in opera il bene fornito può essere fruito immediatamente dal destinatario una volta consegnato; al riguardo, è irrilevante che si tratti di attività di valore minimo nell’economia complessiva del contratto, perché, se anche così fosse, comunque nella fornitura con posa in opera, quest’ultima è per definizione un’attività accessoria e strumentale; diversamente il contratto sarebbe un appalto di servizi ovvero un contratto misto.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1680 del 19 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il TAR Milano chiarisce che, con riguardo alla possibilità di effettuare interventi conservativi su immobili oggetto di condono edilizio, non è compatibile con i principi, anche costituzionali, dell’ordinamento la privazione della possibilità, per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, senza alterare l’aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell’edificio; ciò rappresentando certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà che incide addirittura sulla essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e perimento del medesimo; pertanto, non si può impedire al proprietario di intervenire sul proprio bene, al fine di evitare la progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1695 del 22 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Sul BURL, Supplemento ordinario, n. 32 del 9 agosto 2019 è pubblicata la legge regionale lombarda 6 agosto 2019 n.15 “Assestamento al bilancio 2019-2021 con modifiche di leggi regionali”, recante modifiche, tra l’altro, alla legge regionale 27 giugno 2008, n. 19 (Riordino delle comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombarde e sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali); alla legge regionale 1 ottobre 2015, n. 27 (Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo); alla legge regionale 8 luglio 2016, n. 16 (Disciplina regionale dei servizi abitativi); alla legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità);alla legge regionale 4 aprile 2012, n. 6 (Disciplina del settore dei trasporti); alla legge regionale 12 settembre 1983, n. 70 (Norme sulla realizzazione di opere pubbliche di interesse regionale); alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio); alla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale); alla legge regionale 17 novembre 2016, n. 28 (Riorganizzazione del sistema lombardo di gestione e tutela delle aree regionali protette e delle altre forme di tutela presenti sul territorio).


Il TAR Milano precisa che sino a quando non intervenga l’aggiudicazione, la stazione appaltante resta libera di intervenire sugli atti di gara senza sottostare alle forme e ai limiti di cui all’autotutela decisoria; sino a quel momento, infatti, la procedura di gara non può dirsi conclusa e l’aggiudicatario provvisorio è titolare di una mera aspettativa alla conclusione favorevole del procedimento e al conseguimento del bene della vita.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1705 del 23 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza è prevalentemente orientata a ritenere che il vigente art. 167, comma 4, del D.lgs. 42/2004 preclude il rilascio di autorizzazioni postume, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura, anche interrati: il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno; rispetto al dato letterale della disposizione di cui all’art. 167, comma 4, lett. a), del D.lgs. 42/2004 non è, quindi, consentito all'interprete ampliare la portata di tale norma che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso codificato dal precedente art. 146, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcune, escluse (fattispecie relativa a tre vasche interrate rialzate di 1,5 metri quanto all’argine di contenimento che, secondo il TAR, rientrano nel concetto di realizzazione di volumi e come tale non suscettibili di sanatoria paesaggistica).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1821 del 5 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che la presentazione di una fideiussione rilasciata da un soggetto che non è debitamente autorizzato ad operare nel territorio della Repubblica è equiparabile alla mancata prestazione della cauzione e non ad una semplice irregolarità della fideiussione presentata, in quanto l’extraterritorialità comporta che la garanzia risulti improduttiva di effetti, non potendo ex se valere nei confronti dello Stato o altro ente pubblico (fattispecie in tema di garanzia prestata per il pagamento rateale del contributo di costruzione).


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1585 del 10 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, con riferimento alla ratio e ai presupposti dell’interdittiva antimafia, richiama l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e precisa che:

  • l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.l.vo n. 159/2011, presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”;
  • per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
  • il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.l.vo. n. 159 del 2011 - come già avevano disposto l'art. 4 del d.l.vo 8 agosto 1994, n. 490, e il d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252 - ha tipizzato un istituto mediante il quale si constata un’obiettiva ragione di insussistenza della perdurante “fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell'imprenditore” che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1674 c.c.), ovvero comunque deve sussistere affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti;
  • l’interdittiva prefettizia antimafia integra, secondo una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e degli altri interessi pubblici primari già ricordati, una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione, cosicché, proprio per il suo carattere preventivo, essa prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la Pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia e analizzati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente, la cui valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
  • tanto in sede amministrativa, quanto in sede giurisdizionale, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
  • con riferimento alla consistenza del quadro indiziario rilevante dell’infiltrazione mafiosa, esso deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l'effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista, valutatene e contestualizzatene tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona;
  • resta estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
  • occorre valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
  • ne consegue che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1782 del 30 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, il Comune rimane libero di dare una diversa destinazione urbanistica alle aree acquisite in sede convenzione di lottizzazione, tanto più quando la convenzione sia scaduta, con l’unico limite, oltre al naturale dovere di motivazione ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, costituito dalla necessità di rispettare i cc.dd. standard urbanistici che, nella pianificazione generale, attengono ai rapporti massimi tra spazi edificabili e spazi riservati all’utilizzazione per scopi pubblici e sociali: tali standard, infatti, previsti in un limite minimo inderogabile dall’art. 3 D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 (che indica i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi), assolvono ad una funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4068 del 17 giugno 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


La Quarta Sezione del Consiglio di Stato dà continuità all’orientamento della Sezione secondo cui la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell’ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo; questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.
Deve dunque ritenersi, per la Sezione, che, ai sensi dell'art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (così come modificato dall’art. 7 del d.l. 31 agosto 2016, n. 168), la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell'ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell'ultimo giorno); il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all'ora.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4955 del 15 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che nel caso di impugnativa dell'ordine di demolizione, va considerato che, di norma, non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, anche nel caso in cui sia palese la posizione di vantaggio che scaturirebbe per il terzo dall'esecuzione della misura repressiva ed anche quando il terzo avesse provveduto a segnalare all'amministrazione l'illecito edilizio da altri commesso.
Aggiunge però il TAR che l’assolutezza di siffatto orientamento è temperata e precisata dalla considerazione che la qualità di controinteressato, cui il ricorso deve essere notificato, va riconosciuta non già a chi abbia un interesse, anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato e tanto meno a chi ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse, ma (solo) a chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto e immediato; per cui in sede di impugnazione di un’ordinanza di demolizione di abusi edilizi deve ritenersi contraddittore necessario il soggetto che abbia provveduto a segnalare l’abuso e il cui diritto di proprietà risulti direttamente leso dall’opera edilizia della cui demolizione si tratta; così qualificata la posizione di vantaggio che deve caratterizzare il denunziante affinché costui assurga al rango di litisconsorte necessario, è palese come essa non sia surrogabile dal generico interesse vantato da un qualsiasi vicino di casa, bensì occorre che l’interesse faccia capo proprio a quel soggetto, denunciante nel procedimento amministrativo, il cui diritto di proprietà (ovvero, come può estensivamente ritenersi, un altro diritto reale di godimento) risulti direttamente leso da un'opera edilizia abusiva (di cui, in esito a quel procedimento, l’Amministrazione ordini la demolizione); in altri termini, è controinteressato in senso tecnico (soltanto) colui il quale, oltre ad essere contemplato nel provvedimento, riceva (rispetto a un proprio diritto reale) direttamente un vantaggio dal diniego del titolo abilitativo o dall'attività repressiva dell'amministrazione; si tratta, insomma, di soggetto che sia direttamente danneggiato dall'esecuzione di opere edilizie abusive, il quale ha un interesse qualificato a difendere la propria posizione giuridica di titolare di un diritto di proprietà (ovvero reale) leso dalla edificazione sine titulo o comunque illegittima.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1658 del 17 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato la legge propende per l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5503 del 2 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.

Per un orientamento difforme si veda: Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 3780 del 5 giugno 2019 di cui al precedente post.



La Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, precisa che la situazione di “controllo pubblico”, enucleato in base al parametro dell'art. 2, comma 1, lett. b) e m), del d.lgs. 175/2016, non può essere presunta ex lege (né juris tantum, né tantomeno iuris et de jure) in presenza di una partecipazione maggioritaria di più amministrazioni pubbliche, né si può automaticamente desumere da un “coordinamento di fatto”; esso deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie a da patti parasociali che – richiedendo il consenso unanime o maggioritario di tutte o alcune delle pubbliche amministrazioni partecipanti – determini la capacità di tali pubbliche amministrazioni di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.

La sentenza della Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale n. 25 del 29 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte dei conti, sezione banche dati, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano rileva che:
  • con la procedura di cui agli art. 31 e 117 cpa, in tema di silenzio serbato dalla P.A., sono tutelabili unicamente le pretese che rientrino nell'ambito della giurisdizione amministrativa, nel senso che le controversie sull’assetto degli interessi regolato dal mancato diniego espresso rientrino in una materia devoluta alla giurisdizione del plesso amministrativo;
  • il rito speciale del silenzio non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia dell’amministrazione, bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali, dal quale non può prescindersi al fine di valutare la compatibilità con l’interesse pubblico di quello sostanziale dedotto dall’interessato;
  • la possibilità di contestare davanti al giudice amministrativo il silenzio dell’amministrazione, costituendo uno strumento meramente processuale, non determina un’ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva, dovendosi avere riguardo, in ordine al riparto, alla natura della pretesa sostanziale cui si riferisce la dedotta inerzia amministrativa;
  • pertanto, anche nel caso del rito speciale instaurato per l’impugnazione del silenzio, il giudice adito deve preliminarmente verificare la propria giurisdizione in relazione alla natura della posizione sostanziale esercitata e dichiarare l’inammissibilità del ricorso laddove la pretesa non abbia natura di interesse legittimo;
  • il procedimento preordinato alla formazione del c.d. silenzio inadempimento o silenzio rifiuto è inammissibile qualora si tratti di controversie che soltanto apparentemente abbiano una situazione di inerzia, come nel caso di giudizi relativi all’accertamento di diritti soggettivi la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dall’autorità giurisdizionale competente.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1806 del 31 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.



Il TAR Milano precisa che le parti comuni dell’edificio non sono di proprietà dell’ente condominio, ma dei singoli condomini; a tanto consegue che la misura volta a colpire l’abuso realizzato sulle parti comuni deve essere indirizzata esclusivamente nei confronti dei singoli condomini, in quanto unici (com)proprietari delle stesse.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1764 del 29 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.