Il TAR Milano, con riferimento alla ratio e ai presupposti dell’interdittiva antimafia, richiama l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e precisa che:

  • l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.l.vo n. 159/2011, presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”;
  • per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
  • il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.l.vo. n. 159 del 2011 - come già avevano disposto l'art. 4 del d.l.vo 8 agosto 1994, n. 490, e il d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252 - ha tipizzato un istituto mediante il quale si constata un’obiettiva ragione di insussistenza della perdurante “fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell'imprenditore” che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1674 c.c.), ovvero comunque deve sussistere affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti;
  • l’interdittiva prefettizia antimafia integra, secondo una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e degli altri interessi pubblici primari già ricordati, una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione, cosicché, proprio per il suo carattere preventivo, essa prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la Pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia e analizzati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente, la cui valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
  • tanto in sede amministrativa, quanto in sede giurisdizionale, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
  • con riferimento alla consistenza del quadro indiziario rilevante dell’infiltrazione mafiosa, esso deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l'effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista, valutatene e contestualizzatene tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona;
  • resta estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
  • occorre valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
  • ne consegue che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1782 del 30 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.