Il TAR Milano osserva:
<<Il d.lgs. n. 42 del 2004 elenca poi, all'art. 10, le tipologie di beni culturali sottoposti a tutela, integrando la definizione generale fornita dal citato art. 2, comma 2. In questa sede va richiamato il terzo comma di tale disposizione il quale si riferisce ai beni culturali per “dichiarazione amministrativa” i quali assurgono a tale categoria grazie appunto ad apposita dichiarazione emessa dall’Autorità amministrativa a seguito del procedimento delineato dall'art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004.
È evidente il legame fra tutte queste disposizioni e quella contenuta nell’art. 9 Cost. il quale prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico ed artistico della Nazione.
La giurisprudenza ha chiarito che la disciplina costituzionale riguardante il patrimonio storico e artistico nazionale eleva le esigenze di sua tutela e conservazione a valore primario del nostro ordinamento. Ha inoltre chiarito che l’imposizione dei vincoli alla proprietà privata sui beni che fanno parte di tale patrimonio è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza, per così dire, già limitati sul piano della loro possibile utilizzazione, tanto è vero che non si pone neppure un problema di indennizzo. Ne deriva, in tale contesto, che il potere che l’Amministrazione esercita al fine di individuare i beni di interesse culturale è connotato da discrezionalità tecnica la quale non richiede la ponderazione degli interessi coinvolti, neppure allo scopo di verificare il rispetto del principio di proporzionalità. L’attività di comparazione degli interessi deve tutt’al più essere svolta nella fase successiva, quando cioè, una volta individuato il bene, vengono stabilite le concrete misure di tutela e conservazione.
La stessa giurisprudenza ha altresì precisato che la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni effettuate in questo ambito dall’amministrazione impone che le stesse siano vagliate con riguardo alla loro specifica attendibilità tecnico-scientifica. Il presupposto normativo per la dichiarazione dell’interesse culturale non è infatti l’accertamento di un “fatto storico” (sempre verificabile in via diretta dal giudice anche con l’applicazione di scienze non esatte), bensì l’accertamento di un fatto “mediato” dalla valutazione affidata all'amministrazione, con la conseguenza che lo stesso giudice e la parte privata non possono sostituire le proprie valutazioni a quelle compiute dall’autorità amministrativa, potendosi tutt’al più verificare se la scelta compiuta da quest'ultima rientri o meno nella gamma di quelle plausibili alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. L'interessato, se vuole contestare il merito della scelta, non può quindi limitarsi ad affermare che questa non è corretta, ma ha l'onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall'amministrazione è scientificamente inaccettabile (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 marzo 2020, n. 2061; id., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3360)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1517 del 28 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che, pur non essendo tenuta l’Amministrazione, in linea generale, a una analitica e puntuale confutazione delle specifiche osservazioni formulate dalla parte privata, è necessario comunque che si dimostri, almeno da un punto di vista sostanziale, che le stesse siano state prese in considerazione, soprattutto ove vi siano elementi, anche di natura fattuale, che possono risultare rilevanti in vista dell’adozione del provvedimento finale. Ciò assume rilievo anche nel caso in cui ci si trovi al cospetto di attività di tipo vincolato, allorché si contestino elementi fattuali posti alla base della determinazione finale dell’Amministrazione; difatti, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all’amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1513 del 27 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che la sentenza n. 2195/2020 del Consiglio di Stato, richiamando un proprio consolidato orientamento, ha chiarito che l’applicazione delle norme in materia di bonifica anche a fattispecie di “contaminazioni storiche” non avviene in via retroattiva, sanzionando ora per allora condotte risalenti e lecite al momento della loro commissione, ma pone attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi, da ritenersi illecita anche se posta in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo numero 22 del 1997, che per primo ha disciplinato gli obblighi di bonifica.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 298 del 28 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<Con riguardo specifico alle tensostrutture, la giurisprudenza è dell’avviso che sono realizzabili in regime di attività edilizia libera, senza necessità di Permesso di costruire, soltanto se funzionali a soddisfare esigenze contingenti, temporanee e destinate ad essere rimosse entro novanta giorni, essendo irrilevante la tipologia dei materiali impiegati per la loro edificazione (Cass. penale, III, 31.5.2019, n.38473); dunque unicamente se non configurano né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l'alterazione del prospetto o della sagoma dell'edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d'uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità, dell'assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (addirittura retraibile a mezzo di motore elettrico) sono qualificabili come arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all'appartamento cui accede, in quanto tali riconducibili agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell'art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 (Cons. Stato, VI, 28.6.2017, n.3172)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1470 del 23 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, richiamando anche la previsione contenuta nell’articolo 4-bis della L.r. 2 febbraio 2010, n. 6, evidenzia come la liberalizzazione del commercio, in conformità alla direttiva 2006/123/CE, non comporti l’impossibilità per il Comune di impedire o, comunque, di conformare nuovi insediamenti commerciali, purché i dinieghi siano sorretti da ragioni urbanistiche e non economiche (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 3.4.2019, n. 743).
Secondo il TAR in sostanza, la liberalizzazione del settore non esclude la sussistenza di spazi di valutazione ed intervento da parte dell’Amministrazione; tali spazi edificano un rapporto multipolare ove convivono – in necessaria tensione dialettica – tanto gli interessi di chi aspira all’apertura o implementazione di una struttura quanto di chi, per differenti ragioni, si oppone. Sufficiente, del resto, esaminare le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 114/1998 per acclarare come gli insediamenti commerciali siano soggetti a complesse procedure di pianificazione e a verifiche di compatibilità. Regole ulteriormente specificate dalle normative regionali in materia la cui analitica disamina non è necessaria in questa sede risultando sufficiente constatare come la materia commerciale sia ancora soggetta a regolazione amministrativa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1429 del 20 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, muovendo dalla presa d’atto che non tutti i materiali di scarto sono suscettibili di degradazione per effetto del processo di bio-ossidazione che si innesca nel trattamento di compostaggio, osserva:
<<9.3. Il ragionamento deve correttamente muovere dalle definizioni di rifiuto organico e di compostaggio contenute nell’articolo 183, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.
E, dunque, sono rifiuti organici i «rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, uffici, attività all'ingrosso, mense, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti equiparabili prodotti dagli impianti dell'industria alimentare». Ed è compostaggio il «trattamento biologico aerobico di degradazione e stabilizzazione, finalizzato alla produzione di compost dai rifiuti organici differenziati alla fonte, da altri materiali organici non qualificati come rifiuti, da sottoprodotti e da altri rifiuti a matrice organica previsti dalla disciplina nazionale in tema di fertilizzanti nonché dalle disposizioni della parte quarta del presente decreto relative alla disciplina delle attività di compostaggio sul luogo di produzione».
Sebbene il D.Lgs. n. 116/2020 non abbia apportato una sostanziale modifica alla definizione di rifiuto organico, la vera novità è rappresentata dalla definizione di compostaggio prima non contemplata nel D.Lgs. n. 152/2006.
9.4. La definizione normativa di compostaggio conferma che non tutto è compostabile: lo sono solo i rifiuti organici e di matrice organica.
La disposizione non parla dei rifiuti di natura mista, il che già di per sé porta a escludere che tale tipologia di rifiuti possa essere sottoposta a trattamento di compostaggio.>>
(fattispecie relativa a delle terre di filtrazione/decolorazione decadenti da attività di produzione e consumo di olii vegetali e grassi animali per essere sottoposte a trattamento di compostaggio aerobico)

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 478 del 16 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che quando la fonte dell’obbligazione pecuniaria non è il singolo titolo edilizio, il cui contenuto, con riguardo agli oneri concessori è predeterminato, bensì la convenzione urbanistica, il cui contenuto è frutto di una negoziazione tra le parti, è irrilevante che non sia realizzato il progetto edificatorio per il quale il privato ha effettuato il pagamento a titolo di monetizzazione e di cui ora chiede la restituzione. La controprestazione pecuniaria a carico della ditta lottizzante è comunque dovuta, salvo che la convenzione urbanistica non sia risolta o rescissa, o annullata o dichiarate nulla (si vedano della Sezione le sentenze n. 942/2021 e n. 1108/2021, nonché i precedenti ivi citati).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 544 del 31 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano:
<<La legittimazione ex lege delle associazioni ambientaliste può esser riconosciuta non solo nel caso di atti inerenti la materia ambientale, ma anche per quelli che "incidono sulla qualità della vita in un dato territorio" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.4.2011, n. 2329; T.A.R. per la Lombardia - sede di Milano, Sez. II, 13.7.2018, n. 1690). Le previsioni normative di riferimento (attribuendo alle associazioni di protezione ambientale legittimazione attiva nei giudizi dinanzi al giudice ordinario e a quello amministrativo, per tutelare finalità di protezione dell’ambiente che sono proprie dell’amministrazione dello Stato), costituiscono, del resto, applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale recepito dall’art. 118, ultimo comma, della Costituzione (cfr.: T.A.R. per la Lombardia - sede di Milano, Sez. II, 13.7.2018, n. 1690). Ed è proprio il concetto di sussidiarietà orizzontale al centro di una recentissima indagine che, pur muovendo dalla tradizione configurazione della legittimazione a ricorrere, evidenzia la necessità di evitare interpretazioni restrittive in materia, proprio in considerazione della vis expansiva che al principio costituzionale deve riconoscersi.
41.7. Pertanto, tali associazioni sono legittimate ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi ambientali in senso stretto, ma anche per quelli ambientali in senso lato, comprendenti la conservazione e la valorizzazione dell'ambiente, del paesaggio urbano, rurale, naturale e dei centri storici “intesi tutti quali beni e valori idonei a caratterizzare in modo peculiare ed irripetibile un certo ambito geografico territoriale rispetto ad altri”(T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. VII, 3.10.2019, n. 4709), ed anche in considerazione della “compenetrazione delle problematiche ambientali in quelle urbanistiche” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 28.5.2015, n. 3711).
41.8. Come in modo condivisibile osservato, la fondamentale attività di tutela degli interessi relativi a beni collettivi e comuni – essenzialmente assicurata, nel panorama istituzionale nazionale, proprio dal sistema giurisdizionale amministrativo – “risulterebbe gravemente menomata in conseguenza della preclusione dell'accesso ai suddetti rimedi giurisdizionali da parte delle associazioni ambientaliste le quali, in generale molto meglio delle singole persone fisiche, sono in grado di cogliere la dimensione superindividuale degli interessi tutelati e delle relative lesioni ascrivibili ad atti amministrativi (in ipotesi) illegittimi” (C.G.A.R.S., 16.10.2012, n. 9339).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1429 del 20 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ribadisce, in coerenza con la consolidata giurisprudenza, che la verifica di anomalia è finalizzata ad accertare l’attendibilità e la serietà dell’offerta sulla base di una valutazione globale e sintetica e precisa che:
<<- in termini generali, è ammissibile una variazione delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta, nel rispetto del principio dell’immodificabilità dell’offerta stessa, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 agosto, 2021 n. 5644; Id., 16 marzo 2020, n. 1873);
- viceversa, è vietata una modificazione della composizione dell’offerta che ne alteri l’equilibrio economico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2017, n. 1896), diversamente opinando si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di consentire un’elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione propria del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che è volto ad un apprezzamento globale dell’attendibilità dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 luglio 2021, n. 5455; Cons. Stato, sez. VI, 15 gennaio 2021, n. 487);
- in sede di giudizio di anomalia sono consentiti aggiustamenti e spostamenti di costi tra le varie componenti del prezzo, potendosi tenere conto anche di eventuali sopravvenienze (normative o di fatto), a condizione che ciò non comporti una modificazione dell’offerta stessa (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 24 marzo 2020, n. 2056; III, 2 marzo 2017, n. 974);>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 9 del 4 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia respinge un ricorso avvero un diniego di acceso agli atti avente ad oggetto l’attività edilizia del confinante sulla base del seguente percorso motivazionale:
<< (a) in base all’art. 22 comma 1-b della legge 7 agosto 1990 n. 241, l’accesso alla documentazione amministrativa presuppone un interesse diretto, concreto e attuale. La norma specifica inoltre che il suddetto interesse deve corrispondere a una situazione giuridicamente tutelata, e collegata al documento a cui si chiede di accedere;
(b) come già evidenziato da questo TAR (v. sentenza n. 894 del 26 ottobre 2021), il requisito della concretezza impone al richiedente di indicare una specifica situazione giuridica appartenente al proprio patrimonio, come diritto o come aspettativa. In mancanza, l’accesso rimane soltanto esplorativo, ossia finalizzato non a esercitare il diritto di difesa, ma ad acquisire elementi su cui innestare eventuali iniziative giurisdizionali o solleciti per interventi in autotutela dell’amministrazione;
(c) la vicinitas può essere all’origine di conflitti collegati all’attività edificatoria, ma non è una condizione per sé conflittuale, che renda sempre necessario verificare quello che è avvenuto sull’altro lato del confine. Non vi è quindi un’automatica legittimazione dei vicini a conoscere la storia delle edificazioni del fondo confinante, ma occorre sempre il quid pluris rappresentato dal pregiudizio attuale, sia pure nella forma del danno temuto;
(d) nello specifico, di un simile pregiudizio non è stata fornita alcuna dimostrazione. Per quanto riguarda le costruzioni tuttora presenti sulla proprietà della controinteressata, realizzate da tempo, un’indagine storica sulla legittimità delle opere non è sorretta da un interesse attuale;
(e) appare evidente che l’attualità del diritto di accesso è inversamente proporzionale alla distanza temporale dalla formazione dei documenti. Anche in materia urbanistica, dove l’interesse pubblico alla rimozione degli abusi o al ripristino della conformità è particolarmente resistente al decorso del tempo, il diritto di accesso finalizzato a promuovere ricorsi giurisdizionali o a provocare interventi repressivi da parte dell’amministrazione incontra il limite della stabilità delle posizioni giuridiche dei terzi, raggiunta sul piano processuale o sostanziale;
(f) vi è quindi un diritto alla riservatezza in capo ai confinanti, che non richiede particolari dimostrazioni, né analisi sui singoli aspetti della realizzazione e dell’utilizzazione delle opere, in quanto è semplicemente il riflesso della certezza del diritto, come risultante dalla consolidata situazione dei luoghi e dall’acquiescenza dei proprietari vicini e dei loro danti causa;
(g) un profilo di questo diritto alla riservatezza è ora codificato nell’art. 21-nonies comma 1 della legge 241/1990, che limita a ritroso i poteri ordinari di autotutela dell’amministrazione, e dunque anche la possibilità per i privati di sollecitare i suddetti poteri. È vero che in materia urbanistica il termine di diciotto mesi può essere superato, ma per i privati che intendano chiedere l’intervento dell’amministrazione si aggrava l’onere di motivazione dell’istanza di accesso, la quale dovrà farsi carico della prospettazione di specifici profili di violazione delle norme urbanistiche;
(h) infine, non è stata dimostrata neppure l’utilità dell’accesso in relazione alla futura attività edificatoria della ricorrente. In particolare, è rimasta generica e non corroborata da elementi tecnici l’affermazione secondo cui la conoscenza dei titoli edilizi relativi alla proprietà della controinteressata sarebbe una condizione essenziale per la progettazione di nuove opere sulla proprietà della ricorrente;
(i) se, come sottolineato dalla ricorrente nella memoria di replica, il problema è la statica dei due pilastri non demoliti, la questione fuoriesce dalla sfera documentale, e dunque anche dal diritto di accesso, in quanto si discute della condizione presente dei suddetti manufatti, che può essere chiarita solo da una perizia tecnica. In mancanza o in attesa di tale verifica, la ricorrente può comunque redigere la progettazione di sua competenza secondo criteri prudenziali.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 571 del 7 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che dal combinato disposto delle disposizioni che disciplina l’approvvigionamento dei beni e dei servizi sanitari, si ricava la norma cogente che i sistemi di acquisizione regionali prevalgono sul sistema di acquisizione nazionale demandato alla Consip s.p.a., il quale, in assenza di convenzioni regionali, assume un ruolo suppletivo e, in caso di sopravvenienza di convenzioni regionali, cedevole (Consiglio di Stato, Sezione III, 26 febbraio 2019, n. 1329; Sezione V, 11 dicembre 2017, n. 5826).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1248 del 30 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, in sede di esame di un ricorso avverso una ordinanza dirigenziale emessa ai sensi dell’art. 244 del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, richiama i principi applicabili in questa materia, dai quali non intende discostarsi, ricavabili dalla più recente e diffusa giurisprudenza (cfr., tra le ultime, Consiglio di Stato, IV, 31.03.2022, n. 2370; id., 11.03.2022, n. 1742; id., 12.01.2022, n. 217; id., 2.12.2021, n. 8033; id., 26.02.2021, n. 1658; id., 7.01.2021, n. 172; TAR Lombardia, Milano, IV, 7.02.2022, n. 273):
<<a) - l’autorità amministrativa, nei casi di inquinamento ambientale, dovendo risolvere questioni tecniche di particolare complessità, consistenti in valutazioni sottese ai provvedimenti in materia di MISE, caratterizzazione e bonifica, dispone - nell’individuare le soluzioni applicabili - di una discrezionalità molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi o, comunque, manifestamente illogici;
b) - l’individuazione della responsabilità per l’inquinamento di un sito si basa sul criterio causale del “più probabile che non” (e non, invece, su quello del “superamento di ogni ragionevole dubbio”), stante, tra l’altro, la caratterizzazione riparatoria e non sanzionatoria della disciplina stessa (su cui cfr., da ultimo, la sentenza n. 217/2022, cit.); è pertanto sufficiente – affinché s’intenda legittimamente accertato il responsabile - che il nesso eziologico ipotizzato dall’Amministrazione sia più probabile della sua negazione, potendosi, a tali fini, accedere anche alla prova per presunzioni;
c) - ove l’Amministrazione abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l’ascrivibilità dell’inquinamento a un soggetto, spetta a quest’ultimo l’onere di fornire la prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un’incidenza di eventi esterni alla propria attività, essendo necessario provare – con pari analiticità – la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell’inquinamento; anche la Corte di Giustizia ha statuito che l’Amministrazione possa fare uso di presunzioni, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento, o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (cfr. CGUE, Grande Sez., 9 marzo 2010, causa C-378/08);
d) - l’articolo 242, comma 1, del codice dell’ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche”, ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e conclusasi in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale (cfr. Cons. Stato, VI, 18.11.2021, n. 7709; id., IV, n. 8033 del 2021 cit., ove, in relazione ad una fattispecie di inquinamento storico, viene affermato il carattere permanente dell’illecito ambientale); del resto, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni “storiche” non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali necessarie attività, a tutela della salute e dell’ambiente, debbano essere poste a carico della collettività e non del soggetto che le ha poste in essere e ne ha beneficiato; ne consegue che “è del tutto ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti)” (Cons. Stato, sez. IV, 6.04.2020, n. 2301);
e) - la responsabilità dell’impresa per l’inquinamento va intesa in termini sostanziali, considerando che i fenomeni societari relativi ai gruppi, alle forme di successione e al trasferimento d’azienda danno luogo ad una successione universale inter vivos che, secondo i principi espressi dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. la pronuncia n. 10 del 2019, avente ad oggetto la bonifica di siti inquinati per un inquinamento di origine industriale risalente nel tempo e nei confronti di una società non responsabile dell’inquinamento, ma da questa avente causa per effetto di successive operazioni di fusione di società per incorporazione), generano la responsabilità dell’acquirente.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1352 del 10 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Brescia richiama e aderisce all’orientamento secondo il quale:
<< rispetto all’atto soprassessorio il soggetto inciso può attivare tanto il rimedio caducatorio, quanto quello previsto dall’articolo 117 Codice di rito. Infatti, «L’adozione di un atto soprassessorio o interlocutorio che comporti un illegittimo arresto procedimentale costituisce violazione del dovere di procedere tanto nei casi in cui non venga dato avvio al procedimento, quanto in quelli in cui lo stesso non venga concluso con l'emanazione del provvedimento finale. In tali ipotesi, l'interessato ha a disposizione una duplice modalità di tutela, essendo legittimato a proporre, indifferentemente, l'azione di annullamento o l'azione avverso il silenzio. Sia pure mediante procedure differenti, il risultato raggiunto è sostanzialmente il medesimo: nel primo caso, il giudice amministrativo annulla l'atto, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di adottare il provvedimento finale; nel secondo caso, il giudice amministrativo accerta la sostanziale violazione del dovere di procedere e condanna l'Amministrazione a concludere il procedimento» (così, C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 4803/2021).>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 566 del 7 giugno 2022.
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Il TAR Milano osserva che:
<<7.7. Va poi considerato come non vi sia alcuna regola o principio che possa supportare la pretesa ad ottenere una commessa alterando prima della stipula le condizioni economiche a cui lo stesso operatore si vincola nella formulazione dell’offerta. Le mutate condizioni del mercato che rendano non remunerativa l’offerta possono legittimare un ritiro dell’operatore dalla gara o, come nel caso di specie, la non accettazione della stipula ma non supportare la pretesa ad ottenere la commessa a prezzi differenti e senza riapertura di un nuovo dialogo competitivo. Né risultano evocabili gli istituti posti a governo delle sopravvenienze contrattuali che, per l’appunto, riguardano la fase di esecuzione del contratto e le alterazioni che possono generarsi nel corso della durata del negozio ma non si riferiscono, invece, ad una fase antecedente alla stipula ove l’eventuale insostenibilità si traduce nella possibilità di non sottoscrivere il contratto. Lo evidenzia il T.A.R. per la Lombardia – sede di Brescia, notando come l’istanza di revisione del prezzo formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto risulti non supportata da alcuna previsione legale in quanto effettuata in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non è giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso; “e così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Brescia, Sez. I, 10.3.2022, n. 232).>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1343 del 10 giugno 2022.
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Il TAR Milano dispone la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, affinché si pronuncino sul conflitto negativo di giurisdizione in ordine a una denunciata lesione del diritto alla salute da inquinamento atmosferico.

Secondo il TAR:
<<Invero, si tratta di una denunciata lesione del diritto alla salute, primariamente addebitabile a una situazione di inquinamento atmosferico, in cui si è posta come concausa anche la condotta omissiva degli enti pubblici convenuti in giudizio.
Tale condotta è stata costituita, nella tesi del ricorrente, dalla mancata adozione di provvedimenti di natura autoritativa, ma l’inerzia addebitata a Comune e Regione rientra nell’ordinario contributo causale di un soggetto che viola il generale principio del neminem laedere, con l’unica particolarità che, trattandosi di amministrazioni pubbliche, le stesse sono dotate dalla legge di particolari poteri autoritativi in materia.
Il richiamo a quanto previsto dall’art. 7 del codice del processo amministrativo è dunque improprio, perché tale norma non fonda la giurisdizione del Giudice amministrativo sul mero “mancato esercizio del potere amministrativo”, ma presuppone che tale mancato esercizio avvenga nelle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi o “nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi”.
Nel caso di specie, come detto, non è stata invocata l’adozione di un provvedimento amministrativo al fine di tutela di un interesse legittimo, o contrastato l’esercizio di una potestà pubblica discrezionale che ha limitato le facoltà del privato, bensì è stato chiesto in via diretta e autonoma il risarcimento del danno cagionato alla salute del ricorrente dalla condotta asseritamente illegittima (e inadempiente rispetto agli obblighi di legge e di derivazione eurounitaria) tenuta da due enti pubblici.
D’altra parte, la stessa Corte di cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto, in più arresti, che il diritto fondamentale alla salute, proclamato dall’art. 32 della Costituzione, operi nelle relazioni private e limiti l’esercizio dei pubblici poteri, nel senso che esso è sovrastante all’amministrazione.
Questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo di fatto e indirettamente. Pertanto, nelle controversie che hanno per oggetto la tutela del diritto alla salute non vale il richiamo alla posizione di preminenza della funzione della pubblica amministrazione, che è priva, al riguardo, di qualunque potere di affievolimento di un diritto soggettivo valutato come fondamentale e assoluto dall’ordinamento (cfr., tra le altre, sentenza n. 23735 dell’8 giugno 2006 e ordinanza 23 aprile 2020, n. 8092).>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1208 del 25 maggio 2022.
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Il TAR Brescia dà seguito all’orientamento espresso anche di recente dal Consiglio di Stato secondo il quale “il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte, previsto dell’art. 4, comma 4, primo periodo, disp. att. c.p.a., vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un’udienza già fissata, il deposito effettuato oltre il termine delle ore 12.00 (previsto dal terzo periodo dello stesso comma 4 dell’art. 4 disp. att. c.p.a.) dell’ultimo giorno utile è inammissibile (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 538; id., sez. V, 2 febbraio 2021, n. 961; id., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1137; id., sez. VI, 18 maggio 2020, n. 3149 e 7 maggio 2019, n. 2921; Cons. giust. amm. sic. 7 giugno 2018, n. 344 e Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2018, n. 3136)” (Cons. Stato. Sez. III, 28 marzo 2022, n. 2247).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 573 del 8 giugno 2022.
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Il TAR Milano precisa che:
<<l’acquisizione dei beni al patrimonio comunale, correlata all’inottemperanza all’ordine di demolizione di opere abusive, grava sia sul proprietario che sul detentore del bene, anche se non autori materiali dell’abuso e non aventi causa dal trasgressore, poiché una volta venuti a conoscenza, tramite la notifica dell’ordinanza di rimessione in pristino, dell’attività illecita svolta da terzi, devono attivarsi contro il responsabile per obbligarlo a rimuovere l’opera abusiva, e laddove abbiano la disponibilità del manufatto devono provvedere in proprio all’eliminazione dell’intervento edilizio sine titulo; in mancanza di ciò subiscono certamente l’acquisizione del bene (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 13 ottobre 2020, n. 1889; 4 luglio 2019, n. 1528; 21 gennaio 2019, n. 112; 3 novembre 2016, n. 2014; 16 marzo 2015, n. 728).
Ciò è in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 345 del 15 luglio 1991, che ha affermato il principio secondo cui l’acquisizione dell’area di sedime al patrimonio indisponibile del Comune ha natura di vera e propria sanzione autonoma che, pur non potendo colpire il proprietario che incolpevolmente non abbia potuto dare esecuzione all’ordine di demolizione dell’immobile abusivamente realizzato sulla sua area, certamente si deve rivolgere al proprietario non autore dell’abuso che sia tuttavia in condizione di dare corso alla demolizione (da ultimo T.A.R. Lombardia, Milano, II, 20 agosto 2019, n. 1909; sulla natura di sanzione autonoma dell’atto di acquisizione rispetto al presupposto ordine di ripristino, cfr. Consiglio di Stato, VI, 25 giugno 2019, n. 4336; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 4 aprile 2019, n. 746; più diffusamente, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 26 febbraio 2019, n. 1084).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1309 del 6 giugno 2022.
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Secondo il TAR Brescia:
<<Il principio di rotazione di cui all'art. 36, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, costituisce il necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all'amministrazione nel decidere quali operatori economici invitare a una procedura negoziata, evitando, così, la formazione di rendite di posizione.
Proprio per impedire che il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici, il legislatore ha deciso di imporre il rispetto del principio de quo già nella fase degli inviti con la conseguenza che la partecipazione del precedente affidatario riveste carattere eccezionale e deve essere congruamente motivata.
La rotazione non è, tuttavia, necessaria qualora la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ex multis Consiglio di Stato sez. III – 04 febbraio 2020, n. 875). Lo spazio di applicazione del principio de quo è, quindi, circoscritto agli affidamenti diretti ed alle procedure negoziate in cui la Stazione Appaltante limiti la partecipazione alla procedura, scegliendo come partecipanti solo alcuni dei potenziali operatori economici, con conseguente non operatività nelle diverse ipotesi in cui la procedura sia aperta a tutti gli operatori del settore o a coloro che rispondono positivamente ad una manifestazione preventiva di interesse alla partecipazione alla stessa. In tal caso, infatti, l'ampia possibilità di partecipazione alla procedura garantisce un legittimo confronto competitivo precludendo in radice la creazione di indebite posizioni di rendita o, comunque, di distorsione del gioco della concorrenza.
Indicazione, questa, che compare anche nelle linee guida dell’ANAC numero 4, nella versione adottata con delibera del 10 luglio 2019 n. 636. Al paragrafo 3.6 si legge, tra l’altro, che «la rotazione non si applica laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione».>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 304 del 29 marzo 2022.
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Il Tar Milano richiama e fa proprio l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale «(…) l'istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta e che, inoltre, l'ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull'operato della pubblica amministrazione nei cui confronti l'accesso viene esercitato, con la conseguenza che l'onere della prova anche dell'esistenza dei documenti, rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, tuttavia una volta indicati puntualmente per categoria i documenti rispetto ai quali è formulata la domanda ostensiva e aver dimostrato che detti documenti, in virtù di obiettive ragioni collegate alle competenze dell’amministrazione, costituiscono ordinariamente patrimonio dell’archivio dell’ente (anche con riferimento ad uno specifico procedimento), l’onere della prova può dirsi assolto dalla parte interessato, incombendo in capo all’amministrazione il dovere (in ragione del principio di leale collaborazione tra l’amministrazione e il privato ora scolpito nell’art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990, evidente precipitato del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.) di assumersi la responsabilità di dichiarare la mancata detenzione o custodia dei documenti richiesti (onde evitare che la richiesta di accesso sia formulata inutilmente e “al buio” da parte dell’accedente, non potendo quest’ultimo, per espresso divieto recato dall’art. 24, comma 3, l. 241/1990, formulare una richiesta meramente perlustrativa e di controllo)»; così Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 2005/2021.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 675 del 25 marzo 2022.
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Il TAR Milano, con riferimento a una fattispecie nella quale non è contestato che il fenomeno di produzione dei rifiuti sia connesso all’esercizio di un’attività economica da parte della società fallita, che si è verificata prima della nomina del curatore fallimentare, il quale, a sua volta, non è stato autorizzato a svolgere attività d’impresa né l’ha svolta in concreto né risulta dagli atti possessore o detentore del sito inquinato, precisa:
<<che la fattispecie in esame non è sovrapponibile a quella esaminata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 3 del 2021, la quale ha ritenuto sussistente la responsabilità del fallimento proprio in ragione del fatto che esso subentra nella detenzione dell’immobile in cui sono allocati i rifiuti abbandonati.
Il Collegio si riporta quindi alla consolidata giurisprudenza secondo cui in merito agli obblighi dei curatori, fatta salva la eventualità di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare sull’abbandono dei rifiuti, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.01.2016).
Deve quindi escludersi una responsabilità del curatore del fallimento ai sensi del terzo comma dell'art. 192 d.lgs 152/2006 secondo il quale l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti “è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”. Infatti egli non è l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti nè titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area.
Come chiarito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2014 n. 3274) si pone la questione di stabilire se il Fallimento possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.
Orbene, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.
La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942: “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”; art. 44: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”).
Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”).
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 192, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa (TAR Lombardia, Milano, 15/02/2017 n. 520).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 911 del 27 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si informa che l’evento formativo della Camera Amministrativa dell’Insubria del 17 giugno 2022 “Immissioni acustiche e tutela giurisdizionale: i soggetti coinvolti e gli strumenti” (relatori avv. Maurizio Carrara e dott. ing. Paolo Gallo) è stato rinviato al 22 luglio 2022.

Le iscrizioni possono essere effettuate sul portale Sfera, accedendo alla sezione del POF dell'Ordine degli Avvocati d Como.


Secondo il TAR Milano:
<<L’art. 167 del d.lgs 42/04 consente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica c.d. “postuma” solo qualora gli interventi abusivi possano esser ricondotti alle ipotesi tipizzate indicate alle lettere a, b e c del comma 4.
Secondo l’orientamento oggi prevalente, non è suscettibile di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica l'intervento che realizzi volumi di qualsiasi natura, anche interrati (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 15 aprile 2021 n. 943, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 22 maggio 2020 n. 915, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 16 marzo 2020 n. 227).
Le pronunce precisano che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini della tutela del paesaggio, si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno. Non è quindi consentito all'interprete ampliare la portata di tale norma, che costituisce eccezione al principio generale della necessità del previo assenso codificato dal precedente art. 146, per ammettere fattispecie letteralmente e senza distinzione alcuna escluse (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 11 aprile 2013 n. 350).
La norma è tassativa nel senso che la conformità si possa ritenere solo a volume invariato>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1261 del 30 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri