Il TAR Milano ricorda che, per costante giurisprudenza condivisa dalla Sezione (cfr. fra le tante, TAR Lombardia, Milano, Sezione II, n. 751/20219 e n. 1720/2012), la destinazione agricola non è funzionale esclusivamente all’attività di impresa agricola di cui all’art. 2135 del codice civile, ma serve anche ad impedire l’eccessivo consumo di suolo e a garantire anche in ambiti urbani la presenza di aree verdi libere dall’edificazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1438 del 20 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano respinge la tesi di parte ricorrente secondo la quale il pagamento degli oneri concessori sarebbe svincolato dal rilascio del titolo edilizio e il rilascio del permesso di costruire non potrebbe essere condizionato al pagamento del contributo di costruzione e osserva:
<<L’art. 16, 2° comma, DPR 380/2001 stabilisce che: “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata.”
La disposizione nazionale è stata disapplicata a seguito dell’entrata in vigore della L.R. 12/2005. Infatti l’art. 103 comma 1 lett. A) cessa di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista: a) dagli articoli 3-bis, 11, 12, 13, 14, a esclusione del comma 1-bis, 16, a esclusione del comma 2-bis, 17, comma 4-bis, 19, commi 2 e 3, 23-bis, comma 4, e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Pertanto in materia di rilascio del provvedimento edilizio, trovano applicazione le disposizioni della L.R. 12/2005, ed in particolare l’art. 38 che al comma 7 bis stabilisce: “L'ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista. Nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l'ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la segnalazione certificata di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data dell'approvazione medesima. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la corresponsione al comune della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti, deve essere fatta all'atto del rilascio del permesso di costruire, ovvero allo scadere del termine di quindici giorni previsto dal comma 7, primo periodo, nei casi di cui al comma 10”.
L’alternativa che si pone è quindi tra il versamento al momento di rilascio del permesso di costruire o la richiesta di rateizzazione, sempre all’atto del rilascio del permesso di costruire.
In base all’interpretazione letterale della norma regionale, il pagamento o la richiesta di rateizzazione devono quindi essere fatti all’atto del rilascio; alias l’Amministrazione al momento del rilascio del titolo deve avere la prova del versamento o della l’istanza di rateizzazione.
La norma pone quindi come presupposto per il rilascio del titolo uno dei due adempimenti.
Non può dedursi dall’art. 43 comma 1 della L.R. 12/2005 un argomento a sostegno della tesi di parte ricorrente, poiché la disposizione, dettata nel Capo - segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire - si limita ad affermare l’obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione, senza disciplinare la modalità di versamento, ma per la diversa fattispecie della Scia.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1933 del 22 agosto 2022.
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Il TAR Milano ritiene inammissibile un ricorso incidentale con il quale il controinteressato, ricevuto un ricorso contro un titolo edilizio al medesimo rilasciato, impugna il titolo edilizio ottenuto dal ricorrente.
Precisa il TAR che: 
<<Da un lato, il ricorso incidentale proposto da Omissis non è diretto a far valere l’illegittimità del medesimo atto impugnato con il ricorso principale, né di atti ad esso connessi, sicché l’interesse a impugnare i titoli edilizi ottenuti da Omissis e dagli altri ricorrenti principali non può dirsi sorto in conseguenza dell’impugnazione principale. Piuttosto, avrebbe dovuto essere proposto con autonomo gravame negli ordinari termini di decadenza. In altre parole, si è fuori dal paradigma normativo del ricorso incidentale, come delineato nell'art. 42 c.p.a. ("Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale") e interpretato dalla giurisprudenza ("Il ricorso incidentale è uno strumento offerto al controinteressato per insorgere contro lo stesso provvedimento impugnato, o atti ad esso connessi in quanto appartenenti al medesimo assetto di interessi, con il ricorso principale, ma per profili diversi da quelli dedotti con quest'ultimo e tali da ampliare il thema decidendum originario, al fine di neutralizzare o almeno limitare l'incidenza di un eventuale accoglimento del ricorso principale sulla posizione di vantaggio derivante al medesimo controinteressato dal provvedimento oggetto di impugnativa in via principale”; cfr., ex plurimis, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 13 marzo 2014, n. 83; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 13 gennaio 2016, n. 9).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1934 del 22 agosto 2022.
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Il TAR Milano,
dopo aver messo in evidenza che:
- l’art. 45, comma 5, del d.l.vo 2011, n. 93 rimette all’autonomia regolamentare di Area la determinazione della disciplina dei procedimenti sanzionatori di propria competenza e nella materia de qua il potere normativo è stato esercitato da Arera con la deliberazione n. 243/2012/E/com.;
- mentre l’art. 4, comma 4, dell’all. A della citata delibera richiama il termine di 180 giorni per la contestazione della violazione (termine avente natura perentoria), stabilito dalla fonte di rango primario (art. 45, comma 5, d.l.vo 2011, n. 93), il successivo art. 4 bis determina in 220 giorni il termine di conclusione del procedimento (a partire dalla comunicazione di avvio dello stesso);
ritiene che:
- il termine di conclusione del procedimento abbia natura ordinatoria, pur in presenza di un orientamento giurisprudenziale che qualifica il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio attivato dall’Arera come perentorio;
- il decorso del termine di cui all’art. 4 bis cit. non comporta ex se l’illegittimità del provvedimento applicativo di una sanzione adottato tardivamente, in quanto non provoca la decadenza dal potere sanzionatorio;
- da ciò non può, tuttavia, ricavarsi una presunzione assoluta di legittimità del provvedimento sanzionatorio tardivo; invero, appare fondamentale – per ragioni sistematiche di certezza del diritto, di salvaguardia della libertà d’impresa e di efficienza dell’amministrazione – verificare se il superamento del termine possa trovare giustificazione nella necessità di approfondire l’attività istruttoria, ovvero se il decorso del termine sia dipeso da mera negligenza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1931 del 20 agosto 2022.
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Il TAR Milano osserva che se è vero, come affermato dall’Adunanza Plenaria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 9 dicembre 2021, n. 22), che per la sussistenza di legittimazione e interesse a ricorrere il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, non vale da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, si deve tuttavia considerare che l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso e che il medesimo interesse è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1934 del 22 agosto 2022.
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Il TAR Milano osserva che:
<<L’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivati dal processo di depurazione delle acque reflue è disciplinato dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, che ha dato attuazione alla direttiva 86/278/CE. L’art. 1 di tale decreto individua, quale primo scopo della normativa, quello di assicurare che l’attività di spandimento dei fanghi non provochi effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo. Ulteriore intento dichiarato dal legislatore coincide con quello di incoraggiare l’attività di spandimento in quanto volta al recupero di un materiale che, in base all’art. 127, primo comma, del d.lgs. n. 152 del 2006, è classificato come rifiuto e che, quindi, dovrebbe essere altrimenti smaltito.
Per dare attuazione a tali finalità, il d.lgs. 99/1992 stabilisce i requisiti che i fanghi ed i terreni agricoli devono avere ai fini dello spandimento, e sottopone tale ultima attività ad autorizzazione regionale e a controllo provinciale, nonché a previa comunicazione al comune.
L’art. 6 comma 1 del d.lgs. n. 99 del 1992 prevede poi espressamente che spetta alle regioni il compito di stabilire «2) […] ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento; 3) […] le distanze di rispetto per l'applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dalle strade, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dai corsi d'acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza) delle condizioni meteoclimatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi».
La norma assegna dunque alle regioni, e non alle province, la competenza ad individuare i limiti (distanziali, orari ecc.) allo spandimento dei fanghi. La ratio dell’attribuzione alle regioni, e non alle province, della competenza ad individuare i limiti applicabili all’attività di spandimento dei fanghi può essere individuata nella volontà del legislatore di far sì che la materia trovi una disciplina uniforme a livello regionale, onde evitare che la suddetta attività (come detto da incoraggiare in quanto volta al recupero di un rifiuto) venga ingiustificatamente ostacolata per interessi particolaristici.
Per quanto concerne le competenze provinciali, l’art. 7 del medesimo D. Lgs. 99/1992 stabilisce che le stesse consistono unicamente in poteri di controllo «sulle attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento dei fanghi, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, nonché delle attività di utilizzazione dei fanghi, ai sensi del presente decreto».
Sulla base delle disposizioni appena illustrate la giurisprudenza, in termini ormai consolidati, afferma che, siccome nessuna norma statale conferisce agli enti locali sub regionali potestà regolamentare in materia ambientale e, più in particolare, in materia di spandimento fanghi per uso agricolo, gli stessi enti non possono emanare atti volti a disciplinare tale materia (TAR Lombardia, Milano, III, 24 aprile 2019, n. 925; cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 4 aprile 2012, n. 1006; id. 25 maggio 2009, n. 3848; sez. III, 13 maggio 2021 n. 1179).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 1893 del 8 agosto 2022.
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Il TAR Brescia condivide l’orientamento del Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV 11.4.2007 n. 1654) secondo cui, ove i lavori edilizi interessino anche parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognano del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria.


TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 793 del 11 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la previsione contenuta nel Documento di Piano non integra un vincolo preordinato all’esproprio, bensì un atto prodromico all’apposizione dello stesso, per il che l’onere motivazionale che grava sull’ente, con riferimento a tale fattispecie, è maggiormente attenuato rispetto a quello che caratterizza il potere autoritativo che si esplica nella (prima) apposizione del vincolo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1929 del 13 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano non è dubitabile che la stazione appaltante possa imporre un termine perentorio per la prestazione della garanzia definitiva, al fine di rendere certi i tempi di conclusione della procedura, ma resta fermo che il termine deve essere ragionevole, congruo e coerente con l’importo della garanzia da costituire (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. I, 11 febbraio 2015, n. 322); anzi, la più recente giurisprudenza ritiene che tale termine possa essere fissato anche in assenza di una specifica clausola contenuta lex specialis (cfr. Cons. St., sez. V, sent. n. 738 del 2018; T.A.R. Liguria, sez. I, 22 novembre 2021, n. 992).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1603 del 6 luglio 2022.
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Il TAR Brescia a fronte di un ripensamento, contestato dal ricorrente, da parte di un Comune circa l’equilibrio economico di convenzione urbanistica e in particolare circa l'impropria compensazione delle opere di urbanizzazione con il contributo sul costo di costruzione, osserva: 
<<(a) l’argomento fondato sulla violazione dell’affidamento appare condivisibile, con le precisazioni che saranno sviluppate qui di seguito;
(b) le convenzioni urbanistiche, in quanto appartenenti alla categoria degli accordi sostitutivi ex art. 11 della legge 241/1990, definiscono un equilibrio discrezionale tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, che ai sensi dell’art. 1372 c.c. ha il medesimo valore vincolante per la parte pubblica e per la parte privata. In mancanza di un’espressa clausola di rinegoziazione, nessuna delle parti può sottrarsi all’obbligo di dare adempimento al contratto, o chiedere controprestazioni superiori a quelle pattuite. L’amministrazione dispone del diritto di recesso per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ex art. 11 comma 4 della legge 241/1990, subordinatamente alla liquidazione di un indennizzo, ma non può modificare unilateralmente le clausole che a posteriori risultino poco convenienti;
(c) il punto è quindi l’esatta individuazione in via interpretativa dell’equilibrio tra le utilità pubbliche e le utilità private descritte nell’accordo sostitutivo. L’equilibrio non può essere modificato per decisione dell’amministrazione, ma può essere ristabilito correggendo l’interpretazione che aumenta senza giustificazione la spesa a carico delle finanze pubbliche. Sotto questo profilo, subisce una limitazione applicativa la regola ex art. 1362 comma 2 c.c. circa la rilevanza del comportamento delle parti posteriormente alla conclusione del contratto. Il recupero delle somme dovute dai privati consente infatti intimazioni di pagamento emesse anche a distanza di anni dalla stipula dell’accordo sostitutivo;
(d) l’affidamento della parte privata non può estendersi alle clausole contra legem, in quanto la discrezionalità dell’amministrazione non rende disponibili gli elementi di interesse pubblico che la legge qualifichi espressamente come indisponibili. Tuttavia, la caducazione di una clausola nulla per violazione di legge non fa diventare irrilevanti le prestazioni già eseguite dalla parte privata, se oggettivamente vantaggiose per la collettività. In questo caso, si verifica una fattispecie di arricchimento senza causa, e dunque l’amministrazione è tenuta a liquidare un indennizzo;
(e) peraltro, la compensazione delle opere di urbanizzazione con il contributo sul costo di costruzione non costituisce una clausola contra legem;
(f) la tradizionale distinzione tra oneri di urbanizzazione, standard qualitativi e contributo sul costo di costruzione è utile solo per associare un’autonoma base imponibile a ciascuna delle tariffe imposte ai privati, evitando una moltiplicazione opaca e irragionevole dei pesi sull’attività edificatoria. Se dunque gli oneri di urbanizzazione sono giustificati in quanto necessari a sostenere gli investimenti pubblici di infrastrutturazione del territorio, e gli standard qualitativi sono applicati normalmente alle edificazioni di maggiore impatto con finalità perequative, il contributo sul costo di costruzione può essere visto come un’imposta patrimoniale sulla ricchezza impiegata nell’attività di edificazione. Sono tutte forme di prelievo tributario, ma caratterizzate da una distanza progressivamente maggiore rispetto alla concreta attività di edificazione, ossia da un collegamento progressivamente decrescente con il concreto interesse del soggetto che risulterà proprietario di quanto edificato;
(g) lo stesso criterio può essere utilizzato per stabilire la legittimità della compensazione con i costi di esecuzione diretta delle opere. Per gli oneri di urbanizzazione non vi sono problemi, in quanto il meccanismo è codificato nell’art. 16 comma 2 del DPR 380/2001 e nell’art. 45 della LR 12/2005. Il legislatore presume che gli oneri di urbanizzazione siano sempre necessari per creare un contesto adeguato ai nuovi edifici, o per adeguare il contesto esistente. Più complesso è stabilire quando una richiesta di opere di urbanizzazione formulata dall’amministrazione quale condizione per approvare il piano attuativo sia ancora collegata alle esigenze della specifica attività edificatoria, e quando sia invece finalizzata a risolvere, con l’occasione della nuova edificazione, criticità urbanistiche preesistenti. Una volta individuata correttamente la seconda fattispecie, sulla base di una valutazione caso per caso, non vi sono poi ostacoli alla compensazione del contributo sul costo di costruzione, perché qui l’utilità delle opere appartiene chiaramente alla collettività nel suo insieme;
(h) un’ipotesi particolare di applicazione del suddetto criterio è stata codificata, successivamente ai fatti di causa, nell’art. 46 comma 1-bis della LR 12/2005. Tale norma consente la compensazione del contributo sul costo di costruzione quando siano realizzate attrezzature pubbliche e di interesse pubblico non correlate alle dotazioni minime previste dal piano dei servizi, e aggiuntive rispetto al fabbisogno generato dalle edificazioni previste;
(i) ricapitolando, la convenzione urbanistica deve essere inserita in via interpretativa entro lo schema sopra descritto, il quale, una volta esaurita la quota relativa agli oneri di urbanizzazione, ammette la compensazione del contributo sul costo di costruzione solo per le spese riguardanti opere di cui la collettività fruisca in misura chiaramente e significativamente maggiore rispetto ai soggetti che abitano o lavorano nel comparto. Il potere del Comune di ottenere il versamento del contributo sul costo di costruzione (in aggiunta alla quota già incamerata) è limitato alle opere che non superano questa soglia, e sono necessarie sostanzialmente per garantire i servizi indispensabili al comparto;
(j) incidentalmente, si osserva che questa seconda categoria di opere sarebbe comunque esclusa dall’indennizzo a carico del Comune per arricchimento senza causa, essendovi una concorrente e prevalente utilità per il soggetto attuatore della lottizzazione;>>

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 795 del 16 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, a fronte di una eccezione del Comune resistente secondo la quale la prevista realizzazione di una strada, in quanto inserita nel solo Documento di Piano e avente natura meramente programmatica, non sarebbe suscettibile di immediata lesione della sfera giuridica degli attori e non potrebbe dunque essere oggetto di autonoma impugnazione, osserva che, pur essendo vero che il Documento di Piano non contiene previsioni che producano effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, cionondimeno non può dirsi che la disposizione di Piano de qua sia priva di qualsivoglia effetto attuale nei confronti dei proprietari del terreno che ne è interessato.
Aggiunge il TAR che la stessa insiste invero su un’area specificamente determinata e per conseguenza riguarda proprietari individuati e differenziati sui quali, in caso di attuazione della previsione programmatica (che integra un obiettivo individuato dal Comune per la propria azione urbanistica), si produrrebbero gli effetti lesivi consistenti nella distrazione di una parte della superficie di proprietà ai fini della realizzazione della strada.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1929 del 13 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, chi eccepisce il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento deve indicare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto in sede procedimentale e che sarebbero stati idonei ad incidere sulla determinazione dell'Amministrazione e, solo dopo, quest’ultima sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6333).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 689 del 12 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia sottopone alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale concernente il contrasto dell'art. 5 della l.r. n. 30/2006, con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, nella parte in cui attribuisce alle amministrazioni comunali le funzioni amministrative in materia di bonifica dei siti inquinati che il legislatore statale ha, con l’articolo 242 del d.lgs. 152/06, attribuito esclusivamente alle Regioni.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I n. 787 del 9 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che le disposizioni in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi non impediscono ogni tipologia di limitazione alle attività di carattere commerciale, ma solo quelle che derivano da valutazioni di carattere economico, che non possono essere rimesse alla P.A.; sono invece compatibili con il suddetto assetto normativo i vincoli (anche di natura urbanistica ed edilizia) fondati su superiori ragioni di interesse pubblico.
In tal senso richiama il precedente del Consiglio di Stato: «La liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione, non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica Amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali; la questione involge un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall'Autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano o afferenti all'ordinato assetto del territorio; esigenze che devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell'attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l'utilità sociale. […] È consentito ai Comuni operare scelte di pianificazione al fine di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all'ambiente urbano; le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, infatti, rispondendo all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi e la diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza, alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico. La anticoncorrenzialità della disposizione preclusiva ricorre pertanto solo allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale» (Consiglio di Stato, IV, 1° giugno 2018 n. 3316).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 1900 del 9 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che:
<<Costituisce regola generale quella secondo cui la stazione appaltante deve motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, V, 5 maggio 2020, n. 2850; VI, 18 luglio 2016, n. 3198; C.G.A.R.S., 23 gennaio 2015, n. 53; Cons. Stato, VI, 21 maggio 2014, n. 2622; III, 24 dicembre 2013, n. 6236; V, 30 giugno 2011, n. 3924; III, 11 marzo 2011, n.1583; VI, 24 giugno 2010, n. 4019; Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sent. n. 2001/2021; T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 07/04/2021, n.2294; Tar Toscana, sent. n. 291/2022). Né è rilevante il fatto che la causa espulsiva non sia stata citata poiché, altrimenti, si dovrebbe immaginare di costruire un provvedimento di ammissione in cui, rispetto ad ogni singola ipotesi astrattamente prevista dal legislatore, l’amministrazione ne esamini e ne consideri la relativa insussistenza, in palese contrasto con il principio di speditezza dell’azione amministrativa (Cons. Stato, sez. n. V, n. 5499/2018).
Per giurisprudenza costante, dunque, la stazione appaltante che non ritenga i precedenti dichiarati dal concorrente incisivi della sua moralità professionale, non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità delle relative circostanze risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa; è la valutazione di gravità, semmai, che richiede l’assolvimento di un particolare onere motivazionale, con la conseguenza che la stazione appaltante deve motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, sez. V, n. 2580/2020; sez. VI, 6 dicembre 2021, n. 8081; n. 3198/2016; C.G.A.R.S., n. 53/2015; Cons. Stato, sez. VI, n. 2622/2014; sez. III, n. 6236/2013; sez. V, n. 3924/2011; sez. III, n. 1583/2011; sez. VI, n. 4019/2010).
La carenza di motivazione del provvedimento di ammissione a una gara pubblica di un concorrente, pertanto, non può di per sé implicare un difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla rilevanza delle circostanze dichiarate dal concorrente, né determina un ostacolo alla piena tutela giudiziale degli altri concorrenti, cui è comunque garantita la possibilità di far valere le proprie ragioni avverso l'ammissione.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1620 del 7 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ricorda che, a fronte di istanze di riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati, non sussiste l’obbligo della P.A. di provvedere e ciò “in ragione della natura officiosa e ampiamente discrezionale, soprattutto nell’an, del potere di autotutela e del fatto che, rispetto all'esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente” (così C.d.S., VI, 6 aprile 2022, n. 2564; conf. ex multis, Id., IV, 4 novembre 2020 n. 6809).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 781 del 5 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che dalla disamina del dato testuale dell'art. 208 comma 6 D.Lgs. 152/2006 è evidente che l’Autorizzazione integrata costituisce ex se variante al Piano di Governo del Territorio ove ciò si renda necessario, e cioè in tutti i casi nei quali l’impianto oggetto di AIA non sia conforme al P.G.T.; non è poi richiesta alcuna motivazione sul punto, in quanto lo strumento della conferenza di servizi, individuato dal legislatore per l’emissione dell’AIA, implica il necessario confronto tra tutti i soggetti portatori di interessi coinvolti, e la conseguente ponderazione e valutazione degli interessi stessi, fino alla sintesi derivante dall’accoglimento o meno dell’istanza.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1890 del 5 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento alla tematica della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione dell’interesse legittimo, ricorda che la stessa è stata oggetto nel tempo di un ampio dibattito che riguarda anche la natura stessa di tale responsabilità e osserva che:
<<Non è ovviamente questa la sede per ripercorrere le tappe del dibattito, essendo sufficiente, ai fini della decisione, richiamare i principi espressi dalla recente sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2021, pronunciata in una controversia analoga a quella oggetto del presente giudizio, la quale ha affermato che la responsabilità di cui si discute ha natura extracontrattuale, e trova dunque disciplina primaria negli artt. 2043 e segg. cod. civ.
È pertanto necessario, affinché l’amministrazione possa essere ritenuta responsabile, che il danno derivante dal provvedimento annullato in sede giurisdizionale sia qualificabile come ingiusto, requisito questo che si realizza solo quando lo stesso provvedimento abbia inciso sul bene della vita sotteso all’interesse legittimo leso. A questo proposito la citata sentenza dell’adunanza plenaria, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha ribadito che la tutela risarcitoria non può essere accordata quando la sentenza che dichiara illegittimo l’esercizio del potere non abbia accertato la fondatezza della pretesa del privato ma abbia soltanto posto un vincolo per l’amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13. In questo senso anche Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2022, n. 4279; id. sez. II, 4 maggio 2022, n. 3481; T.A.R. Molise, sez. I, 10 febbraio 2022, n. 33).
Viene dunque in rilevo, in tale contesto, la distinzione fra interesse legittimo oppositivo (collegato ad un bene della vita di cui l’interessato già dispone) ed interesse legittimo pretensivo (collegato ad un bene della vita di cui l’interessato non dispone ancora e che gli si sarebbe dovuto riconoscere con l’esercizio del potere), posto che, solo con riferimento all’interesse oppositivo, vi è automatica incisione sul bene della vita; mentre, in caso di interesse pretensivo, la lesione non è mai automatica dovendosi accertare se il legittimo esercizio del potere avrebbe senz’altro attribuito il bene cui il privato aspira.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1875 del 2 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Brescia osserva che:
<<La più recente giurisprudenza amministrativa in materia di impugnazione degli strumenti di programmazione territoriale non ritiene sufficiente la sussistenza del requisito di legittimazione costituito dalla vicinitas, ma richiede la dimostrazione dell’interesse ad agire, mediante dimostrazione di un danno certo - o altamente probabile - riferito alla posizione del ricorrente (Cons. Stato, Sez. II, 22 novembre 2021, n. 7812 e la giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, se sussiste il requisito legittimante della vicinitas, non è stato dimostrato l’interesse concreto ad agire.
Sulla consistenza di tale ultimo requisito si confrontando due orientamenti:
- il primo nega la sussistenza dell’interesse a censurare direttamente la variante urbanistica, dovendo il ricorrente attendere l’adozione degli strumenti attuativi o il rilascio del titolo edilizio (cfr. T.A.R. Liguria, Sez, I, 10/5/2022 n. 354);
- il secondo, cui aderisce il Collegio, in base al quale “il sindacato giurisdizionale sugli strumenti urbanistici, generali e attuativi è, infatti, ammissibile nel solo caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardino direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili, non potendo, invece, essere sufficiente l’allegazione di un generico danno all'ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell'ambiente e ad altri valori la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata dalla pianificazione” (Cons. Stato, Sez. VI, 25/5/2022 n. 4193).
8.3.2) Nel caso di specie parte ricorrente non ha dimostrato il significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili.
Il ricorrente, infatti, da un lato ha lamentato la lesione dei valori “urbanistici-ambientali compromessi dalla nuova disciplina del P.G.T. gravato” e il “pregiudizio che ad esso deriverebbe dall’atto preordinato alla definizione di un corretto assetto del territorio, indicandolo nel deterioramento delle condizioni di vita connesso all’incremento del peso insediativo e alla sottrazione di verde pubblico nella zona in cui risiede stabilmente”, ma tali profili non costituiscono un interesse concreto all’impugnazione della variante urbanistica, in quanto essi sarebbero invocabile da qualsiasi soggetto residente.
Dall’altro ha lamentato anche l’asserito pregiudizio “sulla qualità della vita di (omissis) e sul valore dell’immobile di cui il medesimo è comproprietario” per effetto della localizzazione della nuova edificabilità nelle vicinanze dell’abitazione.
Ma anche tali affermazioni sono del tutto generiche e inidonee a costituire un interesse concreto all’impugnazione giacché il ricorrente non ha dimostrato sotto quali concreti profili la “qualità di vita” verrebbe pregiudicata dalla nuova edificazione, né ha dimostrato (neppure in via tendenziale) il deprezzamento del complesso immobiliare in cui risiede, né ha debitamente tenuto conto che l’edificazione avverrà ad una certa distanza dalla sua abitazione, sul lato della Villa opposto a quello visibile dal ricorrente e con una serie di cautele idonee a mitigare l’impatto della nuova edificazione.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 771 del 2 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
<<le controversie concernenti la sussistenza di presupposti legittimanti la richiesta di un titolo edilizio (o i procedimenti assimilati) sono assoggettate al regime della c.d. “doppia tutela”, per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell’autore dell’attività edilizia illecita (con giurisdizione del giudice ordinario) e, dall’altro, dell’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell’Amministrazione, con cui tale attività sia stata autorizzata, consentita e permessa, da far valere di fronte al giudice amministrativo (con riguardo alle questioni in materia di distanze, Consiglio di Stato, IV, 14 gennaio 2016, n. 81; 3 agosto 2016, n. 3511; 31 marzo 2015, n. 1692; T.A.R. Lombardia, Milano II, 26 luglio 2017, n. 1680; 5 dicembre 2016, n. 2301). Tuttavia, nella giurisdizione amministrativa i rapporti privatistici che possono avere rilevanza ai fini della legittimazione a richiedere il titolo edilizio vengono presi in esame solo quando siano per sé evidenti, o quando gli interessati abbiano di loro iniziativa rappresentato agli Uffici comunali eventuali contese in grado di incidere sulla legittimazione a chiedere il ridetto titolo edilizio (T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 26 marzo 2019, n. 276); difatti, l’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, esigendo dal Comune la verifica dell’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non impone di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario o in ragione della presenza di altri diritti reali o personali di godimento, ma ha la finalità di consentire di accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso o che presenta l’istanza (nel caso di d.i.a., s.c.i.a. o c.i.l.a.). In tal senso, l’Amministrazione è tenuta a svolgere un livello di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla P.A. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (Consiglio di Stato, II, 14 luglio 2020, n. 4575; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 4 settembre 2020, n. 1643; 23 dicembre 2019, n. 2729).
Nondimeno, si deve escludere, anche al fine di non aggravare il procedimento, che l’Amministrazione sia tenuta a svolgere complessi e laboriosi accertamenti, essendo necessaria soltanto una verifica minima e di immediata realizzazione, pena un’insufficiente istruttoria (ex multis, Consiglio di Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3096; IV, 6 marzo 2012, n. 1270; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 17 dicembre 2021, n. 2837; 26 giugno 2019, n. 1486; 8 aprile 2019, n. 767; 21 gennaio 2019, n. 112; 13 settembre 2018, n. 2065; 31 gennaio 2017, n. 235; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 5 novembre 2015, n. 5137).
Inoltre, come chiarito da recente giurisprudenza, il potere di controllo dell’Amministrazione in sede di rilascio dei titoli edilizi (al pari di quello esercitato in sede inibitoria) deve essere collegato al riscontro di profili di illegittimità per contrasto con leggi, regolamenti, piani, programmi e regolamenti edilizi, mentre non può essere esercitato a tutela di diritti di terzi non riconducibili a quelli connessi con interessi di natura pubblicistica; tra questi ultimi non rientrano, ad esempio, aspetti afferenti alla legittimazione attiva del richiedente il titolo edilizio in presenza di beni comuni di cui è contestato l’utilizzo (cfr. Consiglio di Stato, IV, 24 febbraio 2022, n. 1302).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1669 del 12 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, in merito a quanto disposto dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004 secondo cui “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio”, osserva che:
<< la giurisprudenza si è interrogata se il rapporto tra l’autorizzazione paesaggistica e il titolo edilizio (anche in sanatoria) debba essere declinato in termini di condizione di efficacia della prima sul secondo, piuttosto che di condizione di validità.
Per i casi in cui - come quello oggetto del presente giudizio – vi sia un aumento di volume dell’edificio con conseguente di vieto di sanatoria paesaggistica il Collegio condivide l’approdo ermeneutico secondo cui “va respinta la tesi … circa la mera inefficacia della mancanza di autorizzazione paesaggistica. L’assunto è del tutto errato sotto il profilo giuridico in quanto, al contrario, proprio l’autonomia dei due procedimenti comporta la necessità di conseguire entrambi i provvedimenti autorizzativi. Deve al riguardo escludersi che, in assenza di un’espressa qualificazione legislativa, il nulla osta paesaggistico possa essere considerato una semplice condizione integrativa dell’efficacia” (Cons. Stato, Sez. IV, 2/12/2013 n. 5731; in terminis: CGARS 27/01/2016 n. 15; T.A.R. Umbria 19/2/2016 n. 120), con la conseguenza che “l'illegittimità dell'autorizzazione paesaggistica ha determinato, per invalidità derivata, l'illegittimità del permesso di costruire, essendo l'autorizzazione paesaggistica necessario presupposto del permesso di costruire” (T.A.R. Veneto, sez. II, 9/8/2017 n. 791)>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 759 del 1 agosto 2022.
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Il TAR Milano precisa:
<<La violazione da parte della mandante-OMISSIS- dell’onere informativo di cui al comma c-bis) dell’articolo 80, il quale rientra negli obblighi precontrattuali di lealtà, correttezza, buona fede e compiuta informazione, integra, di per se stessa, il grave errore professionale c.d. endoprocedurale, che si verifica quando il concorrente ometta di rendere alla stazione appaltante tutte le informazioni in suo possesso, che siano dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione dei concorrenti, a prescindere dalla fondatezza, dalla gravità e dalla pertinenza delle vicende che ne costituiscono l’oggetto (Consiglio di Stato, Sezione V, 29 ottobre 2020 n. 6615; 3 settembre 2018 n. 5142; 14 febbraio 2018 n. 956).
La mancata dichiarazione di tali informazioni, quali ad esempio quella relativa alla qualità di indagato del legale rappresentante della-OMISSIS-, non è infatti rilevante in sé ma rileva indirettamente quale indicatore di inaffidabilità dell’operatore economico che non abbia soddisfatto il requisito di omnicomprensività dell’onere informativo provvedendo a rendere solo le informazioni ritenute rilevanti e privando, in tal modo, la stazione appaltante della piena cognizione dei fatti, funzionale alle valutazioni discrezionali riservate alla sua competenza (Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione I, 15 novembre 2019 n. 2421).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1631 del 7 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.