Il TAR Milano osserva che:
<<L’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivati dal processo di depurazione delle acque reflue è disciplinato dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, che ha dato attuazione alla direttiva 86/278/CE. L’art. 1 di tale decreto individua, quale primo scopo della normativa, quello di assicurare che l’attività di spandimento dei fanghi non provochi effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo. Ulteriore intento dichiarato dal legislatore coincide con quello di incoraggiare l’attività di spandimento in quanto volta al recupero di un materiale che, in base all’art. 127, primo comma, del d.lgs. n. 152 del 2006, è classificato come rifiuto e che, quindi, dovrebbe essere altrimenti smaltito.
Per dare attuazione a tali finalità, il d.lgs. 99/1992 stabilisce i requisiti che i fanghi ed i terreni agricoli devono avere ai fini dello spandimento, e sottopone tale ultima attività ad autorizzazione regionale e a controllo provinciale, nonché a previa comunicazione al comune.
L’art. 6 comma 1 del d.lgs. n. 99 del 1992 prevede poi espressamente che spetta alle regioni il compito di stabilire «2) […] ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento; 3) […] le distanze di rispetto per l'applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dalle strade, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dai corsi d'acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza) delle condizioni meteoclimatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi».
La norma assegna dunque alle regioni, e non alle province, la competenza ad individuare i limiti (distanziali, orari ecc.) allo spandimento dei fanghi. La ratio dell’attribuzione alle regioni, e non alle province, della competenza ad individuare i limiti applicabili all’attività di spandimento dei fanghi può essere individuata nella volontà del legislatore di far sì che la materia trovi una disciplina uniforme a livello regionale, onde evitare che la suddetta attività (come detto da incoraggiare in quanto volta al recupero di un rifiuto) venga ingiustificatamente ostacolata per interessi particolaristici.
Per quanto concerne le competenze provinciali, l’art. 7 del medesimo D. Lgs. 99/1992 stabilisce che le stesse consistono unicamente in poteri di controllo «sulle attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento dei fanghi, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, nonché delle attività di utilizzazione dei fanghi, ai sensi del presente decreto».
Sulla base delle disposizioni appena illustrate la giurisprudenza, in termini ormai consolidati, afferma che, siccome nessuna norma statale conferisce agli enti locali sub regionali potestà regolamentare in materia ambientale e, più in particolare, in materia di spandimento fanghi per uso agricolo, gli stessi enti non possono emanare atti volti a disciplinare tale materia (TAR Lombardia, Milano, III, 24 aprile 2019, n. 925; cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 4 aprile 2012, n. 1006; id. 25 maggio 2009, n. 3848; sez. III, 13 maggio 2021 n. 1179).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 1893 del 8 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.