Il TAR Milano ritiene illegittimo un PGT che, una volta attribuita ad un’area destinazione urbanistica “terziario, ha indicato l’unica ammessa su una grande parte dell’area medesima (nella fattispecie: multisala per proiezioni cinematografiche e pubblico spettacolo per almeno il 50% della edificazione ammessa), spingendosi così ad un livello di dettaglio incompatibile con la funzione che è chiamato a svolgere e con la tutela che l’ordinamento riconosce al diritto di proprietà privata.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 128 del 23 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Piemonte ritiene ammissibile l’intervento di associazioni rappresentative degli interessi della categoria degli avvocati amministrativisti in un giudizio sospeso in attesa di una pronuncia della Corte di Giustizia, alla quale era stata rimessa la questione di compatibilità della disciplina dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. che impone l’immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara, con la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela.

L’ordinanza del TAR Piemonte, Sezione Prima, n. 77 del 24 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

Vedi in argomento il precedente post


Si segnala che l’Università degli Studi di Milano ha organizzato anche quest’anno il corso di perfezionamento e specializzazione in diritto amministrativo, il cui bando e programma dettagliato sono qui allegati.

Il termine ultimo per iscriversi scadrà il 7 febbraio 2019.



Il TAR Brescia riafferma il principio per cui – pur vigendo nella materia degli appalti pubblici il principio generale della immodificabilità dell’offerta, a tutela dell’imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché della parità di trattamento tra gli operatori economici – va comunque data continuità all’orientamento secondo cui nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con essi assunti; le offerte, intese come atto negoziale, sono quindi suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l’effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente (nella fattispecie vi era una discordanza tra il prezzo indicato in piattaforma elettronica e quello trascritto in un modello tale da rivelare un’ambiguità inspiegabile; acclarata l’esibizione di due importi oggettivamente non collimanti, l’indagine compiuta dalla stazione appaltante si è indirizzata nel ricostruire la volontà dell’offerente escludendo che, in realtà, l’accertata divergenza fosse ingiustificata:  applicando le due differenti percentuali di sconto praticate alle due grandezze riportate negli atti di gara (importo a base d’asta al netto degli oneri di sicurezza e importo al lordo dei medesimi) si perveniva allo stesso identico valore di offerta).

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 87 del 28 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia n. 36 del 2017 che modifica l’art. 13 della legge della Regione Lombardia 1° febbraio 2012, n. 1, introducendo il comma 1-quater, secondo cui «Qualora la determinazione da assumere in conferenza di servizi presupponga o implichi anche l’adozione di un provvedimento di competenza di un organo di indirizzo politico, tale provvedimento è acquisito prima della convocazione della conferenza di servizi o successivamente alla determinazione motivata di conclusione della stessa conferenza. In caso di acquisizione successiva del provvedimento di cui al precedente periodo, l’efficacia della determinazione di conclusione della conferenza di servizi è sospesa nelle more della formalizzazione dello stesso provvedimento».
Da questa declaratoria di illegittimità costituzionale deriva quella dell’art. 10, comma 1, lettera d), numero 9), della legge reg. Lombardia n. 36 del 2017 che estende il campo di applicazione dell’impugnato art. 2 al caso di conferenza di servizi nell’ambito di una procedura di valutazione di impatto ambientale.
Secondo la Corte, la norma regionale impugnata non assicura «livelli ulteriori di tutela», e anzi chiaramente sacrifica le finalità di semplificazione e velocità alla cui protezione è orientata la disciplina statale; essa configura inoltre un modello di conferenza di servizi del tutto squilibrato e contraddittorio; squilibrato, perché assegna una netta prevalenza alla valutazione degli organi di indirizzo politico (senza precisare inoltre che cosa avvenga in caso di coinvolgimento di più organi politici); contraddittorio, perché, sebbene la decisione da assumere in conferenza presupponga o implichi un provvedimento di questi organi, la loro valutazione è separata da quella degli altri soggetti interessati; sicché si deve parimenti escludere che il modello così prefigurato costituisca sviluppo coerente e armonioso del quadro definito dalle norme statali interposte.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 9 del 25 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Il Consiglio di Stato, in ordine alla questione dell’individuazione dei soggetti obbligati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione previste da una convenzione di lottizzazione, sulla base della giurisprudenza sviluppatasi in materia, osserva che:
a) al fine di individuare quali sono i legittimati passivi in caso di inadempimento è necessario, in via preliminare, definire la natura giuridica delle obbligazioni derivanti dalla convenzione stipulata con l'ente locale;
b) le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di garantire che all'edificazione del territorio corrisponda non solo l'approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il suo equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell'insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall'autorità preposta alla gestione del territorio;
c) è in quest’ottica che devono essere letti ed interpretati gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche e, per tale motivo, la Corte di cassazione ha sempre affermato che l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è di natura propter rem;
d) la natura reale dell'obbligazione comporta dunque che all’adempimento della stessa saranno tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l'edificazione e i loro aventi causa;
e) in senso conforme è la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'assunzione, all'atto della stipulazione di una convenzione di lottizzazione, dell'impegno - per sé, per i propri eredi e per gli altri aventi causa - di realizzare una serie di opere di urbanizzazione del territorio e di costituire su una parte di quelle aree una servitù di uso pubblico, dà luogo ad una obbligazione propter rem, che grava quindi sia sul proprietario del terreno che abbia stipulato la convenzione di lottizzazione, sia su coloro che abbiano richiesto il rilascio della concessione edilizia nell'ambito della lottizzazione, sia infine sui successivi proprietari della medesima res, per cui l'avente causa del lottizzante assume tutti gli oneri a carico di quest'ultimo in sede di convenzione di lottizzazione, compresi quelli di urbanizzazione ancora dovuti, risultando inopponibile all’Amministrazione qualsiasi previsione contrattuale dal contenuto opposto e qualsiasi vicenda di natura civilistica riguardanti i beni in questione;
f) invero, il meccanismo dell'ambulatorietà passiva dell'obbligazione, proprio della natura propter rem, non trasforma ex se gli aventi causa dei lottizzanti in “parti” a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell'esecuzione degli impegni presi.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 199 del 9 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che l'istituto del preavviso di rigetto, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell'istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall'invio della comunicazione di cui al citato art. 10 bis in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di uno apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda; in questi casi non è applicabile la sanatoria processuale, sia per la generale natura discrezionale del potere edilizio in oggetto, sia a fronte dell’impossibilità di escludere a priori, a fronte degli elementi dedotti da parte istante anche in sede giudiziale, che il procedimento potesse concludersi diversamente.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 484 del 18 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento si veda anche la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 123 del 22 gennaio 2019 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Lazio ha dichiarato l’obbligo del Ministero dell’Ambiente, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ciascuno per il proprio ambito di competenza, di provvedere, in attuazione di quanto disposto dall’art. 10 della legge n. 36/2001, ad adottare una campagna informativa, rivolta alla intera popolazione, avente ad oggetto l'individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi.

La sentenza del TAR Lazio, Terza Quater, n. 500 del 15 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 12 del 15 gennaio 2019, è pubblicata la delibera del Garante per la protezione dei dati personali, recante le regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. 



Il TAR Milano ritiene illegittimo il rigetto di una proposta di piano attuativo in variante al PGT assunto con una nota a firma del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata nonché dell’Assessore alla partita, i quali hanno comunicato che l’istanza non poteva essere accolta in quanto la giunta comunale si era espressa in senso contrario ad una modifica delle destinazioni d’uso dell’area.
Secondo il TAR, ai sensi dell’art. 14 della L.R. n. 12 del 2005, il procedimento può essere concluso in forma semplificata, senza l’adozione della fase della decisione ordinaria, nel caso in cui sia chiaro che mancano i requisiti di ammissibilità della richiesta, che debbono essere vagliati dagli uffici comunali competenti alla conclusione della fase istruttoria.
Nella fattispecie esaminata dal TAR, invece, la comunicazione di reiezione della proposta è a firma congiunta dell’assessore alla partita e del dirigente competente, laddove, invece, la norma stabilisce chiaramente che la conclusione anticipata del procedimento può avvenire solo a conclusione della fase istruttoria, che è di competenza degli uffici comunali, cioè degli organi burocratici, che si debbono limitare a verificare i requisiti di ammissibilità della richiesta, così come stabiliti da norme preesistenti; nel caso in cui la fase istruttoria venga conclusa dopo aver acquisito le volontà politiche amministrative della giunta comunale si finisce evidentemente per attribuire alla giunta il potere sostanziale di decisione di tutte le varianti di PGT, espropriando la competenza consiliare in merito.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 121 del 2 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato ribadisce che dalla previsione di cui all'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12 aprile 2006 n. 184 emerge che, in sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso agli atti della p.a., per omessa notifica al controinteressato, quando la stessa amministrazione non abbia ritenuto di far consentire la partecipazione di altri soggetti in sede procedimentale che potrebbero subire un pregiudizio dall'accoglimento della istanza di accesso e che acquisterebbero la qualifica di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego; il Consiglio di Stato aggiunge, tuttavia, che detto "parallelismo" non può, comunque, indurre a ritenere che, una volta obliata dall'amministrazione una posizione di controinteresse ciò implichi la facoltà, o addirittura la legittimità, di dequotare tale posizione anche in sede giurisdizionale: è proprio per coniugare tutte le esigenze in campo che la giurisprudenza ha previsto che il giudice adito sia tenuto (anche ex officio, ovviamente) ove ravvisi posizioni di controinteresse a ottemperare all'obbligo ex art. 116 c.p.a. e ad imporre quindi la notifica del ricorso alla parte controinteressata.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 216 del 9 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che rispetto ai provvedimenti illegittimi adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione; il TAR aderisce quindi all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 118 del 21 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che è da escludersi che l’eventuale presenza di un delegato di un concorrente alla seduta di gara in cui si sono deliberate le ammissioni possa fare decorrere il termine decadenziale per proporre il ricorso ex art. 120 comma 2-bis cod. proc. amm., poiché a questo fine deve farsi riferimento esclusivo alla data di pubblicazione sul profilo del committente dei provvedimenti relativi a questa fase ai sensi dell’art. 29 del codice dei contratti pubblici; le ragioni di questo orientamento restrittivo vanno ricercate nel carattere speciale, derogatorio, e pertanto di stretta interpretazione del “rito superspeciale” sulle ammissioni ed esclusioni, in relazione al quale sono tassativamente richieste le formalità pubblicitarie poc’anzi richiamate e in difetto delle quali l’impresa sarebbe costretta a produrre un ricorso al buio.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 173 del 8 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento cfr la sentenza del Consiglio di Stato. Sezione Quinta, n. 403 del 16 gennaio 2019, consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che la domanda di risarcimento per fatto legittimo della pubblica amministrazione (annullamento di piano attuativo e di titolo edilizio per assenza di nulla osta paesaggistico) appartiene alla competenza esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera f), c.p.a.
Riguardando la violazione dei doveri di buona fede e correttezza da parte dell’Amministrazione e, più in generale, la lesione del diritto all’autodeterminazione dei privati, essa deve essere esaminata alla  luce della regola di cui all’articolo 2043 c.c. che impone un generale dovere di correttezza tra i consociati a cui è soggetta anche l’Amministrazione nell’ambito della propria attività autoritativa.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 118 del 21 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che nel rito amministrativo manca una rigorosa successione di barriere preclusive alle attività di difesa delle parti e, in particolare, un termine entro cui le stesse debbano prendere posizione sulle asserzioni altrui.
Il dies ad quem della contestazione specifica non può coincidere, per le parti intimate, con l'atto di costituzione, nel quale - a mente dell'articolo 46 c.p.a. - esse non hanno alcun onere di prendere posizione, a pena di decadenza, sui fatti indicati dal ricorrente; inoltre, si tratta di un termine di carattere meramente ordinatorio e, comunque, la previsione in esame non impone tale attività processuale che, pertanto, dovrebbe individuarsi in via pretoria con violazione del principio che rimette al solo legislatore l’inserzione di previsioni che impongano preclusioni e decadenze.
Per la stessa ragione appena accennata non può ritenersi neppure che la contestazione debba necessariamente avvenire nella memoria conclusionale atteso che la previsione di cui all’articolo 73, comma 1, c.p.a. omette indicazioni sul contenuto necessario di tale atto.
Né, ancora, tale contestazione può ritenersi inammissibile se effettuata nella sola memoria di replica; infatti la memoria di replica deve essere presa in considerazione dal giudice indipendentemente dalla circostanza che la stessa parte abbia in precedenza depositato una propria comparsa conclusionale, dal momento che in sede di replica si esercita il diritto al contraddittorio avverso le difese presentate dalle parti avverse; nondimeno, perché questo stesso principio non si traduca in un esercizio del diritto di difesa contrastante con le regole del contraddittorio, è necessario che la replica si limiti a sviluppare considerazioni di risposta alle deduzioni contenute nella memoria conclusionale avversaria (fattispecie in cui il Comune resistente aveva contestato l’entità del danno in sede di memoria di replica).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 118 del 21 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento si  veda anche sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 153 del 25 gennaio 2019 .


Il TAR Milano, in tema di decorrenza del termine di impugnazione nel rito degli appalti pubblici nel previgente e nel vigente codice dei contratti pubblici, chiarisce che:
- il termine per l’impugnativa di cui all’articolo 120, comma 5, c. p.a. decorre dalla ricezione da parte del concorrente della comunicazione di cui all’articolo 79 del previgente codice, che corrisponde nella sua parte essenziale all’articolo 76 del d.lgs. 50/16;
- la mancanza, nella comunicazione di aggiudicazione trasmessa dalla stazione appaltante, di elementi sufficienti per formulare censure di legittimità onera la parte interessata di diligentemente e tempestivamente attivarsi per acquisire una compiuta conoscenza degli atti di gara, attraverso gli strumenti normativamente contemplati (in particolare, l’accesso semplificato previsto dall’art. 76, comma 2, lett. b), al fine di evitare l’inutile decorso del termine a pena di decadenza per proporre l’impugnazione in sede giurisdizionale;
- il termine decadenziale di trenta giorni può – al più, e nelle ipotesi di comunicazione del solo “dispositivo” del provvedimento di aggiudicazione, privo di supporto motivazionale - essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e – comunque – entro il limite dei dieci giorni fissati dall’art. 79, comma 5-quater, del previgente Codice degli appalti fissa per esperire la particolare forma di accesso - semplificato ed accelerato - ivi disciplinata;
- i principi sopra richiamati vanno reiterati anche nel nuovo contesto normativo, ove lo strumento “accelerato” all’uopo contemplato per la acquisizione della piena conoscenza degli atti di gara e delle caratteristiche essenziali della offerta selezionata è costituito (oltre che dall’accesso ex art. 53) dalla procedura semplificata di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. 50/2016, con il termine di 15 giorni ivi contemplato per il soddisfacimento delle ragioni ostensive del concorrente; il termine di impugnazione può, dunque e al più, essere incrementato di un numero di giorni pari a quello che si è reso necessario per acquisire conoscenza delle risultanze procedimentali, entro il limite massimo di quindici giorni previsto dalla citata norma.
Aggiunge il TAR che implicito corollario di quanto sopra è che l’impresa interessata dimostri di avere diligentemente assolto all’onere, su di essa incombente successivamente alla comunicazione ex art. 76 d.lgs. 50/2016, di:
- tempestiva utilizzazione degli strumenti normativamente contemplati per acquisire plena cognitio degli atti di gara, onde consapevolmente esercitare (an) ovvero articolare (quid) e modulare (quomodo) le proprie indefettibili guarentigie difensive in sede giurisdizionale;
- tempestivo esperimento del gravame - in caso di eventuale ritardo della stazione appaltante nella ostensione degli atti (oltre i quindici giorni ex lege contemplati) - nel termine massimo di quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’atto lesivo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 69 del 15 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato chiarisce che, dopo la sentenza della Corte UE del 19 maggio 2009 (causa C-538/07), la giurisprudenza si è orientata nel senso che una situazione di controllo tra le imprese partecipanti a una procedura di gara, sia esso di tipo formale ovvero di tipo sostanziale, può condurre all’esclusione dalla procedura non in via automatica, ma solo se è accertato, anche in via presuntiva, che le offerte, per essere imputabili ad un “unico centro decisionale”, siano state reciprocamente influenzate; in ogni caso l’accertamento della causa di esclusione in esame passa attraverso un preciso sviluppo istruttorio: a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell’art. 2359 Cod. civ.; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell’esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell’esistenza di un “unico centro decisionale” da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l’esistenza dell’unicità soggettiva sostanziale.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 69 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia chiarisce che in sede di approvazione di un piano attuativo all’Amministrazione comunale spetta un’ampia discrezionalità valutativa che non verte solo sugli aspetti tecnici della conformità o meno del piano attuativo agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma coinvolge anche l’opportunità di dare attuazione, in un certo momento e a determinate condizioni, alle previsioni dello strumento urbanistico generale, sussistendo fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza; ciò perché la pianificazione attuativa costituisce pur sempre espressione della potestà pianificatoria, seppur declinata in ottica più specifica e operativa, con la conseguente sussistenza dei margini di discrezionalità che ad essa si correlano; l’ampia discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione – che, peraltro, incide anche in ordine alla minor pregnanza del generale obbligo di motivazione – implica che la scelta operata sia sottratta al sindacato di legittimità, non potendo il giudice amministrativo interferire con le decisioni riservate all’Amministrazione se non nei limiti della verifica della loro manifesta irragionevolezza, illogicità ovvero arbitrarietà e senza poter procedere ad un esame del merito della scelta pianificatoria.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 5 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.





Il Consiglio di Stato precisa che l'omessa o erronea indicazione, nel provvedimento impugnato, del termine o dell’Autorità cui ricorrere, richiesta dall'art. 3, comma 4 della l. 241/1990, non è di per sé sola causa autonoma d’illegittimità di esso, rappresentando soltanto una mera irregolarità e non giustifica, quindi, alcun automatismo nella concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, occorrendo a tal fine verificare, caso per caso, che siffatta mancanza o l’erronea indicazione abbiano determinato un'obiettiva incertezza sugli strumenti di tutela approntati dalla legge a favore dell'interessato; tale omissione può determinare il riconoscimento dell'errore scusabile e la conseguente rimessione in termini, solo quando lo stato d’incertezza sia giustificato dall'oscurità e ambiguità della normativa applicabile, dal cambiamento del quadro legislativo, da contrasti in giurisprudenza o ancora da attività ictu oculi equivoche o contraddittorie poste in essere dalla P.A., in caso contrario risolvendosi detto vizio procedimentale nell’eversione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 81 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di cassazione ritiene nulla, in assenza della costituzione del Ministero evocato in giudizio, la notifica dell'atto di citazione effettuata all'Avvocatura dello Stato ad un indirizzo pec non presente nel Reginde perchè effettuata all'Avvocatura dello Stato ad un indirizzo diverso da quello previsto per il processo telematico civile.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Prima civile, n. 287 del 9 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.

Sulle notificazioni in via telematica alle Pubbliche Amministrazioni nel processo amministrativo telematico si veda, da ultimo, la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 7026 del 12 dicembre 2018 di cui al precedente post.


Il TAR Milano precisa che l’errore materiale nell’offerta direttamente emendabile è soltanto quello che può essere percepito o rilevato ictu oculi, dal contesto stesso dell’atto e senza bisogno di complesse indagini ricostruttive di una volontà agevolmente individuabile e chiaramente riconoscibile da chiunque; il principio appena riferito è strettamente correlato a quello dell’immodificabilità sostanziale dell’offerta, posto a tutela sia della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, sia del valore della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che l’istituto della perequazione ha quale propria finalità quella di evitare ingiusti trattamenti differenziati, esso presuppone che le situazioni di fatto su cui va ad incidere presentino caratteristiche analoghe; solamente quando le caratteristiche ontologiche dei suoli siano simili e tali da renderli tutti destinati all’edificazione, si rende necessario evitare che i diversi proprietari ricevano trattamenti differenziati; non è invece possibile perequare aree che abbiano caratteristiche ontologiche diverse, giacché in tal caso si creerebbero surrettizie forme di diseguaglianza. Viceversa, l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa, ai proprietari delle aree destinate all’edificazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 7 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano chiarisce che non può affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente d.lgs. 50/2016; in particolare, non ne suffraga la tesi il riferimento al comma 3 dell’art. 5 bis del d.lgs n. 33/2013, secondo cui l’accesso civico è escluso «nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990»; invero, tali condizioni, modalità o limiti devono in generale essere correlati sia al principio generale di trasparenza, quale affermato all’art. 1 dello stesso d.lgs. 50/2016, sia al fatto che essi sono coordinati, nell’ambito della stessa previsione a divieti d’accesso, e non a restrizioni di minor rilievo; ora, la disciplina dell’accesso agli atti in materia di appalti si rinviene nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, il quale però al primo comma richiama espressamente la legge n. 241/1990, salvo introdurre nei commi successivi una serie di prescrizioni riguardanti invero essenzialmente il differimento dell’accesso in corso di gara, senza quindi che possa sostenersi che si configuri una speciale disciplina, realmente derogatoria di quella di ordine generale della legge 241/1990 e tale da escludere definitivamente l’accesso civico: questo potrà essere in subiecta materia temporalmente vietato, negli stessi limiti in cui ciò avviene per i partecipanti alla gara, e dunque fino a che questa non sarà terminata, ma non escluso definitivamente, se non per quanto stabilito da altre disposizioni, e così, prima di tutte, dalla chiara previsione dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 45 del 11 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la c.d. “doppia conformità” costituisce un requisito dal quale non può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” – consistente nel rilascio del titolo edilizio sulla base della sola conformità dell’opera abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente – finirebbe per dare luogo a un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 31 del 8 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si informa che l’incontro formativo su “La disciplina degli edifici di culto in Lombardia” (con relatori il dott. Alberto Di Mario e l’avv. Lorenzo Spallino), già fissato per il 1° febbraio 2019, è stato differito all’8 febbraio 2019 stesso luogo (Como – Tribunale Ordinario – Aula Magna) e stesso orario (15:00 – 18:00).


Il TAR Milano precisa che l’azione di condanna atipica, ossia finalizzata a ottenere dall’Amministrazione il rilascio di un provvedimento – che si distingue dalla condanna di tipo pecuniario – deve essere dichiarata inammissibile allorquando non sia stata proposta contestualmente ad un’azione di annullamento, né ad un’azione avverso il silenzio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 36 del 8 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che non può annullarsi un provvedimento amministrativo (nella fattispecie uno strumento urbanistico) per la violazione del dovere di buona fede e correttezza atteso che, se è vero che tali canoni operano anche in relazione all’attività autoritativa della pubblica amministrazione, la loro violazione può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza; infatti, le regole pubblicistiche e privatistiche, pur operando in maniera contemporanea e sinergica hanno diverso oggetto e diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione: le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto e immediato del potere) e la loro violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato; al contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla P.A.; la loro violazione non dà vita a invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 7 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia precisa che nei casi in cui l’avvalimento ha per oggetto requisiti immateriali – quali l’iscrizione in un determinato registro o albo, il fatturato globale o specifico – la prestazione oggetto specifico dell'obbligazione è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell'impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi materiali, ma dal suo impegno a garantire (con le proprie complessive risorse economiche e di esperienza professionale) l'impresa ausiliata munendola così di quei requisiti che altrimenti non avrebbe e consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal bando; ciò che l'impresa ausiliaria mette a disposizione è il suo valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di settore, dei quali il fatturato e i servizi svolti costituiscono indici significativi; ne consegue che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad indici materiali atti a esprimere una determinata consistenza patrimoniale e, dunque, alla messa a disposizione di beni da descrivere e individuare con precisione, essendo sufficiente che da essa dichiarazione emerga l'impegno contrattuale della società ausiliaria a “prestare” alla società ausiliata la sua complessiva solidità finanziaria e il suo patrimonio esperienziale, garantendo con essi una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1251 del 27 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione chiarisce che il D.M. n. 140 emanato il 20 luglio 2012 - il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che "In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa" - risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l'incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto a effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, il quale non prevale sul D.M. n. 140/2012, per ragioni non di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché non è il D.M. n. 140/2012 - evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l'intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) - a prevalere, ma il D.M. n. 55/2014, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda civile, n. 32576 del 17 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb


La Corte di Cassazione ribadisce che in tema di notificazione con modalità telematica l'art. 16 septies del d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 221 del 2012, si interpreta nel senso che la notificazione richiesta, con rilascio della ricevuta di accettazione dopo le ore 21:00, ai sensi dell'art. 3 bis, comma 3, legge n. 53 del 1994, si perfeziona alle ore 7:00 del giorno successivo, secondo la chiara disposizione normativa, intesa a tutelare il diritto di difesa del destinatario della notifica senza condizionare irragionevolmente quello del mittente; ne consegue che la notifica del ricorso per cassazione che reca un orario successivo alle ore 21:00 del giorno di scadenza del termine per l'impugnazione, deve ritenersi tardiva.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezioni Sesta civile, n. 32762 del 19 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.



Il TAR Milano, con riguardo alla legitimatio ad causam dell’ente collettivo, chiarisce che interesse tutelato con l’azione proposta deve essere comune a tutti gli associati, non potendosi esperire domande volte a tutelare posizioni soggettive solo di una parte degli stessi, in modo che non siano configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 8 del 4 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che le previsioni riguardanti la rete verde di ricomposizione paesaggistica, come pure quelle relative agli ambiti agricoli di interesse strategico, possiedono una efficacia prescrittiva e prevalente, in quanto appaiono certamente riconducibili al novero delle “previsioni in materia di tutela dei beni ambientali e paesaggistici in attuazione dell’articolo 77” e delle previsioni di cui all’art. 15, comma 4, come stabilito dalle lett. a) e c) dell’art. 18, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005, con la conseguenza che il P.T.C.P. con tali prescrizioni prevale immediatamente sugli strumenti pianificatori comunali; d'altra parte, il riconoscimento in sede di predisposizione del P.T.C.P. della possibilità di dettare siffatte previsioni appare del tutto rispondente alle finalità stesse dello strumento di pianificazione provinciale, cui l’art. 15 della legge regionale n. 12 del 2005 attribuisce un ruolo di rilievo in tema di conservazione dei valori ambientali, paesaggistici e agricoli; l’immediata precettività di tali previsioni determina, all’atto della loro approvazione in seno al P.T.C.P., una immediata lesività in capo ai proprietari delle aree inserite in tali ambiti che devono gravare tempestivamente lo strumento pianificatorio provinciale, visto che a livello urbanistico comunale non è consentito discostarsi da tali previsioni sovraordinate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 37 del 8 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia Ue statuisce, in materia di accordi quadro tra amministrazioni aggiudicatrici, che:
L’articolo 1, paragrafo 5, e l’articolo 32, paragrafo 2, quarto comma, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nei seguenti termini:
– un’amministrazione aggiudicatrice può agire per sé stessa e per altre amministrazioni aggiudicatrici, chiaramente individuate, che non siano direttamente parti di un accordo quadro, purché i requisiti di pubblicità e di certezza del diritto e, pertanto, di trasparenza siano rispettati, e
– è escluso che le amministrazioni aggiudicatrici che non siano firmatarie di tale accordo quadro non determinino la quantità delle prestazioni che potranno essere richieste all’atto della conclusione da parte loro degli accordi che gli danno esecuzione o che la determinino mediante riferimento al loro ordinario fabbisogno, pena violare i principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici interessati alla conclusione di tale accordo quadro”.

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Ottava Sezione, del 19 dicembre 2018 (causa C-216/17) è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Si segna che il giorno 25 febbraio 2019, dalle ore 14:30, a Triuggio (MB), presso la sala assembleare del Comune di Triuggio, si terrà il Seminario “DEONTOLOGIA FORENSE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”, organizzato dalla Camera Amministrativa di Monza e Brianza, con il patrocinio dell’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti – UNAA, dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici - UNAEP e del Comune di Triuggio.

La partecipazione al seminario comporta l’attribuzione di 3 crediti formativi per gli avvocati.

Le modalità di iscrizione sono contenute nella locandina.

Locandina


Il TAR Brescia chiarisce che in base all'art. 2, comma 4, della L.R. 12 del 2005, il piano territoriale regionale e i piani territoriali di coordinamento provinciale hanno efficacia di orientamento, indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi stessa legge regionale, abbiano efficacia prevalente e vincolante; questa disposizione ha profondamente innovato l'impostazione propria della legge n. 1150/1942 che prevedeva un sistema fondato sul principio gerarchico: lo strumento posto sul gradino inferiore della scala doveva attenersi rigidamente alle previsioni dei piani collocati ai livelli superiori e limitarsi a dare a questi specifica attuazione; ne consegue che i piani regionali e provinciali, collocati al livello superiore, non sono gerarchicamente sovraordinati agli altri, ma dettano una disciplina di orientamento, indirizzo e coordinamento che, se non può essere stravolta, in particolari ipotesi può venire derogata dalla disciplina puntuale dettata dallo strumento di pianificazione contenente disposizioni di maggior dettaglio.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1226 del 20 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, Quinta Sezione, rimette alla Corte di giustizia UE i seguenti quesiti interpretativi in materia di affidamenti in house:
se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’articolo 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento”.
se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’articolo 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’articolo 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate – decreto legislativo n. 175 del 2016 -) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipato”.

L’ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 138 del 7 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano è indubbio che nella scelta dell’oggetto dell’appalto, nella determinazione cioè delle prestazioni che devono essere rese dall’appaltatore, in relazione alle esigenze di pubblico interesse che il contratto deve soddisfare, la stazione appaltante goda di ampia discrezionalità; cionondimeno, la discrezionalità non può trasmodare in una ingiustificata restrizione della concorrenza; questo non significa che la stazione appaltante non possa pretendere che il prodotto della fornitura presenti determinate caratteristiche tecniche, anche a costo di ridurre grandemente la platea dei possibili offerenti; è tuttavia necessario che la decisione sia assunta all’esito di una approfondita istruttoria che enuclei i fabbisogni da soddisfare, individui le possibili soluzioni tecniche, valuti l’eventuale equipollenze tra prodotti rispetto ai risultati che si intende raggiungere; gli esiti di tale istruttoria devono poi evincersi dai documenti di gara, quale corredo motivazionale della scelta discrezionale adottata dalla stazione appaltante.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2897 del 31 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato ritiene che l’indice PA sia un pubblico elenco in via generale e, come tale, utilizzabile ancora per le notificazioni alle P.A., soprattutto se l’amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica è rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia.
Il Consiglio di Stato chiarisce che il comma 1-bis dell’art. 16-ter del D.L. n. 179 (comma aggiunto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in L. 11 agosto 2014, n. 114) ha reso applicabile alla giustizia amministrativa il comma 1 dello stesso art. 16-ter, ai sensi del quale (secondo l’attuale formulazione) ai fini della notificazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia; d’altra parte, l’amministrazione, secondo i canoni di autoresponsabilità e legittimo affidamento cui deve ispirarsi il suo leale comportamento, non può trincerarsi – a fronte di un suo inadempimento – dietro il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne benefici in termini processuali, così impedendo di fatto alla controparte di effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 7026 del 12 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che in caso di contrasto tra le indicazioni grafiche e prescrizioni normative degli strumenti urbanistici sono le seconde a prevalere, in quanto in sede d'interpretazione degli strumenti urbanistici le risultanze grafiche possono chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo, ma non sovrapporsi o negare quanto risulta da questo; ne consegue che, di fronte al chiaro contenuto della parte normativa del piano, derivante dall’accoglimento di una osservazione, è la parte grafica del piano che dev’essere modificata e non il contrario.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2814 del 18 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato enuncia i seguenti principi in materia di esame di abilitazione all'esercizio delle professioni forensi:
«a) l’art. 47 della legge 31.12.2012 n. 247 non è ricompreso nel differimento previsto dal successivo art. 49 della legge medesima: esso è pertanto immediatamente operativo e da ciò discende che questa è ratione temporis la disposizione applicabile in materia di nomina e composizione della sottocommissione d’esame;
b) il bando di esame ed il d.m. di nomina della commissione centrale e delle sottocommissioni, che hanno fatto applicazione dell’art. 47 l. n. 247/2012 (invece che della disposizione di cui all’art. 22, r.d.l. n. 1578/1933), sono immuni da qualsivoglia vizio in tal senso;
c) dalla immediata applicazione dell’art. 47 della legge n. 247/2012 discende che è venuto meno il principio c.d. di fungibilità dei componenti delle commissioni giudicatrici degli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni forensi in passato applicabile ex art. 22 comma V del r.d.l. n. 1578/1933;
d) è viziato l’operato delle sottocommissioni di esame che procedano alla elaborazione dei subcriteri, alla correzione degli elaborati scritti, ed alla celebrazione dell’esame orale in assenza di commissari appartenenti a ciascuna delle categorie professionali indicate sub art. 47 della legge n. 247/2012».

L'ordinanza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 18 del 14 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia precisa che nel caso in cui l’incremento volumetrico realizzato prescindendo dalla dovuta autorizzazione paesaggistica si rivela di modesta entità l’esigenza di tutela dell’interesse pubblico deve trovare attento e rigoroso bilanciamento con l’applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1167 del 6 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.




Il TAR Milano ritiene inammissibile il ricorso diretto a ottenere una pronuncia di accertamento rispetto a una posizione di interesse legittimo; il TAR, pur dando atto che il tema della tutelabilità degli interessi legittimi attraverso lo strumento delle pronunce di mero accertamento sia allo stato discusso in dottrina e giurisprudenza, ritiene, in assenza di una norma primaria positiva, ancora oggi preferibile l’orientamento tradizionale che esclude un’azione generale e atipica di accertamento se la posizione per la quale si agisce sia quella di interesse legittimo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2904 del 31 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2735 del 5 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato ritiene che l’espressione “presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione” di cui all’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 ricomprenda non solamente l’ipotesi del falso “commissivo” tradizionalmente inteso, ma pure quella del falso c.d. “omissivo”, laddove la mancata dichiarazione, in virtù della consapevolezza dell’omissione da parte del soggetto tenuto a renderla, sia idonea ad indurre in errore la stazione appaltante circa il possesso, da parte del dichiarante medesimo, dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, del medesimo decreto o, comunque, a precluderle una rappresentazione genuina e completa della realtà; una tale omissione, infatti, comporta la non corrispondenza al vero della dichiarazione resa dalla concorrente e, pertanto, un’ipotesi di dichiarazione/documentazione non veritiera sulle condizioni rilevanti per la partecipazione alla gara.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 7271 del 27 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi; in particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco, e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione; ricorre invece l’atto meramente confermativo quando la Pubblica Amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2874 del 27 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, la previsione di cui all’art. 5, comma 5, della L.R. n. 31 del 2014 (nel testo vigente all'epoca dei fatti oggetto di scrutinio da parte del giudice) - ai sensi del quale “la validità dei documenti comunali di piano, la cui scadenza intercorra prima dell'adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2, è prorogata di dodici mesi successivi al citato adeguamento” - non trova applicazione nel caso di documenti di piano scaduti prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 31 del 2014 e non preclude ai Comuni, i cui documenti di piano risultino già scaduti alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 31 del 2014, di procedere all’adozione del P.G.T.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2712 del 3 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo; si veda in argomento anche la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, 18 dicembre 2018 n. 2812 e la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 734 del 15 marzo 2018 di cui al precedente post.

Si segnala che l’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014 è stato modificato dapprima  dall'art. 1 della legge regionale 26 maggio 2017 n. 16 e successivamente dall'art. 26 della legge regionale 4 dicembre 2018 n. 17.