La Corte di Cassazione chiarisce che il D.M. n. 140 emanato il 20 luglio 2012 - il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che "In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa" - risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l'incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto a effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, il quale non prevale sul D.M. n. 140/2012, per ragioni non di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché non è il D.M. n. 140/2012 - evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l'intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) - a prevalere, ma il D.M. n. 55/2014, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda civile, n. 32576 del 17 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb