Il TAR Milano chiarisce che non può affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente d.lgs. 50/2016; in particolare, non ne suffraga la tesi il riferimento al comma 3 dell’art. 5 bis del d.lgs n. 33/2013, secondo cui l’accesso civico è escluso «nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990»; invero, tali condizioni, modalità o limiti devono in generale essere correlati sia al principio generale di trasparenza, quale affermato all’art. 1 dello stesso d.lgs. 50/2016, sia al fatto che essi sono coordinati, nell’ambito della stessa previsione a divieti d’accesso, e non a restrizioni di minor rilievo; ora, la disciplina dell’accesso agli atti in materia di appalti si rinviene nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, il quale però al primo comma richiama espressamente la legge n. 241/1990, salvo introdurre nei commi successivi una serie di prescrizioni riguardanti invero essenzialmente il differimento dell’accesso in corso di gara, senza quindi che possa sostenersi che si configuri una speciale disciplina, realmente derogatoria di quella di ordine generale della legge 241/1990 e tale da escludere definitivamente l’accesso civico: questo potrà essere in subiecta materia temporalmente vietato, negli stessi limiti in cui ciò avviene per i partecipanti alla gara, e dunque fino a che questa non sarà terminata, ma non escluso definitivamente, se non per quanto stabilito da altre disposizioni, e così, prima di tutte, dalla chiara previsione dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 45 del 11 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.