Il TAR Milano, modificando il precedente orientamento (Sezione Prima, n. 1223 del 7 maggio 2018 e n. 1589 del 26 giugno 2018), afferma che la questione dell’onere di indicazione in sede di offerta dei costi della manodopera (così come di quelli aziendali concernenti la sicurezza sul lavoro) sia stata disciplinata e risolta dal novellato disposto normativo dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. 50/2016 e conseguentemente la mancata separata indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera determina un’irregolarità non sanabile mediante il ricorso al soccorso istruttorio oggi disciplinato dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. 50 del 2016, atteso che tale istituto ammette l’esercizio della facoltà di integrazione da parte dei concorrenti solo in relazione alle carenze di elementi formali della domanda, mentre, nella specie, viene in rilievo la carenza di un elemento sostanziale, perché attinente al contenuto dell’offerta economica; pertanto, una volta accertato che tale obbligo di indicazione è stato chiaramente sancito dalla legge, la sua violazione determina conseguenze escludenti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1855 del 27 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in materia di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, precisa che l'art. 1 della legge regionale Lombardia n. 15 del 1996, poi trasfuso nell'art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005, che ne prevede la possibilità, ha quale presupposto che la trasformazione avvenga in ordine ad un volume già esistente e che abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da poter essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità; solo a queste condizioni il "recupero", che la legge regionale classifica come "ristrutturazione" (art. 3 comma 2), è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall'art. 31 della legge n. 457 del 1978 (oggi, art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001), la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente l'intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1858 del 27 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si segnala che dal 12 al 14 settembre 2018 l’Università degli Studi dell’Insubria, Sede di Como, ospiterà il Convegno Internazionale di European Environmental Law Forum: “6th EELF Annual Conference - Environmental loss & damage: attribution, liability, compensation and restoration”.

Tutte le informazioni sono reperibili al seguente link.


Si segnala il convegno "Verso leggi urbanistiche regionali di quarta generazione", organizzato dall’Associazione italiana di diritto urbanistico e dall'Università degli Studi dell'Insubria, che si terrà  a Varese, Villa Panza, il 28 e 29 settembre 2018.
L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Varese e dall’Ordine degli Architetti di Varese.



Il TAR Brescia precisa che la realizzazione di edifici commerciali richiede il reperimento di aree a standard in misura adeguata alla nuova destinazione d’uso e, in base all’art. 51, commi 2 e 4, della L.R. n. 12/2005, è necessaria una quantità di aree pari alla sola differenza tra la destinazione originaria e quella sopravvenuta; le aree a standard già cedute in base a precedenti operazioni edilizie si consolidano e sono, quindi, computabili nel nuovo livello di standard richiesto, una volta che la s.l.p. insediata sia riconvertita nella nuova destinazione d’uso.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 753 del 18 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, dal vigente quadro normativo si desume che l’ANAC irroga le misure di iscrizione sul casellario dinanzi a comportamenti (nel caso specifico omesse dichiarazioni) in considerazione della gravità e della rilevanza dei fatti che hanno distinto la falsa dichiarazione, ma non può limitarsi ad adottare tali misure comunque in tutti i casi di omissioni quasi in via automatica, indipendentemente da un apprezzamento in concreto in riferimento a quelle finalità; tutto questo, infatti, si deve svolgere nel rispetto della ratio istitutiva dell’ANAC, che è di interesse generale e non può essere parametrata sui compiti delle stazioni appaltanti, le quali curano l’interesse alla provvista del singolo contratto; questo implica che l’irrogazione della misura ad effetto generale in questione vada concretamente apprezzata e motivata in relazione alle inosservanze e al loro intrinseco, e non solo formale, rilievo, sicché vi si deve dar corso solo se ragionatamente si individua una relazione con l’effetto interdittivo nella gravità e rilevanza dei fatti in rapporto all’omissione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4427 del 23 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che la disciplina contenuta nell’articolo 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001, dedicato al “Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”, non è applicabile in Lombardia, dovendo reputarsi operante esclusivamente la disciplina della destinazione d’uso specificamente dettata dall’articolo 51 della legge regionale n. 12 del 2005.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1765 del 19 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in ordine ai criteri di verifica della tempestività del ricorso con particolare riguardo all'impugnazione di un permesso di costruire, aderisce all’orientamento secondo il quale l’inizio dei lavori segna il dies a quo della tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti l'an della edificazione (cioè laddove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull'area), mentre laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) il dies a quo va fatto coincidere con il completamento dei lavori ovvero con il grado di sviluppo degli stessi, ove renda palese l'esatta dimensione, consistenza, finalità, dell'erigendo manufatto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l'eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1747 del 18 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che sebbene l’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006 indichi il termine di sessanta giorni dal momento in cui diviene definitiva l'aggiudicazione per la stipula del contratto, tale termine non ha natura perentoria, né alla sua inosservanza può farsi risalire un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della pubblica amministrazione; le conseguenze che derivano in via diretta dall’inutile decorso del detto termine sono: da un lato, la facoltà dell’aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto, dall’altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, la realizzazione di un cambio d’uso urbanisticamente rilevante mediante la trasformazione di un vano scala in un ufficio con conseguente aumento di superficie (nella fattispecie pari a circa 19 mq) non può essere ricompreso nella nozione di “restauro e risanamento conservativo”,  di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), del DPR 380/2001 e all’art. 27, comma 1, lettera c), della legge regionale lombarda 12/2005, tenuto conto che il restauro presuppone in ogni caso la sostanziale conservazione e il rispetto degli elementi costitutivi dell’organismo edilizio e della originaria destinazione d’uso, senza creazione di un “quid novi”.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1658 del 6 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano osserva che i termini previsti nel procedimento di verifica dell’anomalia, ai sensi del d.lgs. n. 163 del 2006, non sono normativamente qualificati come perentori, né tale qualifica può essere desunta, in via di interpretazione, dalle finalità del sub-procedimento, il quale è teso ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto, senza che nello stesso possa essere ravvisata una finalità sanzionatoria o di ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica; ed è irrilevante che nel corso della procedura l’amministrazione abbia qualificato come inderogabili i termini previsti dalla legge per lo svolgimento della procedura di anomalia, in quanto il carattere perentorio o meno del termine non è rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, ma dipende dal contenuto della disciplina normativa che lo prevede.
Aggiunge il TAR Milano che, con riferimento al tema della quantificazione dell’utile, non esiste una soglia astratta di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, sicché solo un utile previsto pari a zero o prossimo allo zero si pone di per sé come indice di anomalia dell’offerta; insomma, nelle gare pubbliche di appalto, ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale complessiva, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, perché l’utilità ricavabile dall’aggiudicazione e dall’esecuzione di un appalto pubblico non si riduce al solo utile economico.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1635 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’espressione dell’abusivo esercizio di un potere è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium; la situazione ora descritta è da rinvenirsi, per il TAR Milano, nell’ipotesi in cui il ricorrente, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, anche alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di addivenire alla stipulazione di un contratto d’appalto, nonostante la scadenza del termine di 60 giorni di cui all’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006, abbia utilizzato strumentalmente il potere di recesso, venendo contra factum proprium e cercando, in tal modo, di celare la propria sopravvenuta incapacità di procedere nell’esecuzione del rapporto, in ragione della messa in liquidazione volontaria, circostanza verificatasi tre mesi prima dell’esercizio del recesso e mai comunicata all’amministrazione, in violazione, quanto meno, del canone di correttezza e di lealtà, che informa il dovere di buona fede.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato afferma che la sottoscrizione dell’atto con firma digitale del difensore con il sistema CAdES (che si caratterizza per un’estensione *pdf.p7m) e non con il formato PAdES- Bes (che si caratterizza per un’estensione *pdf) non può essere inquadrabile tra le cause di nullità dell’atto, né dà luogo a mancanza di sottoscrizione, ma costituisce una mera irregolarità sanabile previa concessione alla parte di un apposito termine.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4193 del 9 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato dà continuità, anche nella vigenza dell’art. 77 d.lgs. n. 50 del 2016, all’orientamento maturato in relazione all’art. 84 d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione al quale la prevalente giurisprudenza ritiene la regola alla cui stregua la Commissione di gara deve essere costituita da un numero dispari di commissari non espressione di un principio generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4143 del 6 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano accoglie una censura dove si lamenta il difetto di attribuzione e l’incompetenza della Regione ad adottare un atto contenente linee guida e norme tecniche di dettaglio per l’attività di miscelazione dei rifiuti, in asserita attuazione dell’art. 187 del d.lgs. 152/2006; secondo il TAR Milano il vigente sistema legislativo assegna allo Stato, per garantire ovvie esigenze di uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, il potere di fissare norme tecniche generali per la gestione di rifiuti (e quindi anche per l’aspetto della loro eventuale miscelazione prima del trattamento), mentre tale prerogativa non è riconosciuta alle Regioni, che possono semmai intervenire dopo l’adozione della disciplina statale (nella fattispecie la delibera regionale annullata contiene, secondo quanto messo in risalto dal TAR Milano, precise norme tecniche di dettaglio sull’attività di miscelazione aventi un carattere innovativo e integrativo della disciplina dell’art. 187 del d.lgs. 152/2006 e redatte con l'intento di “uniformare i criteri con cui vengono autorizzate le operazioni di miscelazione”, ma la fissazione di criteri tecnici uniformi per la gestione spetta allo Stato, secondo l’art. 195 del d.lgs. 152/2006).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1569 del 22 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 164 del 17 luglio 2018 è pubblicata la delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 3 giugno 2018 di approvazione del regolamento sull'esercizio dei poteri di cui all'articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e successive modificazioni e integrazioni.


Secondo il Consiglio di Stato, ogni eccezione al principio della soccombenza, ancorché non riconducibile alle fattispecie tipiche indicate dal legislatore, può trovare ingresso sempreché adeguatamente esternata in motivazione, in modo tale da rendere comprensibile l’iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità) su cui essa si fonda, e purché impostata su argomentazioni coerenti con quanto previsto dall’articolo 26 del c.p.a. che reca un esplicito rinvio alle disposizioni del codice di rito e, segnatamente, agli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, per la definizione del regime delle spese processuali.
Aggiunge il Consiglio di Stato che la rivalutazione della regolamentazione delle spese di lite relative alla fase cautelare, ai sensi dell’art. 57 c.p.a., non è condizionata ad una specifica istanza di parte, sicché anche sotto questo profilo nulla osta a che il giudice di primo grado, alla luce delle ragioni di merito definitivamente appurate all’esito della trattazione, riconsideri la complessiva regolamentazione delle spese di lite, anche al fine di renderla coerente con il parametro di “equità” conclusivamente prescelto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4275 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato aderisce all’orientamento giurisprudenziale di prime cure (TAR Puglia – Bari, sez. I, 4 giugno 2013, n. 899), secondo cui dal tenore letterale del comma 2 dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 si può ricavare un principio di rigorosa tassatività delle regole privatistiche applicabili agli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 (e cioè unicamente quelle richiamate dal menzionato comma 2: ossia i principi in materia di obbligazioni e contratti di cui al libro IV del codice civile, peraltro con il duplice limite della compatibilità e dell'inesistenza di una disciplina speciale difforme); il citato comma 2, inoltre, non richiama direttamente le disposizioni del Libro IV del codice civile, ma unicamente i principi: ne consegue che la disciplina privatistica contenuta in leggi speciali, ivi compresa la legge fallimentare e in particolare l'art. 72 del r.d. n. 267 del 1942, non è applicabile agli accordi amministrativi (nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato si trattava di una convenzione urbanistica).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4251 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano fa il punto sullo stato della giurisprudenza in ordine all’applicazione del meccanismo sostitutivo contemplato dall’art. 38 D.P.R. n. 380/2001, in virtù del quale, in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la riduzione in pristino, si applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o di loro parti abusivamente eseguite; giurisprudenza che, precisa il TAR Milano, consegna un quadro caratterizzato dalla limitazione della possibilità d’utilizzare lo strumento della fiscalizzazione o monetizzazione degli abusi edilizi ai soli vizi formali e procedurali del titolo abilitativo annullato, e non a quelli sostanziali; all’interno di tale distinzione, si registra, poi, una posizione meno rigorosa, aperta all’operatività dello strumento in parola anche all’ipotesi di vizi sostanziali, ma comunque ristretta, nell’ambito dei vizi sostanziali, ai soli vizi emendabili, con esclusione di quelli inemendabili.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1640 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Brescia, in sede di rilascio dell'autorizzazione di un impianto alimentato da fonti rinnovabili, l’applicazione di una misura di compensazione ambientale e territoriale non può prescindere dall'esistenza di concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture a elevato impatto territoriale, al che accede che non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull'ambiente.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 536 del 4 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di giustizia UE, con riguardo al momento in cui fornire la prova dell’equivalenza dei prodotti offerti in un appalto pubblico rispetto a quelli definiti nelle specifiche tecniche, ha statuito il seguente principio:
L’articolo 34, paragrafo 8, della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, deve essere interpretato nel senso che, quando le specifiche tecniche che figurano nei documenti dell’appalto fanno riferimento a un marchio, a un’origine o a una produzione specifica, l’ente aggiudicatore deve esigere che l’offerente fornisca, già nella sua offerta, la prova dell’equivalenza dei prodotti che propone rispetto a quelli definiti nelle citate specifiche tecniche”.

La sentenza della Quarta Sezione del 12 luglio 2018 (causa C-14/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che il divieto di commistione fra offerta tecnica ed economica deve essere valutato in concreto, alla luce anche dei principi di proporzionalità ed economicità dell’azione amministrativa, per cui non può ritenersi vietato in senso assoluto l’inserimento nell’offerta tecnica di elementi di carattere economico; il divieto citato può reputarsi violato qualora dalla lettura dell’offerta tecnica la stazione appaltante possa agevolmente desumere il contenuto dell’offerta economica, considerato che la “ratio” del principio di cui sopra è quello di mantenere la segretezza dell’offerta economica prima dell’attribuzione del punteggio tecnico.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1649 del 4 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che anche in caso di detenzione legittimamente concessa dal proprietario a terzi, per l’esclusione del proprietario dalla responsabilità nell’abuso edilizio effettuato da terzi, prescindendo dall’effettivo riacquisto della materiale disponibilità del bene, si ritiene necessario un comportamento attivo, da estrinsecarsi in diffide o in altre iniziative di carattere ultimativo nei confronti del conduttore; occorre cioè che il proprietario si sia adoperato, una volta venutone a conoscenza, per la cessazione dell’abuso, al fine di evitare l’applicazione di una norma che, in caso di omessa demolizione dell’abuso, prevede che l’opera abusivamente costruita e la relativa area di sedime siano, di diritto, acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune, non bastando invece a tal fine un comportamento meramente passivo di adesione alle iniziative comunali.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1626 del 29 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte di Cassazione, Sezione Unite, ha affermato il seguente principio di diritto in materia di notificazioni da parte dell’ufficiale giudiziario in violazione dei criteri di ripartizione territoriale
"In tema di notificazione, la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d.P.R. n. 1229 del 1959 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante la quale non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione. In particolare, la suddetta irregolarità, nascendo dalla violazione di norme di organizzazione del servizio svolto dagli ufficiali giudiziari non incide sull'idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell'ambito del processo e può, eventualmente, rilevare soltanto ai fini della responsabilità disciplinare o di altro tipo del singolo ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione".

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, n. 17533 del 4 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb .


Il TAR Milano precisa che la normativa in materia di gioco d’azzardo, con riguardo alle sue conseguenze sociali su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché al suo impatto sul territorio, non è riferibile alla competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art. 117, comma 2, lett. h), Cost., ma attiene alla tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, ciò che rientra nelle attribuzioni del Comune, ex artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 267/2000; il potere esercitato dal Sindaco nel definire gli orari di apertura delle sale da gioco non interferisce, pertanto, con quello degli organi statali preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici, atteso che la competenza di questi ultimi ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, laddove quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità locale.
Aggiunge poi il TAR Milano che la limitazione dell’esercizio ad otto ore giornaliere appare coerente con il principio di proporzionalità e la misura non preclude la prosecuzione dell’attività d’impresa connessa alla gestione dei giochi d’azzardo, ma la contiene entro limiti temporali ragionevoli e coerenti con la dimensione e la consistenza dell’interesse pubblico perseguito.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1669 del 9 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte Costituzionale afferma che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni»; ne consegue che l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 viola il principio fondamentale, espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, perché, attraverso gli atti regolamentari e d’indirizzo, i Comuni della Regione Campania, avvalendosi delle linee guida, possono eludere l’obbligo di demolire le opere abusive acquisite al proprio patrimonio.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 140 del 5 luglio 2018 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.


Secondo il TAR Milano, in tema di annullamento d’ufficio di un provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico:
- il dies a quo del termine di diciotto mesi previsto dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 non può che rinvenirsi nella data di adozione del provvedimento di aggiudicazione; perché, a tacer d’altro, è questo provvedimento che, da un canto, conclude la procedura di gara e cristallizza la posizione della impresa vincitrice e, dall’altro, costituisce la manifestazione di volontà autoritativa su cui solo può incidere la potestà di annullamento in autotutela (che non può certo intervenire sull’atto di autonomia negoziale di cui è espressione il contratto successivamente stipulato);
 - quanto al dies ad quem, non può darsi rilievo al momento in cui si è iniziato il procedimento di riesame ex art. 21 nonies legge 241/90 con la comunicazione di avvio ex art. 7 legge 241/90, atteso che la dictio letterale della norma individua inequivocabilmente il dies ad quem del citato termine nel momento in cui l’atto illegittimo è “annullato d’ufficio”.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1637 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che nella compensazione urbanistica, a differenza della perequazione, l’attribuzione dei diritti edificatori è un’obbligazione alternativa al pagamento dell’indennizzo previsto dal DPR 327/01 per il caso di espropriazione delle aree ed eventualmente di quello dovuto per la reiterazione del vincolo pre-espropriativo; a ciò si aggiunge che, mentre nella perequazione urbanistica l’area di decollo della volumetria è qualificata come edificabile e produce una volumetria da realizzare in un’altra area e l’atterraggio è garantito dall’art. 11, comma 2, della L.R. 12/05 con l’inversione degli indici, analoga previsione non sussiste per la compensazione urbanistica, in quanto il fondo di decollo non produce volumetria, essendo gravato da vincolo preordinato all’esproprio, e di conseguenza la volumetria di atterraggio si deve confrontare esclusivamente con l’indennità di esproprio.
Dall’alternatività tra volumetria compensativa e indennizzo il TAR di Milano desume che, nel caso in cui le previsioni dei diritti edificatori non garantiscano la loro monetizzazione, il proprietario può sempre decidere di non richiederli, optando per l’indennizzo previsto per legge, con la conseguenza che il suo interesse economico è comunque garantito, e che la volumetria compensativa è sindacabile non tanto per il caso in cui non sia sicuro l’atterraggio ma solo per il caso in cui sia provato che l’atterraggio sia impossibile e, di conseguenza, la previsione sia tamquam non esset.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1616 del 29 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, non è configurabile, in base al quadro normativo di riferimento complessivamente considerato, un principio che obblighi la stazione appaltante a non assumere, in generale, statuizioni incidenti su un rapporto in relazione al quale sia stato disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, poiché il rinvio, di per sé, non determina alcuna sospensione dell’esercizio degli ordinari poteri amministrativi, compresi quelli di secondo grado, espressivi della funzione di riesame in autotutela di cui è titolare l’amministrazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1634 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, la disposizione di cui l’art. 120, comma 2 bis, c.p.a non è riferibile alle ipotesi di inammissibilità che non emergono dall’esame documentale delle domande di partecipazione e delle dichiarazioni ad esse inerenti, ma che presuppongono un’attività di verifica ed eventualmente un’istruttoria che la stazione appaltante può, nell’esercizio dei poteri di cui dispone, svolgere in una fase successiva della procedura, ossia in sede di verifica dell’effettivo possesso dei requisiti solo dichiarati al momento della presentazione della domanda di partecipazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1638 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, il ricorso notificato e depositato con sottoscrizione in formato CAdES, anziché PAdES, è ammissibile e l’unica esigenza di regolarizzazione riguarda il deposito di un atto in nativo digitale sottoscritto in formato PAdES.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1626 del 29 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Sul B.U.R.L., Serie Ordinaria, n. 27 del 5 luglio 2018, è pubblicata la delibera della Giunta regionale 28 giugno 2018, n. XI/283, recante “Criteri per l’assegnazione di incentivi attraverso bando di finanziamento per la promozione dei processi di bonifica e di rigenerazione dei siti potenzialmente contaminati a favore di soggetti pubblici e privati non responsabili della contaminazione, per la caratterizzazione e la redazione di studi di fattibilità urbanistico-edilizia”.


Il TAR Milano ribadisce i seguenti principi in materia di tutela offerta al terzo nei confronti della DIA/SCIA: a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del potere inibitorio; b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima (potere inibitorio puro); c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela; d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione si pronuncia sulla sua istanza.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1617 del 29 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Per il TAR Milano, è illegittima la decisione di un comune di imporre l’esecuzione di una prestazione di facere sulla base di un disciplinare di concessione, oramai divenuto inefficace; né assume rilievo la circostanza che il soggetto destinatario dell’ordine abbia continuato negli anni ad utilizzare il bene pubblico, posto che il rapporto così instauratosi rimane di mero fatto e non origina alcun obbligo se non quello del risarcimento del danno, né determina la riviviscenza della concessione scaduta e del disciplinare che ad essa accedeva (fattispecie relativa a ordine di ripristino di una muratura d’argine di un tratto intubato di una roggia).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1574 del 22 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale - Concorsi ed esami n. 52 del 3-7-2018, è pubblicato il bando per l'ammissione al corso propedeutico all'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ai sensi dell'art. 22, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per l'anno 2018.


Il TAR Milano dichiara inammissibile un ricorso in quanto è stata depositata in atti soltanto una procura generale alle liti del legale rappresentante della società ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 40, comma 1, lett. g), c.p.a. che esige che, per il caso di ricorso sottoscritto dal solo difensore, quest’ultimo sia munito di procura speciale, non essendo evidentemente la procura generale sufficiente per l’attribuzione della rappresentanza tecnica nel processo amministrativo.
A diverse conclusioni, secondo il TAR, non può giungersi neppure richiamando la disciplina dell’art. 182, secondo comma, c.p.c., atteso che l’art. 39 c.p.a. rinvia alle norme del c.p.c. soltanto “in quanto compatibili o espressione di principi generali”, per cui l’art. 182, comma 2, c.p.c. non può essere ritenuto applicabile al processo amministrativo; tale norma, infatti, in primo luogo non è espressione di un principio generale, in quanto il processo amministrativo, a differenza di quello civile – che ammette anche il conferimento di un mandato generale alle liti – impone il conferimento del mandato speciale prima della sottoscrizione del ricorso da parte del difensore, trattandosi di processo strutturato come prevalentemente di impugnazione; inoltre, il predetto art. 182, comma 2, c.p.c. non può ritenersi compatibile con i principi propri del processo amministrativo, atteso che la previsione di un termine decadenziale per la notifica del ricorso presuppone necessariamente il previo conferimento del mandato speciale, con riferimento allo specifico atto oggetto di impugnazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1578 del 25 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

Si veda, in senso conforme, la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1091 del 26 aprile 2018 e il relativo post qui pubblicato.

Per l'applicabilità al processo amministrativo dell'art. 182, comma 2, c.p.c. si veda l’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione III, n. 979 del 2 maggio 2017 e il relativo post qui pubblicato.


Il TAR Milano respinge un ricorso contenente una domanda di accertamento della nullità di atti unilaterali aventi ad oggetto l’impegno a contribuire alla realizzazione di un’opera pubblica infrastrutturale sovracomunale (prolungamento di una linea metropolitana) che, secondo parte ricorrente, sono afferenti all’assunzione di obblighi privi di causa secondo la legge urbanistica e sulla contrattualistica pubblica.
Nel respingere il ricorso, il TAR rileva che tali atti unilaterali si inscrivono, nella fattispecie, in una sequenza procedimentale finalizzata all’attuazione di un piano particolareggiato (successivamente convenzionato) riguardante un comparto in cui la ricorrente possiede delle aree e quindi appare funzionale al perseguimento di un interesse meritevole di tutela.
Aggiunge il TAR che la causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato, e la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente (e, quindi, la liceità della causa) devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi perseguiti; pertanto, gli obiettivi perseguiti da parte ricorrente attraverso i negozi, anche unilaterali, posti in essere appaiono meritevoli di tutela anche alla luce dei superiori principi costituzionali che, pur garantendo la libertà di autodeterminazione negoziale, ne impongono lo svolgimento nel rispetto dei doveri di solidarietà sociale, non riferibili soltanto all’Amministrazione, ma anche ai consociati (artt. 41- 43 Cost.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1533 del 18 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sul B.U.R.L., Supplemento n. 27 del 3 luglio 2018, è pubblicato il regolamento regionale 29 giugno 2018 n. 7 - «Disposizioni sull’applicazione dei principi dell'invarianza idraulica ed idrologica. Modifica dell’articolo 17 del regolamento regionale 23 novembre 2017, n. 7 (Regolamento recante criteri e metodi per il rispetto del principio dell'invarianza idraulica ed idrologica ai sensi dell'articolo 58 bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 “Legge per il governo del territorio”)» che ha aggiunto all’art. 17 del regolamento regionale 23 novembre 2017 n. 7, dopo il comma 3, il seguente:
«3 bis. Il termine di cui al comma 3 è differito di 9 mesi, decorrenti dalla data di pubblicazione sul BURL del regolamento recante «Disposizioni sull’applicazione dei principi dell'invarianza idraulica ed idrologica. Modifica dell’articolo 17 del regolamento regionale 23 novembre 2017, n. 7 (Regolamento recante criteri e metodi per il rispetto del principio dell'invarianza idraulica ed idrologica ai sensi dell'articolo 58 bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio))», per le istanze di permesso di costruire o per le segnalazioni certificate di inizio attività o per le comunicazioni di inizio lavori asseverate, presentate tra la scadenza del termine di cui al comma 3 ed entro il termine di 9 mesi di cui al presente comma, relative agli interventi di cui all’articolo 3, comma 2, lettera a), limitatamente ai soli ampliamenti, nonché agli interventi di cui all’articolo 3, comma 2, lettere b) e c).».



Il TAR Milano precisa che la possibilità, per il Consiglio comunale, di raggruppare e decidere congiuntamente con un’unica votazione, per ragioni di economia procedimentale, più osservazioni formulate avverso un piano urbanistico, deve essere circoscritta alle sole osservazioni “omogenee”, cioè a quelle con contenuto sostanzialmente identico o quantomeno similare, attinenti ad una stessa previsione urbanistica e che, nel loro complesso, il Consiglio comunale ritenga di dover respingere o accogliere “in blocco” con un’identica motivazione, e ciò anche al fine di evitare una disparità di trattamento (nel caso in questione il TAR ha ritenuto legittimo l’operato del Comune, stante il fatto che il gruppo nel quale erano state inserite le osservazioni della ricorrente raccoglieva le parti del piano interessate da previsioni viabilistiche regionali, e ciò corrispondeva ai problemi urbanistici delle aree della ricorrente, che attenevano all’interferenza di una tangenziale di competenza regionale).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1623 del 29 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, in presenza di clausole di un bando o di un disciplinare ambigue o contraddittorie, deve essere privilegiata l'interpretazione favorevole all'ammissione alla gara invece che quella che tenda all'esclusione di un concorrente, in ossequio al canone del favor partecipationis che sottende anche l'interesse pubblico al massimo dispiegarsi del confronto concorrenziale, inteso all'individuazione dell'offerta maggiormente vantaggiosa e conveniente per l'amministrazione appaltante, dovendo in difetto affermarsi l'illegittimità dell'esclusione dalla gara pronunciata in applicazione di disposizioni di lex specialis che, sebbene corredate dell'espressa comminatoria di esclusione, evidenziano tratti di ambiguità, incertezza o contraddittorietà.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1573 del 22 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che l’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 va interpretato nel senso che il superamento del termine di diciotto mesi, entro il quale il provvedimento illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;
b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione e imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa finalizzata alla rimozione del provvedimento – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 3940 del 27 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che in caso di sospensione c.d. “impropria” - che trova ingresso nel processo amministrativo allorquando sia pendente avanti alla Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale di una norma, applicabile al giudizio sospeso, ma sollevata in una diversa causa - il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso:
- è quello sancito dall’art. 80, comma 1, c.p.a. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo, vale a dire 90 giorni, ovvero, nel caso di dimidiazione dei termini 45 giorni (artt. 119 e 120 c.p.a.);
- decorre dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte costituzionale che definisce l’incidente di costituzionalità posto a fondamento del provvedimento di sospensione “impropria” e non già dalla notificazione operata dal soggetto interessato alle controparti a fini sollecitatori, in quanto tale meccanismo, rimesso alla mera volontà delle parti, colliderebbe con il principio di ragionevole durata del processo, essendo suscettibile di provocare una quiescenza sine die del processo.
Aggiunge il TAR che l’applicazione dei principi elaborati in tema di sospensione “impropria” in pendenza di questioni di costituzionalità, va estesa, in via analogica e per ragioni di ordine sistematico, anche all'ipotesi di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE operato in giudizio pendente tra altre parti; in questo caso il dies a quo di tale termine è da rinvenire nella data di pubblicazione del dispositivo della decisione della CGUE, ai sensi dell’art. 92 del regolamento di procedura della Corte di giustizia, sistema di pubblicità legale equiparabile a quello contemplato per le pronunzie della Corte costituzionale (pubblicate all’interno della Gazzetta Ufficiale), idoneo a garantire la conoscenza/conoscibilità generale delle sorti del giudizio di rimessione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1589 del 26 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.