Il Consiglio di Stato precisa che l’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 va interpretato nel senso che il superamento del termine di diciotto mesi, entro il quale il provvedimento illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;
b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione e imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa finalizzata alla rimozione del provvedimento – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 3940 del 27 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.