Secondo il Consiglio di Stato, ogni eccezione al principio della soccombenza, ancorché non riconducibile alle fattispecie tipiche indicate dal legislatore, può trovare ingresso sempreché adeguatamente esternata in motivazione, in modo tale da rendere comprensibile l’iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità) su cui essa si fonda, e purché impostata su argomentazioni coerenti con quanto previsto dall’articolo 26 del c.p.a. che reca un esplicito rinvio alle disposizioni del codice di rito e, segnatamente, agli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, per la definizione del regime delle spese processuali.
Aggiunge il Consiglio di Stato che la rivalutazione della regolamentazione delle spese di lite relative alla fase cautelare, ai sensi dell’art. 57 c.p.a., non è condizionata ad una specifica istanza di parte, sicché anche sotto questo profilo nulla osta a che il giudice di primo grado, alla luce delle ragioni di merito definitivamente appurate all’esito della trattazione, riconsideri la complessiva regolamentazione delle spese di lite, anche al fine di renderla coerente con il parametro di “equità” conclusivamente prescelto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4275 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.