Precisa il TAR Milano che l’azione per l’ottemperanza del giudicato di cui agli articoli 112 e seguenti del c.p.a. non può essere promossa per l’esecuzione di sentenze che hanno interamente rigettato la pretesa di parte attrice; infatti, le sentenze di rigetto hanno il carattere di sentenze di mero accertamento, sicché ciò che rileva non è l’esecuzione della sentenza, quanto piuttosto del provvedimento la cui legittimità è stata confermata davanti al giudice amministrativo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 464 del 25 febbraio 2022.
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Il TAR Brescia precisa che quando l'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all'osservanza di quelle prescrizioni. Si tratta di una garanzia che, nelle procedure di gara, è finalizzata alla par condicio tra concorrenti perché permette agli stessi di <<conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite>> mettendo, così, <<in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti>> (Consiglio di Stato sez. III, 20.04.2021, n.3180). Ne consegue che gli eventuali vantaggi che un’amministrazione potrebbe ricavare da un’offerta non possono essere disgiunti dal necessario rispetto della par condicio tra gli operatori e dalle preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti che impongono, quindi, di interpretare le clausole del bando di gara in modo da evitare che una loro lettura distorta mini alla radice il menzionato principio fondamentale (ex multis Consiglio di Stato sez. III, 20.04.2021, n.3180).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 52 del 19 gennaio 2022.
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Il TAR Milano precisa che non è ammessa l’individuazione di un’area (singola) ove collocare gli impianti di telecomunicazioni in base al perseguimento di interessi di tipo urbanistico esclusivamente locali, costituendo ciò un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito); a ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’Amministrazione comunale di identificare le zone dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio (Consiglio di Stato, VI, 7 gennaio 2021, n. 206; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, II, 13 maggio 2021, n. 1193).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 310 del 9 febbraio 2022.
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Il TAR Milano accoglie un ricorso della Città metropolitana e annulla il PGT di un Comune nella parte in cui non si è conformato al PTCP nella definizione delle aree agricole strategiche.
Il TAR osserva al riguardo che
<<la disposizione di cui all'art. 15, comma 4, della L.R. n. 12/2005, come modificata dalla L.R. n. 4/2008, esordisce affermando che "Il PTCP, acquisite le proposte dei comuni, definisce ... gli ambiti destinati all'attività agricola di interesse strategico".
Dalla chiara formulazione della norma si evince, da un lato, che la definizione degli ambiti in questione spetta al PTCP, del quale costituisce contenuto obbligatorio, dall'altro lato che alla scelta sono chiamati a concorrere i Comuni, in ragione della loro competenza primaria, espressamente riconosciuta dall'art. 118 della Costituzione, nell'esercizio delle funzioni amministrative, ivi comprese quelle in materia di governo del territorio. Pertanto, nella definizione ad opera della Provincia degli ambiti destinati all'attività agricola di interesse strategico, al coinvolgimento dei Comuni va assicurato un valore sostanziale, anche se le proposte dei Comuni non rivestono carattere vincolante.
3.4 Ne consegue che in fase di adozione del PTCP spetta ai Comuni solo un potere di proporre modifiche alle aree strategiche proposte dalla Provincia, facoltà di cui nel caso di specie il Comune non si è avvalso e che, se ha approvato il PGT nelle more dell’approvazione del PTCP, deve effettuare una modifica al PGT dopo l’approvazione del PTCP per conformarvisi>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 414 del 21 febbraio 2022.
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Il TAR Brescia, a fronte di un motivo con il quale si censura la mancata valutazione della c.d. alternativa zero in materia di VIA per un impianto di produzione di calcestruzzo, conglomerato bituminoso e di fresato d’asfalto con recupero di rifiuti, osserva che nel caso di valutazione di fatti omissivi, genus a cui appartiene l’alternativa zero, la valutazione non può che avvenire considerando non tanto le conseguenze della inerzia, quanto le conseguenze del fatto opposto ossia, nel caso di specie, dell’attività antropica da autorizzare, ponendo così in luce pro e contro dell’azione e, di riflesso, della non azione; analizzare le conseguenze derivanti dall’attività antropica ponendole a confronto con lo status quo ante equivale, pertanto, a prendere in considerazione l’alternativa zero.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 146 del 16 febbraio 2022.
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Il TAR Milano osserva:
<<6.3. ... come, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente i c.d. volumi tecnici sono quelli esclusivamente adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all'interno della parte abitativa. In relazione a tale ultimo aspetto la Corte di Cassazione precisa che, ai fini della nozione di «volume tecnico», assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo e funzionale, attiene al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, consistono, da un lato, nell'impraticabilità di soluzioni progettuali diverse - nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all'interno della parte abitativa - e dall'altro lato, in un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti: “da ciò consegue che rientrano nella nozione in parola solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, mentre non sono riconducibili alla stessa i locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (ad es. Cass. penale n. 7217 del 2011)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7.7.2020, n. 4358).
16.4. Anche la giurisprudenza amministrativa precisa che “si definisce volume tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio. (ad es. VI Sez. n. 175 del 2015)” (cfr., ancora, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7.7.2020, n. 4358).>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 338 del 14 febbraio 2022.
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Il TAR Milano ricorda che la segnalazione della stazione appaltante ad ANAC costituisce un atto meramente endoprocedimentale e non impugnabile, potendo l’operatore interessato indirizzare le proprie doglianze contro la definitiva determinazione di ANAC (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, n. 2997/2021, secondo cui: «…la segnalazione da parte della Stazione appaltante costituisce un atto prodromico ed endoprocedimentale; essa non è dotata di autonoma lesività, di talchè i suoi eventuali vizi possono essere fatti valere solo in via derivata impugnando il provvedimento finale dell'Autorità di Vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo…»; T.R.G.A. Trento, n. 175/2018 e TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 719/2016).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 308 del 9 febbraio 2022.
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Secondo il TAR Brescia, in materia edilizia e paesaggistica, l'esibizione del mero titolo autorizzatorio o della SCIA, senza allegazione delle relazioni tecniche e delle tavole progettuali, costituisce un vuoto simulacro, giacché il titolo abilitativo si limita a richiamare detti atti, senza l’esame dei quali risulta impossibile comprendere l’effettiva tipologia dell’intervento, la sua reale consistenza e la conformità alla normativa di settore; pertanto anche l'accesso civico generalizzato, in assenza di contro-interessi concretamente dimostrati, deve estendersi anche agli elaborati progettuali.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 136 del 14 febbraio 2022.
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Il TAR Milano affronta la questione dell’ammissibilità del permesso di costruire condizionato e osserva:
<<Secondo la tesi dei ricorrenti il titolo edilizio doveva essere rilasciato, con l’introduzione di alcune condizioni: i motivi di rigetto indicati nel preavviso ex art. 10 bis L. 241/90 potevano essere “tradotti” in prescrizioni da seguire nella fase esecutiva.
A sostegno di tale tesi, viene richiamato l’orientamento secondo cui è ammissibile inserire nel titolo edilizio, in via generale ed in mancanza di specifiche disposizioni di legge contrarie, condizioni di diversa natura, quali prescrizioni a tutela sia dell'ambiente, sia del tessuto e del decoro abitativo.
Secondo l’orientamento invocato dai ricorrenti, il Comune, ove sussistano speciali circostanze, ben può imporre prescrizioni purché esse non contrastino con la natura e la tipicità del provvedimento, non siano tali da snaturare l'atto (negandone la funzione) o impongano sacrifici ingiustificabili, sproporzionati o immotivati.
Ciò in quanto tali clausole, che esattamente sono dette "prescrizioni", semplificano la procedura, giacché senza di esse occorrerebbe respingere l'istanza del privato (spiegando i punti del progetto che devono essere rivisti), ripresentare il progetto e, poi, riapprovare il progetto emendato (in tal senso Tar Lombardia, Brescia, sez. I n. 232/2010; Tar Piemonte sez. I n. 617/2013; Tar Trento n. 204/2011 e Consiglio di Stato sez. VI, n. 6327/2018).
In tal modo viene semplificato l'iter procedimentale perché, esonerando la P.A. dal compito di rigettare l'istanza, è sufficiente indicare soltanto quei punti del progetto da rivedere in corso d'opera e così condizionarne il rilascio.
In senso opposto si colloca l’orientamento secondo cui il permesso di costruire non può essere subordinato a una condizione di efficacia: "in via di principio, e fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge, una condizione, sia essa sospensiva o risolutiva, non può essere apposta ad una concessione edilizia, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale del provvedimento; ne consegue che, a parte tali limitazioni, la concessione edilizia, una volta riscontratane la conformità alla vigente disciplina urbanistica, deve essere rilasciata dal comune senza condizioni che non siano espressamente previste da una norma di legge" (Cons. Stato, sez. V, n. 1702/2001, sez. IV, n. 1891/2014, Cons. Stato, sez. IV, n. 2366/2018 n. 2366 e (T.A.R. Napoli, sez. III, n. 4992/2020).
Nel caso in esame, secondo i ricorrenti, l’Amministrazione avrebbe potuto rilasciare il titolo edilizio, condizionando il rilascio all’esecuzione di tutte le prescrizioni indicate nel preavviso di diniego, cui gli interessati non hanno adempiuto.
Osserva tuttavia il Collegio che in alcuni casi i motivi di rigetto contengono semplici richieste di integrazioni alla documentazione presentata, che poteva essere comunque depositata anche al momento del rilascio del titolo (ad esempio la firma digitale sul progetto, ovvero la ripresentazione della copia cartacea di cortesia).
Tuttavia altre richieste, a cui i proprietari non hanno ottemperato, attengono a presupposti necessari per il rilascio del titolo richiesti dalla normativa di settore, la cui assenza preclude in radice il rilascio del titolo edilizio, atteso che l’Amministrazione ha il compito di accertare il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
E’ poi dirimente, nel caso in esame, la circostanza che sia stata rilevata la violazione delle disposizioni in materia di distanza, per cui l’Amministrazione non avrebbe potuto rilasciare il titolo “imponendo” una modifica del progetto, ovvero modificando motu proprio il progetto presentato, a fronte tra l’altro della relazione presentata dal progettista, in data …., in cui si ribadiva che la scala esterna e la copertura sul lato di via … erano conformi al P.G.T. e, pertanto, non dovevano essere modificate.
Il motivo va quindi respinto.>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 251 del 3 febbraio 2022.
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Il TAR Milano osserva che la revisione prezzi deve consistere in un rimedio temperato di riequilibrio del sinallagma funzionale, in modo da assolvere all’esigenza di assicurare continuità al rapporto contrattuale in corso di svolgimento, soprattutto nell’ottica del perseguimento del pubblico interesse, senza che si giunga ad una rideterminazione del prezzo originario del servizio o della fornitura (C.d.S., Sez. V, n. 935/2010).
Nella disciplina di diritto positivo dell’istituto non è affatto stabilito che la revisione prezzi abbia come obiettivo l’azzeramento del rischio di impresa connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi.
Al contrario, è necessario che ricorrano circostanze eccezionali e imprevedibili, la cui esistenza non può essere ricondotta ad aumenti del costo di fattori della produzione prevedibili - anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, dovendo invece a tal fine farsi riferimento ad eventi, appunto eccezionali e imprevedibili, tali da alterare significativamente le originarie previsioni contrattuali (cfr. in tal senso T.A.R. Napoli, Sez. I, n. 2306/2014; T.A.R. Milano, Sez. I, n. 435/2021). Ciò anche al fine di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca, nel corso del tempo, aumenti incontrollati tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 2052/2014; id., Sez. III, n. 1074/2015; id., Sez. V, n. 4079/2009; id., Sez. III, n. 4827/2018).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 176 del 26 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che:
<<Per costante indirizzo giurisprudenziale, le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse solo le parti ornamentali, di rifinitura ed accessori di limitata entità e i cosiddetti aggetti o sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili) che sono irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi. Non sono computabili nel calcolo della distanza fra edifici gli sporti, le parti che hanno funzione ornamentale e decorativa (ad es. le mensole, le lesene, i risalti verticali), le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, gli aggetti, gli elementi di ridotte dimensioni e gli altri manufatti di minima entità (Tar Roma, (Lazio) sez. II, n. 2763 del 5.3.2021; Consiglio di Stato sez. VI, n.521 del 18.1.2021.
Viene altresì precisato che sono rilevanti, anche in virtù del fatto che essi costituiscono "costruzione" le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, n. 6613 del 4.10.2021).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 251 del 3 febbraio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano osserva che:
<<i) il codice del processo amministrativo, pur rinviando al codice di procedura civile per la disciplina della “interruzione” (articolo 79, co. 2, c.p.a.), detta, ai sensi dell’articolo 80, comma 3, c.p.a., una regolazione completa ed autonoma del termine di riassunzione del processo interrotto, non coincidente con quella applicabile al processo civile (sull’autonomia della disciplina processuale amministrativa, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23.7.2019, n. 5188, e Consiglio di Stato, sez. V, 27.5.2014, n. 2713);
ii) in particolare, mentre in ambito amministrativo il dies a quo del termine di riassunzione viene ancorato alla “conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione” (articolo 80, co. 3, c.p.a.), in ambito civile, invece, detto termine decorre “dall’interruzione” del processo (articolo 305 c.p.c.);
iii) sebbene entrambe le disposizioni, prescindendo dal provvedimento giudiziale di dichiarazione dell’interruzione, regolino l’interruzione del giudizio come conseguenza automatica dell’evento cui l’ordinamento collega il relativo effetto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 20.11.2011, n. 6730), in ambito amministrativo, il termine di riassunzione comincia a decorrere allorquando le altre parti abbiano avuto legale conoscenza dell’evento interruttivo, acquisibile mediante la relativa dichiarazione (ovvero, la certificazione o notificazione dell’evento).
7.2.2. Pertanto, la riassunzione deve ritenersi, nel caso di specie, tempestivamente effettuata dalla parte che vi provvede entro il termine di cui all’art. 80, co. 3, c.p.a., decorrente dalla data della conoscenza legale dell’evento.
7.2.3. Per mera completezza si osserva come a non diversa conclusione si pervenga evocando le soluzioni affermate nel limitrofo settore civilistico atteso che nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l'evento della morte, radiazione o sospensione di quest'ultimo produce la automatica interruzione del giudizio, con effetto immediato, senza alcuna necessità di dichiarazione o notificazione e a prescindere dalla effettiva conoscenza che del predetto evento possano avere avuto la parte o il giudice. Il termine per la riassunzione del processo interrotto, peraltro, a seguito delle sentenze n. 139 del 1967, 178, del 1970, 159 del 1971 e 36 del 1976 della Corte costituzionale, decorre non già dal momento in cui l'evento interruttivo si verifica, ma da quello in cui la parte ne abbia conoscenza legale, e, quindi, a seguito di dichiarazione, notificazione, certificazione dell'evento ovvero lettura in udienza dell'ordinanza di interruzione, non essendo - per converso - sufficiente la conoscenza acquisita aliunde da una delle parti (Cassazione civile, Sez. II, 8.8.2019, n. 21211). Negli stessi termini può segnalarsi la recente statuizione delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione in relazione ad altra causa automatica di interruzione costituita del fallimento. Infatti, anche in tale ipotesi le Sezioni unite ritengono di far decorrere il termine di cui all’art. 305 c.p.c. dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo (pur automatico). Lo affermano all’esito di un percorso argomentativo particolarmente attento agli aspetti sistematici nonché alle esigenze di una tutela giurisdizionale effettiva, imposta anche dalla giurisprudenza della C.E.D.U. atteso che il principio di “sècuritè juridique” secondo la declinazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione tende a garantire stabilità delle situazioni giuridiche e a favorire la fiducia nella giustizia, quali elementi fondamentali di uno Stato di diritto (C.E.D.U, 29.11.2016, Paroisse greco-catholique Lupeni et autres c. Roumanie), così che il bilanciamento tra il diritto di accesso alla giustizia e la perdita della possibilità di esercizio dell'azione lascia agli Stati membri margini d'intervento (C.E.D.U., 17.1.2012, Stanev c. Bulgaria), ma evitando al contempo un eccesso di formalismo che minerebbe “l'equitè de la procedure. Del resto, l’art. 6, par. 1, della C.E.D.U. garantisce l'accesso ad un giudice per la risoluzione delle controversie e si traduce, secondo il canone di effettività, non solo nell'affermazione astratta del relativo diritto, ma nel poter conseguire “une solution juridictionnelle du litige”, altrimenti rivelandosi illusoria la previsione delle azioni senza che lo Stato si dia carico di “veiller à ce que la cause fasse l'objet d'une decision definitive à l'issue de la procedure judiciaire”, così doverosamente sostanziandosi “les garanties de procedure - equitè, publicitè et celeritè - accordees aux parties” (C.E.D.U., 1.3.2002, Kutie c. Croatie)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 319 del 10 febbraio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento a immobile appartenente al patrimonio disponibile di un Comune e quindi assoggettato alla disciplina privatistica, fra cui quella contenuta nella legge n. 392 del 1978 che regola la locazione degli immobili urbani, osserva:
<<Come noto, questa legge stabilisce, all’art. 40, commi 1 e 3, che, in caso di nuova locazione, spetta al conduttore un diritto di prelazione, diritto che si esercita offrendo al locatore condizioni uguali a quelle che quest’ultimo ha ricevuto da terzi interessati a prendere in locazione l’immobile.
Come si vede, questa disposizione non vieta al locatore di avviare trattative con terzi, ma impone soltanto allo stesso locatore di comunicare al conduttore le offerte che i terzi hanno formulato affinché quest’ultimo possa eventualmente farle proprie esercitando così il suo diritto di prelazione.
Già da questa considerazione, si ricava che l’avvio di una procedura di gara finalizzata alla locazione di un immobile in precedenza già locato non è illegittimo per violazione del ridetto art. 40 della legge n. 392 del 1978. Va infatti osservato che le procedure disciplinate dalla normativa pubblicistica seguite dall’amministrazione pubblica per selezionare i propri contraenti non sono altro, se osservate dal punto di vista privatistico, che vere e proprie trattative contrattuali (si veda in proposito la giurisprudenza sviluppatasi in materia di responsabilità precontrattuale, fra cui ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 febbraio 2014, n.790). La sussistenza di un precedente contratto di locazione non impedisce dunque l’avvio di una procedura di gara, ma obbliga soltanto l’Amministrazione, sempreché vi siano tutti i presupposti previsti dall’art. 40 della legge n. 392 del 1978, a comunicare la migliore offerta al precedente conduttore, affinché quest’ultimo, adeguandovisi, possa esercitare il diritto di prelazione. L’eventuale concreta lesione di questo diritto, inoltre, non trova rimedio nell’annullamento degli atti di gara, che non possono considerarsi illegittimi per la violazione di un obbligo privatistico facente capo all’Amministrazione, ma attraverso gli ordinari rimedi propri del diritto civile.
Omissis
Né si può ritenere che il conduttore possa far valere l’illegittimità degli atti di gara in quanto in essi non è stato inserito l’avviso che, una volta conclusa la procedura, egli ha la possibilità di esercitare il diritto di prelazione. Il mancato avviso, infatti, non lede la posizione del precedente conduttore, il quale potrà sempre esercitare il suo diritto, ma quella dei partecipanti alla gara che potrebbero essere coinvolti, qualora il diritto di prelazione venga poi effettivamente esercitato, in trattative inutili. 
E' inoltre dubbio che tale omissione costituisca causa di illegittimità, dovendosi piuttosto ritenere che essa costituisca illecito precontrattuale, con conseguente possibilità per l’aggiudicatario di chiedere il risarcimento del danno all’amministrazione. >>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 281 del 7 febbraio 2022.
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Il TAR Milano, accertato che in un PGT vi è stato un sovradimensionamento degli standard urbanistici valuta se la scelta sia supportata da una sufficiente e idonea motivazione che deve illustrare le ragioni per le quali si è deciso di prevedere una dotazione di standard superiore a quella minima fissata dalla legge, con la precisazione che comunque non si richiede una motivazione puntuale per le singole aree.
Osserva al riguardo che:
<<Negli atti di pianificazione si rinvengono obiettivi molto ambiziosi dal punto di vista della riqualificazione del territorio: il progetto del “parco urbano lineare”, in cui è inclusa anche l’area della ricorrente, con la funzione di “connessione ecologica”; il “verde da vivere”, cioè un sistema di spazi aperti, pubblici o privati, collegati da percorsi ciclopedonali; il “parco margine e il parco cintura verde”.
Si tratta di obiettivi e di progetti che esprimono una attenzione e una sensibilità all’ambiente e alla qualità della vita, ma alquanto generici, in quanto riferibili a qualsiasi contesto urbano, che di per sé non giustificano l’ampio superamento degli standard. Al di là della formula molto suggestiva “dallo standard quantitativo allo standard qualitativo” e di tutti gli obiettivi indicati, manca una specifica motivazione circa la scelta dell'aumento degli standard rispetto al limite di legge, puntualmente legata al contesto territoriale di Omissis e riferita in modo dettagliato alle caratteristiche locali.
L’obbligo di motivazione rafforzata non può essere assolto con il richiamo a slogan o a formule generiche e connotate da una certa astrattezza: non è sufficiente progettare una città ideale, prevedendo ampi parchi, zone a verde, strutture e impianti per la collettività, senza considerare il sacrificio imposto ai proprietari delle aree interessate dagli standard urbanistici e senza quindi tenere conto delle varie soluzioni possibili in ragione delle peculiarità del territorio interessato.
Nel caso in esame, dagli atti emerge che il Comune non ha esaurientemente indicato le ragioni che hanno determinato il superamento, in modo significativo, della soglia individuata a livello normativo (18 mq/abitante): dette ragioni non emergono dalla Relazione allegata al Piano dei Servizi, che – come si è visto – non offre adeguati elementi chiarificatori sulla scelta di una dotazione maggiore, limitandosi ad affermare che “… Gli spazi aperti verdi, i giardini pubblici, i parchi privati, le aree per lo sport e il tempo libero sono gli elementi che, assieme agli edifici di pregio attorno ai quali sono stati realizzati, caratterizzano la cosiddetta “Città Giardino” …” e fornendo, per il resto, indicazioni decisamente astratte e perciò riferibili ad una serie indeterminata di situazioni analoghe.
Tale modus procedendi si pone in contrasto con l'obbligo gravante sul Comune di motivare in maniera idonea e congrua in ordine alle logiche che inducono ad una dotazione di standard urbanistici decisamente superiore a quella minima fissata dalla legge, in caso contrario risultando illegittima una simile scelta.
Né l'obbligo motivazionale può ritenersi assolto con la previsione della tutela e della valorizzazione del verde pubblico attraverso la creazione di parchi o percorsi pedonali e ciclopedonali. La prospettazione delle future opere pubbliche può costituire una giustificazione per l'imposizione o la reiterazione di un vincolo espropriativo, ma non ha alcuno specifico rilievo rispetto alla scelta di aumento degli standard, che invece presupporrebbe un'approfondita analisi della necessità dei servizi, rapportata alla situazione demografica e socio-economica della popolazione locale.>>.
Il TAR ritiene quindi non giustificato nella fattispecie il sovradimensionamento degli standard.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 245 del 2 febbraio 2022.
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Il TAR Milano, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile della contaminazione di un sito, osserva:
<<2.1. Occorre premettere che, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento ambientale, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, esclude l’applicabilità di una impostazione “penalistica” (incentrata sul superamento della soglia del “ragionevole dubbio”), trovando invece applicazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento (C.d.S., Sez. IV, n. 7121/2018).
L’individuazione del responsabile, quindi, può basarsi anche su elementi indiziari (quali, a mero titolo esemplificativo, la tipica riconducibilità dell’inquinamento rilevato all’attività industriale condotta sul fondo o la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato), giacché la prova può essere data in via diretta o indiretta, potendo cioè, in quest’ultimo caso, l’Amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. (cfr., ex multis, T.A.R. Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562; T.A.R. Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202; T.A.R. Bologna, Sez. II, 29 ottobre 2020, n. 677). Laddove l’Amministrazione abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l’ascrivibilità dell’inquinamento a un soggetto, spetta a quest’ultimo l’onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un’incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare – con pari analiticità – la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell’inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 273 del 7 febbraio 2022.
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Il TAR Milano, quanto alla necessità di sottoporre alla valutazione di impatto paesistico, prevista dal PTPR della Regione Lombardia, gli impianti di telefonia mobile non inseriti in zona vincolata ex d.lgs. n. 42/2004 osserva che:
<<per tale ipotesi la giurisprudenza ha chiarito che contrasta con la disciplina del D.Lgs. n. 259/2003 l’obbligo previsto da un regolamento o da una atto di pianificazione generale che impone la valutazione di Impatto Paesistico per gli impianti di telefonia come quello di cui è causa (cfr. sul punto Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 7943/2009 di conferma della sentenza di questa Sezione n. 554/2008, secondo cui: «…il procedimento di cui all’art. 87, d.lgs. n. 259/2003, sostituisce e assorbe il procedimento abilitativo edilizio, e conseguente assorbe tutti gli elementi necessari nel suo ambito, ivi compresa l’esame di impatto paesistico. Inoltre, come già osservato, dagli artt. 86 e 87, d.lgs. n. 259/2003, si evince che sono fatti salvi solo i procedimenti a tutela di "beni ambientali", ossia di beni specificamente sottoposti a vincolo paesaggistico, e non i procedimenti genericamente volti a tutelare indifferenziatamente il paesaggio a prescindere dall’esistenza di un vincolo specifico»)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 252 del 3 febbraio 2022.
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Il TAR Milano osserva che:
<<le pronunce della Corte Costituzionale, anche se interpretative di rigetto o di inammissibilità – come nel caso di specie – pur non dando formalmente luogo ad un vincolo erga omnes (previsto dall’art. 136 della Costituzione per le sole sentenze di accoglimento), costituiscono però un autorevole precedente, soprattutto per il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, come messo più volte in evidenza dalla stessa Corte di Cassazione.
Quest’ultima, infatti, oltre ad avere escluso un proprio monopolio nell’attività di formazione del c.d. diritto vivente e nell’enunciazione di interpretazioni adeguatrici, ha espressamente riconosciuto alle pronunce della Corte Costituzionale, anche di non accoglimento, il valore di “precedente” teso ad orientare, in maniera rafforzata, l’attività interpretativa delle corti di merito (cfr. sul punto, Cassazione Civile, Sezioni Unite, 2.12.2004, n. 22601 e Cassazione Penale, Sezioni Unite, 31.3.2004, n. 23106).>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 250 del 3 febbraio 2022.
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Precisa il TAR Milano che, secondo condivisibile giurisprudenza, il diritto del proprietario di chiudere il fondo, previsto dall'art. 841 del codice civile, può essere limitato e conformato dalle norme urbanistiche allo scopo di tutelare interessi pubblici sovraordinati, in particolare di natura ambientale e paesistica; le disposizioni urbanistiche aventi contenuto limitativo sono però, a loro volta, tenute a rispettare un rapporto di stretta proporzionalità nei confronti dell'interesse pubblico tutelato (T.A.R. per la Lombardia – sede di Brescia, Sez. I, 4.3.2015). Simile principio vale anche con riferimento ai Regolamenti comunali che possono, quindi, porre delle limitazioni al diritto di cui all’art. 841 c.c. se giustificate da peculiari interessi pubblici da bilanciarsi, comunque, con quelli protetti dalla previsione codicistica che risiedono nella tutela della sicurezza e della riservatezza del proprietario (cfr., Cassazione civile, Sez. II, 13.4.2001, n. 5564; Corte appello di Potenza, sez. I, 06.07.2021, n. 448).
Sulla base di tal considerazioni, il TAR Milano ritiene illegittima una disposizione di un regolamento edilizio con la quale si prevede testualmente: “Le recinzioni prospicienti spazi pubblici devono consentire la più ampia visibilità da e verso l'esterno. Il Comune ha facoltà di accogliere o richiedere, per esigenze ambientali, di igiene, di sicurezza o di decoro, soluzioni alternative di recinzione (comprese le recinzioni non trasparenti, con muro pieno)”, in quanto le regole contenute nel regolamento precludono irragionevolmente quel necessario bilanciamento tra interessi pubblici ed esigenze del privato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 170 del 26 gennaio 2022.
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Secondo il TAR Milano, come rilevato dalla più recente giurisprudenza, sebbene il proprietario non responsabile dell’inquinamento sia tenuto, ai sensi dell’art. 245, comma 2, del D. Lgs. n. 152 del 2006, ad adottare soltanto le misure di prevenzione di cui al precedente art. 240, comma 1, lett. i, e le misure di messa in sicurezza d’emergenza e non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale, si fa eccezione nella ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile – presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie – abbia attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, assumendo spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica.
In tale caso, il progetto di bonifica dovrà essere eseguito in conformità alle misure proposte dall’istante e approvate dall’Amministrazione, come integrate dalle eventuali ulteriori prescrizioni poste dalla stessa autorità amministrativa che siano rispettose dei canoni della prevedibilità, dell’adeguatezza e della proporzionalità (Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2021, n. 5742; IV, 26 luglio 2021, n. 5542; IV, 7 settembre 2020, n. 5372; IV, 1° aprile 2020, n. 2195).
L’assunzione volontaria dell’obbligo di caratterizzazione o di bonifica da parte del proprietario interessato pertanto impone allo stesso di portare a termine tale incombenza, senza potervisi sottrarre, ma gli consente tuttavia di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (cfr. Consiglio di Stato, IV, 26 luglio 2021, n. 5542), e non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso (Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2021, n. 5742; IV, 1° aprile 2020, n. 2195).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 156 del 24 gennaio 2022.
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Secondo il TAR Milano:
<< è pacifica in giurisprudenza la natura decadenziale del termine di trenta giorni per proporre impugnazione avverso il diniego di accesso e il silenzio sulle istanze di accesso, previsto dall’art. 116 c.p.a. L’azione ad exhibendum si connota infatti quale giudizio a struttura impugnatoria che consente alla tutela giurisdizionale dell'accesso di assicurare la protezione dell'interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell'esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che sono pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa. D’altro canto la natura decadenziale del termine è coerente con il carattere accelerato del giudizio, che mal si concilierebbe con la proponibilità dell'azione nell'ordinario termine di prescrizione. Dalla natura decadenziale del termine consegue che la mancata impugnazione del diniego nel predetto termine non consente la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo (cfr. T.A.R. Firenze sez. III 28 ottobre 2013 n. 1475; T.A.R. Lazio - Roma sez. III 23 ottobre 2013 n. 9127; Cons. Stato sez. VI 4 ottobre 2013 n. 4912; Cons. Stato sez. IV 26 settembre 2013 n. 4789; Ad. Plen. nn. 6 e 7 del 2006);>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 217 del 31 gennaio 2022.
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