Il giorno 29 novembre 2019, dalle ore 8:45, presso il Salone Valente (Fondazione Forense, via Freguglia 14, 20122 Milano), si terrà il VI CONVEGNO ANNUALE organizzato dalla Società Lombarda degli Avvocati Amministrativisti, dal titolo: "Società a partecipazione pubblica e affidamenti in house – il difficile connubio tra l’attività amministrativa e il mercato concorrenziale"

Programma

Ore 8:45 Registrazione dei partecipanti e welcome coffee

Ore 9:30 Saluti
Avv. Joseph F. Brigandi - Presidenza SOLOM
dott. Antonio De Vita - TAR Lombardia - Milano
Avv. Vinicio Nardo - Presidente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano

Ore 9:50-10:30
Prof. Avv. Elisabetta Codazzi – Università della Insubria
Il fenomeno delle società in house: genesi, tendenze, ed ultimi approdi normativi e giurisprudenziali

Ore 10:30-11:00
Prof. Avv. Amedeo Valzer - Università Cattolica del Sacro Cuore
Controllo analogo e governance nelle società di providing in house

Ore 11:20-11:50
Avv. Maurizio Boifava - Consiglio Direttivo SOLOM
Focus: le società pubbliche nel settore della gestione dei rifiuti

Ore 11:50-12:20
Prof. Avv. Francesco Goisis - Università degli Studi di Milano
Il t.u. della partecipate e la relativa delega legislativa: contributo al tema della natura delle società in mano pubblica ed in house; ambito di applicazione, rapporti con le discipline di settore, principi e linee direttive

Ore 12:20 Sintesi dei lavori

Ore 13:00 Chiusura


Modera: Avv. Fabio Andrea Bifulco – Consiglio Direttivo SOLOM


La partecipazione è gratuita, previa iscrizione mediante il sito www.solom.it

L’evento è accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Milano (n. 3 crediti formativi)



Il TAR Milano, a fronte di un ricorso rivolto avverso il bando per l’assegnazione in concessione d’uso di una unità commerciale ubicata in Milano, nella Galleria Vittorio Emanuele II, con cui si lamenta che, rispetto alle linee di indirizzo stabilite dalla Giunta comunale, sarebbe illogica la scelta, cristallizzata nella lex specialis, di privilegiare con appena dieci punti l’opzione in favore della vendita di prodotti italiani (punti venti) rispetto alla vendita di prodotti stranieri (punti dieci), perché il vantaggio attribuito alla scelta del bene italiano pesa solo per 1/6 del totale del punteggio tecnico e dunque non esprimerebbe alcun reale vantaggio, così si pronuncia:
- ritiene legittima la suddetta previsione che - coerentemente con le previsioni di una delibera di Giunta comunale che precisa che “Gli elementi di valutazione dell’offerta tecnica devono tener conto della specifica ubicazione del negozio: infatti si tratta di uno spazio posto nel luogo più rappresentativo della città dove l’interesse dell’amministrazione comunale è innanzitutto che gli spazi commerciali siano altamente qualificati ed in secondo luogo che tale sito possa anche essere una vetrina dell’eccellenza italiana” - prevede l’attribuzione nella suddetta misura di un maggior punteggio per l’offerta di marchi italiani rispetto a quello previsto per l’offerta di marchi non italiani, così valorizzando la specificità dei primi rispetto ai secondi;
- precisa che il criterio del favor per i marchi italiani, come declinato nella lex specialis, non può ritenersi irragionevole, tenuto conto che la valorizzazione dei prodotti nazionali deve essere contemperata con l’esigenza di salvaguardare le regole della concorrenza di derivazione eurounitaria.

TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2213 del 23 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La  Corte UE, con riferimento ad un subappalto non autorizzato e che ha dato luogo alla risoluzione del contratto di appalto e alla possibilità che tale circostanza giustifichi l’esclusione di tale operatore economico dalla partecipazione ad una successiva procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, così statuisce:
L’articolo 57, paragrafo 4, lettera g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che il subappalto, effettuato da un operatore economico, di una parte dei lavori nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, deciso senza il consenso dell’amministrazione aggiudicatrice e che abbia dato luogo alla risoluzione di tale contratto di appalto, costituisce una significativa o persistente carenza accertata nell’ambito dell’esecuzione di una prescrizione sostanziale relativa al suddetto appalto pubblico, ai sensi della disposizione di cui sopra, ed è dunque idoneo a giustificare l’esclusione di tale operatore economico dalla partecipazione ad una successiva procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, nel caso in cui, dopo aver proceduto alla propria valutazione dell’integrità e dell’affidabilità dell’operatore economico interessato dalla risoluzione del precedente contratto di appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice che organizza tale successiva procedura di aggiudicazione di appalto ritenga che un subappalto siffatto determini la rottura del rapporto di fiducia con l’operatore economico in parola. Prima di pronunciare tale esclusione, l’amministrazione aggiudicatrice deve però, in conformità dell’articolo 57, paragrafo 6, della direttiva sopra citata, letto in combinato disposto con il considerando 102 di quest’ultima, lasciare la possibilità a detto operatore economico di presentare le misure correttive da esso adottate a seguito della risoluzione del precedente contratto di appalto pubblico”.

Corte di Giustizia UE, Quinta Sezione, del 3 ottobre 2019 (causa C-267/18).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.


La Corte di Cassazione civile precisa che il principio affermato dal Consiglio di Stato, secondo il quale la distanza fra pareti di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e tutte le pareti finestrate, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela, vuole dire che la distanza deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quelle principali e prescindendo dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela; ma tale principio, così come gli analoghi principi della giurisprudenza di legittimità, implica pur sempre che sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento.

Corte di Cassazione, Sezioni Seconda, n. 24471 del 1 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Secondo il Consiglio di Stato, la PEC da utilizzare per la rituale notificazione del ricorso alle Amministrazioni pubbliche è quella tratta dall’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012; nemmeno l’indirizzo PEC risultante dal registro IPA, di cui all’art. 16, comma 8, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in L. n. 2 del 2009 e non più espressamente menzionato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, può ritenersi valido ai fini della notifica degli atti giudiziari alle P.A.; stessa conclusione di inidoneità va replicata, per le medesime ragioni suesposte, per gli indirizzi internet indicati nei siti dell’amministrazione, che non trovano autonoma legittimazione normativa ai fini delle notifiche degli atti giudiziari.
Ciò nondimeno, aggiunge il Consiglio di Stato, nemmeno può essere obliterato come l’esegesi della suddetta disciplina abbia avuto approdi non sempre univoci in giurisprudenza, rinvenendosi anche indirizzi inclini a riconoscere validità della notifica a mezzo posta elettronica certificata del ricorso effettuata all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA vieppiù se l'amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica sia rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia; in siffatte evenienze, contraddistinte dalla evidenziata oscillazione giurisprudenziale, non può che accordarsi il beneficio della rimessione in termini ex articolo 37 del c.p.a., registrandosi, in definitiva, pur nel rigore valutativo qui esigibile, oggettive ragioni di incertezza sulla questione di diritto suesposta.

Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 7170 del 22 ottobre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano condivide l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale il divieto di commistione tra requisiti soggettivi di partecipazione e requisiti oggettivi di valutazione delle offerte deve essere applicato secondo criteri di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza, non potendo negarsi la legittimità di criteri di valutazione che possano premiare le caratteristiche organizzative dell’impresa sotto il profilo ambientale, così come sotto i profili della tutela dei lavoratori e delle popolazioni interessate e della non discriminazione, al fine di valorizzare la compatibilità e sostenibilità ambientale della filiera produttiva e distributiva dei prodotti che costituiscono, comunque, l’oggetto dell’appalto.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2214 del 23 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano la produzione di documenti nel corpo della memoria di replica può (in determinati casi) considerarsi ammissibile in quanto conforme al paradigma di cui all’articolo 73, comma 1, c.p.a. (come modificato dalla previsione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera q), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195) che consente alle parti di presentare repliche “ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza, fino a venti giorni liberi”; regola espressione del generale principio che ritiene ammissibili i nova derivanti dallo svolgimento dialettico del processo e, come tale, idonea ad offrire copertura ad una produzione documentale effettuata al fine di dimostrare l’infondatezza dell’eccezione formulata dal comune in memoria conclusiva e volta a contestare l’omessa prova da parte ricorrente della sua legittimazione e del suo interesse ad agire (nella fattispecie i documenti consistevano in certificati di residenza per replicare ad una eccezione formulata in memoria conclusiva di difetto di legittimazione e di interesse ad agire a proporre ricorso avverso un’autorizzazione alla modifica di un impianto di distribuzione di carburanti).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2212 del 22 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano rammenta che la “dicatio ad patriam” rappresenta un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives”, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima.
Aggiunge il TAR che i presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono, quindi:
(i) nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone;
(ii) nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale;
(iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2145 del 14 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano ritiene tardivo il deposito della memoria da parte della ricorrente, effettuato il giorno di scadenza oltre il termine perentorio delle ore 12:00.
Precisa il TAR che l’art. 4, comma 4, dell’Allegato 2 al c.p.a., infatti, prevede che “È assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell’ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine. Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”.
Tale norma va interpretata, per il TAR, nel senso che il deposito con il processo amministrativo telematico (Pat) è possibile fino alle ore 24:00, ma se effettuato l’ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell’art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12:00 (id est, l’orario previsto per i depositi prima dell’entrata in vigore del Pat), si considera effettuato – limitatamente ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche – il giorno successivo, ed è dunque tardivo; in altre parole, il termine ultimo di deposito alle ore 12:00 permane, anche all’indomani dell’entrata in vigore del Pat, come termine di garanzia del contraddittorio tra le parti e della corretta organizzazione del lavoro del Collegio giudicante.
Concretizzando tale principio nella pratica per il TAR: a) se è depositata alle ore 13:00 dell’ultimo giorno utile, ai sensi del comma 1 dell’art. 73 c.p.a., una memoria, la stessa non può essere tenuta in considerazione perché non sono rispettati i termini a difesa, salva la possibilità per la parte autrice del deposito tardivo di chiedere un rinvio della trattazione della questione e sempre che il Collegio ritenga ne sussistano i presupposti (analogo discorso vale per il deposito di documenti); b) se è depositato oltre le ore 12:00 un ricorso con richiesta di cautelare collegiale, ai fini del computo del termine per la fissazione della relativa camera di consiglio occorre considerare che il deposito è avvenuto il giorno successivo; c) se è depositato un ricorso o un appello alle ore 15:00 dell’ultimo giorno utile per il deposito, questo si considera avvenuto tempestivamente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2193 del 21 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano specifica che la presentazione di una (ennesima) istanza di sanatoria non impone al Comune di riadottare l’ordine di rimessione in pristino all’esito della delibazione (negativa) della predetta istanza, come invece ritenuto di regola dalla giurisprudenza dello stesso TAR, giacché un tale onere non sussiste a fronte della ripetuta reiterazione di identiche istanze del privato, volte nella sostanza a paralizzare per un tempo indeterminato la potestà sanzionatoria dell’Amministrazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2188 del 17 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato enuncia i seguenti principî di diritto in materia di sindacato da parte del giudice sull’attività valutativa da parte della commissione giudicatrice:
a) la motivazione tautologica non è sindacabile dal giudice dell’appello, in quanto essa costituisce un atto d’imperio immotivato e, dunque, non è nemmeno integrabile da detto giudice, se non con il riferimento alle più varie, ipotetiche congetture circa la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, che tuttavia non è dato rinvenire nel suo corpus motivazionale, sicché una sentenza “congetturale” che affida al giudice dell’appello il compito impossibile di “intuire” quale sia stato il suo iter logico è, per definizione, una non-decisione giurisdizionale o, se si preferisce, e all’estremo opposto, un atto di puro arbitrio e, quindi, un atto di abdicazione al proprio potere-dovere decisorio da parte del giudice;
b) una sentenza che, quindi, non eserciti alcun sindacato giurisdizionale sull’attività valutativa da parte della Commissione giudicatrice, affermando sic et simpliciter che il ricorso a tal fine proposto da un concorrente solleciterebbe un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo, senza però in alcun modo supportare tale affermazione con una almeno sintetica disamina circa il contenuto delle censure tecniche, e trincerandosi apoditticamente dietro la natura non anomala o non manifestamente irragionevole della valutazione espressa dalla Commissione, reca una motivazione tautologica e, in quanto tale, meritevole di annullamento con rinvio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., per nullità della stessa sentenza in difetto assoluto di motivazione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6058 del 2 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano esclude che la Comunità Montana, essendo portatrice di interessi diversi da quelli urbanistico/edilizi, possa rivestire la posizione di controinteressato all’impugnazione dell’ordine di demolizione emesso da parte di un Comune appartenente a detta Comunità e, in assenza di impugnazione di provvedimenti emanati dall’Ente Montano, nemmeno quella di parte resistente.
Deve quindi concludersi, per il TAR, che la Comunità Montana possa assumere nel giudizio esclusivamente la posizione di interveniente e proprio per tale posizione processuale deve escludersi che la Comunità Montana possa proporre ricorso incidentale (nella fattispecie la Comunità Montana aveva impugnato una autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune che aveva emesso l’ordine di demolizione oggetto di gravame); l'intervento nel processo amministrativo, a differenza di quello regolato dalla disciplina processualcivilistica, può infatti essere spiegato unicamente a sostegno delle ragioni di una o di altra parte (adesivo dipendente), e non per far valere un interesse proprio nei confronti di tutte le parti (intervento principale) o di una di esse (intervento litisconsortile autonomo).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2171 del 16 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, visto l’art. 12, comma 3, delle norme di attuazione del Codice del processo amministrativo secondo il quale “per le riprese audiovisive delle trattazioni dei ricorsi in pubblica udienza si applica l’articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”, preso atto della non opposizione delle parti in causa, ha accolto la richiesta di effettuare riprese audiovisive (nella fattispecie a cura della Redazione di Report-Rai3) di una udienza pubblica con riferimento ad uno specifico giudizio.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2164 del 15 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio); la rideterminazione del contributo di costruzione può effettuarsi solo in caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo; principio valevole anche in caso di monetizzazione di standard, in quanto la fonte dell’obbligazione è comunque costituita dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio.
Aggiunge il TAR che a non diversa conclusione può condurre la ritenuta applicazione delle nuove disposizioni del P.G.T. operante in regime di salvaguardia; infatti, occorre considerare che la normativa relativa alle misure di salvaguardia ha lo scopo di evitare la realizzazione di interventi che nelle more dell'approvazione degli strumenti urbanistici adottati possono compromettere l'assetto del territorio programmato dal Comune, vanificandone la sua concreta attuazione e, proprio per ovviare a tali inconvenienti, la legge ha stabilito che a decorrere dalla data della deliberazione di adozione dei piani regolatori generali e fino all'emanazione del decreto di approvazione il dirigente dell'ufficio comunale sia obbligato a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni; le misure di salvaguardia sono, quindi, unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo; in particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standards e quantificazione del contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2085 del 1 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il Consiglio di Stato, la mera conoscenza dei nominativi dei soggetti che hanno chiesto di effettuare il sopralluogo non integra violazione dell’art. 53, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, nelle procedure aperte, in relazione all’«elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime» (art. 53, comma 2, lett. a), poiché la richiesta di sopralluogo o la proposizione di quesiti circa le sue modalità alla stazione appaltante non costituisce elemento infallibilmente sintomatico, anche per altri soggetti eventualmente interessati a partecipare, di certa futura partecipazione alla gara né, ancor meno, immediata manifestazione di volontà partecipativa o forma equipollente di offerta.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6097 del 4 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano in presenza di un annullamento giurisdizionale delle previsioni urbanistiche rivivono provvisoriamente le previgenti regole fino all’adozione di una determinazione da parte del Comune che potrebbe, in ipotesi, estrinsecarsi nell’accettazione dell’assetto conseguente alla reviviscenza; tesi questa che pare conciliare il rigore dogmatico della tesi che regola i rapporti tra le due discipline in termini di reviviscenza con l’esigenza (parimenti rilevante) di non ritenere la previgente normativa ad applicazione obbligata preservando il potere/dovere comunale di rieditare il potere di conformazione del territorio anche in conseguenza dell’assetto che si crea per effetto dell’annullamento delle prescrizioni nei limiti dello specifico oggetto del giudizio e, quindi, della sentenza;  in tal modo, si consente all’Amministrazione di intervenire anche al fine di assoggettare le aree ad una regolazione comune evitando la policromia regolatoria che potrebbe, in ipotesi, crearsi.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2116 del 9 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Secondo il Consiglio di Stato, la preclusione alla partecipazione alle gare per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione resta confinata alle due ipotesi tipiche: a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta; b) dall’esclusione da ulteriori e successive gare, ma soltanto nel caso in cui sia intervenuta l’iscrizione dell’impresa nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC, nelle ipotesi e con i limiti di cui all’art. 80, comma 5, lett. f- ter), e comma 12; resta, invece, preclusa alle stazioni appaltanti la possibilità di valutare autonomamente ai fini escludenti la condotta di un concorrente il quale abbia reso false e/o omissive dichiarazioni nell’ambito di una precedente gara e non sia stato iscritto nell’indicato casellario, fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui perduri, al momento della procedura in corso, la circostanza escludente cui si riferiva l’originaria falsità.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6490 del 27 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che la gestione di un magazzino è assimilabile all’attività produttiva quando ha a oggetto le materie prime o i semilavorati destinati a essere impiegati nel ciclo produttivo, mentre, di contro, si inserisce nella fase della commercializzazione quando finge da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato; ne consegue che l’attività di stoccaggio di prodotti finiti (alimenti) in attesa della loro spedizione ai destinatari finali (i.e. coloro che acquistano i prodotti via web o telefono) deve essere qualificata come commerciale.
Aggiunge il TAR che, non essendo in contestazione che l’immobile ove venivano stoccati detti prodotti avesse originariamente destinazione produttiva, nella fattispecie è verificato un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante ai sensi dell’articolo 52, comma 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 che determina un aumento del carico urbanistico, come si ricava dall’articolo 5 D.M. 1444/1968, e giustifica la debenza di un maggior contributo di costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2055 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il Consiglio di Stato ritiene che, ferma la distinzione, ormai acquisita in giurisprudenza con le relative conseguenze in punto di differente scrutinio di validità del contratto, tra avvalimento c.d. tecnico – operativo e c.d. di garanzia, per il requisito del fatturato specifico in servizi analoghi sia doveroso l’esame degli atti di gara per stabilire le finalità assegnate dalla stazione appaltante al suo possesso; se (il fatturato specifico è) inteso confermativo di una certa solidità economico – finanziaria dell’operatore economico – per aver, dai pregressi servizi, ottenuto ricavi da porre a garanzia delle obbligazioni da assumere con il contratto d’appalto – ovvero della capacità tecnica, per aver già utilmente impiegato, nelle pregresse esperienze lavorative, la propria organizzazione aziendale e le competenze tecniche a disposizione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 6066 del 2 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano, l'inserimento dei balconi, pur non comportando un aumento di volumetria o di superficie utile, varia l'aspetto estetico dell'edificio, comportando, quindi, un apprezzabile mutamento nel “prospetto” dell'edificio stesso; siffatte opere devono considerarsi soggette a permesso di costruire, a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 380 del 2001 che vi assoggetta oltre gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica anche quelli di ristrutturazione edilizia, tra i quali appaiono sussumibili gli interventi che determinano modifiche dei prospetti; da ciò consegue, sul piano della qualificazione dell’intervento, che mentre la mera apertura può in particolari casi essere ricondotta all’attività di restauro e risanamento conservativo, così non può affermarsi per il balcone aggettante che, modificando sempre e sistematicamente l’aspetto esterno, configura una ristrutturazione edilizia, in quanto, muta, seppure in parte, gli elementi tipologici formali e strutturali dell'organismo preesistente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2059 del 30 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si ricorda che venerdì 11 ottobre 2019, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso il Tribunale Ordinario di Como, Aula Magna, si terrà l’incontro formativo su “Contenzioso in materia di contratti pubblici: problemi aperti ed evoluzioni giurisprudenziali recenti” (con relatore il prof. Emanuele Boscolo).


La partecipazione è gratuita e le iscrizioni possono essere effettuate tramite il portale Sfera.


Precisa il TAR Milano che le carenze che affliggono l’offerta economica e quella tecnica non sono colmabili per il tramite del soccorso istruttorio; e invero, l'art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, seppure con una formulazione a contrario - che fa salva tra l'altro la ipotesi, innovativa, della mancanza, dell'incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo, sanabili con il c.d. soccorso istruttorio oneroso - ha escluso, in linea di continuità con l'interpretazione degli arti. 38 e 46 del previgente d.lgs. n. 163 del 2006, che possano essere oggetto di sanatoria mediante soccorso istruttorio la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale riguardanti l'offerta tecnica ed economica, nonché le carenze della documentazione che non consentano l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa, ipotesi tutte che concretano mancanze non sanabili.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1980 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che un provvedimento di accertamento di conformità in sanatoria condizionato all’eliminazione degli abusi si palesa abnorme in quanto la previsione che l’immobile sia accertato conforme a condizione che in futuro siano eliminati gli abusi rilevati (nella fattispecie tra l’altro già accertati definitivamente con una sentenza) si pone in contrasto con la stessa natura dell’atto di accertamento di conformità; ricorda il TAR che la giurisprudenza ha chiarito che la sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 può essere rilasciata solo previa verifica della doppia conformità dell’intervento edilizio alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento abusivo, sia al momento della presentazione della domanda; essa presuppone quindi la già avvenuta esecuzione delle opere e il permesso di costruire in sanatoria non può pertanto essere subordinato alla realizzazione di ulteriori interventi, sia pur finalizzati a ricondurre l'immobile abusivo nell'alveo di conformità degli strumenti urbanistici o compatibili con il paesaggio: la conformità agli strumenti urbanistici deve già sussistere.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2088 del 1 ottobre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, in tema di principio di equivalenza dei prodotti offerti nelle gare d'appalto osserva che:
- muovendo dalla normativa prima contenuta nell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del 2006 e ora racchiusa nell’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha evidenziato che, allorché le offerte devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche, il legislatore ha inteso introdurre il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale ma sostanziale con le specifiche tecniche, in modo che le stesse vengano comunque soddisfatte, con la conseguenza che, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza – finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche – i concorrenti possono sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto e che il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni o caratteristiche tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo l’offerta che possieda una certificazione equivalente o rechi caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard voluto;
- peraltro, è l’operatore economico che intende avvalersi della clausola di equivalenza ad avere l’onere di dimostrare l’equipollenza funzionale tra i prodotti, non potendo pretendere che di tale accertamento si faccia carico la stazione appaltante, la quale è vincolata alla regola per cui le caratteristiche tecniche previste nel capitolato di appalto valgono a qualificare i beni oggetto di fornitura e concorrono, dunque, a definire il contenuto della prestazione sulla quale deve perfezionarsi l’accordo contrattuale, sicché eventuali e apprezzabili difformità registrate nell’offerta concretano una forma di aliud pro alio, comportante, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di apposita comminatoria, e nel contempo non rimediabile tramite regolarizzazione postuma, consentita soltanto quando i vizi rilevati nell’offerta siano puramente formali o chiaramente imputabili a errore materiale;
- se dunque la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara, in quanto atta a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche – sì che la prova da fornire può concretizzarsi in una specifica e dettagliata descrizione del prodotto e della fornitura –, resta fermo che il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara, legato non a formalistici riscontri ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte, costituisce pacificamente legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione e, pertanto, il relativo sindacato giurisdizionale deve attestarsi su riscontrati, e prima ancora dimostrati, vizi di manifesta erroneità o di evidente illogicità del giudizio stesso, ossia sulla palese inattendibilità della valutazione espressa dalla stessa commissione di gara;
- d’altra parte, l’Amministrazione ben può esigere che i prodotti che intende acquisire presentino caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente richieste per simili tipologie di prodotti, dovendosi presumere – fino a prova contraria – che le prescritte ulteriori proprietà elevino lo standard prestazionale ai fini di un migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito, mentre spetta all’offerente dimostrare, pur a fronte della più alta soglia imposta, l’equivalenza sostanziale/funzionale del diverso prodotto offerto e poi, in caso di giudizio negativo della stazione appaltante, argomentatamente denunciare in sede giurisdizionale l’erroneità della determinazione amministrativa sfavorevole.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1991 del 16 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.

In argomento vedi anche la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6212 del 18 settembre 2019.



Secondo il TAR Brescia, l’amministrazione può chiedere al proprietario incolpevole di farsi carico delle misure di prevenzione, a condizione che la spesa possa essere sostenuta senza conseguenze economiche eccessive, secondo il normale bilanciamento di interessi garantito dal principio di proporzionalità; nessun intervento di bonifica può invece essere imposto al proprietario incolpevole, il quale rimane tuttavia obbligato a rimborsare i relativi costi all’amministrazione, qualora risulti infruttuosa o non praticabile l’escussione dell’autore dell’inquinamento; poiché il credito dell’amministrazione grava sull’area contaminata (v. art. 253 commi 1 e 2 del Dlgs. 152/2006) come un onere reale assistito da un privilegio speciale immobiliare ex art. 2748 comma 2 c.c., al proprietario incolpevole che non possa o non voglia rimborsare i costi della bonifica rimane l’opzione di abbandonare il fondo, secondo un meccanismo non dissimile da quello descritto nell’art. 1070 c.c. a proposito dell’abbandono del fondo servente; in alternativa, il proprietario incolpevole può volontariamente assumere gli oneri della bonifica ex art. 245 comma 1 del Dlgs. 152/2006, salvo rivalsa nei confronti dell’autore dell’inquinamento.
Aggiunge il TAR che l’intervento di bonifica assunto volontariamente ai sensi dell’art. 245, comma 1, nonché dell’art. 252, comma 5, del Dlgs. 152/2006 costituisce una gestione di affari altrui che, in applicazione analogica della norma generale ex art. 2028 c.c., deve essere portata a compimento, o comunque proseguita finché l’amministrazione non sia in grado di far subentrare l’autore dell’inquinamento; lo stesso vale se l’assunzione dell’intervento di bonifica da parte del proprietario incolpevole o di altri soggetti è avvenuta ai sensi dell’art. 9 del DM 25 ottobre 1999 n. 471.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 831 del 25 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.