La Corte costituzionale ritiene non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del comma 2 dell’art. 15 della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021 e osserva:
<<La disposizione impugnata, estendendo all’utilizzo del correttivo «gesso di defecazione da fanghi» le regole di tracciabilità di cui agli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99 del 1992, previste per l’utilizzazione dei fanghi in quanto rifiuti, non disciplina, infatti, una materia riconducibile a quella della tutela dell’ambiente, attribuita come tale alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Trattandosi di regolamentare l’uso di un correttivo destinato, secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 75 del 2010, agli utilizzi in agricoltura allo scopo di modificare e migliorare le proprietà chimiche del suolo, si deve, infatti, ritenere che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto, nell’esercizio della propria competenza nella materia «agricoltura», di carattere residuale per le regioni a statuto ordinario (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 282 e n. 12 del 2004).
Sebbene la giurisprudenza di questa Corte sia costante nel ritenere che la disciplina della gestione dei rifiuti deve essere ricondotta alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (ex plurimis, sentenze n. 289 e n. 142 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018) e che il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale è riservato allo Stato, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018, n. 85 del 2017), nel caso di specie il riferimento a una sostanza qualificata come rifiuto (i fanghi) è stato fatto dalla norma impugnata come mero rinvio materiale alle relative regole di tracciabilità, al solo scopo di prevederne l’applicazione anche per la sostanza correttiva «gesso di defecazione da fanghi». La disciplina dell’impiego di tale correttivo è, invece, come si è detto, riconducibile alla materia «agricoltura».>>.
Corte costituzionale n. 222 del 27 ottobre 2022


Il Tar Brescia ricorda che, ai sensi dell'art. 4 comma 1 lett. g) d.lg. 31 marzo 1998 n. 114, per centro commerciale deve intendersi una media o grande struttura di vendita, nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente; elementi caratteristici sono, dunque, la destinazione specifica della struttura, composta da più esercizi commerciali, e la gestione unitaria di infrastrutture e spazi comuni, di cui essi usufruiscono (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 agosto 2016, n. 3672) e che i requisiti strutturali e funzionali costituiscono requisiti congiunti e non alternativi (T.A.R. Toscana, Sez. II, 18 novembre 2020, n. 1448).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1026 del 26 ottobre 2022.


Il TAR Milano, in merito al rapporto tra piano economico e finanziario e offerta, osserva che, secondo la giurisprudenza cui la Sezione presta adesione (da ultimo TAR Lombardia, Milano, IV, 22/06/2021 n. 1521 e Cons. Stato, V, 19/04/2021 n. 3168), il PEF “è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce a questa ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa va a trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10.02.2010, n. 653). Sicché il PEF non può essere tenuto separato dall’offerta in senso stretto come vorrebbe l’appellante, il quale lo vorrebbe un mero supporto dimostrativo della semplice fondatezza dell’offerta stessa (sì che un’eventuale sua imprecisione non inficerebbe quella e sarebbe sanabile con il soccorso istruttorio). In realtà, invece, il PEF rappresenta un elemento significativo della proposta contrattuale perché dà modo all’amministrazione, che ha invitato ad offrire, di apprezzare la congruenza e dunque l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto.”

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2246 del 13 ottobre 2022.


Il TAR Milano osserva che il rapporto tra la disciplina generale dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato deve essere letto secondo un canone di integrazione dei diversi regimi (cfr. Ad. Plen. n. 10/2020). La qualificazione con cui un soggetto pretende l’ostensione in relazione ad una disciplina non può essere vista diversamente se quella richiesta viene vagliata secondo il cono prospettico di una disciplina differente, dovendo il sistema complessivo essere coordinato ed integrato. L’accesso civico, detto altrimenti, non può costituire una sorta di lascia passare attribuito al soggetto che, in base alla generale disciplina ex L. 241/1990, non sia titolare di una posizione giuridica tutelabile in relazione alla domanda di accesso. L’interesse alla trasparenza, di tipo conoscitivo, sotteso all’istituto dell’accesso civico generalizzato, deve manifestarsi non in modo generico e privo di elementi di concretezza, “pena rappresentare un inutile intralcio all’esercizio delle funzioni amministrative e un appesantimento immotivato delle procedure di espletamento dei servizi” (cfr. in tal senso Cons. Stato 2022 sez. III 25 gennaio 2022 n. 495).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2316 del 24 ottobre 2022.


Il TAR Brescia osserva che la giurisprudenza nettamente prevalente, che il Collegio condivide, ritiene che la piscina interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell’edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio giacché “la piscina, in considerazione della sua consistenza modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione e non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria o minori, di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001” (T.A.R. Piemonte, sez. II, 2/8/2022, n.703; T.A.R. Napoli, sez. VII, 16/03/2017, n.1503).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 993 del 24 ottobre 2022.


Si informa che il 28 ottobre 2022, alle ore 16:30, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi dell’Insubria, Via Ravasi, 2, Varese, si terrà l'Ottava lettura annuale della “Fondazione Giovanni Valcavi per l’Università degli Studi dell’Insubria”.

Si allega la locandina


Il TAR Milano osserva che:
- l’art. 82, comma 1, c.p.a., stabilisce che "Dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all'articolo 24 e dal suo difensore, entro centoventi giorni dalla data di ricezione dell'avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento";
- tale norma è stata oggetto di modifica da parte dall'art. 17, comma 7, lett. a) n. 5), del d.l. n. 80 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 113 del 2021, il quale ha ridotto a centoventi giorni il termine previsto per la presentazione della nuova istanza di fissazione di udienza, prima stabilito in centottanta giorni;
- stante la natura processuale della previsione, tale modifica si applica anche ai processi in corso e, quindi, anche ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della novella vale il termine di centoventi giorni.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2303 del 21 ottobre 2022.


Il TAR Milano osserva:
<<1.1. L’accesso agli atti esecutivi del contratto di appalto, quali sono quelli oggetto dell’istanza ostensiva di Servizi ospedalieri S.p.a., è disciplinato dall’art. 53 D. Lgs. 50/2016 e, in quanto non derogati dal codice dei contratti pubblici, dagli artt. 22 e ss. L. 241/1990. L’art. 53 comma 1 D. Lgs. 50/2016 stabilisce infatti che: «1. Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».
L’accesso, in virtù delle disposizioni sopra richiamate, deve essere di norma consentito nel caso in cui il richiedente sia portatore, ai sensi dell’art. 22 comma 1 lettera ‘b’ L. 241/1990 (richiamato dall’art. 53 comma 1 D. Lgs. 50/2016), di un interesse «diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridica tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». Inoltre, ai sensi dell’art. 24 comma 7 L. 241/1990: «7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. […]».
Quando l’oggetto della richiesta ostensiva riguardi segreti tecnici e commerciali contenuti nelle offerte e nelle relative giustificazioni in una gara di appalto, dichiarati e dimostrati dalla ditta offerente, il diritto di accesso è precluso, dovendosi ritenere prevalente il diritto alla riservatezza sull’interesse del richiedente (art. 53 comma 5 lettera ‘a’ cit.). Tuttavia, il rapporto tra riservatezza e trasparenza torna a risolversi in favore della seconda, con conseguente ammissione dell’accesso anche ai segreti industriali e commerciali, quando la conoscenza di questi ultimi sia strettamente indispensabile per la tutela giurisdizionale del richiedente (art. 53 comma 6 cit.).
Dunque, solo ai fini dell’accoglimento dell’istanza di accesso ad offerte e giustificazioni contenenti segreti commerciali e industriali dovrà accertarsi la sussistenza della stretta indispensabilità per la tutela giurisdizionale del richiedente, facendo applicazione della norma speciale di cui all’art. 53 cit. In tutte le altre ipotesi gli atti richiesti a fini difensivi, sebbene attinenti a una procedura di gara, saranno ostensibili, sulla base delle norme generali, in presenza di un interesse concreto, diretto e attuale ex art. 22 comma 1 L. 241/1990, e comunque quando la relativa conoscenza sia necessaria per la tutela giurisdizionale del richiedente (art. 24 comma 7 L. 241/1990). Non occorre infatti, in tale seconda ipotesi, l’accertamento della stretta indispensabilità che la giurisprudenza richiede ai fini dell’applicazione dell’art. 53 comma 6 D. Lgs. 50/2016 (TAR Lazio, III, 22 settembre 2021, n. 9877; cfr: TAR Calabria, I, 14 settembre 2020 n. 1452; Consiglio di Stato, V, 20 gennaio 2022 n. 369; TAR Lombardia, Milano, IV, 13 maggio 2022, ordinanza collegiale n. 1115; TAR Lazio, Roma, I, 11 agosto 2021 n. 9363).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2259 del 14 ottobre 2022.


Il TAR Milano, seguendo l'orientamento della Sezione (Sez. II, n. 2800 del 14 dicembre 2021), precisa che gli effetti obbligatori discendenti dalle convenzioni urbanistiche o dagli atti ad equiparati non sono soggetti a scadenza, a differenza del regime urbanistico conseguente alla pianificazione attuativa o al rilascio del titolo edilizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2284 del 19 ottobre 2022.


Secondo il TAR Brescia, se è ben vero che l’articolo 29 decies, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006 prevede una serie di sanzioni per il caso di inosservanza delle prescrizioni dell’AIA o addirittura di esercizio dell’attività in assenza di titolo autorizzatorio, che vanno dalla semplice diffida, alla sospensione dell’attività e alla chiusura dell’impianto, è altrettanto vero che la disposizione non prevede affatto che si debba partire dalle sanzioni meno gravi e applicare quelle via via più gravi solamente in caso di reiterazione della violazione. La scelta della sanzione più appropriata in relazione alla violazione commessa è lasciata alla discrezionalità della Provincia, che può anche disporre quella più grave anche senza aver prima diffidato l’autore dell’illecito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I n. 860 del 13 settembre 2022


Il TAR Milano precisa che l’errore materiale può essere ravvisato solo in quelle fattispecie di errore ostativo desumibili ictu oculi dall’esame complessivo dell’offerta e non da fonti di conoscenza estranee.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2006 del 14 settembre 2022.


Il TAR Milano richiama il proprio orientamento secondo il quale l’art. 72 della legge fallimentare, che attribuisce al curatore il potere di liberare il fallimento da eventuali vincoli contrattuali in atto attraverso lo scioglimento del contratto, non trova applicazione nei confronti delle convenzioni urbanistiche, poiché le stesse sono soggette ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, e soggiacciono conseguentemente alla previsione dell’art. 1372, primo comma, del codice civile, ossia al principio generale in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti: la ratio derogatoria dell’art. 72 della legge fallimentare è indubbiamente quella di non penalizzare oltremodo gli interessi del ceto creditorio dal possibile vulnus derivante dalla necessità del curatore fallimentare di far fronte agli impegni contrattuali assunti dal fallito precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tali esigenze non possono essere enfatizzate fino al punto da riconoscere al curatore il potere di sciogliersi da una convenzione precedentemente stipulata dalla società fallita ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990. Verrebbe infatti attribuita una posizione poziore agli interessi della massa creditoria rispetto a quelli sottesi all’esecuzione di una prestazione dettata dall’interesse pubblico, come tale ascrivibile alla più ampia collettività degli amministrati. La concreta possibilità di realizzazione dell’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è istituzionalmente portatrice, verrebbe infatti pregiudicata dalle scelte del curatore fallimentare ancorché mosso da esigenze individualistiche, così palesandosi una precisa gerarchia di valori priva di fondamento normativo siccome innescata dall’interferenza tra due norme (l’art. 72 della legge fallimentare e l’art. 11 della legge n. 241 del 1990) aventi una ben diversa collocazione topografica e temporale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2261 del 14 ottobre 2022.




Il TAR Milano precisa che l’art. 97 del d.l.vo n. 50/2016 non articola il contraddittorio sull’anomalia o sulla congruità secondo rigide e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi a stabilire, al comma 5, che “la stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni”, sicché l’adeguatezza della dialettica procedimentale deve essere apprezzata in concreto e non sulla base di una predeterminata e formalistica scansione procedimentale; con l’art. 97 cit. è stato abbandonato il modello trifasico, di cui all’art. 88 del previgente del d.l.vo n. 163/2006, sostituito da un modulo procedimentale monofasico elastico, che non esclude ma neppure impone l’audizione dell’interessato, che resta possibile solo al fine della compiutezza del confronto dialettico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2208 del 7 ottobre 2022.


Il TAR Brescia osserva che la qualificazione di un materiale quale “end of waste” non dipende solamente dalle caratteristiche intrinseche del materiale, ma anche da condizioni esterne che possono sussistere e persistere oppure no. Di talché non è detto che un materiale sia “end of waste” per sempre, potendo una condizione esterna venire meno nel corso del tempo, così come – al contrario – sopravvenire, modificando la qualificazione, puramente giuridica, del materiale da rifiuto a “end of waste”. Ciò vale, in particolare, per la certezza dell’utilizzo del materiale costituente “end of waste”. Non è sufficiente allo scopo l’affermazione generica dell’esistenza di una domanda, occorrendo al riguardo la dimostrazione dell’impiego di quel materiale in uno specifico processo produttivo.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 780 del 5 agosto 2022.


Il TAR Milano in una fattispecie nella quale è cristallizzata definitivamente l’esclusione della ricorrente ritiene insussistente la possibilità di un interesse strumentale della stessa alla rinnovazione integrale della gara in caso di esclusione delle altre offerte; ciò per le peculiari caratteristiche della gara in esame, nella quale la stazione appaltante ritiene – nell’esercizio della propria discrezionalità – di voler acquistare sul mercato un prodotto che, in ogni caso, la ricorrente non possiede; a fronte della situazione concreta, deve quindi essere esclusa una possibilità di ripetizione della gara avente ad oggetto l’appalto in esame utile per la ricorrente.
Osserva al riguardo che:
<<5.1. Sul punto il Collegio è consapevole del fatto che la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è più volte pronunciata sull’interpretazione degli artt. 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE e dell’art. 1, par. 3 della direttiva 92/137CE, come modificate dalla direttiva 2007/66/CE e sul significato da attribuire all’espressione secondo cui gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso “a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto” in relazione alla posizione di un concorrente ad una gara di appalto che, contestando la propria esclusione, proponga censure miranti ad ottenere la ripetizione della gara e, di conseguenza, il travolgimento dell’aggiudicazione al concorrente (sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 11 maggio 2017, Archus, C-131/16; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C100/12), nonché del fatto che la questione sia nuovamente all’attenzione della Corte di Giustizia, sollevata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sezioni unite, 18 settembre 2020, n. 19598).
Ritiene tuttavia il Collegio di non discostarsi dai principi enunciati dalla Corte di Giustizia poiché, nel caso in esame, non sussistono i presupposti perché l’eventuale esclusione anche delle altre offerte porti all’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico utile alla ricorrente. Tale interesse strumentale è appunto riconosciuto come rilevante dalla Corte di Giustizia “se del caso”. Secondo il principio sancito dalla sentenza Archus già citata, infatti, “la direttiva 92/13/CE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio [ma di identico tenore è l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, infatti richiamata nella motivazione] deve essere interpretata nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico ha dato luogo alla presentazione di due offerte e all’adozione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, di due decisioni in contemporanea recanti rispettivamente rigetto dell’offerta di uno degli offerenti e aggiudicazione dell’appalto all’altro, l’offerente escluso, che ha presentato un ricorso avverso tali due decisioni, deve poter chiedere l’esclusione dell’offerta dell’offerente aggiudicatario, in modo tale che la nozione di «un determinato appalto», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 92/13, come modificata dalla direttiva 2007/66, può, se del caso, riguardare l’eventuale avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico”.
Quella richiesta dalla Corte di Giustizia – che rinvia alle circostanze “del caso” – non è quindi una valutazione di sussistenza in astratto di un ipotetico interesse strumentale alla ripetizione della gara, valutato ex ante, che sarebbe altrimenti sempre sussistente, bensì una valutazione concreta, in relazione alle circostanze connotanti la fattispecie (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 26 maggio 2020, n. 990).
D’altra parte, la Sezione ha già osservato in altre occasioni (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez, II, 30 marzo 2021, n. 838) come “sia condivisibile quanto osservato dalla dottrina secondo cui l’applicazione del diritto dell’Unione (e, per converso, la violazione) sia ‘normalmente intrecciata, in modo indissolubile, ad apprezzamenti sul merito della controversia, alla sua dimensione fattuale e alla peculiarità degli snodi processuali della vicenda’” e, del resto, anche con la decisione 21 dicembre 2016, BTG, C-335/15, la Corte di Giustizia dimostra come l’apprezzamento della dimensione fattuale (in quel caso, il fatto che, per accidente, i ricorsi avverso il provvedimento di esclusione del concorrente fossero già stati decisi in primo e secondo grado nel momento in cui veniva proposto il ricorso avverso l’aggiudicazione) abbia significativa incidenza sull’applicazione di una regola processuale e sulla sua valutazione di compatibilità con il diritto dell’Unione.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2212 del 10 ottobre 2022.





L'autorizzazione unica regionale disciplinata dall'art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 costituisce anche titolo abilitativo edilizio alla realizzazione dell'impianto di smaltimento o recupero di rifiuti, posto che le autonome e specifiche attribuzioni in materia spettanti all'amministrazione comunale rifluiscono nella prevista Conferenza di servizi, in cui si vede coinvolta la stessa Amministrazione comunale e che rappresenta il luogo procedimentale deputato alla complessiva valutazione del progetto presentato. Nel provvedimento autorizzatorio in esame sono state, cioè, riunite e concentrate dal legislatore tutte le competenze amministrative di verifica e controllo di compatibilità con le varie prescrizioni urbanistiche, di pianificazione settoriale, nonché l'accertamento dell'osservanza di ogni possibile vincolo afferente alla realizzazione dell'impianto in armonia col territorio di riferimento, dal momento che l'art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006, assegna al provvedimento regionale conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre autorità territoriali, ivi compresa l'eventuale variante urbanistica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 1890 del 5 agosto 2022


Si allegano le slide illustrate dai relatori, avv. Matteo Accardi e avv. Giuseppe Rusconi, nell'incontro formativo del 30 settembre 2022 dal titolo “Osservatorio sulle novità in materia di appalti pubblici”.



Il Tar Milano ricorda che dottrina e giurisprudenza distinguono due categorie di atti confermativi, contrapponendo la conferma propria all’atto meramente confermativo (o conferma impropria). La distinzione si basa sul fatto che l’adozione dell’atto sia preceduta o meno da una rinnovata valutazione istruttoria ad opera dell’amministrazione. Solo l’atto di conferma propria, adottato all’esito di una nuova istruttoria e di una riponderazione, anche nel merito, dei presupposti di fatto e di diritto sottesi all’emanazione del provvedimento originario può essere considerato un provvedimento di secondo grado, interamente sostitutivo del precedente. Ciò comporta, sul versante processuale, che solo il provvedimento di conferma proprio è idoneo a far decorrere un nuovo termine di impugnazione (e deve anzi essere impugnato poiché ha travolto e assorbito l’atto confermato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2126 del 29 settembre 2022.


Si informa che l'Associazione Giudici Amministrativi Tedeschi Italiani Francesi - AGATIF ha organizzato per il 21 ottobre 2022 a Bolzano il convegno che si terrà in presenza dal titolo “I poteri sostitutivi del giudice amministrativo nei confronti della Pubblica Amministrazione: separazione dei poteri ed effettività della tutela in una prospettiva comparata italo-franco-tedesca”.

Il convegno è gratuito e le modalità di iscrizione sono contenute nella locandina.


Il TAR Milano precisa che:
<<4.2. Le norme cristallizzate nella lex specialis vincolano in assoluto l'operato dei concorrenti e della stazione appaltante, la quale non può disapplicarle, integrarle o modificarle, se non con lo strumento dell’autotutela e fornendone adeguata pubblicità agli operatori economici, in attuazione dei principi di trasparenza e di concorrenzialità.
La cristallizzazione di tali norme al momento della indizione della procedura le rende impermeabili anche rispetto allo ius superveniens, a meno che la norma sopravvenuta non stabilisca espressamente una diversa efficacia temporale per le procedure in corso alla data della sua entrata in vigore, in deroga al principio generale del tempus regit actum (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 24 maggio 2011 n. 9).
Le regole fissate nella lex specialis devono essere dunque applicate dalla stazione appaltante, anche se non conformi allo ius superveniens, fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2006 del 14 settembre 2022.


Il TAR Brescia osserva che in forza della disposizione dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, l'obbligo di rimozione dei rifiuti grava sia sul responsabile dell’abbandono o del deposito incontrollato, sia, in solido con questi, sul proprietario del terreno e sui titolari di diritti reali o personali di godimento dell'area a cui l’abbandono dei rifiuti possa essere imputato a titolo di dolo (per aver agevolato o cooperato alla realizzazione della condotta vietata), o di colpa (per aver omesso di esercitare la dovuta vigilanza sui beni interessati dall'abbandono dei rifiuti).
Il TAR precisa che la norma, peraltro, è stata interpretata estensivamente dalla giurisprudenza, per evidenti esigenze di effettività della tutela ambientale, ricomprendendo nell'alveo degli obbligati qualunque soggetto che si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente (Cons. Stato, Ad. Plen. 26 gennaio, 2021 n. 3; TAR Bari, sez. I, 11 novembre 2021 n. 1627; T.A.R. Parma, sez. I, 26/05/2017, n. 187; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 03/08/2015, n. 809).
Aggiunge il TAR che dal momento che l’abbandono dei rifiuti costituisce un illecito permanente, la sua rimozione costituisce una obbligazione propter rem che segue la proprietà dei rifiuti e si trasferisce con la titolarità dei medesimi, dal momento che il nuovo proprietario dei rifiuti, benchè non responsabile del loro abbandono “originario”, diviene responsabile dell’ulteriore protrazione di tale abbandono, che come detto costituisce un illecito di carattere permanente; non si tratta, in tal caso, del proprietario del terreno sul quale siano stati abbandonati rifiuti di proprietà di terzi, ma del proprietario degli stessi rifiuti, acquistati unitamente al compendio aziendale, e che in tale qualità diviene responsabile dell’ulteriore protrazione dello stato di abbandono dei medesimi, e sul quale, pertanto, grava l’obbligo legale previsto dall’art. 192 d. lgs. 152/2006 di provvedere alla loro rimozione e smaltimento in qualità sia di “proprietario” degli stessi che di “(cor)responsabile” del loro abbandono.

TAR Lombardia, Brescia, I, 8 settembre 2022 n. 829.


Il TAR Milano osserva che i criteri ambientali minimi rappresentano gli strumenti per il perseguimento degli obiettivi ambientali di cui al Piano di azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione e devono essere tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (cfr. Consiglio di Stato, V, 5 agosto 2022, n. 6934).
Tali disposizioni non hanno natura meramente programmatica, ma costituiscono obblighi immediatamente cogenti per le Stazioni appaltanti, come emerge con evidenza dal comma 3 dell’art. 34, il quale stabilisce che “l’obbligo di cui ai commi 1 e 2 [in precedenza richiamati] si applica per gli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali minimi adottati nell’ambito del citato Piano d’azione” (cfr. Consiglio di Stato, V, 3 febbraio 2021, n. 972).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2178 del 4 ottobre 2022.


In occasione del rilascio di permesso di costruire convenzionato per lavori descritti come “manutenzione straordinaria con suddivisione di più unità con destinazione d’uso direzionale” è stato sottoscritto un atto unilaterale d’obbligo nel quale era precisato che l’intervento non comportava l’esecuzione di opere di urbanizzazione a cura del soggetto attuatore, ma prevedeva la cessione di aree a standard sostituita dalla relativa monetizzazione.
A seguito della decadenza del permesso di costruire parte ricorrente ha chiesto la restituzione di quanto versato a titolo di monetizzazione.
Il Comune ha negato la restituzione, sostenendo che la monetizzazione sarebbe diversa dagli oneri concessori, in quanto collegata alle obbligazioni assunte con l’atto unilaterale d’obbligo.
Contro il diniego la ricorrente ha presentato impugnazione, formulando censure che possono essere sintetizzate come segue: (i) la volontà del Comune di incamerare la monetizzazione darebbe origine a un indebito oggettivo, in quanto con la decadenza del permesso di costruire sarebbe venuto meno anche lo scopo della prestazione assunta tramite l’atto unilaterale d’obbligo, ossia il bilanciamento del peso insediativo tramite la monetizzazione delle aree a standard; (ii) la mancata restituzione costituirebbe in ogni caso un arricchimento senza causa a vantaggio del Comune.
Il TAR Brescia respinge il ricorso sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) occorre sottolineare, in primo luogo, che l’obbligazione relativa alla monetizzazione delle aree a standard è stata assunta mediante atto unilaterale d’obbligo. Nonostante la struttura unilaterale, si tratta di un accordo che integra il titolo edilizio ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990 n. 241, con gli stessi effetti della convenzione urbanistica;
(b) questa circostanza modifica la prospettiva da cui si deve osservare la controversia, in quanto lo schema degli accordi sostitutivi o integrativi non contempla il diritto di recedere liberamente. Qualora le parti non abbiano stipulato un’espressa pattuizione al riguardo, l’unica ipotesi di recesso è quella dell’art. 11 comma 4 della legge 241/1990, che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse consente all'amministrazione di uscire unilateralmente dall'accordo, liquidando un indennizzo per gli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei privati;
(c) dal lato dei privati, dunque, le obbligazioni assunte rimangono sempre vincolanti, anche se successivamente alla stipula dell’accordo o alla sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo sia venuto meno l’interesse originario. Non fa alcuna differenza che la perdita dell’interesse sia dovuta all’azione di terzi o al caso fortuito. Il rischio della sopravvenuta impossibilità di completare l’operazione edilizia rimane comunque a carico dei privati, tranne quando l’ostacolo sia costituito da una decisione dell’amministrazione. Solo in quest’ultimo caso vi sarebbe violazione dell’equilibrio raggiunto con la convenzione urbanistica o con l’atto unilaterale d’obbligo, in quanto la parte pubblica non potrebbe essere contemporaneamente la causa e la beneficiaria della perdita economica della parte privata;
(d) le ragioni soggettive che impediscono il completamento dell’operazione edilizia sono inopponibili all’amministrazione, la quale non è tenuta a svolgere un ruolo di garanzia nei confronti delle aspettative dei privati. La restituzione di quanto incamerato sulla base di una convenzione urbanistica o di un atto unilaterale d’obbligo equivarrebbe a fornire una simile garanzia, e correlativamente subordinerebbe l’interesse pubblico, oggettivo e ormai consolidato, all’erratica evoluzione della situazione economica dei privati;
(e) in questo quadro, non vi è arricchimento ingiusto da parte dell’amministrazione, perché la causa del pagamento era chiara fin dall’inizio, e corrispondeva al diritto edificatorio regolato dal titolo edilizio, non al risultato stesso dell’edificazione. Il titolo edilizio non è mai stato cancellato, semplicemente è decaduto in quanto non esercitato per vicende proprie della parte privata;
(f) occorre anche sottolineare che i privati, una volta assunta un’obbligazione pecuniaria in vista dell’esercizio dei diritti edificatori, non hanno alcun potere di verifica circa la destinazione che l’amministrazione imprime in concreto alle somme incamerate. Non è quindi possibile per la ricorrente ottenere la restituzione di quanto versato, o la cancellazione del resto del debito, deducendo l’inutilità delle infrastrutture che il Comune intende acquisire o realizzare. Quello che viene imposto attraverso la monetizzazione delle aree a standard è un contributo alla realizzazione di infrastrutture da mettere a disposizione dell’intera collettività. La localizzazione e il dimensionamento di tali opere rientrano esclusivamente nelle scelte discrezionali dell’amministrazione;
(g) rispetto alle obbligazioni assunte nelle forme dell’art. 11 della legge 241/1990, che hanno essenzialmente natura perequativa, estendendosi alla realizzazione di opere di urbanizzazione extra-comparto o al reperimento di aree a standard con eventuale monetizzazione, il contributo di costruzione collegato al permesso di costruire semplice si avvicina invece allo schema tariffario su domanda. Nel primo caso l’edificazione assume quindi un rilievo sociale, nel secondo rimane un’operazione edilizia circoscritta all’interesse del richiedente. Ne consegue che solo la rinuncia al permesso di costruire semplice, formulata espressamente o per inerzia, può consentire il recupero della tariffa versata, mancando un più ampio coinvolgimento dell’interesse pubblico.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 897 del 3 ottobre 2022.









Il TAR Milano, dopo aver messo in risalto che il regolamento comunale di igiene di Milano stabilisce che l’esercizio di qualsiasi attività che dia luogo, anche occasionalmente, a emissioni in atmosfera deve avvenire con modalità e/o dispositivi atti ad evitare pericolo per la salute e molestia di ogni genere per il vicinato, osserva:
<<Come si vede, queste disposizioni contengono norme molto ampie che fanno riferimento, non solo alle sorgenti che immettono nell’ambiente sostanze inquinati o dannose per la salute umana, ma anche a tutte quelle fonti di emissioni odorose in qualsiasi modo prodotte le quali, seppur non inquinanti o non pericolose per la salute, siano comunque moleste.
Ritiene pertanto il Collegio che non possano essere condivise le argomentazioni di parte ricorrente secondo cui le norme appena illustrate … sarebbero applicabili solo alle immissioni in atmosfera derivanti da combustione.
Quanto sopra porta inoltre a ritenere che l’obbligo, per chi immette emissioni in atmosfera, di adottare tutti gli accorgimenti necessari per evitare molestie al vicinato riguardi anche gli impianti non inquinanti o non pericolosi per la salute: le norme del regolamento di igiene, in altre parole, non intendono proteggere esclusivamente l’interesse ambientale, preso specificamente in considerazione dal d.lgs. n. 152 del 2006, ma anche l’interesse alla pacifica e civile convivenza. Ne discende che nessun rilievo ha la circostanza che l’attività esercitata dalla ricorrente sia inserita nell’elenco di cui all’Allegato IV alla Parte V del d.lgs. n. 152 del 2006, cui si applica l’art. 272, primo comma, dello stesso d.lgs. il quale si riferisce alle attività scarsamente rilevanti ai fini dell’inquinamento atmosferico per le quali non è prevista autorizzazione né alcuna particolare prescrizione. L’art. 272, primo comma, del d.lgs. n. 152 del 2006 non impone particolari prescrizioni in quanto il suo obiettivo è quello di preservare l’ambiente ed in quanto, se questo è l’obiettivo, non vi è ragione di introdurre obblighi che riguardino attività non inquinanti; ciò non toglie tuttavia che prescrizioni possano essere dettate da altre norme per la tutela di interessi pubblici diversi quale quello volto appunto alla tutela della pacifica e civile convivenza turbata dalla produzione di emissioni (non inquinati ma) moleste per il vicinato. Le norme contenute nel regolamento comunale di igiene pongono, come detto, obblighi funzionali al perseguimento di tale interesse pubblico, e sono proprio queste norme ad essere state applicate nel caso concreto.>>
TAR Lombardia, Milano, III, 2 agosto 2022 n. 1880.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.