In occasione del rilascio di permesso di costruire convenzionato per lavori descritti come “manutenzione straordinaria con suddivisione di più unità con destinazione d’uso direzionale” è stato sottoscritto un atto unilaterale d’obbligo nel quale era precisato che l’intervento non comportava l’esecuzione di opere di urbanizzazione a cura del soggetto attuatore, ma prevedeva la cessione di aree a standard sostituita dalla relativa monetizzazione.
A seguito della decadenza del permesso di costruire parte ricorrente ha chiesto la restituzione di quanto versato a titolo di monetizzazione.
Il Comune ha negato la restituzione, sostenendo che la monetizzazione sarebbe diversa dagli oneri concessori, in quanto collegata alle obbligazioni assunte con l’atto unilaterale d’obbligo.
Contro il diniego la ricorrente ha presentato impugnazione, formulando censure che possono essere sintetizzate come segue: (i) la volontà del Comune di incamerare la monetizzazione darebbe origine a un indebito oggettivo, in quanto con la decadenza del permesso di costruire sarebbe venuto meno anche lo scopo della prestazione assunta tramite l’atto unilaterale d’obbligo, ossia il bilanciamento del peso insediativo tramite la monetizzazione delle aree a standard; (ii) la mancata restituzione costituirebbe in ogni caso un arricchimento senza causa a vantaggio del Comune.
Il TAR Brescia respinge il ricorso sulla base del seguente percorso motivazionale:
<<9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) occorre sottolineare, in primo luogo, che l’obbligazione relativa alla monetizzazione delle aree a standard è stata assunta mediante atto unilaterale d’obbligo. Nonostante la struttura unilaterale, si tratta di un accordo che integra il titolo edilizio ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990 n. 241, con gli stessi effetti della convenzione urbanistica;
(b) questa circostanza modifica la prospettiva da cui si deve osservare la controversia, in quanto lo schema degli accordi sostitutivi o integrativi non contempla il diritto di recedere liberamente. Qualora le parti non abbiano stipulato un’espressa pattuizione al riguardo, l’unica ipotesi di recesso è quella dell’art. 11 comma 4 della legge 241/1990, che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse consente all'amministrazione di uscire unilateralmente dall'accordo, liquidando un indennizzo per gli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei privati;
(c) dal lato dei privati, dunque, le obbligazioni assunte rimangono sempre vincolanti, anche se successivamente alla stipula dell’accordo o alla sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo sia venuto meno l’interesse originario. Non fa alcuna differenza che la perdita dell’interesse sia dovuta all’azione di terzi o al caso fortuito. Il rischio della sopravvenuta impossibilità di completare l’operazione edilizia rimane comunque a carico dei privati, tranne quando l’ostacolo sia costituito da una decisione dell’amministrazione. Solo in quest’ultimo caso vi sarebbe violazione dell’equilibrio raggiunto con la convenzione urbanistica o con l’atto unilaterale d’obbligo, in quanto la parte pubblica non potrebbe essere contemporaneamente la causa e la beneficiaria della perdita economica della parte privata;
(d) le ragioni soggettive che impediscono il completamento dell’operazione edilizia sono inopponibili all’amministrazione, la quale non è tenuta a svolgere un ruolo di garanzia nei confronti delle aspettative dei privati. La restituzione di quanto incamerato sulla base di una convenzione urbanistica o di un atto unilaterale d’obbligo equivarrebbe a fornire una simile garanzia, e correlativamente subordinerebbe l’interesse pubblico, oggettivo e ormai consolidato, all’erratica evoluzione della situazione economica dei privati;
(e) in questo quadro, non vi è arricchimento ingiusto da parte dell’amministrazione, perché la causa del pagamento era chiara fin dall’inizio, e corrispondeva al diritto edificatorio regolato dal titolo edilizio, non al risultato stesso dell’edificazione. Il titolo edilizio non è mai stato cancellato, semplicemente è decaduto in quanto non esercitato per vicende proprie della parte privata;
(f) occorre anche sottolineare che i privati, una volta assunta un’obbligazione pecuniaria in vista dell’esercizio dei diritti edificatori, non hanno alcun potere di verifica circa la destinazione che l’amministrazione imprime in concreto alle somme incamerate. Non è quindi possibile per la ricorrente ottenere la restituzione di quanto versato, o la cancellazione del resto del debito, deducendo l’inutilità delle infrastrutture che il Comune intende acquisire o realizzare. Quello che viene imposto attraverso la monetizzazione delle aree a standard è un contributo alla realizzazione di infrastrutture da mettere a disposizione dell’intera collettività. La localizzazione e il dimensionamento di tali opere rientrano esclusivamente nelle scelte discrezionali dell’amministrazione;
(g) rispetto alle obbligazioni assunte nelle forme dell’art. 11 della legge 241/1990, che hanno essenzialmente natura perequativa, estendendosi alla realizzazione di opere di urbanizzazione extra-comparto o al reperimento di aree a standard con eventuale monetizzazione, il contributo di costruzione collegato al permesso di costruire semplice si avvicina invece allo schema tariffario su domanda. Nel primo caso l’edificazione assume quindi un rilievo sociale, nel secondo rimane un’operazione edilizia circoscritta all’interesse del richiedente. Ne consegue che solo la rinuncia al permesso di costruire semplice, formulata espressamente o per inerzia, può consentire il recupero della tariffa versata, mancando un più ampio coinvolgimento dell’interesse pubblico.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 897 del 3 ottobre 2022.