Il TAR Milano ricorda che, come evidenziato dalla Commissione europea, le misure di conservazione degli habitat, di cui all’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE, non sono «attivate da una certezza, bensì da una probabilità di incidenze significative» (cfr. Gestione dei siti Natura 2000 - Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (2019/C 33/01), in G.U.U.E. 25 gennaio 2019) e il concetto di incidenze «significative» sugli habitat non può «essere trattato in maniera arbitraria», essendo necessaria una obiettività non «separata dalle caratteristiche specifiche e dalle condizioni ambientali del sito protetto interessato dal piano o progetto»; inoltre, deve verificarsi il rapporto tra la causa (il progetto realizzando) e l’effetto (l’incidenza negativa) attraverso una valutazione che deve «precedere l’autorizzazione [del progetto] e tener conto degli effetti cumulativi che derivano dalla combinazione di tale piano o progetto con altri piani o progetti tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito interessato» (C.G.U.E, 7 settembre 2004, in C-127/02, punti 52-54, 59, ove si evidenzia anche la necessità di un approccio scientifico a tale valutazione).
La Commissione aggiunge: «le valutazioni che si limitano a descrizioni generali e a un esame superficiale dei dati esistenti sull’ambiente naturale nella zona non si possono […] considerare opportune ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3». Un giudizio che il Collegio condivide anche alla luce dell’insegnamento derivante dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale «l’opportuna valutazione deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sulla zona di protezione speciale in questione» (C.G.U.E., Sez. IV, 20 settembre 2007, in C-304/05).
Sulla base di queste premesse, il TAR Milano osserva che, nel caso scrutinato, il parere negativo sulla valutazione di incidenza espresso dagli organi di una Riserva Naturale, con riferimento a un intervento di realizzazione di due magazzini agricoli, della superficie rispettivamente di circa 80 mq e 138 mq, e di una serra di circa 58 mq per la coltivazione di ortaggi, si limita ad una descrizione generale del sito e delle specie ivi presenti ma non indica, in alcun modo, quale siano gli effetti dei (peraltro modesti) lavori che la ricorrente intende realizzare; il parere impugnato indica le specie presenti ed evidenzia come l’area oggetto di intervento rivesta «soprattutto dal punto di vista ornitico, una grande importanza in quanto situata in una posizione strategica» e sia, inoltre, posta «ai margini di habitat prioritari» e di «una porzione della Riserva definita RN1, nella quale le attività umane sono fortemente regolamentate». Si tratta di elementi non sufficienti per la valutazione di compatibilità che deve incentrarsi sul concreto progetto e sugli effetti che lo stesso realizza (laddove li realizzi) sull’ambiente e sulle specie animali presenti. Difetta, quindi, una seria ed effettiva valutazione di incidenza che non può essere affidata a valutazioni generali, ma deve sostanziarsi nella verifica delle concrete ripercussioni che il progetto (per tipologia, dimensioni, funzione assolta, etc.) può determinare (cfr: TAR Milano, II, 16 giugno 2020, n. 1077).

TAR Lombardia, Milano, IV, n.1619 del 27 giugno 2023


Il TAR Brescia ha sollevato dinanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 (Sanzioni amministrative a tutela del paesaggio) della legge regionale n. 12/2005, ritenendo che la determinazione delle sanzioni amministrative per il caso di inosservanza della disciplina contenuta nella parte terza del d. lgs. n. 42/2004 sia da ascrivere alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera s), Cost., in quanto rientrante nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, ordinanza n. 554 del 28 giugno 2023.


Il TAR Milano osserva che la natura giuridica di atto generale del bando e di atto endoprocedimentale dell’aggiudicazione provvisoria, non consentono di applicare la disciplina dettata dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies, L. n. 241/90, la cui revoca non è infatti qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, sì da richiedere un raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario (C.S., Sez. III, 31.3.2021 n. 2707, Sez. V, 20.8.2013, n. 4183, 20-4-2012 n. 2338) (fattispecie in tema di assegnazione di unità immobiliari ubicate nel complesso monumentale della Galleria Vittorio Emanuele II).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1512 del 14 giugno 2023.


Il TAR Milano, con ordinanza assunta in sede cautelare, ha confermato l’orientamento secondo cui la Scia non è prevista per ottenere la concessione di suolo pubblico che, come noto, è materia soggetta ad attività provvedimentale della P.A., che non dipende esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti previsti dalla legge; il Collegio ha richiamato precedenti pronunce, secondo cui la concessione di suolo pubblico è tuttora soggetta al regime del rilascio del provvedimento espresso, e non può essere ritenuta assentibile mediante una sorta di SCIA o DIA (T.A.R. Campania. Napoli, Sez. III, 1.9.2017, n. 4220).

TAR Lombardia, Milano, sez. I, ordinanza n. 575 del 26 giugno 2023


Il TAR Milano rileva che la memoria finale è stata depositata della difesa della ricorrente in violazione del termine di trenta giorni liberi per le memorie finali prima dell’udienza di trattazione della controversia stabilito dall’art. 73, comma 1, cod. proc. amm.; secondo la giurisprudenza, che il Collegio condivide, la memoria finale non può essere convertita in una memoria di replica – che beneficia del termine abbreviato di venti giorni liberi – e quindi la sua tardiva presentazione ne determina l’inutilizzabilità (cfr. Consiglio di Stato, VI, 15 novembre 2021, n. 7591; II, 30 settembre 2019, n. 6534; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 8 maggio 2023, n. 1084; IV, 11 luglio 2022, n. 1162).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1571 del 23 giugno 2023.


Il TAR Brescia osserva in via preliminare che, in tema di comunicazione dell’avvio del procedimento, per giurisprudenza costante, «le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241/1990 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del procedimento, l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto lo scopo cui tende siffatta comunicazione» (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 20 febbraio 2020, n. 1290).
Aggiunge che in materia di danno ambientale, quanto al profilo dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e il suo inquinamento, occorre utilizzare il canone civilistico del “più probabile che non”, con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c. (ex multis, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202); ne consegue che qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).
Viene puntualizzato, inoltre, che «nelle materie tecnico scientifiche - quale è indubbiamente quella in esame, relativa in generale alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento - si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori» (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 6 giugno 2022, n. 4587).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 522 del 14 giugno 2023


Il TAR Milano, ricorda che (cfr. C.d.S., Sez. V, 14 gennaio 2019, n. 291) ove la lex specialis preveda (e potrebbe anche non farlo), unitamente ai criteri "generali" di valutazione dell'offerta, anche i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi, tale scelta refluisce sulla motivazione del giudizio nel senso che l'idoneità del voto numerico a rappresentare in modo adeguato l'iter logico seguito dalla Commissione nella sua espressione è direttamente proporzionale al grado di specificazione dei criteri allo stesso sottesi; osserva quindi che nel caso scrutinato i criteri di valutazione della qualità tecnica dell’offerta (la qualità e completezza della documentazione, la congruenza, efficacia e affidabilità delle soluzioni e delle proposte formulate nonché la chiarezza nell'esposizione) sono troppo generici, non omogenei e sono utilizzabili in modo sia cumulativo che alternativo dai membri della Commissione, senza una precisa attribuzione di punteggio; non sono quindi idonei a dare adeguata indicazione del giudizio tecnico oggettivo espresso, in quanto non è possibile ricostruire l’iter logico seguito dai componenti della Commissione di gara, finendo quindi per escludere dal sindacato giurisdizionale il contenuto stesso dell’offerta; in mancanza di un preciso criterio di valutazione è infatti impossibile effettuare un confronto tra le offerte.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1550 del 19 giugno 2023


In tema di inquinamento acustico, il TAR Brescia ricorda trattarsi di una materia a legislazione concorrente tra Stato e Regioni regolata dalla legge quadro (legge n. 447 del 26 ottobre 1995) e dalle disposizioni regionali che le hanno dato attuazione. Nello specifico, la legge 447/95 (dedicata all’individuazione dei principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento acustico) ha previsto, all’art. 4, che le regioni individuino, con legge, i criteri guida a cui i comuni devono attenersi nell’emanazione dei propri provvedimenti di zonizzazione acustica. Tale disposizione è stata attuata, in Lombardia, con la l.r. 18 agosto 2001 n. 13, la quale ha individuato una serie di criteri generali demandando, poi, la predisposizione delle direttive di dettaglio per la redazione della classificazione acustica ad un apposito provvedimento della Giunta regionale, che è stato adottato l’anno successivo (d.G.R. 12 luglio 2002 n. 7/9776).
Dall’esame congiunto delle disposizioni enunciate emerge che i Comuni devono suddividere acusticamente il proprio territorio in zone acustiche omogenee, secondo i parametri individuati dalla tabella A allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 1997.
Viene inoltre ricordato che, per costante giurisprudenza, anche del TAR Brescia, l'attività demandata all'amministrazione comunale per la classificazione acustica del proprio territorio si connota in termini ampiamente discrezionali, sia quanto alla delimitazione delle singole zone, sia quanto alla loro classificazione, specialmente in relazione all'individuazione delle classi intermedie; la zonizzazione acustica costituisce, infatti, esercizio di un vero e proprio potere pianificatorio discrezionale, avente lo scopo di migliorare, ove possibile, l'esistente, ma tenendo conto della pianificazione urbanistica.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 516 del 13 giugno 2023


Il TAR Milano ricorda che la sottrazione del bene pubblico all’uso collettivo (come una strada) in favore all’uso privato, mediante il provvedimento di concessione del bene, deve essere giustificata dal perseguimento di un preminente interesse pubblico per l’ente e comunque non deve confliggere con altri interessi meritevoli di tutela. Il provvedimento di autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico ha natura discrezionale in quanto l’amministrazione è tenuta a verificare che la concessione avviene nel perseguimento di un preminente pubblico interesse e che non si risolve nella lesione di altri pubblici interessi, al di là della comparazione tra l’interesse pubblico perseguito e quello privato. Ne deriva che è legittimo negare il provvedimento di occupazione di suolo pubblico se il suo rilascio compromette l’interesse pubblico alla vivibilità dei cittadini o alla circolazione stradale. Spetta quindi all’amministrazione contemperare i diversi interessi pubblici e privati che emergano nel provvedimento di occupazione del suolo pubblico. Nel caso di specie l’amministrazione ha ritenuto, nel bilanciamento fra i contrapposti interessi coinvolti nel procedimento, di dare prevalenza all’interesse alla vivibilità delle residenze poste al piano terra di un Condominio prospiciente la strada oggetto dell’istanza di occupazione da parte di società esercente l’attività di ristorazione, nonché a quello di non ostacolare il libero accesso dei mezzi di soccorso o l’accesso ai box condominiali, atteso che l’occupazione dello spazio pubblico con tavoli e sedie richiesta per l’attività di ristorazione rispetto alle finestre del Condominio poste al piano terra avrebbe comportato turbamento dell’ambiente residenziale e quindi alla vivibilità delle abitazioni; avrebbe ridotto lo spazio di manovra per accedere ai boxes del Condominio richiedendo per le auto ingombranti la necessità di effettuare più manovre; avrebbe reso difficoltoso ad un mezzo di soccorso il raggiungimento dell’accesso al Condominio e l’inversione di marcia, trattandosi di strada a fondo cieco.

TAR Lombardia, Milano, sez. I, 12 giugno 2023 n. 1457


Il TAR Brescia ricorda che, secondo consolidati principi giurisprudenziali, in tema di interpretazione dei bandi, deve farsi applicazione del principio per cui l'interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il bando, soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 e ss., c.c., previste per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, atteso che gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati soltanto in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotta certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative. 
Ne discende che la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori, così da ostare ad ogni estensione analogica intesa a evidenziare significati inespressi e impliciti, tali da vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione (T.A.R. Trento, sez. I, 04/03/2022, n.49; Consiglio di Stato, sez. V, 15/02/2023, n. 1589; T.A.R. Milano, sez. II, 10/10/2022, n. 2212). 

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 518 del 13 giugno 2023


Il TAR Milano respinge un motivo di ricorso, con il quale si lamenta violazione di legge ed eccesso di potere, per avere l’amministrazione ritenuto che i murales fossero soggetti ad autorizzazione paesaggistica.
Osserva il TAR che il d.P.R. n. 31 del 2017 è atto soggetto a stretta interpretazione, posto che esso difetta dei requisiti imposti dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 per operare la delegificazione (difetto nella indicazione delle norme generali regolatrici della materia e nell’indicazione delle norme vigenti da abrogare); ogni intervento che abbia un impatto estetico-visivo su bene vincolato deve ritenersi soggetto ad autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del codice, salvi i casi di cui all’art. 149 seguente e, peraltro, nel caso di specie, la realizzazione di un murales, il quale in sé comporta tale impatto, sfugge al d.P.R. n. 31 del 2017, poiché neppure costituisce rifacimento di intonaci, tinteggiatura, rivestimento esterno o manto di copertura, non avendo il carattere conservativo implicato da questi interventi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1493 del 14 giugno 2023.


Secondo il TAR Milano, i provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all’interno dei centri abitati che possono essere adottati ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 285/1992 ineriscono alla competenza comunale, ma, in deroga alla generale attribuzione dei poteri in materia di attività gestionale ai Dirigenti, l’art. 7 del Codice della Strada ha individuato specifiche ipotesi e misure per le quali, per l’impatto generato sull’intera collettività locale, ha previsto invece l’intervento di un organo politico, nella fattispecie il Sindaco; si tratta, quindi, di una norma speciale che evidentemente prevale su quelle generali in materia di individuazione dei poteri riconosciuti in capo agli organi di indirizzo politico e a quelli di gestione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1445 del 12 giugno 2023.


Il TAR Milano ricorda che al fine di stabilire se un locale abbia o meno i requisiti dell'abitabilità, è necessario effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche atta a verificare se il locale in questione possa o meno essere considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita domestica (T.A.R. Milano Sez. II 16/06/2016, n. 1208); pertanto, quando per le sue caratteristiche complessive il locale si appalesa idoneo ad assolvere a tale funzione, si deve giungere alla conclusione che esso sostenga carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. VI, 30.5.2014, n. 2826) (nel caso di specie, gli accertamenti eseguiti dall’amministrazione avevano reso evidente che in alcuni sottotetti di palazzine residenziali erano stati realizzati appartamenti autonomi non collegati con le unità immobiliari poste al piano sottostante, dotati di servizi igienici, di impianti idrotermosanitari e di ogni altro tipo d'impianto, ivi compreso l'angolo cottura collegato alla rete gas, l'impianto citofonico).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1387 del 5 giugno 2023.


Il TAR Milano ricorda che la possibilità che l’offerta tecnica sia accompagnata da dati economici, in conformità a costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons.St., III, 9 gennaio 2020 n. 167), deve ritenersi ammessa laddove il dato economico trovi la sua giustificazione nel contenuto della proposta tecnica in quanto indispensabile al fine di esporre la proposta e di consentire la valutazione della stessa da parte della Commissione (ove si tratti di dati inscindibili dagli aspetti di carattere qualitativo da enunciare in sede di offerta tecnica), e comunque gli elementi esposti abbiano carattere del tutto marginale rispetto alla base d’asta ribassabile e non siano di portata tale da consentire la ricostruzione dell’offerta economica nel suo complesso prima dell’apertura della busta relativa (ex multis, Cons.St., III, 3 dicembre 2021 n. 8047)

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1446 del 12 giugno 2023.


Il TAR Brescia ha esaminato una eccezione di inammissibilità del ricorso perché l’atto notificato (con firma Cades) sarebbe stato diverso da quello poi depositato (in formato Pades).
L’eccezione viene considerata infondata.
Infatti, gli artt. 6, comma 5, e 12, comma 6, dell'Allegato A al d.P.C.M. n. 40 del 16 febbraio 2016 prescrivono, infatti, l'utilizzo della firma digitale secondo lo standard Pades senza, però, imporre espressamente l’utilizzo di tale formato per la notifica alle altre parti. Inoltre, il regolamento eIDAS (Regolamento UE n. 910/2014) e la decisione della Commissione europea 2015/1506 dell'8 settembre 2015 hanno imposto agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte sia in formato Cades sia in quello Pades, equiparando, così, quoad effectum, le due tipologie di firma. Ne consegue che, come del resto precisato dalla giurisprudenza maggioritaria, la sottoscrizione della copia del ricorso introduttivo utilizzato per la notifica «in formato Cades, anziché Pades, non integra un'ipotesi di inesistenza o di nullità del ricorso per omessa sottoscrizione dell'atto ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. a), c.p.a., né integra un'ipotesi di nullità della notificazione dell'atto introduttivo» (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 1° luglio 2020, n. 2726) ma costituisce una mera irregolarità (nel caso di specie, ritenuta sanata dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 499 del 8 giugno 2023



Il TAR Brescia ricorda che la presentazione da parte del proprietario di una SCIA in sanatoria non rende l’impugnazione dell’ordinanza di demolizione improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse; infatti, in pendenza del procedimento di sanatoria, l’efficacia dell’ordinanza di demolizione resta sospesa, salvo riespandersi in caso di diniego di accertamento di conformità.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 497 del 7 giugno 2023


Il TAR Brescia precisa che la valutazione di compatibilità ambientale che sta alla base dell’intero procedimento di autorizzazione di una discarica di rifiuti definisce i limiti e i parametri tecnici nel rispetto dei quali l’impianto viene ritenuto idoneo a non arrecare danno all’ambiente circostante; tra questi, assumono un rilievo prioritario quelli afferenti alla capacità produttiva dell’impianto, intesa come capacità volumetrica dell’invaso destinato ad ospitare i rifiuti, e all’altezza massima raggiungibile dal corpo rifiuti in vista della successiva rinaturalizzazione del sito alla chiusura dell’impianto. Tali parametri sono fissati in termini numerici, dal momento che deve trattarsi di soglie certe, non opinabili né rimesse a future quantificazioni; e ciò sia al fine di consentire i periodici controlli sulla corretta gestione dell’impianto da parte degli enti competenti, sia al fine di stabilire quando l’impianto abbia raggiunto la quantità massima di conferimenti ritenuti compatibili con l’ambiente e con lo specifico contesto territoriale in cui l’impianto è inserito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 326 del 11 aprile 2023


Il TAR Milano, con riferimento alla rilevanza urbanistica della modifica della destinazione d’uso da produttiva a direzionale, osserva che:
<<1. La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 23-ter del D.P.R. 380 del 2001 (introdotto dall’art. 17 comma 1 lett. n) del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014 n. 164), nel ricomprendere innovativamente la destinazione “produttiva” e quella “direzionale” all’interno della medesima categoria funzionale, ha inteso unificare le due categorie ai soli fini della “insediabilità” degli interventi, e quindi della ammissibilità di un intervento di modifica della destinazione d’uso con passaggio dall’una all’altra di tali categorie, ma non ai fini dell’equivalenza degli interventi dal punto di vista del carico urbanistico e dunque del relativo calcolo degli standard ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 e delle discipline di settore (Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2023 n. 659), facendo salve, peraltro eventuali diverse previsioni contenute nella legislazione regionale e negli strumenti urbanistici comunali.
2. A tale conclusione si perviene, secondo la giurisprudenza (anche di questa Sezione), sia sulla base di considerazioni di carattere sistematico, atteso che l’art. 23-ter si è inserito in un contesto normativo di rango primario che continua tuttora a contemplare disposizioni che - come l’articolo 5 del D.M. n. 1444/1968 e l’art. 19 commi 1 e 2 del DPR 380/2001 - differenziano le due destinazioni funzionali sotto il profilo del carico urbanistico e, quindi, della quantificazione del contributo di costruzione e delle dotazioni standard (cfr. TAR Milano, sez. II, n. 1765 del 19 luglio 2018); sia in considerazione di dati di comune esperienza, essendo fatto notorio che l’utilizzo produttivo-artigianale di un immobile esprime un carico urbanistico inferiore rispetto a quello terziario, giacché negli immobili ove si svolge il primo vi è solitamente una minore presenza umana (TAR Milano, Sez. II, 26 febbraio 2013 n. 5399; TAR Milano, Sez. II, 5 maggio 2009 n. 3859).
3. Secondo la ricostruzione interpretativa fatta propria dalla Sezione, la previsione normativa di cui al citato articolo 23-ter presenta una propria ratio ben definita, individuabile nel favor manifestato dal legislatore nei confronti del recupero degli edifici industriali dismessi (TAR Milano, II, n. 1765/2018).
4. Alla luce di tali principi, è dunque infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui con l’introduzione dell’art. 23-ter D.P.R. 380/2001 la modifica della destinazione d’uso (con opere) da produttiva a direzionale sarebbe urbanisticamente irrilevante, non solo ai fini dell’assentitibilità degli interventi, ma anche ai fini della quantificazione degli standard urbanistici.
5. D’altra parte, va considerato che l’art. 23-ter DPR 380/2001, nel prevedere l’unificazione in un’unica categoria funzionale della destinazione produttiva e di quella direzionale, fa espressamente “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali” (comma 1; principio ribadito, in diversa forma, dal comma 3); sicchè, pur in presenza di una norma di rango primario che afferma l’irrilevanza urbanistica del passaggio dall’una all’altra destinazione d’uso, resta salva la facoltà delle regioni di continuare a disciplinare diversamente le due categorie funzionali, sia ai fini della insediabilità degli interventi, sia ai fini della disciplina degli oneri economici relativi a contributo di costruzione e standard, proprio in virtù dell’espressa riserva di legge regionale contenuta nell’art. 23-ter DPR 380/2001.
6. Ebbene, la regione Lombardia, già prima dell’introduzione dell’art. 23-ter DPR 380/2001, si era dotata di una norma, inserita all’interno della propria legge urbanistica regionale, e precisamente l’art. 51 comma 2 della L.R. n. 12/2005, la quale rimetteva ai comuni il compio di disciplinare autonomamente nei propri strumenti urbanistici i mutamenti di destinazione d’uso (con opere) ritenuti urbanisticamente rilevanti ai fini dell’aumento del carico urbanistico; tale norma, tuttora vigente, prevede che “I comuni indicano nel PGT in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9”.
7. L’esistenza di tale norma regionale alla data di entrata in vigore dell’art. 23-ter, essendo compatibile con la riserva di legge regionale contenuta nell’inciso iniziale del primo comma dell’art. 23-ter DPR 380/2001 (“Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali”), esimeva la regione Lombardia dall’obbligo, previsto dal terzo comma della stessa norma, di adeguare la propria legislazione entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore dell’art. 23-ter, al principio della unificazione in un’unica categoria funzionale delle destinazioni “produttiva” e “direzionale” introdotto dalla norma statale, avendo quest’ultima riservato alle regioni il potere di dettare discipline eventualmente difformi da quella statale; potere che la regione Lombardia ha esercitato demandando a sua volta ai Comuni il compito di definire nei propri strumenti urbanistici le ipotesi di mutamenti di destinazione d’uso (con opere) urbanisticamente rilevanti sotto il profilo dell’aggravio di carico urbanistico.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1307 del 30 maggio 2023.


Il TAR Milano precisa che la prova dell'anteriorità dell'intervento al 1° settembre 1967, in quanto strumentale ad avvalersi di una normativa eccezionale di favore, deve essere rigorosa, tanto più quando – come nella fattispecie – dalla sua mancanza non deriva l'insanabilità assoluta delle opere, bensì il solo sgravio economico degli oneri concessori (così TAR Milano, IV, 23 febbraio 2022 n. 446); in tale contesto, solo la deduzione, da parte dell’interessato, di concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all´amministrazione (cfr. T.A.R. Napoli sez. III, 17 luglio 2019 n. 3936; T. A. R. Salerno, Sez. II, 11 ottobre 2019 n. 1727; C.G.A.R.S. 03 luglio 2019 n. 642; T.A.R. Napoli sez. III, 20 aprile 2016 n. 1957; id., sez. VI, 17 settembre 2015 n. 4565; Tar Firenze, sez. III, 14 maggio 2014 n. 795; Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 45; id, sez. V, 9 novembre 2009, n. 6984; T.A.R. Palermo, Sez. III, 14 febbraio 2014 n. 528, con riferimento alla data rilevante ai fini del pagamento degli oneri di urbanizzazione).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1306 del 30 maggio 2023.


Il TAR Brescia ricorda che, in base al disposto degli art. 242 e 244 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, l'obbligo di bonifica di un sito è posto in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare e di individuare.
Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il nesso di causalità tra l’azione (od omissione) del soggetto ritenuto responsabile e la contaminazione va accertato sulla base del canone civilistico del «più probabile che non», secondo il quale per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità prossimo alla certezza, bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della opposta possibilità, sia pure basandosi su elementi indiziari, con la precisazione che il soggetto individuato come responsabile dell'inquinamento, sulla base di un attendibile ragionamento presuntivo formulato nei termini sopra indicati, non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma deve, a sua volta, fornire specifiche prove idonee a dimostrare la reale dinamica degli avvenimenti ed indicare a quale altra specifica impresa debba addebitarsi la contaminazione (ex multis T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 16 settembre 2021, n. 1367).
In aggiunta, il TAR Brescia precisa che, per giurisprudenza consolidata, «il responsabile dell'inquinamento va individuato, non solo nel soggetto che procede materialmente allo sversamento delle sostanze nocive, ma anche nei confronti di tutti quei soggetti che abbiano, in tutto o in parte, generato la contaminazione anche per il tramite di un comportamento omissivo, purché legato all'inquinamento da un preciso nesso di causalità. Si è, altresì, sostenuto che l'imputazione dell'inquinamento ad un determinato soggetto può avvenire sia per condotte attive che per condotte omissive e, ancora, che la relativa prova può essere data in forma diretta o indiretta» (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 25 marzo 2016, n. 313).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 485 del 30 maggio 2023


Il TAR Brescia ricorda che il silenzio assenso, di cui all’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001, costituisce uno strumento di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, con la conseguenza che la formazione del titolo abilitativo per silentium non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l’attribuzione del bene della vita richiesto, di modo che esso non si configura, ad esempio, in difetto di completezza della documentazione occorrente (così, ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 8943/2022).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 476 del 29 maggio 2023